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Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 17 ottobre 1996. - Denkavit International BV, VITIC Amsterdam BV e Voormeer BV contro Bundesamt für Finanzen. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Finanzgericht Köln - Germania. - Armonizzazione delle legislazioni fiscali - Imposte sugli utili delle società - Società capogruppo e consociate. - Cause riunite C-283/94, C-291/94 e C-292/94.
raccolta della giurisprudenza 1996 pagina I-05063
Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo
1. Ravvicinamento delle legislazioni ° Regime fiscale comune applicabile alle società capogruppo e consociate di Stati membri diversi ° Direttiva 90/435 ° Esenzione, nello Stato membro della consociata, dalla ritenuta alla fonte dell' imposta sugli utili distribuiti alla società capogruppo ° Presupposti ° Detenzione di una partecipazione minima nel capitale della consociata ° Facoltà riconosciuta agli Stati membri di subordinare l' esenzione alla detenzione della partecipazione durante un periodo minimo ° Interpretazione restrittiva ° Legislazione nazionale che riconosce il diritto all' esenzione, e unicamente per il futuro, solo una volta decorso il periodo minimo fissato ° Inammissibilità ° Errata trasposizione da parte di uno Stato membro ° Obbligo per lo Stato di risarcire i danni subiti da una società capogruppo ° Insussistenza
(Direttiva del Consiglio 90/435/CEE, artt. 3, n. 2, e 5, n. 1)
2. Ravvicinamento delle legislazioni ° Regime fiscale comune applicabile alle società capogruppo e consociate di Stati membri diversi ° Direttiva 90/435 ° Art. 5, nn. 1 e 3 ° Esenzione, nello Stato membro della consociata, dalla ritenuta alla fonte dell' imposta sugli utili distribuiti alla società capogruppo ° Carattere chiaro ° Invocabilità da parte della società capogruppo che rispetta l' obbligo di conservare la sua partecipazione nel capitale della sua consociata durante il periodo fissato dallo Stato membro interessato
(Direttiva del Consiglio 90/435, artt. 3, n. 2, e 5, nn. 1 e 3)
3. Diritto comunitario ° Violazione da parte di uno Stato membro ° Attuazione di una direttiva ° Obbligo di risarcire il danno provocato ai singoli ° Presupposti ° Violazione grave e manifesta ° Nozione
1. L' art. 3, n. 2, della direttiva 90/435, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, quando autorizza gli Stati membri a concedere l' esenzione dalla ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti da una consociata alla sua società capogruppo, che la controlla per almeno il 25% del suo capitale, prevista dall' art. 5, n. 1, della direttiva, solo nei limiti in cui la società capogruppo conservi tale partecipazione minima durante un periodo che le spetta di fissare, ma che non può essere superiore a due anni, introduce una facoltà di deroga all' obbligo di concedere l' esenzione che, in quanto tale, dev' essere interpretata in senso restrittivo. Esso non può quindi essere interpretato nel senso che autorizza uno Stato membro a subordinare la suddetta esenzione alla condizione che, al momento della distribuzione degli utili, la società capogruppo abbia detenuto la partecipazione richiesta nel capitale della sua consociata durante un periodo almeno pari a quello fissato nell' ambito della facoltà che gli viene riconosciuta.
Spetta agli Stati membri stabilire le norme intese a far rispettare tale periodo minimo, in conformità alle procedure previste nel loro ordinamento interno. In ogni caso, tali Stati non sono tenuti, in forza della direttiva, a concedere l' agevolazione in modo immediato quando la società capogruppo s' impegna unilateralmente a rispettare il periodo minimo di partecipazione.
Ciò posto, il diritto comunitario non obbliga uno Stato membro ° il quale, in sede di attuazione della direttiva nel proprio diritto nazionale, ha previsto che il periodo minimo di partecipazione stabilito ai sensi dell' art. 3, n. 2, dev' essere scaduto al momento della distribuzione degli utili oggetto dell' agevolazione fiscale stabilita dall' art. 5 ° a risarcire alla società capogruppo i danni che essa avrebbe subito a causa dell' errore così commesso.
Infatti, nella specie non sussistono i presupposti necessari perché una violazione del diritto comunitario commessa da uno Stato membro, in occasione dell' attività normativa comportante un margine di valutazione costituito dalla trasposizione di una direttiva, faccia sorgere a carico di questo un obbligo di risarcire il danno provocato a singoli. Non sussiste in ogni caso la violazione grave e manifesta del diritto comunitario, dato che risulta, fra altri elementi, che l' interpretazione della direttiva accolta dallo Stato membro corrisponde a quella della maggior parte degli altri Stati membri che si sono avvalsi della facoltà di deroga.
2. L' art. 5, n. 1, della direttiva 90/435, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, prevede, in modo chiaro e inequivoco, l' esenzione dalla ritenuta dell' imposta alla fonte per le società capogruppo che detengono una partecipazione minima del 25% nel capitale della loro consociata.
Anche se l' art. 3, n. 2, della direttiva dà agli Stati membri la facoltà di derogare a tale principio quando la società capogruppo non conserva la sua partecipazione nella consociata per un periodo minimo e rimette loro un margine di discrezionalità quanto alla durata di tale periodo, che non può superare due anni, e quanto alle procedure amministrative vigenti, ciò non esclude tuttavia che si possano determinare alcuni diritti imprescindibili in base alle disposizioni di principio contenute nell' art. 5 della direttiva. Ne consegue che, nel caso in cui uno Stato membro si sia avvalso della facoltà prevista dall' art. 3, n. 2, della direttiva, le società capogruppo, purché si conformino all' obbligo di conservare la loro partecipazione durante il periodo fissato da tale Stato membro, possono far valere direttamente i diritti loro conferiti dall' art. 5, nn. 1 e 3, della stessa direttiva dinanzi ai giudici nazionali.
3. Un diritto al risarcimento a favore dei singoli lesi da una violazione del diritto comunitario imputabile ad uno Stato membro viene riconosciuto dal diritto comunitario qualora sussistano tre presupposti: occorre che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli, che si tratti di violazione grave e manifesta e che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell' obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi. Tali condizioni si applicano nel caso in cui uno Stato membro non trasponga correttamente una direttiva comunitaria nel suo ordinamento nazionale. Al riguardo, una violazione è grave e manifesta qualora un' istituzione o uno Stato membro, nell' esercizio del suo potere normativo, abbia violato, in modo manifesto e grave, i limiti imposti all' esercizio dei suoi poteri. Tra gli elementi che possono essere presi in considerazione figura in particolare il grado di chiarezza e di precisione della norma violata.
Nei procedimenti riuniti C-283/94, C-291/94 e C-292/94,
aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, a norma dell' art. 177 del Trattato CE, dal Finanzgericht di Colonia (Germania) nelle cause dinanzi ad esso pendenti tra
Denkavit Internationaal BV (C-283/94),
VITIC Amsterdam BV (C-291/94),
Voormeer BV (C-292/94)
e
Bundesamt fuer Finanzen,
domande vertenti sull' interpretazione degli artt. 3 e 5 della direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (GU L 225, pag. 6),
LA CORTE (Quinta Sezione),
composta dai signori J.C. Moitinho de Almeida, presidente di sezione, L. Sevón, D.A.O. Edward, P. Jann (relatore) e M. Wathelet, giudici,
avvocato generale: F.G. Jacobs
cancelliere: signora L. Hewlett, amministratore
viste le osservazioni scritte presentate:
° per la Denkavit Internationaal BV, dall' avv. V. Schiller, del foro di Colonia;
° per il Bundesamt fuer Finanzen, dal signor R. Schupp, Regierungsdirektor, in qualità di agente;
° per il governo tedesco, dai signori E. Roeder, Ministerialrat presso il ministero federale dell' Economia, e G. Thiele, Assessor presso lo stesso ministero, in qualità di agenti;
° per il governo belga, dal signor J. Devadder, direttore amministrativo del servizio giuridico presso il ministero degli Affari esteri, in qualità di agente;
° per il governo ellenico, dal signor F. Georgakopoulos, consigliere giuridico aggiunto presso l' avvocatura dello Stato, dalle signore K. Grigoriou, procuratore ad lites presso l' avvocatura dello Stato, e S. Chala, collaboratrice scientifica specializzata presso il servizio speciale del contenzioso comunitario del ministero degli Affari esteri, in qualità di agenti;
° per il governo italiano, dal signor U. Leanza, capo del servizio del contenzioso diplomatico presso il ministero degli Affari esteri, assistito dal signor M. Fiorilli, avvocato dello Stato, in qualità di agenti;
° per il governo olandese, dal signor A. Bos, consigliere giuridico presso il ministero degli Affari esteri, in qualità di agente;
° per la Commissione delle Comunità europee, dal signor J. Grunwald, consigliere giuridico, e dalla signora H. Michard, membro del servizio giuridico, in qualità di agenti,
vista la relazione d' udienza,
sentite le osservazioni orali della società Denkavit Internationaal BV, rappresentata dall' avv. Schiller, del governo tedesco, rappresentato dal signor B. Kloke, Oberregierungsrat presso il ministero federale dell' Economia, in qualità di agente, del governo ellenico, rappresentato dalle signore K. Grigoriou e S. Chala, del governo francese, rappresentato dal signor G. Mignot, segretario degli affari esteri presso la direzione affari giuridici del ministero degli Affari esteri, in qualità di agente, del governo olandese, rappresentato dal signor M. Fierstra, consigliere giuridico aggiunto presso il ministero degli Affari esteri, in qualità di agente, e della Commissione, rappresentata dal signor J. Grunwald, all' udienza del 21 marzo 1996,
sentite le conclusioni dell' avvocato generale, presentate all' udienza del 2 maggio 1996,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con ordinanze 19 settembre 1994, pervenute alla Corte il 19 e il 27 ottobre seguenti, il Finanzgericht di Colonia ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell' art. 177 del Trattato CE, varie questioni pregiudiziali relative all' interpretazione della direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (GU L 225, pag. 6; in prosieguo: la "direttiva"), in particolare dei suoi artt. 3, n. 2, e 5.
2 Tali questioni sono state sollevate nell' ambito di tre ricorsi proposti contro il Bundesamt fuer Finanzen (in prosieguo: il "Bundesamt") dalla Denkavit Internationaal BV (in prosieguo: la "Denkavit"), dalla VITIC Amsterdam BV (in prosieguo: la "VITIC") e dalla Voormeer BV (in prosieguo: la "Voormeer"), società di diritto olandese che detengono ciascuna una partecipazione nel capitale di una società tedesca, in ordine alla tassazione degli utili delle loro consociate.
3 Ai sensi dell' art. 3, n. 1, lett. a), della direttiva la qualità di società capogruppo è riconosciuta ad ogni società di uno Stato membro che soddisfi talune condizioni, enunciate all' art. 2 della direttiva, e che detenga nel capitale di una società di un altro Stato membro una partecipazione minima del 25%. In forza dell' art. 3, n. 2, secondo trattino, della direttiva gli Stati membri hanno la facoltà, in deroga al n. 1, "di non applicare la presente direttiva a quelle società di questo Stato membro che non conservano, per un periodo ininterrotto di almeno due anni, una partecipazione che dia diritto alla qualità di società madre o alle società nelle quali una società di un altro Stato membro non conservi, per un periodo ininterrotto di almeno due anni, siffatta partecipazione".
4 L' art. 5, n. 1, della direttiva dispone che gli utili distribuiti da una consociata alla società capogruppo, quando quest' ultima detiene una partecipazione minima del 25% nel capitale della consociata, sono esenti da ritenuta alla fonte. L' art. 5, n. 3, della direttiva autorizza la Repubblica federale di Germania a riscuotere, entro e non oltre la metà del 1996, una ritenuta d' imposta pari al 5%.
5 In forza dell' art. 8, n. 1, la direttiva doveva essere attuata nell' ordinamento nazionale entro il 1 gennaio 1992.
6 In Germania la direttiva è stata attuata dall' art. 44, lett. d), dell' Einkommensteuergesetz (legge relativa all' imposta sul reddito, in prosieguo: l' "EStG"). Mentre il n. 1 di tale articolo prevede la riduzione della ritenuta alla fonte all' aliquota del 5%, in conformità dell' art. 5, nn. 1 e 3, della direttiva, il successivo n. 2, inteso ad attuare l' art. 3, n. 2, secondo trattino, della direttiva, stabilisce che "la qualità di società capogruppo, ai sensi del n. 1, è riconosciuta a qualsiasi società che (...), al momento dell' esigibilità dell' imposta sui redditi dei capitali mobili, (...) può provare ch' essa detiene da almeno dodici mesi ininterrottamente una partecipazione diretta pari ad almeno un quarto del capitale nominale della società (...) [consociata]".
7 Nel procedimento C-283/94, la Denkavit deteneva dal 1973 una partecipazione diretta del 20% nel capitale della società tedesca Denkavit Futtermittel GmbH. Il 14 luglio 1992, a seguito dell' acquisizione di altre quote sociali, la partecipazione della Denkavit nella consociata passava al 99,4%. Per attuare, a quanto sembra, una distribuzione degli utili della consociata, prevista per il 16 ottobre 1992, il 6 ottobre 1992 la Denkavit chiedeva all' amministrazione tributaria tedesca la riduzione della ritenuta alla fonte, ai sensi dell' art. 44, lett. d), n. 1, dell' EStG. Nella domanda essa si impegnava espressamente a far sì che la sua partecipazione nella consociata restasse superiore al 25% per un periodo ininterrotto di almeno un biennio a decorrere dalla data di acquisizione, ossia il 14 luglio 1992.
8 L' amministrazione tributaria rifiutava però l' esenzione richiesta, con la motivazione secondo cui non era stato osservato il termine di dodici mesi prescritto dall' art. 44, lett. d), n. 2, dell' EStG.
9 Dopo un reclamo infruttuoso e la proposizione di un ricorso dinanzi al Finanzgericht di Colonia da parte della Denkavit, il 17 maggio 1993 l' amministrazione tributaria modificava la sua decisione ed autorizzava la ritenuta ad aliquota ridotta a decorrere dal 15 luglio 1993, ossia un anno dopo l' acquisizione dell' ulteriore partecipazione, alla condizione che la Denkavit conservasse un' adeguata partecipazione fino al 30 settembre 1995.
10 La Denkavit limitava allora il suo ricorso al periodo anteriore al 15 luglio 1993. Dinanzi al giudice di rinvio, essa sosteneva in particolare di avere un interesse legittimo a far dichiarare l' illegittimità della decisione con cui il Bundesamt aveva rifiutato di concederle la riduzione della ritenuta per il periodo fino al 14 luglio 1993 giacché, a causa di tale rifiuto, la consociata aveva rinunciato alla distribuzione degli utili inizialmente prevista per il 16 ottobre 1992. Orbene, tale rinuncia forzata le avrebbe provocato gravi perdite d' interessi di cui essa intendeva chiedere il risarcimento dopo la conclusione del procedimento dinanzi ai giudici tributari.
11 Nel procedimento C-291/94, la VITIC deteneva dal 1987 una partecipazione diretta del 19% nel capitale della società tedesca Wesumat GmbH. Il 2 gennaio 1992, in seguito all' acquisizione di altre quote sociali, tale partecipazione veniva portata al 95%. Il 15 ottobre 1991 la consociata decideva di distribuire un dividendo, esigibile il 15 gennaio 1992, imputato sull' utile risultante al 31 dicembre 1990. Il dividendo spettante alla società capogruppo veniva versato previa detrazione, in particolare, dell' imposta sui cespiti mobiliari calcolata al tasso normale.
12 Il 29 giugno 1992 la VITIC chiedeva, ai sensi dell' art. 44, lett. d), n. 1, dell' EStG, il rimborso della ritenuta d' imposta, nella misura in cui essa superava l' aliquota ridotta del 5%.
13 Il 16 ottobre 1992 l' amministrazione tributaria rifiutava il rimborso richiesto, con la motivazione secondo cui non era stato rispettato il termine di dodici mesi prescritto dall' art. 44, lett. d), n. 2, dell' EStG.
14 Dato che il suo reclamo era stato respinto, la VITIC proponeva un ricorso dinanzi al Finanzgericht di Colonia.
15 Nel procedimento C-292/94, la Voormeer acquisiva il 27 febbraio 1992 il 96,13% del capitale nominale della società tedesca Framode GmbH. Il 28 aprile 1992 quest' ultima decideva di distribuire un dividendo, esigibile il 4 maggio 1992, per l' esercizio 1 marzo 1991 - 29 febbraio 1992. Il dividendo spettante alla società capogruppo veniva versato previa detrazione, in particolare, dell' imposta sui cespiti mobiliari calcolata al tasso normale.
16 Il 15 ottobre 1992 la Voormeer chiedeva il rimborso della ritenuta d' imposta, nella misura in cui essa superava l' aliquota ridotta del 5%. Dato che l' amministrazione fiscale rifiutava il rimborso richiesto per gli stessi motivi addotti nella causa VITIC, la Voormeer presentava reclamo il 22 gennaio 1993. Poiché questo veniva respinto il 23 febbraio 1993, essa proponeva un ricorso dinanzi al Finanzgericht di Colonia.
17 Nelle tre cause nazionali, il Finanzgericht di Colonia afferma che, in base al solo diritto nazionale, i ricorsi andrebbero respinti. Esso esprime cionondimeno dei dubbi in ordine alla compatibilità dell' art. 44, lett. d), n. 2, dell' EStG con l' art. 3, n. 2, della direttiva, che non sembra prescrivere che il periodo minimo durante il quale la società capogruppo deve conservare la sua partecipazione nel capitale della società consociata sia già scaduto al momento in cui viene presentata la domanda diretta alla riduzione della ritenuta. Per tale motivo esso ha disposto la sospensione del procedimento ed ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
Nel procedimento C-283/94:
"1) Se la direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (GU L 225 del 23 luglio 1990, pag. 6), segnatamente all' art. 3, n. 1, sia da interpretare nel senso che uno Stato membro può escludere una società capogruppo avente sede in un altro Stato membro dalle agevolazioni fiscali previste all' art. 5, allorché la società capogruppo, da un lato, al momento della distribuzione degli utili di cui trattasi non è ancora giunta a detenere da almeno 12 mesi ininterrottamente una partecipazione diretta minima pari a un quarto del capitale nominale della consociata nazionale e, dall' altro, tuttavia, si è impegnata nei confronti delle autorità tributarie competenti dello Stato membro di appartenenza della consociata a conservare la propria partecipazione nella consociata per un periodo ininterrotto di almeno 2 anni dall' acquisizione.
2) In caso di soluzione negativa della prima questione: se la direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (GU L 225, pag. 6), debba essere interpretata nel senso che una società capogruppo che soddisfi le condizioni di cui agli artt. 2 e 3 della direttiva, possa fondare nei confronti dello Stato membro in cui ha sede la consociata la propria pretesa all' esenzione o alla riduzione della ritenuta alla fonte prevista dall' art. 5 della direttiva richiamandosi direttamente all' art. 5 stesso, e, in caso affermativo, se la tutela di questo diritto spetti al giudice nazionale dello Stato membro della consociata.
3) In caso di soluzione negativa della prima questione: se, nel caso in cui lo Stato membro della consociata abbia attuato in maniera inadeguata nell' ordinamento interno l' art. 3, n. 2, della direttiva, nel senso che il termine minimo di partecipazione ivi previsto secondo la normativa nazionale deve già essere compiuto prima della distribuzione agevolata degli utili di cui all' art. 5 della direttiva, una società capogruppo quale descritta nelle questioni prima e seconda possa vantare un diritto al risarcimento dei danni nei confronti dello Stato membro per la perdita degli interessi subita, diritto che, secondo i criteri enunciati nella sentenza della Corte 19 novembre 1991 (cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich e Bonifaci), è fondato sul diritto comunitario, o che discende da quest' ultimo, qualora la detta perdita derivi dal fatto che la società capogruppo ha dovuto differire una distribuzione degli utili decisa nel corso del citato periodo minimo nazionale di partecipazione fino alla conclusione del periodo stesso".
Nei procedimenti C-291/94 e C-292/94:
"1) Se la direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (GU L 225 del 23 luglio 1990, pag. 6), segnatamente all' art. 3, n. 1, sia da interpretare nel senso che uno Stato membro può escludere una società capogruppo avente sede in un altro Stato membro dalle agevolazioni fiscali previste all' art. 5, qualora la società capogruppo, al momento della distribuzione degli utili di cui trattasi, non sia giunta a detenere da almeno 2 anni ininterrottamente una partecipazione diretta minima pari ad un quarto del capitale nominale della consociata nazionale, e tuttavia tale periodo minimo di partecipazione venga successivamente conseguito.
2) In caso di soluzione negativa della prima questione: se la citata direttiva debba essere interpretata nel senso che una società capogruppo che soddisfi le condizioni di cui agli artt. 2 e 3 della direttiva possa fondare nei confronti dello Stato membro in cui ha sede la consociata la propria pretesa all' esenzione o alla riduzione della ritenuta alla fonte prevista dall' art. 5 della direttiva richiamandosi direttamente all' art. 5 stesso, e, in caso affermativo, se la tutela di questo diritto spetti al giudice nazionale dello Stato membro della consociata".
Sulla prima questione
18 Con la prima questione nelle tre cause, il giudice nazionale chiede in sostanza se uno Stato membro possa subordinare la concessione delle agevolazioni previste all' art. 5, n. 1, della direttiva alla condizione che, al momento della distribuzione degli utili, la società capogruppo abbia detenuto una partecipazione minima del 25% nel capitale della consociata per un periodo almeno pari a quello fissato da tale Stato membro ai sensi dell' art. 3, n. 2, della direttiva. Nel procedimento C-283/94, il Finanzgericht chiede inoltre se la soluzione sia diversa nel caso in cui la società capogruppo che chiede l' agevolazione prima della scadenza del periodo minimo si impegni unilateralmente a conservare la sua partecipazione durante tale periodo.
19 Secondo la Denkavit e la Commissione, risulta dallo stesso disposto letterale della direttiva che il periodo minimo fissato ai sensi dell' art. 3, n. 2, non deve necessariamente essere scaduto al momento della concessione dell' agevolazione fiscale. La direttiva ha infatti lo scopo di stimolare le partecipazioni transfrontaliere e non di scoraggiarle ostacolando loro l' accesso alle agevolazioni fiscali concesse nell' ambito delle cooperazioni nazionali.
20 La Commissione aggiunge di avere, nella sua proposta di direttiva presentata al Consiglio il 16 gennaio 1969 (GU C 39, pag. 1), raccomandato "di non considerare più (retroattivamente) una società, che soddisfa normalmente le condizioni richieste, come una società madre, qualora tale società si separi dalla sua partecipazione nel biennio dalla sua acquisizione". Ne risulterebbe che l' agevolazione fiscale dev' essere concessa fin dall' acquisizione della partecipazione, dato che l' osservanza del termine può essere controllata in seguito.
21 Il Bundesamt deduce in sostanza che, poiché l' art. 3, n. 2, della direttiva non fornisce alcuna indicazione su questo punto, gli Stati membri mantengono la loro libertà di valutazione. Questa tesi viene condivisa, nel complesso, dai governi belga, ellenico, tedesco, italiano e olandese. Secondo questi ultimi, l' interpretazione che risulta dalla disposizione tedesca controversa è del resto la sola che consenta all' amministrazione di lottare contro gli abusi. Un controllo successivo dell' effettiva osservanza del termine di partecipazione susciterebbe un gran numero di difficoltà pratiche e tecniche, e ciò particolarmente nel caso di versamento transfrontaliero di dividendi.
22 A questo proposito, occorre innanzi tutto ricordare che la direttiva, come risulta in particolare dal terzo 'considerando' , mira ad eliminare, instaurando un regime fiscale comune, qualsiasi penalizzazione della cooperazione tra società di Stati membri diversi rispetto alla cooperazione tra società di uno stesso Stato membro ed a facilitare in tal modo la cooperazione transfrontaliera. Così, l' art. 5, n. 1, della direttiva prevede, al fine di evitare la doppia imposizione, l' esenzione dalla ritenuta alla fonte nello Stato della consociata al momento della distribuzione degli utili.
23 E' bensì vero che l' art. 3, n. 2, della direttiva lascia agli Stati membri la facoltà di sottoporre tale agevolazione fiscale ad un periodo minimo di partecipazione che gli Stati membri sono liberi di fissare, ma che non può, comunque, superare il biennio.
24 Occorre tuttavia tener presente il testo stesso dell' art. 3, n. 2, secondo trattino, della direttiva, ai cui termini le società capogruppo possono essere private dell' esenzione dalla ritenuta solo quando esse "(...) non conservano, per un periodo ininterrotto di almeno due anni, siffatta partecipazione".
25 Dai termini di tale disposizione, e in particolare dall' uso del presente ("conservano") in tutte le versioni linguistiche salvo nella versione danese, si evince che la società capogruppo deve, per fruire dell' agevolazione fiscale, detenere una partecipazione nella consociata per un certo periodo, senza che sia necessario che tale periodo sia già terminato al momento della concessione dell' agevolazione fiscale. Tale interpretazione non risulta infirmata dal fatto che la versione danese di tale disposizione usi un tempo al passato.
26 Essa è inoltre avvalorata dalla finalità della direttiva che, come è stato già rilevato al punto 22 della presente sentenza, mira a sgravare il regime fiscale delle cooperazioni transfrontaliere. Gli Stati membri non possono quindi, su questo punto, istituire unilateralmente provvedimenti restrittivi, come, nel caso di specie, la prescrizione di un periodo minimo di partecipazione già compiuto al momento della distribuzione degli utili per i quali è chiesta l' agevolazione fiscale.
27 Del pari, occorre rilevare che la facoltà per gli Stati membri di prevedere un periodo minimo durante il quale la società capogruppo deve detenere una partecipazione nella consociata, costituendo una deroga al principio dell' esenzione dalla ritenuta alla fonte prevista dall' art. 5, n. 1, della direttiva, deve essere assoggettata ad interpretazione restrittiva. Essa non può quindi ricevere, a detrimento delle imprese beneficiarie, un' interpretazione che vada al di là dello stesso disposto letterale dell' art. 3, n. 2.
28 Contro l' interpretazione accolta, i governi intervenuti obiettano che la maggior parte degli Stati membri che si sono avvalsi della facoltà offerta dall' art. 3, n. 2, della direttiva hanno interpretato tale disposizione nel senso che essa prescrive che il periodo minimo di partecipazione sia già terminato al momento della domanda di esonero fiscale o della distribuzione degli utili da parte della consociata. Infatti, in sede di adozione della direttiva da parte del Consiglio sarebbe stato concordato di utilizzare termini relativamente vaghi, al fine di consentire interpretazioni diverse in base alle esigenze degli ordinamenti giuridici interni. L' interpretazione restrittiva prospettata dalla Commissione e dalla Denkavit sarebbe quindi in contrasto con l' intenzione del legislatore.
29 Questo argomento non può essere accolto. Intenzioni espresse dagli Stati membri in seno al Consiglio, come quelle richiamate dai governi nelle loro osservazioni, sono prive di valore giuridico quando non hanno trovato espressione nelle norme positive. Queste ultime sono infatti destinate agli amministrati che devono poter fare affidamento sul loro contenuto, conformemente alle prescrizioni del principio della certezza del diritto.
30 In secondo luogo, il Bundesamt e il governo tedesco sostengono che l' interpretazione risultante dall' attuazione dell' art. 3, n. 2, della direttiva da parte del legislatore tedesco trova conferma nell' art. 1, n. 2, che dispone che la direttiva "non pregiudica l' applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi".
31 A questo proposito, va rilevato che l' art. 1, n. 2, della direttiva costituisce una norma di principio, il cui contenuto viene precisato nell' art. 3, n. 2, della stessa direttiva. Così, quest' ultima disposizione è intesa in particolare, il che non viene contestato da nessuna delle parti che hanno presentato osservazioni alla Corte, a lottare contro gli abusi risultanti da partecipazioni assunte nel capitale di società al solo scopo di approfittare delle agevolazioni fiscali previste e che non sono destinate a durare. Di conseguenza, non è opportuno ricorrere all' art. 1, n. 2, della direttiva per interpretare l' art. 3, n. 2.
32 Pertanto, gli Stati membri non possono subordinare la concessione dell' agevolazione fiscale prevista dall' art. 5, n. 1, della direttiva alla condizione che, al momento della distribuzione degli utili, la società capogruppo abbia detenuto una partecipazione nella consociata per il periodo minimo fissato dall' art. 3, n. 2, purché tale periodo venga in seguito osservato.
33 Su quest' ultimo punto, gli Stati membri sono liberi di determinare, tenuto conto delle necessità del loro ordinamento giuridico interno, i criteri per garantire l' osservanza di tale periodo. Infatti, la direttiva non indica il modo in cui gli Stati membri che si sono avvalsi della facoltà prevista dall' art. 3, n. 2, della direttiva devono far osservare il periodo minimo di partecipazione quando quest' ultimo si conclude dopo la domanda di esonero fiscale. In particolare, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, la direttiva non obbliga gli Stati membri a concedere l' esenzione fin dall' inizio di tale periodo, senza ricevere la garanzia di poter ottenere il versamento successivo dell' imposta per il caso in cui la società capogruppo non rispetti il periodo minimo di partecipazione da essi fissato. Analogamente, non risulta dalla direttiva che gli Stati membri siano tenuti a concedere immediatamente l' esenzione fiscale quando la società capogruppo s' impegna unilateralmente a rispettare il periodo minimo di partecipazione.
34 Gli argomenti dei governi tedesco ed ellenico relativi al travisamento della natura stessa della ritenuta alla fonte e ad una lesione recata al principio della certezza del diritto, nel caso in cui le amministrazioni fiscali dovessero concedere agevolazioni fiscali la cui giustificazione verrebbe esaminata solo successivamente, non sono quindi pertinenti.
35 Infatti, la concessione dell' agevolazione fiscale fin dall' acquisizione da parte della società capogruppo di una partecipazione adeguata nel capitale della consociata, combinata con un eventuale recupero ex post quando si accerti che non è stato rispettato il periodo minimo di partecipazione, non costituisce il solo mezzo per far osservare quanto prescritto all' art. 3, n. 2, della direttiva. Come risulta dal paragrafo 34 delle conclusioni dell' avvocato generale, alcuni Stati membri hanno, in casi del genere, adottato meccanismi che prevedono procedimenti idonei. Tuttavia, dato che la direttiva non fornisce alcuna indicazione su questo punto, non spetta alla Corte imporre agli Stati membri l' uno o l' altro di detti meccanismi.
36 Alla luce di quanto precede, la prima questione va risolta nel senso che uno Stato membro non può subordinare la concessione dell' agevolazione fiscale di cui all' art. 5, n. 1, della direttiva alla condizione che, al momento della distribuzione degli utili, la società capogruppo abbia detenuto una partecipazione minima del 25% nel capitale della consociata per un periodo almeno pari a quello fissato da tale Stato membro ai sensi dell' art. 3, n. 2, della direttiva. Spetta agli Stati membri stabilire le norme intese a far rispettare tale periodo minimo in conformità alle procedure previste nel loro ordinamento interno. In ogni caso, tali Stati non sono tenuti, in forza della direttiva, a concedere l' agevolazione in modo immediato quando la società capogruppo s' impegna unilateralmente a rispettare il periodo minimo di partecipazione.
Sulla seconda questione
37 Con la seconda questione, il giudice nazionale chiede se, in caso di incompatibilità della normativa nazionale con l' art. 3, n. 2, della direttiva, l' art. 5 di questa possa essere invocato direttamente dinanzi ai giudici nazionali dalle società capogruppo che soddisfino le condizioni di cui all' art. 3, n. 2.
38 A questo proposito, si deve constatare che l' art. 5, n. 1, della direttiva prevede, in modo chiaro ed inequivoco, l' esenzione dalla ritenuta dell' imposta alla fonte per le società capogruppo che detengono una partecipazione minima del 25% nel capitale della loro consociata. Analogamente, il n. 3 di tale disposizione afferma chiaramente che la Repubblica federale di Germania può, fino alla metà del 1996, prelevare una ritenuta alla fonte pari al 5%.
39 E' bensì vero che l' art. 3, n. 2, della direttiva dà agli Stati membri la facoltà di derogare a tale principio quando la società capogruppo non conserva la sua partecipazione nella consociata per un periodo minimo e rimette loro un margine di discrezionalità quanto alla durata di tale periodo, che non può superare il biennio, e, come è già stato rilevato, quanto alle procedure amministrative vigenti. Tuttavia, tali elementi non escludono che si possano determinare alcuni diritti imprescindibili in base alle disposizioni di principio contenute nell' art. 5 della direttiva (v., in tal senso, sentenza 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori, Racc. pag. I-3325, punto 17).
40 La seconda questione va pertanto risolta nel senso che, nel caso in cui uno Stato membro si sia avvalso della facoltà prevista all' art. 3, n. 2, della direttiva, le società capogruppo possono far valere direttamente i diritti loro conferiti dall' art. 5, nn. 1 e 3, della stessa direttiva dinanzi ai giudici nazionali, purché tali società rispettino il periodo di partecipazione adottato da tale Stato membro.
Sulla terza questione
41 Con la terza questione, che riguarda unicamente il procedimento C-283/94, il giudice nazionale chiede, nel caso in cui la Corte dia una soluzione negativa alla prima questione, se la non corretta attuazione della direttiva da parte dello Stato membro interessato faccia sorgere un diritto al risarcimento a vantaggio delle società capogruppo per le perdite di interessi che esse avrebbero subito a causa del differimento della distribuzione degli utili della consociata fino alla scadenza del periodo minimo di partecipazione stabilito dall' art. 3, n. 2, della direttiva.
42 Secondo l' amministrazione tributaria tedesca tale questione è irrilevante e quindi irricevibile, giacché, nel ricorso principale, la Denkavit non ha rivendicato il risarcimento del danno ch' essa avrebbe subito a causa del ritardo nella concessione della riduzione della ritenuta.
43 Il governo tedesco esprime a sua volta dubbi sull' esistenza del danno subito dalla Denkavit, dato che la sua consociata ha conservato la possibilità di investire altrove i fondi destinati ad essere distribuiti.
44 Al riguardo, si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, spetta unicamente ai giudici nazionali, che sono investiti della lite e devono assumere la responsabilità dell' emananda decisione giudiziaria, valutare, tenuto conto delle peculiarità di ogni causa, sia la necessità di una pronuncia in via pregiudiziale per essere posti in grado di statuire nel merito, sia la pertinenza delle questioni sottoposte alla Corte. Il rigetto di una domanda presentata da un giudice nazionale è possibile solo laddove appaia in modo manifesto che l' interpretazione del diritto comunitario chiesta da detto giudice non ha alcuna relazione con l' effettività o l' oggetto della controversia nella causa principale (v., in particolare, sentenza 28 marzo 1996, causa C-129/94, Ruiz Bernáldez, Racc. pag. I-1829, punto 7).
45 Nel caso di specie, la Denkavit ha chiarito in udienza che il suo ricorso dinanzi al giudice nazionale mirava a far dichiarare l' illegittimità dell' atto con cui il Bundesamt aveva rifiutato di concederle la riduzione della ritenuta per il periodo che va dal 14 luglio 1992 al 14 luglio 1993, e quindi il suo interesse ad agire secondo le prescrizioni del diritto nazionale, al fine di predisporre una successiva azione di risarcimento.
46 Di conseguenza, non si può ritenere che la questione posta dal giudice di rinvio non abbia alcuna relazione con l' effettività o con l' oggetto della controversia nella causa principale. Occorre quindi esaminarla.
47 A questo proposito si deve ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato (v., in particolare, sentenze 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pêcheur e Factortame, Racc. pag. I-1029, punto 31, e 8 ottobre 1996, cause riunite C-178/94, C-179/94, C-188/94, C-189/94 e C-190/94, Dillenkofer e a., Racc. pag. I-0000, punto 20).
48 In tali sentenze, la Corte, tenuto conto delle circostanze del caso di specie, ha affermato che il diritto comunitario riconosce l' esistenza di un diritto al risarcimento qualora siano soddisfatte tre condizioni, vale a dire che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli, che si tratti di violazione sufficientemente caratterizzata e che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell' obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi (sentenze Brasserie du pêcheur e Factortame, citata, punto 51, e Dillenkofer e a., citata, punti 21 e 23). La Corte ha in particolare affermato che tali condizioni si applicano nel caso in cui uno Stato membro non trasponga correttamente una direttiva comunitaria nel suo ordinamento nazionale (sentenza 26 marzo 1996, causa C-392/93, British Telecommunications, Racc. pag. I-1631, punto 40).
49 Pur se spetta, in linea di principio, ai giudici nazionali accertare se ricorrono le condizioni della responsabilità degli Stati membri derivanti dalla violazione del diritto comunitario, occorre constatare che, nella presente causa, la Corte dispone di tutti gli elementi necessari per valutare se i fatti in esame debbano qualificarsi violazione sufficientemente caratterizzata del diritto comunitario.
50 Dalla giurisprudenza della Corte risulta che una violazione è sufficientemente caratterizzata allorché un' istituzione o uno Stato membro, nell' esercizio del suo potere normativo, ha violato, in modo manifesto e grave, i limiti imposti all' esercizio dei suoi poteri (sentenze Brasserie du pêcheur e Factortame, citata, punto 55, e Dillenkofer e a., citata, punto 25). Al riguardo, fra gli elementi che possono esser presi in considerazione, figura in particolare il grado di chiarezza e di precisione della norma violata (sentenze Brasserie du pêcheur e Factortame, citata, punto 56, e British Telecommunications, citata, punto 42).
51 Nel caso di specie, per quanto riguarda la condizione relativa al decorso del termine di partecipazione alla data di concessione dell' agevolazione fiscale, occorre rilevare che l' interpretazione accolta dalla Repubblica federale di Germania è stata adottata dalla quasi totalità degli altri Stati membri che hanno fatto uso della facoltà di deroga. Apparentemente, tali Stati membri ritenevano infatti, a seguito delle deliberazioni che avevano avuto luogo in seno al Consiglio, di essere autorizzati ad adottare un' interpretazione del genere. Su questo punto, va rilevato in particolare che l' art. 1, n. 2, della direttiva richiama espressamente la lotta contro gli abusi.
52 Inoltre, occorre rilevare che, essendo la presente causa la prima che riguarda la direttiva, la giurisprudenza della Corte non aveva fornito alla Repubblica federale di Germania alcuna indicazione sull' interpretazione da dare alla disposizione de qua.
53 Alla luce di queste considerazioni, la circostanza che, in sede di attuazione della direttiva, uno Stato membro abbia ritenuto di poter prescrivere che il periodo minimo di partecipazione fosse già scaduto alla data della distribuzione degli utili non può essere considerato come una violazione grave e manifesta del diritto comunitario ai sensi delle citate sentenze Brasserie du pêcheur e Factortame, British Telecommunications e Dillenkofer e a.
54 La terza questione va quindi risolta nel senso che il diritto comunitario non obbliga uno Stato membro ° che in sede di attuazione della direttiva aveva previsto che il periodo minimo di partecipazione stabilito ai sensi dell' art. 3, n. 2, doveva essere scaduto al momento della distribuzione degli utili oggetto dell' agevolazione fiscale stabilita all' art. 5 ° a risarcire alla società capogruppo i danni che essa assume di aver subito a causa dell' errore così commesso.
Sulle spese
55 Le spese sostenute dai governi belga, ellenico, francese, italiano, olandese e tedesco nonché dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nelle cause principali il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.
Per questi motivi,
LA CORTE (Quinta Sezione),
pronunciandosi sulle questioni sottopostele dal Finanzgericht di Colonia con ordinanze 19 settembre 1994, dichiara:
1) Uno Stato membro non può subordinare la concessione dell' agevolazione fiscale di cui all' art. 5, n. 1, della direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, alla condizione che, al momento della distribuzione degli utili, la società capogruppo abbia detenuto una partecipazione minima del 25% nel capitale della consociata per un periodo almeno pari a quello fissato da tale Stato membro ai sensi dell' art. 3, n. 2, della direttiva. Spetta agli Stati membri stabilire le norme intese a far rispettare tale periodo minimo in conformità alle procedure previste nel loro ordinamento interno. In ogni caso, tali Stati non sono tenuti, in forza della direttiva, a concedere l' agevolazione in modo immediato quando la società capogruppo s' impegna unilateralmente a rispettare il periodo minimo di partecipazione.
2) Nel caso in cui uno Stato membro si avvalga della facoltà prevista all' art. 3, n. 2, della succitata direttiva, le società capogruppo possono far valere direttamente i diritti loro conferiti dall' art. 5, nn. 1 e 3, della stessa direttiva dinanzi ai giudici nazionali, purché tali società rispettino il periodo di partecipazione adottato da tale Stato membro.
3) Il diritto comunitario non obbliga uno Stato membro ° che in sede di attuazione della citata direttiva aveva previsto che il periodo minimo di partecipazione stabilito ai sensi dell' art. 3, n. 2, doveva essere scaduto al momento della distribuzione degli utili oggetto dell' agevolazione fiscale stabilita all' art. 5 ° a risarcire alla società capogruppo i danni che essa assume di aver subito a causa dell' errore così commesso.