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61996C0336

Conclusioni dell'avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer del 20 novembre 1997. - Coniugi Gilly contro Directeur des services fiscaux du Bas-Rhin. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunal administratif de Strasbourg - Francia. - Artt. 6, 48 e 220 del Trattato CE - Obbligo di parità di trattamento - Convenzione bilaterale diretta ad evitare la doppia imposizione - Lavoratori frontalieri. - Causa C-336/96.

raccolta della giurisprudenza 1998 pagina I-02793


Conclusioni dell avvocato generale


1 In conformità dell'art. 177 del Trattato CE, il Tribunal administratif di Strasburgo ha proposto diverse questioni pregiudiziali con le quali chiede alla Corte di interpretare gli artt. 6, 48 e 220 del Trattato CE per risolvere i ricorsi presentati dal signor e dalla signora Gilly avverso i provvedimenti con i quali il directeur des services fiscaux du Bas-Rhin ha imposto il versamento dei contributi supplementari all'imposta sul reddito delle persone fisiche (in prosieguo: l'«IRPF») relativa agli anni 1986, 1988, 1990, 1991, 1992 e 1993.

2 Secondo quanto esposto dal Tribunal administratif nell'ordinanza di rinvio, il signor Gilly, cittadino francese, è professore nel settore della pubblica istruzione in Francia. Sua moglie, di origine tedesca e che ha acquisito la cittadinanza francese con il matrimonio, è maestra nel settore della pubblica istruzione in Germania. Il nucleo familiare risiede in Francia.

3 Il regime d'imposta della signora Gilly a titolo dell'IRPF si basa sulle disposizioni della Convenzione del 21 luglio 1959 stipulata tra la Repubblica francese e la Repubblica federale di Germania per evitare la doppia imposizione (1) (in prosieguo: la «Convenzione franco-tedesca»), sugli atti aggiuntivi del 9 giugno 1969 e del 28 settembre 1989, nonché sulle disposizioni della circolare 14-B-2-93 dell'amministrazione tributaria francese, che ne definisce le modalità di applicazione.

4 Nel caso di specie, i redditi provenienti da lavoro subordinato della signora Gilly, accreditati dal Land Baden-Württemberg, sono stati assoggettati ad imposta in Germania, conformemente al disposto dell'art. 14, n. 1, prima frase, della Convenzione franco-tedesca, in quanto si trattava di retribuzioni di carattere pubblico percepite da una cittadina tedesca.

5 Durante il periodo di vigenza dell'art. 20, lett. a), quale risulta dall'atto aggiuntivo del 1969, per evitare la doppia imposizione l'amministrazione francese non prendeva in considerazione le retribuzioni della signora Gilly per il calcolo della base imponibile dei coniugi, benché ne tenesse conto per determinare l'aliquota tributaria applicabile ai redditi percepiti in Francia. In seguito alla modifica di detta disposizione con l'atto del 1989, tali retribuzioni sono state assoggettate ad imposta anche in Francia, pur beneficiando di un credito d'imposta a titolo di compensazione per imposte versate all'estero, pari all'ammontare dell'imposta francese corrispondente a tali redditi.

6 Nei loro ricorsi i coniugi Gilly sostengono che l'applicazione delle disposizioni della Convenzione franco-tedesca comporta, nel loro caso, una tassazione eccessiva, ingiustificata e discriminatoria, incompatibile con gli artt. 3, lett. c), 6, 48, 73 D e 220 del Trattato. Chiedono l'esonero dai contributi supplementari posti a loro carico dall'amministrazione tributaria francese e il riconoscimento alla signora Gilly del regime fiscale di lavoratore frontaliero. In subordine, chiedono di dichiarare che il credito d'imposta da imputare all'imposta francese, quale compensazione per imposte versate all'estero, sia pari all'ammontare effettivo dell'imposta versata in Germania; in alternativa, che i redditi prodotti nella Repubblica federale di Germania dalla signora Gilly non siano presi in considerazione nel calcolo dell'imposta del nucleo familiare in Francia. Chiedono inoltre la restituzione dell'imposta indebitamente prelevata.

Le questioni pregiudiziali

7 Considerando che la soluzione dei suddetti ricorsi dipende dall'interpretazione da dare agli artt. 6, 48 e 220 del Trattato, il Tribunal administratif di Strasburgo ha sospeso il procedimento ed ha sottoposto alla Corte di giustizia una domanda di pronuncia pregiudiziale sui seguenti punti:

«1) (...) occorre chiedere alla Corte se il principio della libera circolazione dei lavoratori quale risulta dal Trattato di Roma e dalle sue normative di applicazione venga violato da un regime fiscale, applicabile ai lavoratori frontalieri, del tipo di quello previsto dalla Convenzione franco-tedesca, in quanto esso prevede modalità d'imposizione diverse per le persone la cui retribuzione provenga da persone giuridiche pubbliche e quelle che sono retribuite da persone private e può pertanto avere un'influenza sull'accesso agli impieghi pubblici o privati in relazione al luogo di residenza nell'uno o nell'altro Stato (...)

2) (...) occorre in particolare interpellare la Corte, tenuto conto dell'interpretazione che essa dà del Trattato, sulla compatibilità, col principio della libera circolazione e dell'abolizione di qualsiasi discriminazione basata sulla cittadinanza, di una norma secondo la quale un lavoratore frontaliero che riscuote una retribuzione da uno Stato o da una persona giuridica pubblica che faccia parte di quest'ultimo è assoggettabile ad imposta in tale Stato mentre, se il lavoratore frontaliero possiede la cittadinanza dell'altro Stato senza essere nel contempo cittadino del primo Stato, la retribuzione è imponibile nello Stato in cui il lavoratore frontaliero è residente.

3) (...) occorre pure sottoporre alla Corte la questione della compatibilità con l'art. 7 del Trattato [divenuto art. 6] (2) di una norma di diritto tributario che preveda per i lavoratori frontalieri, dipendenti da persone giuridiche pubbliche, residenti in uno degli Stati membri, un regime d'imposizione diverso a seconda che essi siano solo cittadini di tale Stato ovvero che abbiano la doppia cittadinanza.

4) (...) si deve chiedere alla Corte se il principio di libera circolazione dei lavoratori così come risulta dal Trattato venga violato da norme tributarie atte ad influenzare la scelta degli insegnanti degli Stati contraenti di esercitare più o meno durevolmente la loro attività in un altro Stato alla luce delle diversità dei regimi fiscali degli Stati interessati a seconda della durata dell'attività.

5) (...) si deve porre alla Corte, in primo luogo, la questione se l'obiettivo dell'eliminazione della doppia imposizione fissato dall'art. 220 del Trattato debba essere considerato, tenuto conto dei termini che hanno avuto a disposizione gli Stati per attuarlo, nel senso che abbia ormai il carattere di una norma direttamente efficace in forza della quale non deve più intervenire la doppia imposizione; in secondo luogo, se l'obiettivo di eliminare la doppia imposizione assegnato agli Stati membri dall'art. 220 venga travisato da una convenzione fiscale in forza della quale il regime fiscale applicabile ai lavoratori frontalieri degli Stati aderenti alla convenzione varia a seconda della loro cittadinanza e del carattere pubblico o privato del posto occupato; e se un regime fiscale di credito d'imposta applicabile ad una famiglia residente in uno Stato che non prenda in considerazione l'importo esatto dell'imposta pagata in un altro Stato membro, ma soltanto un credito d'imposta che può essere inferiore, soddisfi l'obiettivo, assegnato agli Stati membri, di evitare la doppia imposizione.

6) (...) occorre infine chiedere alla Corte se l'art. 48 debba essere interpretato nel senso che esso osti a che cittadini di uno Stato membro, lavoratori frontalieri in un altro Stato membro, in considerazione di un sistema di credito d'imposta del tipo di quello previsto dalla Convenzione tributaria franco-tedesca vengano assoggettati ad imposta in maniera più gravosa rispetto alle persone che svolgono la loro attività lavorativa nel relativo Stato di residenza».

Le controverse disposizioni della Convenzione franco-tedesca

8 L'art. 13, n. 1, stabilisce, come regola generale, che i redditi provenienti dal lavoro dipendente sono imponibili solo nello Stato contraente nel quale viene esercitata l'attività personale che genera il reddito. Sono escluse dall'applicazione di questa norma le retribuzioni dei dipendenti pubblici.

9 L'art. 13, n. 5, lett. a), prevede una deroga alla norma succitata: dispone che i redditi provenienti dal lavoro dipendente di persone che lavorano nella zona frontaliera di uno Stato contraente e che hanno la loro residenza familiare permanente nella zona frontaliera dell'altro Stato contraente in cui esse rientrano di regola ogni giorno sono assoggettabili ad imposta solo in tale altro Stato.

10 L'art. 14, n. 1, precisa i criteri che disciplinano il regime d'imposta applicabile alle retribuzioni dei dipendenti pubblici. La norma generale, che figura nella sua prima frase, prevede che le retribuzioni versate da uno degli Stati contraenti, da un Land o da una persona giuridica di diritto pubblico di tale Stato a persone fisiche residenti nell'altro Stato, in considerazione di periodi di servizio civile o militare, sono imponibili solo nel primo Stato.

Anche questa norma prevede una deroga, di cui alla seconda frase del suddetto paragrafo, in virtù della quale, nel caso in cui le retribuzioni vengano versate a persone che possiedono la cittadinanza dell'altro Stato senza essere nel contempo cittadini del primo Stato, le retribuzioni sono imponibili solo nello Stato in cui tali persone sono residenti.

11 L'art. 16 contiene una disposizione specifica applicabile agli insegnanti che si spostano da uno Stato all'altro per lavorare per un periodo di tempo limitato, nel qual caso essi sono assoggettabili ad imposta nello Stato di residenza abituale. Ai sensi di questa norma, i professori o i maestri residenti in uno degli Stati contraenti e che, nel corso di un soggiorno provvisorio di due anni al massimo nell'altro Stato, riscuotono una retribuzione per un'attività pedagogica svolta in un'università, in una scuola superiore, in una scuola o in un altro istituto di insegnamento, sono assoggettabili ad imposta per tale retribuzione solo nel primo Stato.

12 L'art. 20, n. 2, stabilisce le modalità per evitare la doppia imposizione dei residenti in Francia; nella versione modificata dall'atto aggiuntivo del 9 giugno 1969 esso recitava:

«a) Senza pregiudizio delle disposizioni di cui alle lett. b) e c), sono esclusi dal reddito imponibile francese i redditi che provengono dalla Repubblica federale e che, in conformità alle disposizioni della presente Convenzione, sono imponibili in quest'ultimo Stato. Tuttavia, questa norma non limita il diritto della Francia di tenere conto di tali redditi nel calcolo dell'aliquota applicabile».

A partire dall'entrata in vigore dell'atto aggiuntivo firmato il 28 settembre 1989, il testo applicabile al fine di evitare la doppia imposizione dei residenti in Francia è il seguente:

«a) I guadagni e gli altri redditi positivi che provengono dalla Repubblica federale e che ivi sono imponibili in conformità alle disposizioni della presente Convenzione sono pure imponibili in Francia qualora spettino ad un residente in Francia. L'imposta tedesca non è detraibile per il calcolo del reddito imponibile in Francia. Tuttavia al percettore spetta un credito d'imposta imputabile all'imposta francese nella cui base imponibile tali redditi sono compresi. Tale credito d'imposta è pari:

(...)

cc) per tutti gli altri redditi, all'importo dell'imposta francese corrispondente a tali redditi. Questa disposizione si applica in particolare ai redditi di cui agli artt. (...) 13, nn. 1 e 2, e 14».

13 L'art. 21, n. 1, prevede la parità di trattamento fra contribuenti; ai sensi di detto articolo, i cittadini di uno Stato contraente non sono assoggettabili, nell'altro Stato contraente, ad alcuna imposta, o obbligo da essa derivante, diversa o più gravosa delle imposte, o obblighi da esse derivanti, cui sono o soggetti o saranno assoggettabili i cittadini di tale altro Stato che si trovino nella stessa situazione.

La normativa comunitaria

14 Le disposizioni, la cui interpretazione viene richiesta dal giudice nazionale, tutte del Trattato CE, sono le seguenti:

«Articolo 6

Nel campo di applicazione del presente trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità.

(...)».

«Articolo 48

(...)

2. [La libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità] implica l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro.

(...)».

«Articolo 220

Gli Stati membri avvieranno fra loro, per quanto occorra, negoziati intesi a garantire, a favore dei loro cittadini:

(...)

- l'eliminazione della doppia imposizione fiscale all'interno della Comunità;

(...)».

15 D'altra parte, l'art. 7 del regolamento (CEE) n. 1612/68 (3) (in prosieguo: il «regolamento n. 1612/68»), dispone:

«1. Il lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato.

2. Egli gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali.

(...)».

Le diverse posizioni assunte nell'ambito del procedimento pregiudiziale

16 Hanno presentato osservazioni scritte, nei termini stabiliti all'uopo dall'art. 20 dello Statuto (CE) della Corte di giustizia, i ricorrenti nella causa principale, i governi del Belgio, della Danimarca, della Germania, della Francia, dell'Italia, della Finlandia, della Svezia e del Regno Unito e la Commissione. All'udienza sono comparsi, oltre ai ricorrenti nella causa principale, i rappresentanti dei governi della Danimarca, della Francia, dell'Italia, dei Paesi Bassi e del Regno Unito e la Commissione.

17 I ricorrenti considerano discriminatorio il regime fiscale della signora Gilly per tre motivi: in primo luogo, perché l'art. 14, n. 1, della Convenzione franco-tedesca prevede un trattamento diverso in funzione della cittadinanza del contribuente, in quanto da essa dipende se le retribuzioni da lavoro dipendente corrisposte da persone giuridiche pubbliche siano imponibili nello Stato di occupazione o nello Stato di residenza; in secondo luogo, perché la stessa disposizione introduce una differenziazione tra i lavoratori frontalieri a seconda che essi lavorino nel settore pubblico o nel settore privato; in terzo luogo, perché l'art. 16 della Convenzione franco-tedesca opera una distinzione tra gli insegnanti residenti in Francia a seconda che essi svolgano la loro attività in Germania per un periodo inferiore o superiore a due anni.

I ricorrenti affermano inoltre che la signora Gilly subisce una doppia imposizione in quanto, conformemente alla Convenzione franco-tedesca, le sue retribuzioni da lavoro subordinato sono assoggettate ad imposta tanto in Germania, Stato in cui viene considerata contribuente nubile e senza figli - quando in realtà è coniugata e ha due figli a carico -, quanto in Francia, Stato in cui le retribuzioni percepite in Germania vengono prese in considerazione, insieme a quelle del marito, per il calcolo del reddito globale del nucleo familiare da assoggettare ad imposta. A questo proposito, essi aggiungono che il credito d'imposta previsto dalla convenzione per le retribuzioni da lavoro subordinato consegue soltanto l'obiettivo di ridurre in certa misura la doppia imposizione, senza però eliminarla.

18 Tutti gli Stati membri che hanno presentato osservazioni concordano nel sottolineare che le disposizioni della Convenzione franco-tedesca, considerate discriminatorie e in contrasto con l'art. 48 del Trattato dai ricorrenti nella causa principale, sono in realtà perfettamente compatibili con detto articolo ed affermano inoltre che l'art. 220 non ha efficacia diretta.

19 In sostanza, per quanto riguarda l'art. 48, i suddetti Stati assicurano che esso non osta a che due Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione sulle retribuzioni da lavoro dipendente, applichino alle persone che risiedono in uno Stato ed esercitano un'attività rimunerata in un altro regimi fiscali diversi a seconda che i soggetti passivi siano impiegati nel settore pubblico o nel settore privato; né osta a che detti Stati applichino, per lo stesso scopo, ai dipendenti pubblici di uno Stato regimi fiscali diversi a seconda che il soggetto passivo possegga o meno la cittadinanza di tale Stato, ovvero a seconda che gli insegnanti residenti in uno Stato lavorino nell'altro Stato per un periodo di durata superiore o inferiore a due anni.

Nell'ambito di una convenzione conclusa tra due Stati membri per eliminare tra loro la doppia imposizione, l'art. 48 non osta neanche a che lo Stato in cui risiede il soggetto passivo consideri imponibile la totalità delle sue retribuzioni, comprese quelle percepite nell'altro Stato membro, e gli conceda, per quanto riguarda queste ultime, un credito d'imposta pari all'ammontare dell'imposta nazionale corrispondente a tali retribuzioni.

Alcuni Stati membri intervenuti osservano che il problema sollevato dai ricorrenti nella causa principale non è dovuto a un trattamento discriminatorio conseguente all'applicazione della legislazione fiscale francese, bensì alla differenza tra le aliquote dell'imposta sul reddito vigenti nei due Stati, che in Germania sono più elevate che in Francia. Alcuni Stati membri richiamano l'attenzione della Corte sulle ripercussioni che avrebbe una sentenza che interpretasse l'art. 48 nel senso che esso osta alle disposizioni controverse della Convenzione franco-tedesca, giacché tutte le disposizioni seguono il modello di convenzione fiscale dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (in prosieguo: l'«OCSE») in materia di doppia imposizione, cui si richiama la maggior parte delle convenzioni bilaterali sottoscritte dagli Stati membri fra loro.

Per quanto riguarda l'art. 220, i suddetti Stati ritengono che si tratti di una disposizione priva di efficacia diretta, in quanto non è sufficientemente chiara e incondizionata e non conferisce ai singoli cittadini il diritto a non essere assoggettati a qualsiasi doppia imposizione all'interno della Comunità.

20 La Commissione in primo luogo ha effettuato un esame approfondito delle conseguenze, per il regime fiscale dei coniugi Gilly, derivanti dall'applicazione della Convenzione franco-tedesca.

In Francia, paese di residenza dei coniugi, il reddito globale della coppia in quanto nucleo familiare è assoggettato all'IRPF, indipendentemente dal luogo in cui esso venga prodotto, con l'applicazione della scala di aliquote fiscali e della progressività dell'imposta francese; i coniugi possono tuttavia optare per un regime fiscale individuale. Per l'attribuzione di sgravi e detrazioni familiari, si prende in considerazione la base imponibile in Francia, ossia la totalità del reddito della coppia. Nel caso di specie, poiché il reddito prodotto in Francia è inferiore alla metà del reddito totale - le retribuzioni percepite dal signor Gilly ne rappresentano il 45% -, lo stesso signor Gilly finisce per pagare, in termini di IRPF, più di quanto verserebbe nel quadro di un regime fiscale individuale.

In Germania la signora Gilly, le cui retribuzioni rappresentano il 55% circa del reddito totale della coppia, non ha diritto a beneficiare dell'aliquota preferenziale per le coppie coniugate, denominata «Splittingtarif» (4), e viene considerata nubile d'ufficio, in quanto il marito non risiede in Germania. Nel suo caso, l'applicazione della tabella preferenziale avrebbe comportato una riduzione del suo onere fiscale in tale Stato, in quanto le sue retribuzioni rappresentano più della metà del reddito totale della coppia.

Alla luce del suddetto esame, la Commissione ritiene che in Germania il regime fiscale della signora Gilly dovrebbe tenere conto del suo stato civile, il che comporterebbe la presa in considerazione dei redditi percepiti dal marito in Francia. In tal modo, si garantirebbe dunque la coerenza in ciascuno degli Stati per quanto riguarda l'applicazione della scala progressiva dell'imposta.

21 La Commissione ha poi analizzato la disposizione di cui all'art. 20, n. 2, lett. a), cc), della Convenzione franco-tedesca in relazione all'art. 220 del Trattato. A questo proposito, la Commissione afferma che l'art. 220 impone agli Stati membri un obbligo di condotta e non di risultato, ossia l'obbligo di avviare negoziati, ove occorra, e di garantire che le convenzioni fiscali bilaterali volte ad eliminare la doppia imposizione soddisfino l'obiettivo perseguito da detto articolo. La Commissione osserva che, a suo parere, il meccanismo fissato dalla Convenzione franco-tedesca evita la doppia imposizione e che il diritto comunitario non osta a che i coniugi Gilly siano soggetti ad un prelievo fiscale più elevato, laddove ciò sia dovuto all'aliquota più elevata dell'imposta tedesca.

22 La Commissione conclude il suo ragionamento affermando che l'applicazione della legge francese alla totalità del reddito della coppia, da un lato, e l'applicazione della legge tedesca alle retribuzioni della signora Gilly in Germania, dall'altro, a causa delle conseguenze derivanti dalla mancata presa in considerazione della sua situazione familiare, costituiscono un ostacolo incompatibile con i principi su cui si fonda la libera circolazione dei lavoratori.

Osservazioni preliminari

23 Prima di iniziare l'analisi delle questioni pregiudiziali proposte dal Tribunal administratif di Strasburgo, ritengo necessario prendere preliminarmente posizione in merito a quanto segue.

A. la competenza della Corte a pronunciarsi, nell'ambito del procedimento ex art. 177, sulla compatibilità della Convenzione franco-tedesca con il diritto comunitario;

B. la ricevibilità della quarta questione pregiudiziale, con la quale il giudice di rinvio chiede se il principio della libera circolazione dei lavoratori, quale risulta dal Trattato, venga violato da norme tributarie atte ad influenzare la scelta degli insegnanti degli Stati contraenti di esercitare più o meno durevolmente la loro attività in un altro Stato;

C. le disposizioni comunitarie applicabili alla causa principale, relative al divieto di discriminazione basata sulla cittadinanza nell'ambito della libera circolazione dei lavoratori.

24 Procederò in questo stesso ordine.

A - La competenza della Corte di giustizia a pronunciarsi, nell'ambito del procedimento ex art. 177, sulla compatibilità della Convenzione franco-tedesca con il diritto comunitario

25 A questo proposito ritengo che, poiché non spetta alla Corte di giustizia pronunciarsi, nell'ambito del presente procedimento, sulla compatibilità di norme di diritto interno con disposizioni di diritto comunitario (5), del pari non spetta ad essa pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto comunitario di norme contenute in un trattato internazionale concluso tra due Stati membri per evitare la doppia imposizione.

Inoltre, trattandosi di una convenzione bilaterale concernente una materia quale l'imposizione diretta, sottratta alle competenze della Comunità e la cui regolamentazione spetta esclusivamente agli Stati membri, la Corte non potrebbe nemmeno essere chiamata ad interpretarla.

Ciò posto, la normativa su cui si fonda il diritto alla libera circolazione dei lavoratori rientra nell'ambito del diritto comunitario e la causa principale oppone l'amministrazione tributaria di uno degli Stati membri ad un cittadino comunitario, che ha esercitato il suo diritto alla libera circolazione e si ritiene discriminato dall'applicazione delle norme di una convenzione bilaterale dirette ad evitare la doppia imposizione. In siffatte circostanze, la Corte di giustizia può proporre al giudice nazionale tutti gli elementi di interpretazione compresi nell'ambito del diritto comunitario, che gli consentano di risolvere la controversia nella causa principale (6).

Questo è il motivo per cui propongo alla Corte di riformulare le questioni pregiudiziali.

B - La ricevibilità della quarta questione pregiudiziale, con la quale il giudice chiede se l'art. 48 osti ad una norma quale quella contenuta nell'art. 16 della Convenzione franco-tedesca

26 Ai sensi di questa disposizione, i professori o i maestri residenti in uno degli Stati contraenti che, nel corso di un soggiorno provvisorio di due anni al massimo nell'altro Stato, riscuotono una retribuzione per un'attività pedagogica svolta in un'università, in una scuola superiore, in una scuola o in un altro istituto d'insegnamento, sono assoggettabili ad imposta per tale retribuzione solo nel primo Stato.

I coniugi Gilly ritengono che questa norma costituisca una discriminazione in materia fiscale tra gli insegnanti, in contrasto con la libera circolazione dei lavoratori tra la Francia e la Germania, in quanto gli insegnanti residenti in uno degli Stati, che esercitano la loro attività nell'altro Stato per un periodo di durata limitata, poiché fruiscono del regime di lavoratore frontaliero senza che sia loro imposto l'obbligo di residenza né di attività nella zona frontaliera, sono soggetti ad un prelievo fiscale meno gravoso rispetto a quello imposto agli insegnanti che, come la signora Gilly, risiedono in Francia e hanno deciso di esercitare la professione in Germania per un periodo superiore a due anni.

27 A mio parere, adducendo tale argomento, cui fa eco il giudice nazionale nell'ordinanza di rinvio osservando che questa disposizione fiscale può influire sulla scelta, da parte degli insegnanti degli Stati contraenti, di esercitare più o meno durevolmente la loro attività in un altro Stato, i ricorrenti nella causa principale non chiedono tanto di confermare l'una o l'altra interpretazione del principio della libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità, quanto di ottenere una condanna, da parte della Corte di giustizia, dell'art. 16 della Convenzione franco-tedesca, che non è stato loro applicato.

28 Infatti, dall'ordinanza di rinvio non si desume che i coniugi Gilly si trovassero nella situazione contemplata dal suddetto articolo: secondo quanto rilevato dal giudice nazionale, il signor Gilly è professore nel settore della pubblica istruzione in Francia e non risulta che abbia insegnato in Germania per un periodo inferiore né superiore a due anni. Sua moglie è maestra nella pubblica istruzione in Germania, attività che ha esercitato in modo continuativo per un periodo superiore a due anni, e neanche risulta che, anteriormente, abbia insegnato in Francia per un periodo inferiore a due anni avendo la residenza in Germania. All'udienza, e in risposta ad un mio quesito, i ricorrenti nella causa principale hanno confermato questi elementi.

29 Esiste una giurisprudenza ben consolidata rispetto alla funzione assegnata rispettivamente ai giudici nazionali e alla Corte di giustizia nell'ambito del procedimento di cooperazione previsto dall'art. 177 del Trattato. Secondo tale giurisprudenza, il giudice nazionale, che è l'unico ad avere conoscenza diretta dei fatti di causa, è nella situazione più idonea per valutare, tenuto conto delle peculiarità di questa, sia la necessità di una pronuncia in via pregiudiziale per essere posto in grado di emettere la sentenza, sia la pertinenza delle questioni sottoposte alla Corte di giustizia (7), mentre a quest'ultima spetta, al fine di verificare la propria competenza, esaminare le condizioni in cui essa viene adita dal giudice nazionale. Lo spirito di collaborazione al quale dev'essere informato il funzionamento del rinvio pregiudiziale implica altresì che il giudice nazionale debba a sua volta tener presente la funzione di cui è investita la Corte, che è quella di contribuire all'amministrazione della giustizia negli Stati membri e non di esprimere pareri su questioni generali o ipotetiche (8).

30 In virtù di questa funzione, la Corte di giustizia ha ritenuto di non potersi pronunciare in merito ad una questione pregiudiziale presentata da un giudice nazionale se l'interpretazione o l'esame della validità di una norma comunitaria, chiesti da detto giudice, non hanno alcuna relazione con l'effettività o l'oggetto della causa principale (9), ovvero se viene chiamata a decidere in merito a un problema di carattere ipotetico, senza disporre degli elementi di fatto e di diritto necessari per risolvere in modo proficuo le questioni che le sono state sottoposte (10).

La Corte ha interpretato che «(...) ad essa non compete (...) la soluzione di questioni di interpretazione che le siano proposte nell'ambito di schemi processuali precostituiti dalle parti al fine di indurla a pronunciarsi su taluni problemi di diritto comunitario non rispondenti ad una necessità obiettiva inerente alla definizione di una controversia (...)» (11).

A questo proposito, la Corte ha aggiunto che, per essere in grado di verificare se la richiesta interpretazione del diritto comunitario presenti una relazione con l'effettività e l'oggetto della controversia nella causa principale, è indispensabile che il giudice nazionale chiarisca i motivi per i quali egli ritiene necessaria la soluzione delle questioni ai fini della definizione della controversia. Laddove risulti che la questione posta non è pertinente per la soluzione di tale controversia, la Corte di giustizia deve dichiarare il non luogo a provvedere (12).

31 Alla luce di detta giurisprudenza, e dal momento che non risulta che i ricorrenti nella causa pendente dinanzi all'organo giurisdizionale nazionale si siano trovati nella situazione contemplata dall'art. 16 della Convenzione franco-tedesca - giacché né l'uno né l'altra hanno lavorato per un periodo inferiore a due anni nello Stato contraente diverso da quello in cui risiedono -, ritengo che una risposta della Corte che interpreti il diritto comunitario applicabile alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità non sarebbe di alcuna utilità al giudice nazionale per la definizione della controversia di cui è investito. Per questa ragione, propongo alla Corte di giustizia di dichiarare l'irricevibilità della quarta questione pregiudiziale.

C - Il divieto di discriminazione basata sulla cittadinanza nell'ambito della libera circolazione dei lavoratori

32 Il giudice nazionale chiede l'interpretazione dell'art. 6 del Trattato, che vieta ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità. Devo ricordare, a questo proposito, che esiste una giurisprudenza consolidata della Corte, secondo la quale questo principio si applica in modo autonomo soltanto nelle situazioni disciplinate dal diritto comunitario per le quali il Trattato non preveda una specifica norma di non discriminazione (13).

Orbene, per quanto riguarda la libera circolazione dei lavoratori, il principio della parità di trattamento è applicato e concretizzato dall'art. 48, n. 2, del Trattato, che stabilisce l'abolizione di qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. Inoltre, l'art. 7 del regolamento n. 1612/68, che dispone che sul territorio degli altri Stati membri il lavoratore cittadino di uno Stato membro gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali, costituisce l'espressione concreta del principio generale di non discriminazione tra i lavoratori mediante misure fiscali.

In questo caso non è dunque necessario fare ricorso all'art. 6 del Trattato per rispondere alle questioni pregiudiziali proposte dal Tribunal administratif di Strasburgo.

Riformulazione e analisi delle questioni pregiudiziali sollevate

33 Per quanto riguarda le altre questioni proposte, dall'esposizione dei fatti del giudice nazionale nell'ordinanza di rinvio desumo che, nell'adire la Corte di giustizia ai sensi dell'art. 177, egli chiede di chiarire:

1) in primo luogo, se l'art. 220 del Trattato sia direttamente applicabile;

2) in secondo luogo, se l'art. 48 del Trattato e l'art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68 ostino al disposto degli artt. 13, nn. 1 e 5, e 14 della Convenzione franco-tedesca, in quanto fissano criteri di imposizione dei redditi provenienti da un'attività lavorativa subordinata nell'uno o nell'altro Stato:

- a seconda del luogo in cui viene esercitata l'attività;

- a seconda che il lavoratore soddisfi le condizioni per essere considerato frontaliero ai sensi della Convenzione;

- a seconda che il lavoratore sia un dipendente pubblico e, in quest'ultimo caso, a seconda che il lavoratore sia in possesso della cittadinanza dello Stato diverso da quello che versa la retribuzione, senza possedere nel contempo la cittadinanza di quest'ultimo;

3) in terzo luogo, se gli artt. 48 e 220 del Trattato e l'art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68 ostino al disposto dell'art. 20, n. 2, lett. a), cc), della Convenzione franco-tedesca in quanto, al fine di evitare che i residenti in uno degli Stati contraenti siano assoggettati a doppia imposizione sui redditi da lavoro dipendente già tassati nell'altro Stato, quest'ultima norma stabilisce un regime in base al quale viene concesso un credito d'imposta pari all'importo dell'imposta nazionale corrispondente a tali redditi, indipendentemente dall'ammontare dell'imposta assolta nell'altro Stato, il che, in talune circostanze, può far sì che il contribuente versi un importo più elevato a titolo di IRPF rispetto a quello che avrebbe dovuto versare se tali redditi fossero stati percepiti nello Stato di residenza, ovvero più elevato rispetto a quello che avrebbe dovuto versare se, pur provenienti dall'altro Stato contraente, tali redditi fossero stati assoggettati ad imposta soltanto nello Stato di residenza.

La prima questione: il possibile effetto diretto della norma di cui all'art. 220, secondo trattino, del Trattato

34 Con la suddetta questione il giudice nazionale pone un quesito circa l'applicabilità diretta della norma summenzionata, secondo la quale gli Stati membri avvieranno fra loro, per quanto occorra, negoziati intesi a garantire, a favore dei loro cittadini, l'eliminazione della doppia imposizione fiscale all'interno della Comunità.

A mio parere, già dalla formulazione stessa della norma si evince che essa non è sufficientemente precisa e incondizionata per poter essere dichiarata direttamente efficace e, per questa ragione, non può dare origine, a favore dei cittadini, a diritti che i giudici nazionali siano tenuti a salvaguardare. Concordo con la Commissione laddove afferma che l'art. 220, secondo trattino, del Trattato impone agli Stati membri un obbligo di condotta e non di risultato, ossia l'obbligo di avviare, ove occorra, negoziati.

35 Ritengo si possa applicare all'art. 220, secondo trattino, la giurisprudenza consolidata della Corte relativa al primo trattino, che impone agli Stati membri l'obbligo di avviare fra loro, per quanto occorra, negoziati intesi a garantire, a favore dei loro cittadini, la tutela delle persone, come pure il godimento e la tutela dei diritti, alle condizioni accordate da ciascuno Stato ai propri cittadini. A questo proposito, la Corte ha affermato che l'art. 220 non mira a stabilire una norma giuridica direttamente operante, ma si limita a tracciare il quadro di trattative che gli Stati membri intavoleranno tra loro, per quanto occorra (14).

Inoltre, così com'è formulata, la disposizione non dà luogo ad un obbligo assoluto, in quanto lascia agli Stati membri un ampio margine di discrezionalità per decidere se sia necessario avviare negoziati. Servendosi di tale margine di discrezionalità, la Francia e la Germania hanno sottoscritto, già nel 1959, la succitata Convenzione per evitare la doppia imposizione, che ha sostituito quella del 1934 avente la stessa finalità, e l'hanno successivamente modificata con gli atti aggiuntivi del 1969 e del 1989. Con questa Convenzione la Francia e la Germania si sono ripartite l'autorità tributaria per tassare i redditi percepiti dai loro rispettivi residenti, percepiti nell'altro Stato contraente o versati da quest'ultimo.

La seconda questione: la parità di trattamento dei lavoratori in materia fiscale e le disposizioni della Convenzione franco-tedesca che stabiliscono i criteri di imposizione sulle retribuzioni da lavoro subordinato

36 Per rispondere alla suddetta questione occorre esaminare con attenzione l'art. 13, nn. 1 e 5, e l'art. 14 della Convenzione franco-tedesca, che stabiliscono criteri di imposizione sulle retribuzioni provenienti da lavoro subordinato atti ad influenzare, direttamente o indirettamente, la situazione fiscale della signora Gilly e, per estensione, quella degli altri membri del suo nucleo familiare, in quanto, poiché risiedono in Francia, ai sensi del diritto tributario francese tutte le loro retribuzioni vengono prese in considerazione globalmente, senza possibilità di imposizione separata.

37 Il giudice a quo, nel proporre le questioni pregiudiziali, sembra dare per scontato che si debba riconoscere alla signora Gilly il regime di lavoratore frontaliero, in quanto ha la residenza nella zona frontaliera francese ed il suo luogo di lavoro si trova nella zona frontaliera tedesca.

La nozione di lavoratore frontaliero è definita dall'art. 13, n. 5, lett. a), come la persona che lavora nella zona frontaliera di uno Stato contraente e che ha la sua residenza nella zona frontaliera dell'altro Stato contraente in cui essa rientra di regola ogni giorno. La nozione di zona frontaliera è definita dalle lett. b) e c) dello stesso paragrafo.

In forza del disposto della succitata lett. a), la retribuzione che il lavoratore frontaliero percepisce nello Stato in cui lavora è imponibile soltanto nello Stato di residenza. La signora Gilly chiede che le sia attribuito il beneficio del regime fiscale di lavoratore frontaliero; in tal modo, la sua retribuzione sarebbe tassata non in Germania, ma in Francia, paese nel quale le aliquote tributarie sono meno elevate.

38 Orbene, procedendo ad un'interpretazione sistematica delle norme controverse della Convenzione in esame, rilevo che, da un lato, vige il principio generale di cui all'art. 13, n. 1, applicabile alle retribuzioni provenienti da lavoro subordinato, secondo il quale queste ultime sono imponibili nello Stato in cui viene svolta l'attività, mentre l'assoggettamento ad imposta delle retribuzioni dei lavoratori frontalieri solo nello Stato di residenza costituisce una deroga al suddetto principio generale.

Dall'altro lato, l'art. 14, n. 1, della Convenzione stabilisce una lex specialis, applicabile alle retribuzioni dei dipendenti pubblici, versate da uno Stato, da un'amministrazione locale o da un ente pubblico. Tale lex specialis prevede a sua volta un principio generale e una deroga. Il principio generale, enunciato nella prima frase del succitato paragrafo, stabilisce che, qualora il datore di lavoro sia una persona giuridica di diritto pubblico e il lavoratore risieda nell'altro Stato, le retribuzioni e le pensioni di vecchiaia versate in considerazione di periodi di servizio civile o militare sono imponibili nello Stato che le eroga. La deroga è prevista dalla seconda frase, la quale dispone che il suddetto principio non si applica nel caso in cui le retribuzioni vengano versate a persone in possesso della cittadinanza dell'altro Stato, che non sono nel contempo cittadini del primo Stato, nel qual caso le retribuzioni sono imponibili solo nello Stato di residenza.

A titolo di esempio, la retribuzione versata dallo Stato tedesco ad un residente in Francia è assoggettata ad imposta in Germania. Se, nello stesso caso, il beneficiario è cittadino francese, la retribuzione viene assoggettata ad imposta in Francia. Se, come nel caso della signora Gilly, il beneficiario è in possesso della doppia cittadinanza, in materia di imposizione prevale l'autorità dello Stato che versa la retribuzione.

39 Il riconoscimento di un criterio di imposizione sui redditi provenienti da lavoro dipendente dei lavoratori frontalieri, diverso da quello applicato agli altri lavoratori subordinati ed ai dipendenti pubblici ed equiparati, non è un obbligo imposto agli Stati membri dal diritto comunitario né si tratta di una consuetudine generalizzata tra gli Stati membri quanto alla conclusione di convenzioni bilaterali intese ad evitare la doppia imposizione (15). Inoltre, da un recente studio comparativo delle convenzioni fiscali bilaterali stipulate dalla Francia emerge che, in presenza di clausole atte a stabilire uno specifico regime d'imposta per i lavoratori frontalieri, le retribuzioni non sono mai assoggettate ad imposta nello Stato di residenza del lavoratore (16).

40 Né il diritto comunitario vieta agli Stati membri di stabilire norme applicabili ai lavoratori frontalieri diverse da quelle applicate ai lavoratori in generale ed ai dipendenti pubblici ed equiparati, purché ciò non costituisca una discriminazione nei confronti dei lavoratori degli altri Stati membri rispetto a quelli nazionali. Inoltre, lo stesso diritto comunitario non è estraneo a questa prassi.

Per esempio, nel regolamento (CEE) n. 1408/71 (17), adottato dal Consiglio per adempiere l'obbligo impostogli dall'art. 51 del Trattato, fatte salve alcune eccezioni, ai lavoratori in generale si applica la legislazione in materia previdenziale dello Stato in cui esercitano la loro attività, mentre ai funzionari e al personale equiparato si applica la legislazione in materia previdenziale dello Stato da cui dipende l'amministrazione presso la quale lavorano. Per quanto riguarda i lavoratori frontalieri, a questo proposito è prevista tutta una serie di norme specifiche, in materie quali l'assicurazione contro la malattia, gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, la disoccupazione e le prestazioni familiari.

41 Il riconoscimento di un criterio speciale di imposizione fiscale, applicabile alle retribuzioni dei dipendenti pubblici, figura nell'art. 19 del modello di convenzione fiscale relativo ai redditi e al patrimonio, elaborato dall'OCSE, nella sua versione del 1992 (in prosieguo: il «modello»), al quale si ispirano le convenzioni bilaterali dirette ad evitare la doppia imposizione stipulate tra gli Stati membri (18).

Gli Stati membri che hanno presentato osservazioni scritte nel presente procedimento affermano che si tratta di una disposizione basata sulle regole di cortesia internazionali e di rispetto reciproco della sovranità di ogni Stato. Nelle note dell'art. 19 del modello si afferma che il principio secondo il quale si concede allo Stato che versa le retribuzioni il diritto esclusivo di imposizione figura in un numero talmente elevato di convenzioni in vigore tra gli Stati membri dell'OCSE da essere diventato un principio riconosciuto a livello internazionale. Per quanto riguarda la deroga, le note aggiungono che essa risale alla Convenzione di Vienna 18 aprile 1961, in materia di relazioni diplomatiche, e alla Convenzione di Vienna 24 aprile 1961, in materia di relazioni consolari in virtù delle quali lo Stato ospitante è autorizzato ad assoggettare ad imposta le retribuzioni versate a talune categorie di dipendenti delle rappresentanze diplomatiche, e consolari straniere, che hanno la residenza permanente in tale Stato o che ne posseggono la cittadinanza.

42 Il fatto che, allo stato attuale, il diritto comunitario non disciplini la fiscalità diretta non viene messo in discussione. Le disposizioni fiscali contenute nel Trattato CE, che figurano negli artt. 95-99, riguardano esclusivamente la fiscalità indiretta. Nel diritto derivato sono pochi i provvedimenti legislativi comunitari finora adottati in materia di fiscalità diretta, applicabili alle persone fisiche. Tra questi, l'unico ad avere carattere obbligatorio è la direttiva 77/799/CEE (19). Gli altri si limitano ad una proposta di direttiva presentata dalla Commissione al Consiglio il 21 dicembre 1979 (20) ed alla raccomandazione 94/79/CE (21).

43 La fiscalità diretta continua dunque a rientrare nella competenza degli Stati membri, così come è stato riconosciuto dalla Corte di giustizia nelle sentenze finora emesse in materia. Tuttavia, tale competenza deve essere esercitata nel rispetto del diritto comunitario, evitando qualsiasi discriminazione palese o dissimulata fondata sulla cittadinanza (22). Nel caso di specie, si tratta di accertare se, adottando la Convenzione, gli Stati membri abbiano esercitato tale competenza nel rispetto del diritto comunitario, in particolare delle norme che disciplinano la libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità.

44 Con la sottoscrizione di una convenzione bilaterale per evitare la doppia imposizione i due Stati di cui trattasi stipulano un accordo atto a limitare la loro rispettiva sovranità fiscale, rinunciando a parte di essa. Non sorprende che, nel ripartirsi l'autorità per assoggettare ad imposta le retribuzioni che i rispettivi residenti percepiscono per l'esercizio di un'attività lavorativa subordinata nel territorio dell'altro Stato, si conformino a criteri quali quelli che figurano nell'art. 13, nn. 1 e 5, e nell'art. 14 della Convenzione franco-tedesca, vale a dire il luogo in cui viene esercitata l'attività, il soddisfacimento delle condizioni necessarie per essere considerato lavoratore frontaliero, il carattere pubblico del datore di lavoro e, in quest'ultimo caso, il possesso della cittadinanza dell'uno o dell'altro Stato. Né vi sono molte possibilità di adottarne altri.

A mio parere, questi criteri, la cui unica finalità è quella di stabilire l'autorità tributaria per tassare determinati redditi, sono neutri per quanto riguarda la libera circolazione dei lavoratori, in quanto non determinano, nei due Stati membri, un trattamento meno favorevole o differenziato dei lavoratori degli altri Stati membri rispetto a quello riservato, in materia fiscale, ai propri cittadini che si trovino nella stessa situazione.

45 Infatti, non si può considerare discriminatorio lo stabilire che la retribuzione di un lavoratore subordinato sia imponibile nello Stato in cui esercita l'attività lavorativa ovvero nello Stato in cui risiede, o nello Stato che versa la retribuzione, neanche nel caso in cui, trattandosi di un dipendente pubblico, per stabilire in quale dei due Stati sia imponibile la retribuzione, si faccia ricorso, da ultimo, al criterio della cittadinanza del beneficiario giacché, a tal fine, questo criterio risulta altrettanto neutro dei precedenti. Nel momento in cui si applicano i criteri di imposizione, si tratta semplicemente di decidere, caso per caso, in quale dei due Stati debbano essere tassati i redditi. Successivamente, lo Stato in cui risiede il contribuente, cui spetterà tassarne i redditi globali, applicherà il meccanismo giuridico concordato con l'altro Stato per evitare che, nel calcolare l'onere fiscale conformemente alla propria legge fiscale nazionale, i redditi provenienti da lavoro subordinato già tassati nell'altro Stato vengano nuovamente assoggettati ad imposta. Mi soffermerò più a lungo sul meccanismo giuridico applicato dalla Francia quando esaminerò la terza questione.

46 Indubbiamente, una volta determinato lo Stato autorizzato a tassare i redditi provenienti da lavoro subordinato, l'onere fiscale a carico del contribuente varierà a seconda dell'uno o dell'altro Stato. Nel caso della signora Gilly, l'imposta sui redditi provenienti da lavoro subordinato assolta in Germania è superiore a quella che dovrebbe versare se tali redditi fossero percepiti in Francia o se, pur provenienti dalla Germania, fossero tassati in Francia.

47 Orbene, questa differenza deriva non dai criteri di imposizione previsti dalla Convenzione franco-tedesca, bensì dall'applicazione della legge tributaria tedesca, la quale prevede per tali redditi un'aliquota tributaria superiore a quella vigente in Francia; inoltre i regimi fiscali e la progressività dell'imposta sono assai diversi in questi due paesi.

Queste differenze persisteranno fintantoché il Consiglio non adotterà direttive di armonizzazione delle disposizioni fiscali applicabili all'imposizione diretta. Poiché l'art. 100 A, n. 2, del Trattato dispone che il suo primo paragrafo, che prevede l'adozione di provvedimenti a maggioranza qualificata, non si applica, tra l'altro, alle disposizioni fiscali, è poco probabile che ciò si verifichi a breve o medio termine.

La terza questione: se gli artt. 48 e 220 del Trattato e l'art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68 ostino al disposto dell'art. 20, n. 2, lett. a), cc), della Convenzione franco-tedesca

48 La presente questione si riferisce al meccanismo, previsto dalla Convenzione, mediante il quale la Francia evita di tassare nuovamente i redditi di provenienza tedesca, percepiti dai residenti in Francia, già assoggettati ad imposta in Germania. Questo meccanismo si applica, tra l'altro, alle retribuzioni per cui vige la norma generale di soggezione ad imposta nello Stato in cui viene esercitata l'attività, conformemente all'art. 13, n. 1, e alle retribuzioni dei dipendenti pubblici, ai sensi dell'art. 14. Conformemente all'art. 20, n. 2, lett. a), cc), tale meccanismo prevede, in primo luogo, la presa in considerazione dei redditi retributivi dall'attività lavorativa percepiti in Germania nella base imponibile calcolata ai sensi della legislazione fiscale francese e, successivamente, la concessione di un credito d'imposta, pari all'ammontare dell'imposta francese corrispondente a tali redditi.

49 La signora Gilly sostiene che l'applicazione di questa norma alle circostanze che ricorrono nel suo caso specifico dà luogo ad una discriminazione basata sulla cittadinanza in contrasto con l'art. 48 del Trattato e con l'art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68, in quanto l'imposta da assolvere a titolo di IRPF in Francia, paese nel quale viene tassata la totalità dei redditi del suo nucleo familiare, risulta più elevata di quella che avrebbe dovuto versare se i redditi percepiti in Germania fossero stati assoggettati ad imposta in Francia.

Ciò si verificherebbe, per esempio, se le venisse riconosciuto lo status di lavoratore frontaliero o se possedesse soltanto la cittadinanza francese anziché la doppia cittadinanza. La signora Gilly ritiene che tali norme ostino a che un lavoratore, che abbia usufruito del suo diritto alla libera circolazione, si veda penalizzato da un prelievo fiscale maggiore rispetto a quello che sarebbe stato applicato se non avesse esercitato tale diritto.

50 Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, ai termini dell'art. 48, n. 2, del Trattato, la libera circolazione dei lavoratori implica l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla cittadinanza, fra i lavoratori degli Stati membri, in particolare per quanto riguarda la retribuzione. Il principio della parità di trattamento in materia di retribuzione sarebbe privato di effetto se potesse essere violato da norme nazionali discriminatorie in materia di imposta sul reddito. E' questa la ragione per la quale nell'art. 7 del regolamento n. 1612/68 il Consiglio ha disposto che i lavoratori cittadini di uno Stato membro devono godere, nel territorio di un altro Stato membro, degli stessi vantaggi fiscali dei lavoratori nazionali (23).

Inoltre, risulta da una giurisprudenza costante che l'art. 48 del Trattato vieta non solo le discriminazioni palesi, in base alla cittadinanza, ma anche qualsiasi discriminazione dissimulata che, basandosi su altri criteri di distinzione, pervenga al medesimo risultato (24).

51 Per poter accertare l'esistenza di una discriminazione, ai sensi del diritto comunitario, nei confronti della signora Gilly si dovrà dimostrare che la Francia - paese in cui risiede e nel quale i suoi redditi globali sono assoggettati ad imposta insieme a quelli del marito -, applicando la norma controversa, le riserva un trattamento fiscale meno favorevole rispetto a quello concesso a un lavoratore di cittadinanza francese che si trovi nella stessa situazione. A tal fine, ha scarsa importanza il fatto che la signora Gilly sia anche in possesso della cittadinanza dello Stato da lei accusato di trattamento discriminatorio; infatti, secondo la giurisprudenza costante della Corte, l'art. 48 del Trattato si applica a qualsiasi cittadino comunitario, a prescindere dal luogo di residenza e dalla cittadinanza dello stesso, che abbia usufruito del diritto alla libera circolazione dei lavoratori e che abbia esercitato un'attività lavorativa in un altro Stato membro (25).

52 Occorre parimenti tenere conto del fatto che, conformemente alla definizione elaborata dalla Corte, una discriminazione può consistere solo nell'applicazione di norme diverse a situazioni analoghe ovvero nell'applicazione della stessa norma a situazioni diverse (26).

53 Quando si deve considerare che un lavoratore di cittadinanza francese si trovi in una situazione analoga, ai fini fiscali, a quella della signora Gilly? Tutto dipende da ciò che si intende per «situazione analoga». Senza dubbio, si può fare ricorso al metodo che consiste nel mantenere tutte le circostanze costanti e nel cambiare soltanto la cittadinanza del presunto soggetto discriminato. Secondo questo procedimento, il parametro di confronto per la signora Gilly sarebbe un lavoratore francese, che non sia nel contempo in possesso della cittadinanza tedesca, che percepisca una retribuzione dallo Stato tedesco per un'attività esercitata in Germania, che risieda in Francia, sia coniugato e qualora entrambi i coniugi di cui trattasi contribuiscano al reddito familiare nella stessa proporzione dei coniugi Gilly. In pratica, la retribuzione di questo dipendente pubblico sarebbe imponibile in Francia, non ci sarebbe ragione di applicare il meccanismo per evitare la doppia imposizione e l'importo versato dalla coppia a titolo di IRPF in Francia sarebbe inferiore all'ammontare delle imposte versate dalla signora Gilly in Germania e dal suo nucleo familiare in Francia. Questo è il procedimento seguito dai ricorrenti nella causa principale per dimostrare che la signora Gilly è vittima di discriminazione.

54 Esiste tuttavia un altro metodo, che consiste nell'effettuare il confronto con un lavoratore di cittadinanza francese, la cui retribuzione sia stata tassata in Germania, in applicazione dell'art. 13, n. 1, della Convenzione franco-tedesca, e che abbia la residenza in Francia, paese in cui viene tassata, a titolo di IRPF, la totalità dei suoi redditi. Si tratta, per esempio, di un lavoratore subordinato, coniugato, impiegato presso un'impresa privata in Germania, che risieda in Francia e il cui coniuge risieda e lavori in Francia, a condizione che entrambi i coniugi contribuiscano al reddito familiare nella stessa proporzione dei coniugi Gilly. In siffatte circostanze, sebbene sia stata versata in Germania l'imposta sul reddito da lavoro subordinato, quest'ultimo sarà preso in considerazione per il calcolo della base imponibile francese e successivamente verrà concesso un credito d'imposta per l'imposta già versata in Germania, pari all'ammontare dell'imposta francese corrispondente a tale reddito.

55 A mio parere, il metodo corretto per stabilire se l'art. 48 del Trattato osti ad una disposizione del tipo in esame è il secondo, per diverse ragioni:

a) in primo luogo, perché prima di applicare l'art. 20, n. 2, lett. a), cc) della Convenzione - che stabilisce il meccanismo mediante il quale la Francia, in quanto Stato cui spetta assoggettare ad imposta i redditi globali dei residenti, evita che si verifichi la doppia imposizione rispetto ai redditi già tassati in Germania - occorre inevitabilmente determinare, applicando i criteri di imposizione fissati dalla Convenzione, quale dei due Stati debba tassare i redditi da lavoro subordinato. Come ho già osservato esaminando la seconda questione pregiudiziale, tali criteri, che fanno riferimento al luogo in cui viene esercitata l'attività, al soddisfacimento delle condizioni per poter essere considerato lavoratore frontaliero, al carattere pubblico della retribuzione percepita e, in quest'ultimo caso, al possesso della cittadinanza dell'uno o dell'altro Stato, sono neutri sotto il profilo del diritto comunitario relativo alla libera circolazione dei lavoratori;

b) in secondo luogo, perché una volta versate le imposte nell'uno o nell'altro Stato gravanti sui diversi redditi percepiti dal contribuente, spetta allo Stato di residenza applicare il meccanismo concordato con l'altro Stato per evitare di assoggettare nuovamente ad imposta tali redditi. Il risultato sarà più o meno favorevole al lavoratore, a seconda delle leggi fiscali nazionali e delle circostanze personali e familiari di ogni contribuente.

56 Se si fa ricorso al secondo metodo, si ottiene un parallelismo perfetto fin dall'inizio: riscossione, da parte di un residente in Francia, che si trova nella stessa situazione familiare della signora Gilly, di redditi da lavoro subordinato in Germania, che vengono assoggettati ad imposta in quest'ultimo Stato. In tal modo si constata che il trattamento fiscale riservatole in Francia coincide con quello applicato ad un francese nelle stesse circostanze.

Per contro, se si fa ricorso al primo metodo, il punto di partenza corrisponde al risultato cui si giunge dopo aver applicato il sistema per evitare la doppia imposizione, vale a dire l'ammontare delle imposte versate in Francia dalla signora Gilly a titolo di IRPF è più elevato rispetto a quello che verserebbe se, ceteris paribus, fosse cittadina francese e, partendo da questa constatazione, si torna al punto di partenza.

57 E' la signora Gilly vittima di una discriminazione dissimulata perché, come afferma la Commissione, non si tiene conto della sua situazione familiare né in Germania, per il fatto che il marito non vi risiede e non si può quindi applicare loro la tabella preferenziale delle coppie coniugate, né in Francia, per il fatto che in questo paese la presa in considerazione della situazione familiare della coppia influisce soltanto sui redditi del signor Gilly?

58 Ritengo che non si debba dare una risposta affermativa nel caso in esame. Infatti, secondo la giurisprudenza costante della Corte, per quanto riguarda le imposte dirette la situazione dei residenti in generale non è analoga a quella dei non residenti e il fatto che uno Stato membro non permetta a un non residente di beneficiare di determinati vantaggi fiscali concessi a un residente non è, in linea di principio, discriminatorio, perché queste due categorie di contribuenti non si trovano in situazioni analoghe. In siffatte circostanze, l'art. 48 del Trattato non osta, in via di principio, all'applicazione di una normativa di uno Stato membro che tassi i redditi di un non residente, il quale svolge un'attività subordinata in detto Stato, in misura maggiore rispetto a quelli di un residente che svolge la stessa attività.

A sostegno di questa conclusione, la Corte adduce il seguente ragionamento: «Il reddito percepito nel territorio di uno Stato membro da un non residente costituisce il più delle volte solo una parte del suo reddito complessivo, concentrato nel suo luogo di residenza. Peraltro, la capacità contributiva personale del non residente, derivante dalla presa in considerazione di tutti i suoi redditi e della sua situazione personale e familiare, può essere valutata più agevolmente nel luogo in cui egli ha il centro dei suoi interessi personali ed economici. Questo luogo corrisponde in genere alla residenza abituale della persona interessata. Anche il diritto tributario internazionale, in ispecie il modello di convenzione dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) in materia di doppia imposizione, ammette che in via di principio spetta allo Stato di residenza tassare il contribuente in modo globale, prendendo in considerazione gli elementi inerenti alla sua situazione personale e familiare». La Corte aggiunge che «la situazione del residente è diversa, in quanto nello Stato di residenza è di regola concentrata la parte essenziale dei suoi redditi. Peraltro, questo Stato dispone in genere di tutte le informazioni necessarie per valutare la capacità contributiva globale del contribuente, tenuto conto della sua situazione personale e familiare» (27).

59 La Corte si è allontanata da questa dottrina soltanto nei casi in cui il lavoratore in questione non percepiva redditi significativi nello Stato di residenza, ragione per cui l'onere fiscale risultava ivi insufficiente per consentire la presa in considerazione della situazione personale e familiare, e percepiva la parte essenziale dei suoi redditi e la quasi totalità dei suoi redditi familiari in un altro Stato membro. In tali circostanze sussiste una discriminazione nei confronti del lavoratore, in quanto la sua situazione personale e familiare non è presa in considerazione né nello Stato di residenza né in quello di occupazione (28).

Tuttavia, non si può affermare che questo sia il caso della signora Gilly, in quanto, benché percepisca, a titolo individuale, la quasi totalità dei suoi redditi in Germania tramite la retribuzione, la sua situazione personale e familiare è presa in considerazione in Francia, dove si tiene conto delle sue retribuzioni nel calcolo della base imponibile dell'IRPF relativa al suo nucleo familiare e dove gode dei vantaggi, degli abbuoni e degli sgravi fiscali previsti dalla legge francese.

60 Resta da dimostrare se il meccanismo giuridico di cui all'art. 20, n. 2, lett. a), cc), della Convenzione franco-tedesca, applicato in Francia per evitare la doppia imposizione, costituisca un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori, vietato dall'art. 48 del Trattato. A tal fine, occorre esaminare se, benché si applichi indipendentemente dalla cittadinanza, tale meccanismo non pregiudichi di fatto i cittadini che usufruiscono del diritto alla libera circolazione, riservando loro un trattamento meno favorevole rispetto a quello riservato a coloro che non si avvalgono di tale diritto.

A questo proposito, la Corte ha affermato che «(...) l'insieme delle norme del Trattato relative alla libera circolazione delle persone mira a facilitare ai cittadini comunitari l'esercizio di attività lavorative di qualsivoglia natura nel territorio della Comunità ed osta ai provvedimenti che potrebbero sfavorirli qualora intendano svolgere un'attività economica nel territorio di un altro Stato membro» (29).

61 Anche in questo caso la risposta dev'essere negativa, poiché sarebbe sufficiente che la Germania riducesse, nella misura necessaria, l'aliquota tributaria applicata alle retribuzioni da lavoro subordinato perché il meccanismo, qui criticato in quanto considerato pregiudizievole per un lavoratore che abbia esercitato il suo diritto alla libera circolazione, producesse il risultato opposto. Infatti, se l'aliquota tributaria tedesca fosse inferiore a quella applicata agli stessi redditi in Francia, poiché si concede alla signora Gilly un credito d'imposta pari all'ammontare dell'imposta francese corrispondente a tali redditi, il credito d'imposta sarebbe superiore all'ammontare dell'imposta già versata in Germania, ed essa finirebbe per versare tributi inferiori rispetto a quelli che verserebbe se percepisse tali redditi in Francia o se, pur provenienti dalla Germania, tali redditi fossero tassati in Francia, conformemente ai criteri di imposizione già menzionati. Una situazione analoga si verificherebbe se la Francia decidesse di aumentare l'aliquota tributaria applicata a tali redditi in modo da renderla superiore a quella vigente in Germania.

Le conseguenze pregiudizievoli per i lavoratori di una norma quale quella in esame dipendono, in ultima analisi, dall'aliquota tributaria applicata da ciascuno degli Stati membri in questione a determinati redditi; pertanto, a mio parere, tali conseguenze sono troppo aleatorie e troppo indirette perché la norma possa essere considerata atta a dissuadere un lavoratore dall'esercitare il suo diritto alla libera circolazione tra tali due Stati (30).

62 Infine, la signora Gilly afferma che il disposto dell'art. 220, secondo trattino, del Trattato osta a che si prendano in considerazione in Francia, per calcolare la base imponibile dell'IRPF relativa al suo nucleo familiare, i redditi da lei percepiti in Germania e ivi assoggettati ad imposta, in quanto il credito d'imposta concesso in Francia non tiene conto dell'esatto ammontare delle imposte assolte in Germania, ragione per cui il meccanismo non evita la doppia imposizione, ma la riduce soltanto.

63 Il modello di convenzione inteso a evitare la doppia imposizione contempla, agli artt. 23 A e 23 B, due metodi per conseguire questo risultato che, per motivi di chiarezza, vale la pena esaminare con un certa attenzione.

64 L'art. 23 A stabilisce il cosiddetto metodo dell'esenzione progressiva, in base al quale, qualora un residente di uno Stato contraente percepisca redditi che, conformemente alla Convenzione, siano imponibili nell'altro Stato, il primo Stato considera tali redditi esenti da imposta. Potrà tuttavia tenerne conto al fine di determinare l'aliquota tributaria applicabile ai redditi percepiti nello Stato di residenza. In altri termini, benché i redditi percepiti nello Stato in cui vengono prodotti non vadano a formare parte della base imponibile dell'imposta dovuta nello Stato di residenza, l'ammontare complessivo delle imposte da versare in tale Stato si incrementa in ragione della progressività dell'aliquota tributaria vigente nel paese di residenza.

L'art. 23 B stabilisce il cosiddetto metodo di imputazione parziale o limitata, il quale, a differenza del precedente, include nella base imponibile dello Stato di residenza la totalità dei redditi, nazionali e non, percepiti dal contribuente. In sostanza, secondo questo metodo, qualora il residente di uno Stato percepisca redditi che, conformemente alle disposizioni della Convenzione, siano imponibili nell'altro Stato, il primo Stato detrae dall'imposta prelevata sui redditi di tale residente un importo pari all'imposta sui redditi versata nell'altro Stato. Tuttavia, tale detrazione non può eccedere la quota dell'imposta sui redditi calcolata prima della detrazione, corrispondente ai redditi imponibili in tale altro Stato.

65 Il meccanismo giuridico applicato in Francia, a partire dall'entrata in vigore dell'atto aggiuntivo del 1989, per evitare che i redditi da lavoro subordinato, già tassati in Germania in applicazione della Convenzione, siano nuovamente soggetti ad imposta in Francia consiste nel concedere una detrazione pari all'ammontare dell'imposta corrispondente a tali redditi. Il sistema applicato prima di tale data consisteva nel considerare esenti da imposta i redditi già tassati in Germania, benché questi venissero presi in considerazione per determinare l'aliquota tributaria da applicare ai redditi percepiti in Francia. In ultima analisi, con questi due metodi, che apparentemente sembrano diversi, si consegue lo stesso risultato.

66 Una convenzione bilaterale in materia di doppia imposizione mira ad evitare che i redditi già tassati in uno Stato siano nuovamente soggetti ad imposta nell'altro; pertanto, essa non mira a garantire che, a prescindere dal luogo in cui vengono percepiti tali redditi e da chi li corrisponda, il regime d'imposta applicato al contribuente in uno degli Stati non risulti superiore a quello che verrebbe applicato nell'altro. Di fatto, le convenzioni bilaterali in materia di doppia imposizione, conformemente all'art. 24 del modello, sanciscono il principio della parità di trattamento con i cittadini dell'altro Stato.

67 In qualsiasi caso, il diritto alla libera circolazione dei lavoratori non concede loro naturalmente il diritto di beneficiare nello Stato di residenza del regime fiscale che, nel loro caso, risulti più vantaggioso, ma soltanto il diritto a ricevere lo stesso trattamento fiscale riservato ai cittadini di tale Stato. Ritengo inoltre che questo sia il risultato che si ottiene applicando il meccanismo stabilito dalla norma controversa.

Conclusione

68 Alla luce delle precedenti considerazioni, propongo alla Corte di giustizia:

1) di dichiarare irricevibile la quarta questione pregiudiziale proposta dal Tribunal administratif di Strasburgo;

2) di rispondere alle altre questioni come segue:

«a) l'art. 220, secondo trattino, del Trattato CE è privo di effetto diretto;

b) gli artt. 48 e 220 del Trattato CE e l'art. 7 del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che una convenzione diretta ad evitare la doppia imposizione, stipulata fra due Stati membri, fissi i criteri di imposizione dei redditi da lavoro subordinato nell'uno o nell'altro Stato:

- a seconda del luogo in cui viene esercitata l'attività; o

- a seconda che il lavoratore soddisfi le condizioni per essere considerato frontaliero; o

- a seconda che la retribuzione percepita dal lavoratore provenga da persone giuridiche pubbliche e, in quest'ultimo caso, a seconda che il lavoratore sia in possesso della cittadinanza dello Stato diverso da quello che versa la retribuzione, senza avere nel contempo la cittadinanza di quest'ultimo.

c) Gli artt. 48 e 220 del Trattato CE e l'art. 7 del regolamento (CEE) n. 1612/68 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che una convenzione diretta ad evitare la doppia imposizione, stipulata tra due Stati membri, stabilisca che, in uno di essi, la doppia imposizione venga evitata mediante un meccanismo quale quello contemplato dall'art. 20, n. 2, lett. a), cc), della Convenzione franco-tedesca, in base al quale i redditi percepiti in Germania da un residente in Francia ed assoggettati ad imposta in Germania vengono presi in considerazione nel calcolo della base imponibile del contribuente in Francia, dove viene poi concesso un credito d'imposta pari all'ammontare dell'imposta francese corrispondente a tali redditi».

(1) - Convenzione, firmata a Parigi il 21 luglio 1959, tra la Repubblica francese e la Repubblica federale di Germania al fine di evitare la doppia imposizione e stabilire le regole di assistenza amministrativa e giuridica reciproca in materia di imposta sul reddito delle persone fisiche e sul patrimonio, nonché in materia di imposta sulle attività economiche e sui beni immobili.

(2) - Modificato dall'art. G, punto 8, del Trattato sull'Unione europea.

(3) - Regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità (GU L 257, pag. 2).

(4) - Lo «splitting» consiste nel sommare il reddito complessivo dei coniugi per imputarlo fittiziamente a ciascun coniuge nella misura del 50%. Se il reddito di uno dei coniugi è più elevato di quello dell'altro, questo regime livella la base imponibile ed attenua la progressività della tabella dell'imposta sul reddito.

(5) - Sentenza 16 gennaio 1997, causa C-134/95, USSL n. 47 di Biella (Racc. pag. I-195, punto 17).

(6) - Sentenza 27 settembre 1988, causa 235/87, Matteucci (Racc. pag. 5589, punto 14).

(7) - Sentenze 29 novembre 1978, causa 83/78, Pigs Marketing Board (Racc. pag. 2347, punto 25); 28 novembre 1991, causa C-186/90, Durighello (Racc. pag. I-5773, punto 8), e 16 luglio 1992, causa C-343/90, Lourenço Dias (Racc. pag. I-4673, punto 15).

(8) - Sentenze 3 febbraio 1983, causa 149/82, Robards (Racc. pag. 171, punto 19), e Lourenço Dias (citata supra alla nota 7), punto 17.

(9) - Sentenze 16 giugno 1981, causa 126/80, Salonia (Racc. pag. 1563, punto 6); Durighello (citata supra alla nota 7), punto 9; 28 marzo 1996, causa C-129/94, Ruiz Bernáldez (Racc. pag. I-1829, punto 7), e 12 dicembre 1996, causa C-104/95, Kontogeorgas (Racc. pag. I-6643, punto 11).

(10) - Sentenza 16 luglio 1992, causa C-83/91, Meilicke (Racc. pag. I-4871, punti 32 e 33).

(11) - Sentenza 16 dicembre 1981, causa 244/80, Foglia (Racc. pag. 3045, punto 18).

(12) - Sentenza Lourenço Dias (citata supra alla nota 7), punti 19 e 20.

(13) - Sentenze 23 febbraio 1994, causa C-419/92, Scholz (Racc. pag. I-505, punto 6), e 29 febbraio 1996, causa C-193/94, Skanavi e Chryssanthakopoulos (Racc. pag. I-929, punto 20).

(14) - Sentenza 11 luglio 1985, causa 137/84, Mutsch (Racc. pag. 2681, punto 11).

(15) - Conformemente ai dati che figurano nella relazione presentata il 22 gennaio 1997 all'Assemblea nazionale francese dal deputato D. Jacquat, a nome della commissione per gli affari culturali, familiari e sociali, relativa ai lavoratori frontalieri (Rapport d'information n. 3307), fatta eccezione per la Grecia, che non ha frontiere comuni con altri Stati membri, e per la Francia, soltanto sei delle convenzioni stipulate tra gli altri Stati membri prevedono clausole relative alle retribuzioni dei lavoratori frontalieri. Si tratta delle convenzioni tra Germania e Belgio dell'11 aprile 1967; tra Germania e Austria del 4 ottobre 1954; tra Austria e Italia del 29 giugno 1981; tra Spagna e Portogallo del 26 ottobre 1993; tra Svezia e Danimarca del 16 novembre 1973, e tra Svezia e Finlandia del 27 giugno 1993.

(16) - Ibidem, pag. 31. Tra le convenzioni fiscali bilaterali stipulate dalla Francia, soltanto cinque prevedono clausole speciali applicabili ai lavoratori frontalieri. Si tratta delle convenzioni stipulate con Germania, Belgio, Spagna, Italia e Svizzera. Le prime quattro prevedono che la retribuzione sia assoggettata ad imposta nello Stato di residenza, mentre, nel caso della Svizzera, per il cantone di Ginevra, con il quale non vi è una zona frontaliera definita, le retribuzioni sono imponibili nel luogo in cui viene esercitata l'attività e, per gli altri cantoni, nel luogo di residenza.

(17) - Regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità, nella sua versione modificata e aggiornata dal regolamento (CEE) del Consiglio 2 giugno 1983, n. 2001 (GU L 230, pag. 6).

(18) - A titolo di esempio recente posso osservare che l'art. 19 della Convenzione tra il Regno di Spagna e la Repubblica francese per evitare la doppia imposizione e prevenire l'evasione e la frode fiscale in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio, sottoscritta a Madrid il 10 ottobre 1995 (BOE n. 140, del 12 giugno 1997), prevede lo stesso criterio di imposizione sulle retribuzioni dei dipendenti pubblici che figura nell'art. 14 della Convenzione franco-tedesca in esame.

(19) - Direttiva del Consiglio 19 dicembre 1977, 77/799/CEE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette (GU L 336, pag. 15).

(20) - Proposta di direttiva del Consiglio per l'armonizzazione delle disposizioni relative all'imposizione sui redditi in relazione alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità (GU 1980, C 21, pag. 6).

(21) - Raccomandazione della Commissione 21 dicembre 1993, 94/79/CE, relativa alla tassazione di taluni redditi percepiti in uno Stato membro da soggetti residenti in un altro Stato membro (GU 1994, L 39, pag. 22).

(22) - Sentenze 28 gennaio 1986, causa 270/83, Commissione/Francia (Racc. pag. 273, punto 24); 14 febbraio 1995, causa C-279/93, Schumacker (Racc. pag. I-225, punto 21); 11 agosto 1995, causa C-80/94, Wielockx (Racc. pag. I-2493, punto 16); 27 giugno 1996, causa C-107/94, Asscher (Racc. pag. I-3089, punto 36), e 15 maggio 1997, causa C-250/95, Futura Participations e Singer (Racc. pag. I-2471, punto 19).

(23) - Sentenza 8 maggio 1990, causa C-175/88, Biehl (Racc. pag. I-1779, punti 11 e 12).

(24) - Sentenze 10 marzo 1993, causa C-111/91, Commissione/Lussemburgo (Racc. pag. I-817, punto 9), e Scholz (citata supra alla nota 13), punto 7.

(25) - Sentenza Scholz (citata supra alla nota 13), punto 9.

(26) - Sentenza Schumacker (citata supra alla nota 22), punto 30.

(27) - Sentenza Schumacker (citata supra alla nota 22), punti 31-35.

(28) - La Corte ha accertato l'esistenza di discriminazioni di questo tipo nelle sentenze Schumacker, Wielockx e Asscher (citate supra alla nota 22).

(29) - Sentenza 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman (Racc. pag. I-4921, punto 94).

(30) - Sentenza 30 novembre 1995, causa C-134/94, Esso Española (Racc. pag. I-4223, punto 24).