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SENTENZA DELLA CORTE DEL 26 FEBBRAIO 1991. - COMMISSIONE DELLE COMUNITA EUROPEE CONTRO REPUBBLICA ITALIANA. - IVA - IMPORTAZIONE - NON SOGGETTI PASSIVI DI IMPOSTE - DETRAZIONE DELL'IMPORTO RESIDUO DELL'IVA PAGATA NELLO STATO MEMBRO DI ESPORTAZIONE. - CAUSA C-120/88.
raccolta della giurisprudenza 1991 pagina I-00621
Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo
++++
Disposizioni fiscali - Tributi interni - Discriminazione - Divieto - Riscossione dell' imposta sul valore aggiunto in occasione dell' importazione, da parte di una persona non soggetta all' imposta, di prodotti provenienti da un altro Stato membro - Obbligo degli Stati membri di adottare provvedimenti che consentano di tener conto dell' IVA residua incorporata nel valore del prodotto esportato
(Trattato CEE, art. 95)
Viene meno agli obblighi incombentigli in forza dell' art. 95 del Trattato CEE uno Stato membro che non adotta i provvedimenti necessari a permettere alle persone non soggette all' imposta sul valore aggiunto, che importino nel territorio nazionale beni già gravati di tale imposta in un altro Stato membro e che non abbiano potuto ottenerne il rimborso, di detrarre dall' imposta sul valore aggiunto dovuta all' importazione l' importo di tale imposta versato nello Stato membro di esportazione ancora inglobato nel valore del bene al momento dell' importazione, mentre le cessioni di beni analoghi effettuate da chi non è soggetto passivo all' interno del territorio nazionale non sono considerate operazioni imponibili ai fini dell' imposta sul valore aggiunto.
La piena ed integrale applicazione del divieto di discriminazione sancito dall' art. 95 non viene assicurata per il solo fatto che detto articolo, essendo direttamente efficace, può essere invocato dinanzi ai giudici nazionali, trattandosi infatti solo di una garanzia minima, la cui esistenza lascia sussistere le difficoltà create, sotto il profilo della certezza del diritto, dal mantenimento in vigore nella normativa nazionale di disposizioni che non prevedono la presa in considerazione di tale importo residuo dell' IVA.
Il mezzo relativo alla mancanza attuale di un regime comune applicabile alle controverse operazioni di importazione dev' essere disatteso. Infatti, sebbene l' introduzione di un siffatto regime spetti al legislatore comunitario, l' art. 95 osta, finché un siffatto regime non venga istituito, all' applicazione, da parte di uno Stato membro, del proprio regime IVA a beni importati in violazione del principio di parità di trattamento fiscale.
Nella causa C-120/88,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. Johannes Foens Buhl e Giuliano Marenco, consiglieri giuridici, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il sig. Guido Berardis, membro del servizio giuridico, Centre Wagner, Kirchberg,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata dal prof. Luigi Ferrari Bravo, capo del servizio del contenzioso diplomatico del ministero degli Affari esteri, in qualità di agente, assistito dall' avv. Franco Favara, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo presso la sede della sua ambasciata, 5, rue Marie-Adélaïde,
convenuta,
avente ad oggetto il ricorso diretto a far dichiarare che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell' art. 95 del Trattato CEE,
LA CORTE,
composta dai signori O. Due, presidente, G.F. Mancini, T.F. O' Higgins e G.C. Rodríguez Iglesias, presidenti di sezione, C.N. Kakouris, R. Joliet e F.A. Schockweiler, giudici,
avvocato generale: M. Darmon
cancelliere: sig.ra D. Louterman, amministratore principale
vista la relazione d' udienza completata in seguito all' udienza del 22 febbraio 1990,
sentite le difese orali delle parti alle udienze del 22 febbraio e del 18 settembre 1990,
sentite le conclusioni dell' avvocato generale presentate all' udienza del 6 novembre 1990,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 19 aprile 1988, la Commissione delle Comunità europee ha proposto, a norma dell' art. 169 del Trattato CEE, un ricorso diretto a far dichiarare che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell' art. 95 del Trattato CEE non avendo adottato i provvedimenti necessari a permettere alle persone non soggette all' imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l' "IVA"), che importino in questo Stato membro beni già gravati di tale imposta in un altro Stato membro e che non abbiano potuto ottenerne il rimborso, di detrarre dall' IVA dovuta all' importazione l' importo dell' IVA pagata nello Stato membro di esportazione ancora inglobata nel valore del bene al momento dell' importazione.
2 La Commissione sostiene che la mancata adozione da parte della Repubblica italiana di disposizioni che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, consentano tale detrazione alle persone non soggette all' imposta, ingenera una situazione di fatto ambigua, in contrasto col principio di certezza del diritto, e rende possibile una doppia imposizione incompatibile col principio di parità di trattamento fiscale sancito dal citato art. 95 e direttamente efficace, quale è stato interpretato dalla Corte, in quanto le cessioni di beni analoghi effettuate da chi non sia soggetto all' imposta all' interno del territorio italiano non sono considerate imponibili ai fini IVA.
3 La Repubblica italiana assume che il principio che vieta le doppie imposizioni non è di per sé sufficiente per risolvere tutti i problemi di tecnica fiscale insiti nella materia e che la proposta di sedicesima direttiva del Consiglio, mirante a stabilire un regime comune applicabile a taluni beni gravati definitivamente dell' imposta sul valore aggiunto, importati da un consumatore finale di uno Stato membro e provenienti da un altro Stato membro (GU 1986, C 96, pag. 5), andrebbe sollecitamente adottata in modo che si renda possibile l' adozione di procedure e modalità applicative uniformi. Peraltro, l' incertezza nella quale sono lasciati i cittadini europei in ordine alla portata dei loro diritti sarebbe imputabile alla normativa comunitaria e non potrebbe essere addebitata alla Repubblica italiana.
4 Per una più ampia illustrazione degli antefatti, del procedimento nonché dei mezzi e degli argomenti delle parti, si fa rinvio alla relazione d' udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte.
5 E' opportuno preliminarmente ricordare che secondo una costante giurisprudenza della Corte l' art. 95 enuncia un divieto di discriminazione sul piano fiscale dei prodotti importati che produce effetti diretti attribuendo ai singoli diritti soggettivi che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare (v., in particolare, sentenza 5 maggio 1982, Gaston Schul I, punto 46 della motivazione, causa 15/81, Racc. pag. 1409).
6 E' del pari giurisprudenza costante (v. sentenze 21 maggio 1985, Gaston Schul II, causa 47/84, Racc. pag. 1491, e 25 febbraio 1988, Drexl, causa 299/86, Racc. pag. 1213) che detto art. 95 deve interpretarsi nel senso che l' IVA riscossa da uno Stato membro all' importazione, da un altro Stato membro, di un prodotto ceduto da chi non è soggetto all' imposta, qualora tale imposta non venga riscossa nel caso di cessione, da parte di un privato, di prodotti analoghi all' interno dello Stato membro importatore, va calcolata tenendo conto dell' importo dell' IVA versata nello Stato membro esportatore ed ancora incorporata nel valore del prodotto al momento della sua importazione, così che tale importo non faccia parte della base imponibile e venga inoltre dedotto dall' IVA dovuta all' importazione.
7 Ne consegue che le norme comunitarie in materia, contrariamente a quanto sostiene la Repubblica italiana, non lasciano i cittadini europei nell' incertezza sulla portata dei loro diritti con riguardo al principio di parità di trattamento fiscale dei beni importati.
8 E' peraltro assodato che le norme nazionali di cui trattasi prevedono la riscossione dell' IVA all' importazione, da parte di chi non è soggetto all' imposta, di beni già gravati dell' IVA nello Stato membro di esportazione, senza permettere agli interessati di detrarre l' IVA residua dall' importo dell' IVA versata all' importazione, mentre le cessioni di beni analoghi effettuate da chi non è soggetto all' imposta, all' interno del territorio italiano non sono considerate operazioni imponibili ai fini IVA.
9 Simili norme sono incompatibili col principio di parità di trattamento fiscale dei beni importati, lasciando gli importatori non soggetti all' imposta, malgrado la diretta efficacia dell' art. 95, in uno stato d' incertezza circa il loro diritto di avvalersi di detto articolo e potendo indurre i dipendenti dell' amministrazione nazionale competenti alla riscossione dell' IVA a non applicare il principio secondo cui l' IVA residua va detratta.
10 Invero la facoltà degli amministrati di far valere dinanzi ai giudici nazionali le disposizioni del Trattato direttamente efficaci costituisce solo una garanzia minima e non è di per sé sufficiente ad assicurare la piena applicazione del Trattato (v. sentenza 15 ottobre 1986, Commissione / Italia, punto 11 della motivazione, causa 168/85, Racc. pag. 2945).
11 Peraltro, i principi della certezza del diritto e della tutela dei privati esigono che, nelle materie disciplinate dal diritto comunitario, la normativa degli Stati membri abbia una formulazione non equivoca, sì da consentire agli interessati di conoscere i propri diritti ed obblighi in modo chiaro e preciso ed ai giudici di garantirne l' osservanza (v. sentenza 21 giugno 1988, Commissione / Italia, causa 257/86, Racc. pag. 3249).
12 Il mezzo relativo alla mancanza attuale di un regime comune IVA applicabile alle controverse operazioni di importazione, dedotto dalla Repubblica italiana, dev' essere disatteso.
13 E' sufficiente ricordare, in proposito, che sebbene l' introduzione di un regime comune IVA applicabile a tali operazioni spetti al legislatore comunitario, il citato art. 95 osta, finché un siffatto regime non venga istituito, all' applicazione, da parte di uno Stato membro, del proprio regime IVA ai beni importati in violazione del principio di parità di trattamento fiscale (v. sentenza Gaston Schul I, precitata).
14 La realizzazione dell' armonizzazione delle legislazioni fiscali prevista dall' art. 99 del Trattato non può infatti assurgere a presupposto per l' applicazione dell' art. 95, che impone agli Stati membri, con effetto immediato, l' obbligo di applicare in modo non discriminatorio la loro normativa fiscale ancor prima di qualsiasi armonizzazione (v. sentenza 27 febbraio 1980, Commissione / Danimarca, causa 171/78, Racc. pag. 447).
15 Ne consegue che gli argomenti della Repubblica italiana non possono essere accolti.
16 Alla luce dei rilievi sopra svolti, si deve constatare che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell' art. 95 del Trattato CEE, non avendo adottato i provvedimenti necessari a permettere ai non soggetti all' IVA, che importino nel territorio italiano beni già gravati da tale imposta in un altro Stato membro e che non abbiano potuto ottenerne il rimborso, di detrarre dall' IVA dovuta all' importazione l' importo dell' IVA versata nello Stato membro di esportazione ancora inglobata nel valore del bene al momento dell' importazione, mentre le cessioni di beni analoghi effettuate da chi non è soggetto passivo all' interno del territorio italiano non sono considerate operazioni imponibili ai fini IVA.
Sulle spese
17 Ai sensi dell' art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese. La Repubblica italiana è rimasta soccombente e va quindi condannata alle spese.
Per questi motivi,
LA CORTE
dichiara e statuisce:
1) La Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell' art. 95 del Trattato CEE, non avendo adottato i provvedimenti necessari a permettere ai non soggetti all' IVA, che importino nel territorio italiano beni già gravati da tale imposta in un altro Stato membro e che non abbiano potuto ottenerne il rimborso, di detrarre dall' IVA dovuta all' importazione l' importo dell' IVA versata nello Stato membro di esportazione ancora inglobata nel valore del bene al momento dell' importazione, mentre le cessioni di beni analoghi effettuate da chi non è soggetto all' imposta all' interno del territorio italiano non sono considerate operazioni imponibili a fini IVA.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.