Causa C-524/04
Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation
contro
Commissioners of Inland Revenue
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division]
«Libertà di stabilimento — Libera circolazione dei capitali — Imposta sulle società — Interessi su un prestito versati ad una società collegata avente sede in un altro Stato membro o in un paese terzo — Qualificazione degli interessi come utili distribuiti — Coerenza del sistema fiscale — Evasione fiscale»
Massime della sentenza
1. Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento — Disposizioni del Trattato — Ambito di applicazione
(Artt. 43 CE, 49 CE e 56 CE)
2. Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento
(Art. 43 CE)
3. Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento — Normativa tributaria
(Art. 43 CE)
4. Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento — Disposizioni del Trattato — Ambito di applicazione
(Artt. 43 CE e 48 CE)
5. Diritto comunitario — Diritti conferiti ai singoli — Violazione da parte di uno Stato membro — Obbligo di risarcire il danno cagionato ai singoli
(Art. 43 CE)
6. Diritto comunitario — Diritti conferiti ai singoli — Violazione da parte di uno Stato membro — Obbligo di risarcire il danno cagionato ai singoli
1. Una normativa che riguarda solo relazioni nell’ambito di uno stesso gruppo societario incide prevalentemente sulla libertà di stabilimento e deve quindi essere esaminata alla luce dell’art. 43 CE. Ammesso che tale normativa abbia effetti restrittivi sulla libera prestazione dei servizi e sulla libera circolazione dei capitali, tali effetti sarebbero l’inevitabile conseguenza di un eventuale ostacolo alla libertà di stabilimento e non giustificano un esame di detta normativa sulla base degli artt. 49 CE e 56 CE.
(v. punti 33, 34, 101)
2. La mera circostanza che una società residente ottenga un prestito da una società collegata avente sede in un altro Stato membro non può fondare una presunzione generale di pratiche abusive, né giustificare una misura che pregiudichi l’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato. Invece, una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è giustificabile con motivi di lotta a pratiche abusive se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio, prive di effettività economica, finalizzate a eludere la normativa dello Stato membro interessato e, in particolare, a eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte nel territorio nazionale.
(v. punti 72-74)
3. L’art. 43 CE osta ad una normativa di uno Stato membro che limiti la possibilità per una società residente di dedurre, a fini fiscali, gli interessi versati su prestiti concessi da una società controllante, in via diretta o indiretta, residente in un altro Stato membro o da una società residente in un altro Stato membro controllata da tale società controllante, senza assoggettare a una siffatta restrizione una società residente che ha ottenuto un prestito da una società parimenti residente, salvo che, da un lato, tale normativa disponga un esame di elementi oggettivi e verificabili che permettano di individuare l’esistenza di una costruzione di puro artificio attuata a soli fini fiscali, prevedendo la possibilità per il contribuente di produrre, eventualmente e senza eccessivi oneri amministrativi, elementi relativi alle ragioni commerciali soggiacenti alla transazione in questione e, dall’altro, qualora l’esistenza di una tale costruzione venisse accertata, detta normativa qualifichi tali interessi come utili distribuiti solo nella misura in cui questi eccedono quanto sarebbe stato convenuto in condizioni di piena concorrenza.
Infatti, una tale disparità di trattamento tra controllate residenti in funzione del luogo della sede della loro controllante costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento in quanto scoraggia l’esercizio di tale libertà da parte delle società stabilite in altri Stati membri, le quali potrebbero di conseguenza rinunciare all’acquisizione, alla creazione o al mantenimento di una controllata nello Stato membro in cui vige tale norma.
(v. punti 61, 92, dispositivo 1)
4. Una normativa di uno Stato membro che limita la possibilità per una società residente di dedurre a fini fiscali gli interessi versati su prestiti concessi da una società non residente non rileva ai fini dell’art. 43 CE allorché si applica ad una situazione in cui una società residente ottiene un prestito da una società avente sede in un altro Stato membro o in un paese terzo, la quale, di per sé, non controlla la società mutuataria, e allorché tali due società sono controllate, direttamente o indirettamente, da una comune società collegata stabilita in un paese terzo.
Infatti, allorché, in una siffatta situazione, lo Stato membro che ha adottato tale normativa equipara ad utili distribuiti gli interessi versati dalla società mutuataria, tale misura incide sulla libertà di stabilimento non per quanto riguarda la società mutuante, ma unicamente in capo alla società collegata che dispone di un livello di controllo sulle altre due società interessate tale da consentirle di influenzare la scelta dei finanziamenti di dette società. Orbene, poiché detta società collegata non ha sede in uno Stato membro ai sensi dell’art. 48 CE, l’art. 43 CE non è applicabile.
(v. punti 99, 102, dispositivo 2)
5. In mancanza di una normativa comunitaria, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario, compresa la qualificazione delle azioni promosse dalle persone lese dinanzi ai giudici nazionali. Questi devono però garantire che i singoli dispongano di un mezzo di ricorso effettivo che consenta loro di ottenere il rimborso dell’imposta indebitamente riscossa e degli importi pagati a tale Stato membro o trattenuti da quest’ultimo che siano in relazione diretta con tale imposta.
Per quanto riguarda altri danni eventualmente causati ai singoli attraverso violazioni del diritto comunitario imputabili ad uno Stato membro, quest’ultimo è tenuto a risarcire i danni causati ai singoli alle condizioni enunciate nella giurisprudenza della Corte, vale a dire che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli, che si tratti di una violazione sufficientemente qualificata e che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi, senza che ciò escluda che, in base al diritto nazionale, la responsabilità dello Stato possa essere invocata a condizioni meno restrittive.
Fatto salvo il diritto al risarcimento, che si fonda direttamente sul diritto comunitario qualora siano soddisfatte le dette condizioni enunciate nella giurisprudenza, è nell’ambito della normativa interna sulla responsabilità che lo Stato è tenuto a riparare le conseguenze del danno arrecato restando inteso che le condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle relative ad analoghi reclami di natura interna e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento.
Qualora risultasse che la normativa di uno Stato membro costituisce un ostacolo alla libertà di stabilimento vietato dall’art. 43 CE, il giudice del rinvio, al fine di individuare i danni risarcibili, può verificare se il soggetto leso abbia dato prova di una ragionevole diligenza per evitare tale danno o limitarne l’entità e, in particolare, se esso abbia tempestivamente esperito tutti i rimedi giuridici a sua disposizione. Tuttavia, l’applicazione delle disposizioni relative alla libertà di stabilimento sarebbe resa impossibile o eccessivamente difficile se le domande di ripetizione o di risarcimento fondate sulla violazione di dette disposizioni dovessero essere respinte o ridotte per la sola ragione che le società interessate non avevano chiesto all’amministrazione tributaria di poter versare interessi su prestiti concessi da una società collegata non residente senza che tali interessi fossero qualificati come utili distribuiti, quando, nelle circostanze del caso di specie, la legge nazionale, in combinato disposto, eventualmente, con le disposizioni rilevanti delle convenzioni contro la doppia imposizione, prevedeva una tale qualificazione.
(v. punti 115, 123, 126, 128, dispositivo 3)
6. Per determinare se sussista una violazione sufficientemente qualificata del diritto comunitario, tale da far sorgere la responsabilità di uno Stato membro per danni causati a singoli, si devono considerare tutti gli elementi che caratterizzano la situazione sottoposta al giudice nazionale. Fra tali elementi compaiono, in particolare, il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, il carattere intenzionale o involontario della trasgressione commessa o del danno causato, la scusabilità o l’inescusabilità di un eventuale errore di diritto, la circostanza che i comportamenti adottati da un’istituzione comunitaria abbiano potuto concorrere all’adozione o al mantenimento in vigore di provvedimenti o di prassi nazionali contrari al diritto comunitario.
In ogni caso, una violazione del diritto comunitario è sufficientemente qualificata quando si è protratta nonostante la pronuncia di una sentenza che ha accertato l’inadempimento contestato, di una sentenza pregiudiziale o di una giurisprudenza consolidata della Corte in materia, dalle quali risulti l’illegittimità del comportamento in questione.
In un settore quale quello della tassazione diretta, il giudice nazionale deve prendere in considerazione il fatto che le conseguenze derivanti dalle libertà di circolazione garantite dal Trattato si sono manifestate solo via via, in particolare, attraverso i principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte.
(v. punti 119-121)
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
13 marzo 2007 (*)
«Libertà di stabilimento – Libera circolazione dei capitali – Imposta sulle società – Interessi su un prestito versati ad una società collegata avente sede in un altro Stato membro o in un paese terzo – Qualificazione degli interessi come utili distribuiti – Coerenza del sistema fiscale – Evasione fiscale»
Nel procedimento C-524/04,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division (Regno Unito), con ordinanza 21 dicembre 2004, pervenuta in cancelleria il 31 dicembre 2004, nella causa
Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation
contro
Commissioners of Inland Revenue,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans, A. Rosas, K. Lenaerts (relatore), P. Kūris ed E. Juhász, presidenti di sezione, dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. K. Schiemann, J. Makarczyk, G. Arestis e A. Borg Barthet, giudici,
avvocato generale: sig. L.A. Geelhoed
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 31 gennaio 2006,
considerate le osservazioni presentate:
– per Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, dal sig. G. Aaronson, QC, nonché dai sigg. P. Farmer e D. Cavender, barristers;
– per il governo del Regno Unito, dalle sig.re C. Jackson e C. Gibbs, in qualità di agenti, assistite dal sig. D. Anderson, QC, nonché dal sig. D. Ewart e dalla sig.ra S. Stevens, barristers;
– per il governo tedesco, dai sigg. M. Lumma e U. Forsthoff, in qualità di agenti;
– per il governo dei Paesi Bassi, dal sig. D. J. M. de Grave, in qualità di agente;
– per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. R. Lyal, in qualità di agente,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 29 giugno 2006,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 43 CE, 49 CE nonché 56 CE - 58 CE.
2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra alcuni gruppi di società (in prosieguo: le «ricorrenti nella causa principale») e i Commissioners of Inland Revenue (amministrazione fiscale del Regno Unito) a proposito del trattamento fiscale di interessi versati da società aventi sede nel Regno Unito su prestiti erogati da una società appartenente allo stesso gruppo (in prosieguo: la «società collegata») non residente in tale Stato membro.
Contesto normativo nazionale
3 Le disposizioni rilevanti della legislazione vigente nel Regno Unito sono quelle contenute nella legge del 1988 relativa all’imposta sul reddito e all’imposta sulle società (Income and Corporation Taxes Act 1988; in prosieguo: l’«ICTA»), innanzi tutto nella sua versione applicabile prima del 1995 e, poi, nella sua versione modificata, in particolare, dalla legge finanziaria del 1995 (Finance Act 1995), nonché dalla legge finanziaria del 1998 (Finance Act 1998).
Le disposizioni nazionali prima delle modifiche intervenute nel 1995
4 Ai sensi dell’art. 209, n. 2, lett. d), dell’ICTA, gli interessi su un prestito pagati da una società avente sede nel Regno Unito che eccedono un ragionevole rendimento economico dello stesso vanno considerati come una distribuzione di utili di tale società. Tale regola si applica sia quando il prestito è accordato da una società residente nel Regno Unito sia quando è concesso da una società non residente. La quota degli interessi eccedente un rendimento economico ragionevole non è più deducibile dagli utili imponibili della società mutuataria, ma è considerata come un utile distribuito (dividendo). Pertanto, la società mutuataria ha l’obbligo di procedere al versamento anticipato dell’imposta sulle società (advance corporation tax ─ ACT) ai sensi dell’art. 14 dell’ICTA.
5 Inoltre, l’art. 209, n. 2, lett. e), sub iv) e v), dell’ICTA qualifica come «utile distribuito» tutti gli interessi diversi da quelli considerati tali ai sensi di questa stessa disposizione alla lett. d), versati da una società residente nel Regno Unito a una società non residente appartenente allo stesso gruppo societario, anche se tali interessi corrispondono ad un ragionevole rendimento economico del prestito in questione. Tale regola si applica ai prestiti concessi da una società non residente a una controllata residente il cui capitale è detenuto al 75% dalla prima società o quando le due società sono controllate al 75% da una terza società non residente.
6 Tuttavia, ai sensi dell’art. 788, n. 3, dell’ICTA, le suddette disposizioni nazionali non si applicano se una convenzione contro la doppia imposizione (in prosieguo: una «CDI») ne esclude l’applicazione, garantendo, a certe condizioni, la deducibilità fiscale degli interessi. A seconda delle condizioni alle quali l’interesse è deducibile, le CDI concluse dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord possono essere classificate in due categorie.
7 Ai sensi delle CDI della prima categoria, quali quelle concluse con la Repubblica federale di Germania, il Regno di Spagna, il Granducato di Lussemburgo, la Repubblica d’Austria e il Giappone, gli interessi sono deducibili se, tenuto conto dell’importo del prestito in questione, l’importo degli interessi corrisponde a quanto sarebbe stato convenuto in assenza di speciali relazioni tra le parti o tra le parti e un terzo.
8 Le CDI della seconda categoria, quali quelle concluse con la Repubblica francese, l’Irlanda, la Repubblica italiana, il Regno dei Paesi Bassi, gli Stati Uniti d’America e la Confederazione svizzera, si pongono la questione più generale se l’importo degli interessi ecceda, per qualsivoglia ragione, quanto sarebbe stato convenuto in assenza di speciali relazioni tra le parti o tra le parti e un terzo, il che implica anche la questione se l’importo del prestito stesso ecceda quanto sarebbe stato prestato in assenza di dette speciali relazioni.
9 Ai sensi dell’art. 808A dell’ICTA, introdotto dall’art. 52 della legge finanziaria n. 2 del 1992 [Finance (No 2) Act 1992] e che si applica agli interessi versati dopo il 14 maggio 1992, si deve tenere conto, per quanto riguarda la seconda categoria di CDI, di tutti i fattori coinvolti, tra i quali la questione se, in assenza di relazioni speciali tra il debitore degli interessi e il suo beneficiario, il prestito sarebbe stato comunque concesso e, in caso positivo, l’importo che sarebbe stato erogato nonché il tasso d’interesse che sarebbe stato convenuto.
Le modifiche legislative intervenute nel 1995
10 La legge finanziaria del 1995, che, in linea di principio, si applica agli interessi versati dopo il 28 novembre 1994, non ha modificato l’art. 209, n. 2, lett. d), dell’ICTA. Tuttavia, tale articolo, al n. 2, lett. e), sub iv) e v), è stato sostituito dall’art. 209, n. 2, lett. da), ai sensi del quale sono qualificati come «utile distribuito» gli interessi versati tra i membri di uno stesso gruppo societario nella misura in cui essi eccedono quanto sarebbe stato versato in assenza di relazioni speciali tra il debitore di tali interessi ed il beneficiario. Tale regola si applica ai prestiti concessi da una società a un’altra società di cui la prima detiene il 75% del capitale o quando le due società sono controllate al 75% da una terza società.
11 Tuttavia, ai sensi dell’art. 212, nn. 1 e 3, dell’ICTA, come modificato, l’art. 209, n. 2, lett. da), non è applicabile se il debitore degli interessi e il loro beneficiario sono entrambi assoggettati all’imposta britannica sulle società.
12 L’art. 209, n. 2, lett. da), dell’ICTA è stato completato dall’art. 209, nn. 8A)-8F). L’art. 209, n. 8B), dell’ICTA specifica i criteri sulla base dei quali un versamento di interessi va considerato come distribuzione di utili. Il combinato disposto dell’art. 209, nn. 8A) e 8D)-8F), dell’ICTA stabilisce il limite entro il quale le società possono essere raggruppate al fine di stimare l’entità dei loro prestiti su base consolidata.
Le modifiche legislative intervenute nel 1998
13 La legge finanziaria del 1998 ha introdotto l’allegato 28 AA all’ICTA, che contiene alcune norme sui prezzi dei trasferimenti, che si applicano anche ai versamenti di interessi tra società. Tali norme si applicano alle transazioni tra due società soggette a un controllo comune se le condizioni alle quali queste sono concluse sono diverse da quelle che sarebbero state pattuite se tali società non fossero state soggette a un controllo comune e quando tali condizioni procurano ad una delle parti un potenziale vantaggio rispetto al regime tributario britannico. La nozione di controllo comune include la partecipazione diretta o indiretta di una società alla gestione, al controllo o al capitale dell’altra società interessata, o anche la partecipazione diretta o indiretta di un terzo alla gestione, al controllo o al capitale delle altre due società interessate.
14 Sino alla modifica di tali norme nel 2004, si riteneva che non vi fosse alcun vantaggio potenziale, ai sensi di tale normativa, per una delle parti coinvolte quando la controparte della transazione era a sua volta assoggettata al regime tributario britannico e un certo numero di altre condizioni erano soddisfatte.
15 Nel 2004 dette norme venivano modificate nel senso che esse si applicano anche quando entrambe le parti della transazione sono sottoposte al regime tributario britannico.
Controversia principale e questioni pregiudiziali
16 La controversia principale rientra nel tipo di controversia denominato «group litigation» a titolo di sottocapitalizzazione («Thin Cap Group Litigation»), che consiste in varie domande di ripetizione e/o di compensazione presentate da gruppi di società nei confronti dei Commissioners of Inland Revenue dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division (giudice di secondo grado d’Inghilterra e del Galles per questioni fiscali) in seguito alla sentenza 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst (Racc. pag. I-11779).
17 Tutte le cause scelte dal giudice del rinvio come cause «pilota» ai fini della presente domanda pregiudiziale riguardano una società residente nel Regno Unito, detenuta, direttamente o indirettamente, almeno al 75% da una società non residente, e che ha ricevuto un prestito da parte di quest’ultima o da parte di un’altra società non residente detenuta, direttamente o indirettamente, almeno al 75% da questa stessa società controllante.
18 Si tratta, da un lato, di prestiti concessi a una società residente nel Regno Unito da una società avente sede in un altro Stato membro, società appartenenti entrambe allo stesso gruppo societario al vertice del quale si trova una società capogruppo stabilita in quest’ultimo Stato. Tale è il caso di alcune delle cause «pilota», ossia quelle relative ai gruppi Lafarge e Volvo, in cui la società mutuante e la società capogruppo hanno sede in uno stesso Stato membro, in concreto rispettivamente in Francia e in Svezia.
19 Dall’altro, in alcune di dette cause «pilota» si tratta di una società britannica appartenente a un gruppo societario al cui vertice si trova una società capogruppo avente sede in un paese terzo, ossia gli Stati Uniti d’America, e che ha ricevuto un prestito da un’altra società dello stesso gruppo residente invece in un altro Stato membro (caso di un primo tipo di domande del gruppo Caterpillar, relative ad un prestito concesso da una società mutuante avente sede in Irlanda), o in un paese terzo (caso di un secondo tipo di domande del gruppo Caterpillar, relative ad un prestito concesso da una società mutuante svizzera), oppure anche in un altro Stato membro ma operativa attraverso una filiale stabilita in un paese terzo (caso del gruppo PepsiCo, in cui la società mutuante ha sede in Lussemburgo, ma opera attraverso una filiale svizzera).
20 Secondo l’ordinanza di rinvio, alcune società ricorrenti hanno convertito una parte di tali prestiti in fondi propri al fine di evitare che, ai sensi della normativa in vigore nel Regno Unito, gli interessi pagati sul saldo di detti prestiti siano qualificati come utili distribuiti. Alcune delle ricorrenti nella causa principale hanno concluso con l’amministrazione tributaria britannica un accordo relativamente al metodo di applicazione di tale normativa, il quale fissava i criteri sulla base dei quali tale amministrazione tributaria avrebbe valutato i prestiti da concedere nell’ambito del gruppo societario nel corso degli anni a venire.
21 In seguito alla citata sentenza Lankhorst-Hohorst, le ricorrenti nella causa principale hanno presentato domande di ripetizione e/o di compensazione relativamente agli svantaggi fiscali che sarebbero derivati dall’applicazione della normativa britannica nei loro confronti, tra i quali, in particolare, l’eccedenza di imposta sulle società pagata in seguito alla decisione dell’amministrazione fiscale del Regno Unito di non ammettere la deduzione degli interessi versati dai loro utili imponibili e/o di limitare detta deduzione, nonché l’eccedenza di imposta risultante dalla conversione, da parte di tali società, di capitale esterno in capitale proprio.
22 In tale contesto la High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se gli artt. 43 CE, 49 CE o 56 CE ostino a che uno Stato membro (lo “Stato della società mutuataria”) mantenga in vigore e applichi disposizioni quali quelle di cui agli artt. 209 e 212 e all’allegato 28 AA dell’[ICTA; in prosieguo: le “disposizioni nazionali”] che impongono restrizioni alla possibilità per una società residente in tale Stato membro (la “società mutuataria”) di dedurre a fini fiscali interessi su prestiti concessi da una società controllante, in via diretta o indiretta, residente in un altro Stato membro, qualora, laddove la società controllante avesse avuto sede nello Stato della società mutuataria, quest’ultima non avrebbe subito restrizioni.
2) Se, ai fini della soluzione alla questione sub 1) vi sia differenza, ed eventualmente quale, qualora:
a) il prestito venga concesso non dalla società controllante della società mutuataria, bensì da un’altra società (“la società mutuante”) appartenente allo stesso gruppo societario, la quale abbia in comune con la società mutuataria la stessa società controllante, in via diretta o indiretta, e sia la comune società controllante sia la società mutuante abbiano sede in Stati membri diversi dallo Stato membro della società mutuataria;
b) la società mutuante sia residente in uno Stato membro diverso da quello della società mutuataria, ma tutte le società controllanti, in via diretta o indiretta, comuni alla società mutuataria e alla società mutuante abbiano sede in un paese terzo;
c) tutte le società controllanti, in via diretta o indiretta, comuni alla società mutuante e alla società mutuataria abbiano sede in paesi terzi e la società mutuante abbia sede in uno Stato membro diverso da quello della società mutuataria, ma eroghi il prestito alla società mutuataria attraverso una filiale situata in un paese terzo;
d) la società mutuante e tutte le società controllanti, in via diretta o indiretta, comuni alla società mutuante e alla società mutuataria abbiano sede in paesi terzi.
3) Se la soluzione alle questioni sub 1) e 2) sarebbe diversa qualora si provasse che il prestito costituiva un abuso di diritto ovvero era parte di una costruzione artificiosa intesa a eludere la legislazione fiscale dello Stato membro della società mutuataria; in tal caso, quali indicazioni ritenga opportuno fornire la Corte di giustizia riguardo all’individuazione degli elementi costitutivi di un abuso di diritto o di una costruzione artificiosa del genere in casi come quello di specie.
4) Qualora risultasse accertata una restrizione ai movimenti di capitali tra Stati membri e paesi terzi contemplata dall’art. 56 CE, se tale restrizione esistesse al 31 dicembre 1993 ai fini dell’applicazione dell’art. 57 CE.
5) Se, nell’ipotesi in cui le fattispecie cui si riferiscono le questioni sub 1) o 2) violino gli artt. 43 CE, 49 CE o 56 CE, le seguenti domande proposte dalla società mutuataria o da altre società appartenenti al suo stesso gruppo (“le ricorrenti”):
a) domanda di rimborso dell’imposta sulle società pagata in eccedenza dalla società mutuataria a seguito del mancato riconoscimento della deducibilità dagli utili soggetti all’imposta sulle società dell’interesse versato alla società mutuante, mentre il versamento di tale interesse sarebbe stato considerato deducibile dagli utili della società mutuataria se la società mutuante avesse avuto sede nel suo stesso Stato;
b) domanda di rimborso dell’imposta sulle società pagata in eccedenza dalla società mutuataria nel caso in cui l’intero importo dell’interesse sul prestito sia stato effettivamente versato alla società mutuante, ma il diritto alla deduzione relativamente a tale interesse sia stato limitato in forza della normativa nazionale o dell’applicazione datane dall’autorità tributaria;
c) domanda di rimborso dell’imposta sulle società pagata in eccedenza dalla società mutuataria nel caso in cui l’importo dell’interesse sui prestiti della società mutuante deducibile dagli utili della società mutuataria sia stato ridotto a causa della sottoscrizione di capitale proprio anziché di capitale esterno, o a causa dell’impiego di capitale proprio al posto di capitale esterno esistente, in forza della normativa nazionale o dell’applicazione datane dall’autorità tributaria;
d) domanda di rimborso dell’imposta sulle società pagata in eccedenza dalla società mutuataria nel caso in cui l’importo dell’interesse sui prestiti della società mutuante deducibile dagli utili della società mutuataria sia stato ridotto in seguito alla riduzione del tasso d’interesse applicabile al prestito (o essendo il prestito stato reso infruttifero), in forza della normativa nazionale o dell’applicazione datane dall’autorità tributaria;
e) domanda di ripetizione o di compensazione per perdite, o altri sgravi fiscali o crediti d’imposta, della società mutuataria (o a questa ceduti a tale società da altre società del suo stesso gruppo e con sede nel suo stesso Stato), utilizzati da quest’ultima per compensare quanto pagato in eccedenza a titolo di imposta sulle società, ai sensi dei precedenti punti sub a), b) o c), qualora tali perdite, sgravi e crediti sarebbero stati altrimenti disponibili per un uso diverso o riportabili;
f) domanda di rimborso di un anticipo dell’imposta sulle società non utilizzato versato dalla società mutuataria sui pagamenti di interessi effettuati a favore della società mutuante, che sono stati riqualificati come dividendi;
g) domanda di ripetizione o di compensazione relativamente ad importi pagati a titolo di anticipi d’imposta sulle società nelle circostanze di cui al precedente punto sub f), ma successivamente compensati con i debiti relativi all’imposta sulle società della società mutuataria;
h) domanda di compensazione per costi e spese sopportati dalle ricorrenti per conformarsi alla normativa nazionale e all’applicazione datane dall’autorità tributaria;
i) domanda di ripetizione o di compensazione per la perdita di utile sul capitale esterno investito quale capitale proprio (o convertito in capitale proprio) nelle circostanze descritte sub c); e
j) domanda di ripetizione o di compensazione per tutti gli oneri fiscali che abbiano gravato sulla società mutuante nel suo Stato di residenza in relazione alla presunta o ascritta ricezione di interessi dalla società mutuataria riqualificata come una distribuzione di utili in forza delle disposizioni citate nella questione sub 1),
debbano essere qualificate, in base al diritto comunitario, quali:
– domande di ripetizione o di rimborso di somme indebitamente tassate, conseguenti e complementari alla violazione delle suddette disposizioni comunitarie, o
– domande di compensazione o di risarcimento danni, o
– domande per il pagamento di una somma rappresentante un beneficio indebitamente negato.
6) Nell’ipotesi in cui qualsivoglia parte della questione sub 5) venga risolta nel senso che le domande devono essere qualificate come domande di pagamento di una somma rappresentante un beneficio indebitamente negato:
a) se tali domande siano conseguenti e complementari al diritto conferito dalle suddette disposizioni comunitarie, o
b) se tutte o alcune delle condizioni per il risarcimento stabilite nella sentenza [5 marzo 1996, cause riunite C 46/93 e C 48/93, Brasserie du Pêcheur e Factortame (Racc. pag. I-1029)], debbano essere soddisfatte, o
c) se debbano essere soddisfatti altri requisiti.
7) Se rilevi il fatto che le domande di cui alla questione sub 6), come disciplinate dal diritto nazionale, siano proposte quali domande di rimborso o siano o debbano essere proposte quali domande di risarcimento danni.
8) Quali indicazioni, se del caso, ritiene opportuno fornire la Corte di giustizia nel caso di specie riguardo alle circostanze di cui il giudice nazionale dovrebbe tener conto nel determinare se sussista una violazione grave e manifesta nel senso della [citata] sentenza Brasserie du Pêcheur e Factortame, con particolare riferimento alla questione se, tenuto conto dell’orientamento della giurisprudenza sull’interpretazione delle disposizioni comunitarie rilevanti, la violazione fosse scusabile.
9) Se, in linea di principio, possa rinvenirsi un nesso causale diretto (ai sensi della sentenza [citata] Brasserie du Pêcheur e Factortame) fra una violazione degli artt. 43 CE, 49 CE e 56 CE e danni rientranti nelle categorie indicate nella questione sub 5), lett. a)-h), asseritamente da essa derivanti; in caso di soluzione affermativa, quali indicazioni, se del caso, ritiene opportuno fornire la Corte di giustizia in ordine alle circostanze di cui il giudice nazionale dovrebbe tener conto nell’accertamento della sussistenza di tale nesso causale diretto.
10) Se, nell’accertamento del danno risarcibile, il giudice nazionale possa tener conto della questione se le persone lese abbiano dato prova di aver agito con ragionevole diligenza al fine di evitare il danno subito o limitarne l’entità, in particolare avvalendosi esse stesse di rimedi giuridici che avrebbero potuto stabilire che le disposizioni nazionali non avevano l’effetto (a causa dell’applicazione di convenzioni contro la doppia imposizione) di imporre le restrizioni descritte nella questione sub 1). Se sulla soluzione a tale questione possano incidere le convinzioni che le parti avevano all’epoca riguardo agli effetti delle convenzioni contro la doppia imposizione».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima e sulla terza questione
23 Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli artt. 43 CE, 49 CE o 56 CE ostino ad una normativa di uno Stato membro che limita la possibilità per una società residente di dedurre a fini fiscali gli interessi versati su prestiti concessi da una società controllante, in via diretta o indiretta, residente in un altro Stato membro, qualora detta società residente non avrebbe subito una tale restrizione se gli interessi fossero stati versati su prestiti concessi da una società controllante avente sede in tale primo Stato membro.
24 Occorre trattare tale questione congiuntamente alla terza questione, con cui il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la soluzione da dare alla prima questione cambi qualora si possa dimostrare che i prestiti costituiscono un abuso di diritto ovvero fanno parte di una costruzione artificiosa intesa a eludere la normativa fiscale dello Stato membro di residenza della società mutuataria.
25 In via preliminare, si deve rammentare che, se è pur vero che la materia delle imposte dirette rientra nella competenza degli Stati membri, questi ultimi devono tuttavia esercitare tale competenza nel rispetto del diritto comunitario (v., in particolare, sentenze 8 marzo 2001, cause riunite C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft e a., Racc. pag. I-1727, punto 37; 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks & Spencer, Racc. pag. I-10837, punto 29, e 12 dicembre 2006, causa C-374/04, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, Racc. pag. I-11673, punto 36).
Sulle libertà di circolazione applicabili
26 Poiché il giudice del rinvio interroga la Corte sull’interpretazione sia dell’art. 43 CE, relativo alla libertà di stabilimento, e dell’art. 49 CE, relativo alla libera prestazione di servizi, sia dell’art. 56 CE, relativo alla libera circolazione dei capitali, occorre stabilire se una normativa nazionale quale quella di cui alla causa principale possa essere fatta rientrare nell’ambito di applicazione di tali libertà.
27 Ai sensi di una costante giurisprudenza, rientrano nell’ambito di applicazione materiale delle disposizioni del Trattato CE relative alla libertà di stabilimento le disposizioni nazionali che si applicano alla detenzione da parte di un cittadino dello Stato membro interessato, nel capitale di una società stabilita in un altro Stato membro, di una partecipazione tale da conferirgli una sicura influenza sulle decisioni di tale società e da consentirgli di indirizzarne le attività (v., in tal senso, sentenze 13 aprile 2000, causa C-251/98, Baars, Racc. pag. I-2787, punto 22; 21 novembre 2002, causa C-436/00, X e Y, Racc. pag. I-10829, punto 37, e 12 settembre 2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, Racc. pag. I-7995, punto 31).
28 Nel caso concreto, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 33 e 34 delle sue conclusioni, le disposizioni nazionali in questione, nella misura in cui prevedono la riqualificazione come utili distribuiti di interessi versati da una società residente (in prosieguo: la «società mutuataria»), su un prestito concesso da una società non residente (in prosieguo: la «società mutuante»), si applicano esclusivamente a situazioni in cui la società mutuante esercita una sicura influenza sulla società mutuataria o sia essa stessa controllata da una società dotata di una tale influenza.
29 Da un lato, per quanto riguarda la normativa in vigore prima delle modifiche intervenute nel 1998, le disposizioni rilevanti dell’ICTA si applicavano ai prestiti concessi da una società non residente ad una controllata residente, il cui capitale era detenuto al 75% dalla prima società o quando le due società erano controllate al 75% da una terza società.
30 Dall’altro, per quanto riguarda le modifiche intervenute nel 1998, la normativa in questione si applica esclusivamente quando le due società interessate sono soggette ad un comune controllo, nel senso che una di esse partecipa direttamente o indirettamente alla gestione, al controllo o al capitale dell’altra società o che un terzo partecipa direttamente o indirettamente alla gestione, al controllo o al capitale delle altre due società interessate.
31 Infatti, come rilevato dalla Commissione delle Comunità europee, una normativa quale quella di cui alla causa principale, che mira ad ostacolare la «sottocapitalizzazione» («thin capitalisation») di società residenti da parte di una società collegata non residente, riguarda solo le situazioni in cui quest’ultima società detiene un controllo su altre società appartenenti allo stesso gruppo tale da permetterle di influenzarne le scelte in materia di finanziamenti, e in particolare quella relativa alla questione se queste società debbano essere finanziate per mezzo di un prestito o di un apporto di capitale.
32 Peraltro, dall’ordinanza di rinvio emerge che le cause scelte come cause «pilota» nell’ambito della controversia pendente dinanzi al giudice del rinvio si riferiscono a società controllate aventi sede nel Regno Unito detenute, direttamente o indirettamente, almeno al 75% da una società controllante non residente o da un’altra società non residente parimenti detenuta, direttamente o indirettamente, almeno al 75% da tale società controllante.
33 Una normativa quale quella di cui alla causa principale, che riguarda solo relazioni nell’ambito di uno stesso gruppo societario, incide prevalentemente sulla libertà di stabilimento e deve quindi essere esaminata alla luce dell’art. 43 CE (v., in tal senso, sentenze Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, cit., punto 32, e 12 dicembre 2006, causa C-446/04, Test Claimants in the FII Group Litigation, Racc. pag. I-11753, punto 118).
34 Ammesso che, come sostengono le ricorrenti nella causa principale, tale normativa abbia effetti restrittivi sulla libera prestazione dei servizi e sulla libera circolazione dei capitali, tali effetti sarebbero l’inevitabile conseguenza di un eventuale ostacolo alla libertà di stabilimento e non giustificano un esame di detta normativa sulla base degli artt. 49 CE e 56 CE (v., in tal senso, sentenze 14 ottobre 2004, causa C-36/02, Omega, Racc. pag. I-9609, punto 27; Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, cit., punto 33, e 3 ottobre 2006, causa C-452/04, Fidium Finanz, Racc. pag. I-9521, punti 48 e 49).
35 Occorre quindi risolvere le questioni sollevate esclusivamente sulla base dell’art. 43 CE.
Sull’esistenza di una restrizione alla libertà di stabilimento
36 La libertà di stabilimento, che l’art. 43 CE attribuisce ai cittadini comunitari e che implica per essi l’accesso alle attività non subordinate ed il loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese, alle stesse condizioni previste dalle leggi dello Stato membro di stabilimento per i propri cittadini, comprende, ai sensi dell’art. 48 CE, per le società costituite a norma delle leggi di uno Stato membro e che abbiano la sede sociale, l’amministrazione centrale o la sede principale nel territorio della Comunità europea, il diritto di svolgere la loro attività nello Stato membro di cui trattasi mediante una controllata, una succursale o un’agenzia (v., in particolare, sentenze 21 settembre 1999, causa C-307/97, Saint-Gobain ZN, Racc. pag. I-6161, punto 35; Marks & Spencer, cit., punto 30, nonché Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, cit., punto 41).
37 Per le società, la loro sede ai sensi dell’art. 48 CE serve a determinare, al pari della cittadinanza per le persone fisiche, il loro collegamento con l’ordinamento giuridico di uno Stato. Ammettere che lo Stato membro di stabilimento di una società controllata possa liberamente riservare un trattamento diverso a tale controllata per il solo fatto che la sede della sua controllante si trova in un altro Stato membro svuoterebbe di contenuto l’art. 43 CE (v., in tal senso, sentenze 28 gennaio 1986, causa 270/83, Commissione/Francia, Racc. pag. 273, punto 18; 13 luglio 1993, causa C-330/91, Commerzbank, Racc. pag. I-4017, punto 13; Metallgesellschaft e a., cit., punto 42, e Marks & Spencer, cit., punto 37). La libertà di stabilimento è volta pertanto a garantire il beneficio del trattamento nazionale nello Stato membro di accoglienza, vietando ogni discriminazione fondata sul luogo della sede delle società (v., in tal senso, sentenze citate Commissione/Francia, punto 14, e SainT-Gobain ZN, punto 35).
38 Nel caso di specie, le disposizioni nazionali relative alla «sottocapitalizzazione» prevedono che, in alcune circostanze, gli interessi versati da una società a un’altra società appartenente allo stesso gruppo su prestiti concessi da quest’ultima sono qualificati come utili distribuiti, vietando così alla società mutuataria la deduzione degli interessi versati dall’utile imponibile.
39 Dal fascicolo emerge che la qualifica degli interessi versati ad una società collegata come utili distribuiti può appesantire il carico fiscale della società mutuataria non solo per il fatto che l’utile l’imponibile non può essere ridotto dell’importo degli interessi versati, ma anche per il fatto che, a causa della qualifica di detti interessi come utili distribuiti, tale società può essere obbligata a versare l’imposta anticipata sulle società al momento di tale operazione.
40 Orbene, si rileva che le disposizioni nazionali relative alla sottocapitalizzazione introducono una disparità di trattamento tra società mutuatarie residenti a seconda che la società collegata mutuante abbia o meno sede nel Regno Unito.
41 Per quanto riguarda, da un lato, la normativa nazionale in vigore fino al 1995, è vero che gli interessi pagati da una società residente erano, in linea di principio, qualificati come utili distribuiti nella misura in cui eccedevano l’importo di un ragionevole rendimento economico del prestito in questione, indipendentemente dal luogo di residenza della società mutuante. Tuttavia, nel caso in cui una società residente versava interessi ad una società collegata non residente, al di fuori dei casi previsti da una CDI che escludeva l’applicazione della normativa nazionale, tali interessi erano sempre trattati come utili distribuiti, anche se corrispondevano ad un rendimento economico ragionevole di detto prestito.
42 D’altro lato, per quanto riguarda la normativa nazionale applicabile tra il 1995 e il 1998, la disposizione che equiparava ad utili distribuiti gli interessi versati da una società a un’altra società appartenente allo stesso gruppo societario quando tali interessi superavano quanto sarebbe stato convenuto in assenza di relazioni speciali tra il debitore di detti interessi ed il loro beneficiario o fra tali parti e un terzo non si applicava nel caso in cui sia la società mutuataria che la società mutuante erano soggette al regime tributario britannico.
43 Parimenti, ai sensi della normativa applicabile tra il 1998 e il 2004, agli interessi versati tra società appartenenti ad uno stesso gruppo si applicavano le norme relative ai prezzi di trasferimento nel caso in cui tali interessi si riferivano ad una transazione conclusa a condizioni diverse da quelle che sarebbero state pattuite se tali società non fossero appartenute al medesimo gruppo e se le condizioni stipulate nell’ambito di tale transazione avevano procurato rispetto alla normativa fiscale britannica un vantaggio potenziale ad una delle parti interessate. Ai sensi di tale normativa, un tale vantaggio non era considerato esistente in presenza di alcune condizioni, in particolare se la controparte della transazione era parimenti assoggettata al regime tributario britannico.
44 Orbene, considerato che una società è soggetta all’imposta britannica se residente in tale Stato membro o se vi esercita un’attività economica tramite una filiale o un’agenzia, le disposizioni applicabili tra il 1995 e il 2004 assoggettavano a restrizioni fondamentalmente i prestiti concessi da società controllanti non residenti.
45 Ne deriva che, ancor prima del 1995 e, in ogni caso, tra il 1995 e il 2004, in caso di versamento di interessi da parte di una società residente su un prestito concesso da una società collegata non residente, la situazione fiscale della prima società era meno vantaggiosa di quella di una società mutuataria residente che avesse ricevuto un prestito da una società collegata residente.
46 Per quanto riguarda la compatibilità di tale disparità di trattamento con le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento, il governo tedesco e quello britannico sostengono, innanzi tutto, che tali disposizioni non si applicano ad una normativa nazionale il cui oggetto consiste esclusivamente nell’attuazione della competenza in materia fiscale quale ripartita, conformemente ai principi riconosciuti a livello internazionale, nelle CDI concluse dal Regno Unito.
47 Al riguardo, tali governi invocano il principio secondo cui gli Stati possono ripartire gli utili di società appartenenti a uno stesso gruppo fondandosi sulla regola della «piena concorrenza» o della «comparazione con il terzo» enunciata, in particolare, dall’art. 9 del modello di convenzione sul reddito e sul capitale dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Il governo tedesco aggiunge che, secondo tale regola, lo Stato di residenza della società mutuante è competente a tassare gli interessi percepiti se la transazione in questione è simile ad una transazione realizzata fra terzi, mentre, in caso contrario, tale competenza spetta allo Stato di residenza della società mutuataria.
48 Per quanto riguarda l’applicazione di tale principio, il governo del Regno Unito precisa che la maggior parte delle CDI che tale Stato membro ha concluso contiene una disposizione che permette alle rispettive autorità competenti di effettuare una correzione compensativa grazie alla quale ogni correzione in aumento degli utili imponibili nello Stato della società mutuataria troverà la sua contropartita in una corrispondente riduzione degli utili imponibili nello Stato in cui ha sede la società mutuante.
49 Al riguardo, occorre ricordare che, in mancanza di disposizioni di unificazione o di armonizzazione comunitaria, gli Stati membri rimangono competenti per definire, in via convenzionale o unilaterale, i criteri per ripartire il loro potere impositivo, in particolare al fine di eliminare la doppia imposizione (sentenze 12 maggio 1998, causa C-336/96, Gilly, Racc. pag. I-2793, punti 24 e 30; 7 settembre 2006, C-470/04, N, Racc. pag. I-7409, punto 44, e 14 novembre 2006, causa C-513/04, Kerckhaert e Morres, Racc. pag. I-10967, punti 22 e 23). In tale ambito, spetta agli Stati membri adottare le misure necessarie per prevenire la doppia imposizione, utilizzando, in particolare, i criteri di ripartizione seguiti nella prassi fiscale internazionale, ivi inclusi i modelli di convenzione elaborati dall’OCSE (v., in tal senso, sentenze citate Gilly, punto 31, N, punto 45, e Kerckhaert e Morres, punto 23).
50 Tuttavia, le disposizioni nazionali di cui trattasi nella causa principale non derivano da una semplice ripartizione di competenze tra il Regno Unito e i paesi con cui questo ha concluso delle CDI.
51 Infatti, tali disposizioni nazionali, prevedendo, prima delle modifiche legislative intervenute nel 1995, che, salvo clausola contraria di una CDI, gli interessi versati da una società residente su un prestito concesso da una società collegata non residente dovessero essere qualificati come utili distribuiti, riflettevano una scelta unilaterale del legislatore britannico. Lo stesso valeva prima delle modifiche intervenute nel 1998 per gli interessi versati in un contesto del genere quando essi superavano quanto sarebbe stato pagato in condizioni di piena concorrenza, nonché, in seguito alle modifiche legislative intervenute nel 1998, per le transazioni concluse tra due società sottoposte a un controllo comune a condizioni diverse da quelle che sarebbero state convenute se le società non fossero state soggette a un siffatto controllo, in particolare laddove tali condizioni procuravano a una delle parti della transazione un potenziale vantaggio fiscale rispetto alla normativa vigente nel Regno Unito.
52 Piuttosto che cercare di evitare la doppia imposizione di utili realizzati nel Regno Unito, tali disposizioni riflettevano la scelta di tale Stato membro di configurare il proprio regime fiscale in modo tale da evitare che tali utili fossero sottratti all’imposta nel suo territorio tramite un sistema di sottocapitalizzazione di società controllate residenti da parte di società collegate non residenti. Come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 55 e 56 delle sue conclusioni, il carattere unilaterale delle disposizioni che qualificano taluni interessi versati a società non residenti come utili distribuiti non è smentito né dal fatto che, per l’attuazione di una tale qualifica, tale Stato membro si sia ispirato ai principi riconosciuti a livello internazionale, né tanto meno dalla circostanza che, per società mutuanti residenti in alcuni altri paesi, detto Stato abbia tentato di combinare l’applicazione della sua normativa interna con CDI contenenti clausole dirette a evitare o a attenuare la doppia imposizione che potesse derivare da una tale qualifica.
53 Inoltre, anche se, in alcuni casi, l’applicazione delle disposizioni in questione nella causa principale costituiva solo un’attuazione dei criteri fissati nelle CDI, ciò nondimeno gli Stati membri, nell’esercizio della competenza fiscale così ripartita, devono conformarsi alle regole comunitarie (v., in tal senso, sentenze Saint-Gobain ZN, cit., punti 58 e 59, e 12 dicembre 2002, causa C-385/00, De Groot, Racc. pag. I-11819, punto 94), in particolare alla libertà di stabilimento quale garantita dall’art. 43 CE.
54 Infine, per quanto riguarda il fatto che, ai sensi delle disposizioni di una CDI, l’aumento degli utili imponibili derivante da una riqualificazione dell’interesse possa essere compensato da una corrispondente riduzione degli utili imponibili nello Stato di residenza della società mutuante, è vero che, dato che il regime fiscale derivante da una CDI è parte del contesto normativo applicabile alla causa principale ed è stato definito tale dal giudice del rinvio, la Corte deve tenerne conto per fornire a quest’ultimo un’interpretazione del diritto comunitario che gli sia utile (v., in tal senso, sentenze 7 settembre 2004, causa C-319/02, Manninen, Racc. pag. I-7477, punto 21; 19 gennaio 2006, causa C-265/04, Bouanich, Racc. pag. I-923, punti 51-55; Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, cit., punto 71, nonché 14 dicembre 2006, causa C-170/05, Denkavit Internationaal e Denkavit France, Racc. pag. I-11949, punto 45).
55 Tuttavia, dal fascicolo non emerge che, quando, in forza della normativa in vigore nel Regno Unito, gli interessi versati da una società residente ad una società collegata non residente sono qualificati come utili distribuiti, l’applicazione combinata di tale normativa interna con le disposizioni rilevanti di una CDI permette, in via generale, di neutralizzare l’appesantimento del carico fiscale risultante dalla rettifica operata sugli utili imponibili della società mutuataria. Al riguardo, le ricorrenti nella causa principale non condividono la tesi del governo britannico secondo cui, ai sensi delle CDI concluse dal Regno Unito con altri Stati membri e in forza dell’applicazione della convenzione 23 luglio 1990, 90/436/CEE, relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate (GU L 225, pag. 10), lo svantaggio fiscale arrecato a un gruppo societario a causa dell’applicazione delle disposizioni nazionali in materia di sottocapitalizzazione è sempre stato compensato da un corrispondente vantaggio.
56 Anche ammettendo che un vantaggio fiscale concesso nello Stato di residenza della società mutuante sia in grado di neutralizzare il carico fiscale derivante per la società mutuataria dall’applicazione della normativa del suo Stato di residenza, dal fascicolo non risulta che, in forza di un’applicazione congiunta della normativa vigente nel Regno Unito e delle CDI concluse da tale Stato membro, qualsiasi rettifica in aumento degli utili imponibili della società mutuataria, derivante dalla riqualificazione degli interessi versati ad una società collegata non residente, sia neutralizzata dalla concessione di un vantaggio fiscale a quest’ultima società nel suo Stato di residenza.
57 In secondo luogo, il governo britannico sostiene che la disparità di trattamento prevista dalla normativa di cui alla causa principale non costituisce un ostacolo diretto e certo all’esercizio della libertà di stabilimento, dato che essa non ha né come oggetto né come effetto quello di scoraggiare l’esercizio, nel Regno Unito, della libertà di stabilimento da parte di società aventi sede in altri Stati membri.
58 Secondo detto governo e il governo tedesco, la normativa britannica vigente, piuttosto che dare luogo ad una discriminazione, distingue solo tra situazioni non comparabili. Tali governi precisano, infatti, che è solo in un contesto transfrontaliero che un gruppo societario può, finanziando una controllata residente nel Regno Unito tramite capitale di prestito piuttosto che tramite capitale proprio, organizzare un «trasferimento di utili» verso un altro Stato in cui essi saranno soggetti ad un’imposta inferiore, facendo in modo che gli utili realizzati dalla controllata residente sfuggano all’imposta britannica. Inoltre, solo una società controllante straniera avrebbe la scelta di stabilirsi nello Stato in cui gli interessi siano tassati in base a un’aliquota particolarmente bassa, se non esenti da imposta.
59 Al riguardo, occorre rilevare, da un lato, che la disparità di trattamento cui sono soggette, nell’ambito di una normativa quale quella di cui alla causa principale, le controllate di società controllanti non residenti rispetto alle controllate di società controllanti residenti può restringere la libertà di stabilimento, anche se, sul piano fiscale, la situazione di un gruppo societario transfrontaliero non è comparabile a quella di un gruppo le cui società risiedono tutte nello stesso Stato membro.
60 Senz’altro, all’interno di un gruppo societario, il rischio che il finanziamento di una controllata sia disposto al fine di organizzare un trasferimento di utili verso uno Stato in cui questi sono soggetti ad un’imposta inferiore normalmente non esiste se tutte le società interessate sono soggette, nello stesso Stato membro, alla stessa aliquota d’imposta. Tuttavia, ciò non esclude che le norme adottate da uno Stato membro per disciplinare specificamente la situazione dei gruppi transfrontalieri possano, in taluni casi, rappresentare una restrizione alla libertà di stabilimento delle società interessate.
61 D’altro lato, occorre rilevare che una disparità di trattamento tra controllate residenti in funzione del luogo della sede della loro controllante costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento in quanto scoraggia l’esercizio di tale libertà da parte delle società stabilite in altri Stati membri, le quali potrebbero di conseguenza rinunciare all’acquisizione, alla creazione o al mantenimento di una controllata nello Stato membro in cui vige tale norma (v. sentenza Lankhorst-Hohorst, cit., punto 32).
62 Contrariamente a quanto sostenuto dal governo britannico, perché detta normativa possa essere considerata come restrittiva della libertà di stabilimento, è sufficiente che essa sia tale da restringere l’esercizio di questa libertà in uno Stato membro per società aventi sede in un altro Stato membro, senza che occorra dimostrare che la normativa di cui trattasi ha effettivamente avuto l’effetto di indurre alcune di dette società a rinunciare all’acquisizione, alla creazione o al mantenimento di una controllata nel primo Stato membro.
63 Ne deriva che la disparità di trattamento, nell’ambito delle disposizioni nazionali di cui alla causa principale in materia di sottocapitalizzazione, tra le società mutuatarie residenti a seconda del luogo della sede della società collegata mutuante costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento.
Sulla giustificazione della restrizione alla libertà di stabilimento
64 Una restrizione del genere può essere ammessa solo per ragioni imperative di interesse generale. Anche in tale ipotesi, però, la sua applicazione dovrebbe essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo in tal modo perseguito e non eccedere quanto necessario per raggiungerlo (sentenze citate Marks & Spencer, punto 35, nonché Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, punto 47).
65 Il governo britannico, sostenuto dal governo tedesco, ritiene che le disposizioni nazionali di cui alla causa principale siano giustificate sia dalla necessità di garantire la coerenza del sistema fiscale nazionale che dalla necessità di lottare contro l’evasione fiscale. Secondo il governo del Regno Unito, si tratterebbe, in realtà, di due aspetti di uno stesso obiettivo, consistente nel vigilare sull’esistenza di un regime fiscale equo e coerente.
– Sulla necessità di assicurare la coerenza del sistema fiscale nazionale
66 Per quanto riguarda, innanzi tutto, la necessità di garantire la coerenza del sistema fiscale interno, il governo britannico sostiene che la normativa nazionale, assicurando la tassazione delle distribuzioni «occulte» di dividendi solo una volta e nel territorio fiscale appropriato, garantisce, tramite le CDI concluse, che l’eventuale aumento degli utili imponibili nel Regno Unito sarà compensato da una corrispondente riduzione degli utili del mutuante imponibili nel suo Stato di residenza. Invece, nella causa decisa con la citata sentenza Lankhorst-Hohorst, non vi sarebbe stata alcuna disposizione equivalente nella CDI conclusa tra la Repubblica federale di Germania e il Regno dei Paesi Bassi.
67 Il governo tedesco aggiunge che, quando la società mutuataria e la società mutuante risiedono in uno stesso Stato membro, il vantaggio fiscale derivante da un versamento di interessi, ossia la deduzione degli stessi dagli utili imponibili della società mutuataria, è sempre compensato da un corrispondente svantaggio fiscale in capo alla società mutuante, ossia la tassazione degli interessi percepiti. Il fatto che una tale compensazione non sia garantita in una situazione in cui la società mutuante risieda in un altro Stato membro indurrebbe gli Stati membri a ripartire la loro competenza fiscale a seconda che la transazione di cui trattasi sia stata conclusa a condizioni analoghe a quelle che si applicherebbero tra due società indipendenti.
68 Al riguardo, si deve rammentare che, ai punti 28 e 21, rispettivamente, delle sentenze 28 gennaio 1992, causa C-204/90, Bachmann (Racc. pag. I-249), e causa C-300/90, Commissione/Belgio (Racc. pag. I-305), la Corte ha riconosciuto che la necessità di garantire la coerenza di un regime fiscale può giustificare restrizioni all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato. Tuttavia, affinché un argomento fondato su tale giustificazione possa trovare accoglimento, occorre che risulti accertata l’esistenza di un nesso diretto tra la concessione del beneficio fiscale de quo e la compensazione di tale beneficio con un determinato prelievo fiscale (v., in tal senso, sentenze 14 novembre 1995, causa C-484/93, Svensson e Gustavsson, Racc. pag. I-3955, punto 18; Manninen, cit., punto 42, e 23 febbraio 2006, causa C-471/04, Keller Holding, Racc. pag. I-2107, punto 40).
69 Come rilevato ai punti 55 e 56 della presente sentenza, anche ammettendo che un vantaggio fiscale concesso nello Stato di residenza della società mutuante sia in grado di neutralizzare il carico fiscale derivante per la società mutuataria dall’applicazione della normativa del suo Stato di residenza, i governi che hanno depositato osservazioni non hanno dimostrato che, in forza di un’applicazione congiunta della normativa vigente nel Regno Unito e delle CDI stipulate da tale Stato membro, qualsiasi rettifica in aumento degli utili imponibili della società mutuataria conseguente alla riqualificazione di interessi versati ad una società collegata non residente viene neutralizzata dalla concessione di un vantaggio fiscale a quest’ultima società nel suo Stato di residenza.
70 In tale contesto, la restrizione alla libertà di stabilimento costituita dalle disposizioni nazionali di cui alla causa principale non può quindi essere giustificata dalla necessità di assicurare la coerenza del sistema fiscale interno.
– Sui motivi di lotta contro le prassi abusive
71 Per quanto riguarda, in secondo luogo, le considerazioni relative alla lotta contro l’evasione fiscale, il governo britannico sottolinea che, contrariamente alla normativa tedesca di cui alla causa decisa con la citata sentenza Lankhorst-Hohorst, le disposizioni nazionali in materia di sottocapitalizzazione riguardano una forma particolare di evasione fiscale, consistente nell’attuazione di strumenti artificiosi destinati a eludere la normativa fiscale dello Stato di residenza della società mutuataria. Le disposizioni vigenti nel Regno Unito non andrebbero al di là di quanto necessario per raggiungere tale obiettivo in quanto si fonderebbero sul principio, riconosciuto a livello internazionale, della piena concorrenza e qualificherebbero come utili distribuiti solo la parte degli interessi eccedente quanto sarebbe stato versato nell’ambito di una transazione conclusa in condizioni di piena concorrenza e, infine, in quanto sarebbero applicate in maniera flessibile, in particolare prevedendo una procedura di previa verifica.
72 Occorre ricordare che, ai sensi di una giurisprudenza costante, una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è giustificabile se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate a eludere la normativa dello Stato membro interessato (v., in tal senso, sentenze 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI, Racc. pag. I-4695, punto 26; Lankhorst-Hohorst, cit., punto 37; Marks & Spencer, cit., punto 57, nonché Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, cit., punto 51).
73 La mera circostanza che una società residente ottenga un prestito da una società collegata avente sede in un altro Stato membro non può fondare una presunzione generale di pratiche abusive, né giustificare una misura che pregiudichi l’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato (v., in tal senso, sentenze 26 settembre 2000, causa C-478/98, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-7587, punto 45; X e Y, cit., punto 62; 4 marzo 2004, causa C-334/02, Commissione/Francia, Racc. pag. I-2229, punto 27, nonché Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, cit., punto 50).
74 Perché sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate a eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte nel territorio nazionale (sentenza Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, cit., punto 55).
75 Al pari delle pratiche di cui al punto 49 della citata sentenza Marks & Spencer, che consisterebbero nell’organizzare trasferimenti di perdite, all’interno di un gruppo societario, in direzione delle società stabilite negli Stati membri che applicano le aliquote fiscali maggiori ed in cui, di conseguenza, è maggiore il valore fiscale di tali perdite, il tipo di comportamenti descritti al punto precedente è tale da violare il diritto degli Stati membri di esercitare la propria competenza fiscale in relazione alle attività svolte nel loro territorio e da compromettere, così, un’equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri (v. sentenza Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, cit., punto 56).
76 Come rilevato dal governo britannico, una normativa nazionale quale quella di cui alla causa principale disciplina la pratica della «sottocapitalizzazione», in forza della quale un gruppo societario cerca di ridurre la tassazione di utili generati da una delle sue controllate scegliendo di finanziare tale controllata tramite prestiti piuttosto che con fondi propri, permettendole così di trasferire utili ad una società controllante sotto forma di interessi deducibili in sede di calcolo dei suoi utili imponibili, e non sotto forma di dividendi non deducibili. Quando la controllante ha sede in uno Stato in cui il tasso d’imposizione è inferiore a quello applicabile nello Stato di residenza della controllata, il debito fiscale è trasferibile verso uno Stato in cui il carico fiscale è minore.
77 Equiparando detti interessi a utili distribuiti, una tale normativa è in grado di prevenire pratiche che avrebbero il solo scopo di eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte nel territorio nazionale. Ne consegue che una tale normativa è idonea a raggiungere l’obiettivo in vista del quale è stata adottata.
78 Occorre ancora verificare se detta normativa non vada al di là di quanto necessario per raggiungere tale obiettivo.
79 Come dichiarato dalla Corte al punto 37 della citata sentenza Lankhorst-Hohorst, tale requisito non è soddisfatto da una normativa nazionale che non ha lo specifico obiettivo di escludere da un vantaggio fiscale le costruzioni di puro artificio finalizzate a sottrarre l’impresa a tale normativa, ma che, in via generale, disciplina qualunque situazione in cui, per qualsivoglia ragione, la società controllante ha la sua sede in un altro Stato membro.
80 Invece, una normativa di uno Stato membro può essere giustificata sulla base di motivi relativi alla lotta contro le pratiche abusive quando essa prevede che gli interessi versati da una controllata residente ad una società controllante non residente siano qualificati come utili distribuiti esclusivamente se e nella misura in cui essi superano quanto tali società avrebbero convenuto in un contesto di piena concorrenza, ossia a condizioni commerciali che avrebbero potuto essere applicate da tali società se queste non fossero appartenute allo stesso gruppo societario.
81 Infatti, la circostanza che una società residente abbia ottenuto un prestito da una società non residente a condizioni diverse da quelle che sarebbero state applicate da tali società in un regime di piena concorrenza costituisce per lo Stato membro di residenza della società mutuataria un elemento oggettivo e verificabile da parte di terzi per stabilire se la transazione in questione rappresenti, in tutto o in parte, una costruzione di puro artificio finalizzata, fondamentalmente, a sottrarre l’impresa dalla legislazione fiscale di tale Stato membro. Al riguardo, si tratta della questione se, in assenza di relazioni speciali tra le società interessate, il prestito non sarebbe stato concesso o se sarebbe stato concesso per un importo o ad un tasso d’interesse diverso.
82 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 67 delle sue conclusioni, una normativa nazionale che si fonda su un esame di elementi oggettivi e verificabili per stabilire se una transazione consista in una costruzione di puro artificio a soli fini fiscali va considerata come non eccedente quanto necessario per prevenire pratiche abusive quando, in primo luogo, in tutti i casi in cui l’esistenza di una tale costruzione non può essere esclusa, il contribuente è messo in grado, senza eccessivi oneri amministrativi, di produrre elementi relativi alle eventuali ragioni commerciali per le quali tale transazione è stata conclusa.
83 Perché una tale normativa resti conforme al principio di proporzionalità, occorre, in secondo luogo, che, ove dalla verifica di tali elementi emerga che la transazione di cui trattasi corrisponde ad una costruzione di puro artificio priva di reali logiche commerciali, la riqualificazione degli interessi versati come utili distribuiti si limiti alla parte di tali interessi che eccede quanto sarebbe stato convenuto in assenza di relazioni speciali tra le parti o tra queste ultime e un terzo.
84 Nel caso concreto, dal fascicolo risulta che, fino alle modifiche intervenute nel 1995, la normativa vigente nel Regno Unito prevedeva che gli interessi versati da una controllata residente su un prestito concesso da una società controllante non residente erano qualificati integralmente come utili distribuiti, senza valutare la conformità del prestito ad un criterio rilevante quale quello della piena concorrenza e senza alcuna possibilità per tale controllata di produrre elementi relativi alle reali ragioni commerciali sulle quali si basava tale prestito.
85 Tuttavia, dal fascicolo emerge anche che tale normativa non si applicava nel caso in cui una CDI ne escludeva l’applicazione garantendo la deducibilità fiscale degli interessi in questione purché il tasso d’interesse non eccedesse quanto sarebbe stato convenuto in condizioni di piena concorrenza. Ai sensi di una tale CDI, solo la parte degli interessi che superava quanto sarebbe stato pagato in condizioni di piena concorrenza era considerata un utile distribuito.
86 Anche se un regime fiscale quale quello derivante, per le situazioni ivi contemplate, dalle CDI concluse dal Regno Unito sembra fondarsi, a prima vista, su un esame di elementi oggettivi e verificabili che consentono di individuare l’esistenza di una costruzione di puro artificio attuata a soli fini fiscali, spetta al giudice del rinvio stabilire, qualora risultasse che le ricorrenti nella causa principale beneficiavano di un tale regime, se quest’ultimo permetteva loro, nel caso in cui le loro transazioni non soddisfacessero le condizioni fissate dalla CDI per valutare la loro conformità al criterio della piena concorrenza, di produrre elementi relativi alle eventuali ragioni commerciali sulle quali si basavano tali transazioni, senza essere soggette a eccessivi oneri amministrativi.
87 Lo stesso vale per le disposizioni nazionali in vigore in seguito alle modifiche legislative intervenute nel 1995 e nel 1998. È pacifico che, ai sensi di tali disposizioni, la riqualificazione come utili distribuiti riguarda solo la parte degli interessi che eccede quanto sarebbe pagato in condizioni di piena concorrenza. Orbene, se, a prima vista, i criteri sanciti da dette disposizioni sembrano esigere un esame di elementi oggettivi e verificabili per concludere per l’esistenza di una costruzione di puro artificio attuata a soli fini fiscali, spetta al giudice del rinvio stabilire se, allorché una transazione non soddisfa il criterio della piena concorrenza, tali disposizioni offrano al contribuente la possibilità di produrre, eventualmente, alle condizioni ricordate al punto precedente, elementi relativi alle ragioni commerciali sulle quali si basava tale transazione.
88 Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, quando uno Stato membro qualifica come utile distribuito tutti o parte degli interessi versati da una società residente ad una società non residente appartenente allo stesso gruppo societario, dopo aver stabilito che si tratta di una costruzione di puro artificio finalizzata a sottrarre l’impresa alla sua normativa fiscale, non si può richiedere a tale Stato membro, in tali circostanze, di assicurarsi che lo Stato di residenza di questa seconda società faccia quanto necessario per evitare che, a livello di detto gruppo, il pagamento considerato come un dividendo sia tassato, in quanto tale, sia nello Stato membro di residenza della prima società che in quello della seconda.
89 Infatti, nella misura in cui, in una tale ipotesi, lo Stato membro di residenza della prima società può legittimamente trattare gli interessi versati da tale società come una distribuzione di utili, non spetta, in linea di principio, a tale Stato garantire che gli utili distribuiti ad una società azionista non residente non siano soggetti ad un’imposizione a catena (v., in tal senso, sentenza Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, cit., punti 59 e 60).
90 È solo quando uno Stato membro decide di esercitare la sua competenza fiscale non soltanto nei confronti della controllata residente, relativamente agli utili generati in tale Stato membro, ma anche nei confronti della società beneficiaria non residente, relativamente al reddito che questa percepisce da tale controllata, che questo stesso Stato, affinché tale società beneficiaria non subisca una limitazione della libertà di stabilimento vietata, in linea di principio, dall’art. 43 CE, deve vigilare affinché, in relazione al meccanismo previsto dal suo diritto interno allo scopo di prevenire o attenuare l’imposizione a catena, una società beneficiaria non residente riceva un trattamento equivalente a quello riservato ad una società beneficiaria residente (v., in tal senso, sentenze citate Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, punto 70, nonché Denkavit Internationaal e Denkavit France, punto 37).
91 Inoltre, occorre ricordare che, come già ricordato al punto 49 della presente sentenza, in mancanza di disposizioni di unificazione o di armonizzazione comunitaria, gli Stati membri rimangono competenti per definire, in via convenzionale o unilaterale, i criteri per ripartire la loro competenza tributaria, in particolare al fine di eliminare la doppia imposizione.
92 Occorre quindi rispondere alla prima e alla terza questione dichiarando che l’art. 43 CE osta ad una normativa di uno Stato membro che limiti la possibilità per una società residente di dedurre, a fini fiscali, gli interessi versati su prestiti concessi da una società controllante, in via diretta o indiretta, residente in un altro Stato membro o da una società residente in un altro Stato membro controllata da tale società controllante, senza assoggettare a una siffatta restrizione una società residente che ha ottenuto un prestito da una società parimenti residente, salvo che, da un lato, tale normativa disponga un esame di elementi oggettivi e verificabili che permettano di individuare l’esistenza di una costruzione di puro artificio attuata a soli fini fiscali, prevedendo la possibilità per il contribuente di produrre, eventualmente e senza eccessivi oneri amministrativi, elementi relativi alle ragioni commerciali soggiacenti alla transazione in questione e, dall’altro, qualora l’esistenza di una tale costruzione venisse accertata, detta normativa qualifichi tali interessi come utili distribuiti solo nella misura in cui questi eccedono quanto sarebbe stato convenuto in condizioni di piena concorrenza.
Sulla seconda questione
93 Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la risposta alla prima questione sarebbe diversa se il prestito alla società residente provenisse, non da una società controllante residente in un altro Stato membro, ma:
– da un’altra società appartenente allo stesso gruppo societario stabilita, così come la società capogruppo, in un altro Stato membro;
– da un’altra società appartenente allo stesso gruppo societario, stabilita in un altro Stato membro mentre le società collegate comuni alla società mutuataria e alla società mutuante risiedono tutte in un paese terzo; o
– da un’altra società appartenente allo stesso gruppo societario stabilita in un altro Stato membro ma che fornisce il prestito tramite una filiale situata in un paese terzo, mentre le società collegate comuni alla società mutuataria e alla società mutuante risiedono in un paese terzo; o
– da un’altra società appartenente allo stesso gruppo societario, stabilita, così come le società collegate comuni alla società mutuataria e alla società mutuante, in un paese terzo.
94 Al riguardo, occorre ricordare, innanzi tutto, che, come rilevato al punto 61 della presente sentenza, una normativa nazionale quale quella di cui alla causa principale che, in materia di qualificazione come utili distribuiti degli interessi versati da una controllata residente ad una società controllante, opera una disparità di trattamento tra controllate residenti a seconda di dove si trova la sede della loro controllante, limita la libertà di stabilimento in quanto scoraggia l’esercizio di tale libertà da parte di società aventi sede in altri Stati membri, che potrebbero quindi rinunciare alla creazione o al mantenimento di una controllata nello Stato membro che ha disposto tale misura.
95 Ne deriva che una tale normativa costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento vietata, in linea di principio, dall’art. 43 CE, sia quando la società mutuataria residente ottiene un prestito da una società avente sede in un altro Stato membro la quale, direttamente o indirettamente, detiene nel capitale della società mutuataria una partecipazione tale da consentirle di esercitare una sicura influenza sulle decisioni di tale società e di indirizzarne le attività, sia quando la società mutuataria ottiene un prestito da una società non residente che, indipendentemente dalla sua sede, è essa stessa controllata da una società stabilita in un altro Stato membro e che detiene, direttamente o indirettamente, una partecipazione del genere nel capitale della società mutuataria.
96 La risposta fornita alla prima questione pregiudiziale vale quindi anche per l’ipotesi menzionata al primo trattino della seconda questione pregiudiziale.
97 Quanto alle ipotesi invocate al secondo, al terzo e al quarto trattino della seconda questione pregiudiziale, occorre ricordare, come è stato rilevato al punto 36 della presente sentenza, che l’art. 43 CE, letto congiuntamente all’art. 48 CE, comprende, per le società costituite a norma delle leggi di uno Stato membro e che abbiano la sede sociale, l’amministrazione centrale o la sede principale nel territorio della Comunità, il diritto di svolgere la loro attività in un altro Stato membro mediante una controllata, una succursale o un’agenzia.
98 Non può quindi rilevare ai fini dell’art. 43 CE l’applicazione di una normativa nazionale, quale quella di cui alla causa principale, ad una situazione in cui una società residente ottiene un prestito da una società stabilita in un altro Stato membro la quale, di per sé, non detiene una partecipazione di controllo nella società mutuataria e quando tali due società sono controllate, direttamente o indirettamente, da una comune società collegata che, invece, risiede in un paese terzo.
99 Infatti, allorché, in una siffatta situazione, lo Stato membro che ha adottato tale normativa equipara ad utili distribuiti gli interessi versati dalla società mutuataria, tale misura incide sulla libertà di stabilimento non per quanto riguarda la società mutuante, ma unicamente in capo alla società collegata che dispone di un livello di controllo sulle altre due società interessate tale da consentirle di influenzare la scelta dei finanziamenti di dette società. Orbene, poiché detta società collegata non ha sede in uno Stato membro ai sensi dell’art. 48 CE, l’art. 43 CE non è applicabile.
100 Per le medesime ragioni, non rileva ai fini dell’art. 43 CE l’applicazione di tale normativa ad una situazione in cui sia la società mutuante che la comune società collegata risiedono in un paese terzo, né ad una situazione in cui la società mutuante avente sede in un altro Stato membro e che non controlla di per sé la società mutuataria concede il prestito tramite una filiale situata in un paese terzo, e la comune società collegata risiede parimenti in un paese terzo.
101 Per quanto riguarda le altre disposizioni del Trattato invocate dalle ricorrenti nella causa principale, occorre sottolineare che, come rilevato ai punti 33 e 34 della presente sentenza, una normativa quale quella di cui alla causa principale, che riguarda solo relazioni all’interno di un gruppo societario, incide prevalentemente sulla libertà di stabilimento. Ammesso che una siffatta normativa abbia effetti restrittivi sulla libera prestazione dei servizi e sulla libera circolazione dei capitali, tali effetti sarebbero l’inevitabile conseguenza di un eventuale ostacolo alla libertà di stabilimento e non giustificherebbero un esame di tale normativa alla luce degli artt. 49 CE e 56 CE.
102 Occorre quindi rispondere alla seconda questione dichiarando che una normativa di uno Stato membro quale quella contemplata dalla prima questione non rileva ai fini dell’art. 43 CE allorché si applica ad una situazione in cui una società residente ottiene un prestito da una società avente sede in un altro Stato membro o in un paese terzo, che, di per sé, non controlla la società mutuataria, e allorché tali due società sono controllate, direttamente o indirettamente, da una comune società collegata stabilita in un paese terzo.
Sulla quarta questione
103 Con la sua quarta questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se, nell’ipotesi in cui una normativa quale quella di cui alla causa principale costituisca una restrizione alla libera circolazione dei capitali tra gli Stati membri e i paesi terzi, come previsto dall’art. 56 CE, una tale restrizione debba essere considerata sussistente al 31 dicembre 1993 ai fini dell’applicazione dell’art. 57, n. 1, CE.
104 Occorre innanzi tutto rilevare, come emerge dai punti 33, 34 e 101 della presente sentenza, che una normativa quale quella di cui alla causa principale va esaminata alla luce dell’art. 43 CE e non dell’art. 56 CE.
105 Pertanto, non occorre risolvere la quarta questione.
Sulle questioni dalla quinta alla decima
106 Con le questioni dalla quinta alla decima, che occorre trattare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, per il caso in cui le misure nazionali contemplate dalle questioni precedenti fossero incompatibili con il diritto comunitario, se azioni quali quelle introdotte dalle ricorrenti nella causa principale al fine di rimediare ad una tale incompatibilità debbano essere qualificate come domande di ripetizione di somme indebitamente percepite o di vantaggi indebitamente negati o, invece, come domande di risarcimento di un danno subito. In quest’ultimo caso, esso si chiede se occorra soddisfare le condizioni enunciate nella citata sentenza Brasserie du Pêcheur e Factortame e se, al riguardo, occorra tener conto della forma in cui tali domande devono essere proposte ai sensi del diritto interno.
107 Quanto all’applicazione delle condizioni in presenza delle quali uno Stato membro è tenuto a risarcire i danni causati ai soggetti singoli da una violazione del diritto comunitario, il giudice del rinvio chiede se la Corte possa fornire orientamenti sul requisito di una violazione manifesta e grave di detto diritto nonché su quello relativo al nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo che incombe allo Stato membro e il danno subito dalle persone lese.
108 Infine, il giudice del rinvio chiede se occorra tener conto, per determinare i danni da rimborsare o da compensare, della questione se le persone lese abbiano dato prova di una ragionevole diligenza per evitare il danno subito, in particolare presentando ricorsi giurisdizionali.
109 Al riguardo occorre precisare che non spetta alla Corte dare una qualificazione giuridica delle domande presentate dalle ricorrenti nella causa principale innanzi al giudice del rinvio. Nella fattispecie, spetta a queste ultime precisare la natura e il fondamento della loro azione (domanda di ripetizione o domanda di risarcimento danni), sotto il controllo del giudice del rinvio (v. sentenze citate Metallgesellschaft e a., punto 81, e Test Claimants in the FII Group Litigation, punto 201).
110 È comunque certo che, secondo una giurisprudenza consolidata, il diritto di ottenere il rimborso dei tributi riscossi da uno Stato membro in violazione di norme del diritto comunitario costituisce la conseguenza e il complemento dei diritti attribuiti ai singoli dalle disposizioni comunitarie nell’interpretazione datane dalla Corte. Lo Stato membro è quindi tenuto, in linea di principio, a rimborsare i tributi riscossi in violazione del diritto comunitario (sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 202, e la giurisprudenza ivi citata).
111 In mancanza di una disciplina comunitaria in materia di ripetizione di imposte nazionali indebitamente riscosse, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario, purché tali modalità, da un lato, non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) né, dall’altro, rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) (sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 203, e la giurisprudenza ivi citata).
112 Inoltre, qualora uno Stato membro abbia prelevato tributi in violazione delle disposizioni del diritto comunitario, i singoli hanno diritto al rimborso non solo dell’imposta indebitamente riscossa, ma altresì degli importi pagati a questo Stato o da esso trattenuti in rapporto diretto con tale imposta. Come la Corte ha dichiarato nei punti 87 e 88 della citata sentenza Metallgesellschaft e a., tale rimborso comprende altresì le perdite derivanti dall’indisponibilità di somme di danaro a seguito dell’esigibilità anticipata dell’imposta (sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 205, e la giurisprudenza ivi citata).
113 Tuttavia, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti nella causa principale, né gli sgravi o altri vantaggi fiscali cui una società residente avrebbe rinunciato per poter compensare integralmente l’imposta indebitamente versata con un importo dovuto a titolo di un’altra imposta, né il danno che una tale società avrebbe subito in conseguenza del fatto che il gruppo al quale essa appartiene ha ritenuto necessario, al fine di ridurre il suo carico fiscale globale, usare un finanziamento tramite fondi propri al posto di ricorrere a capitale di prestito, né le spese sostenute dalle società di tale gruppo per conformarsi alla normativa nazionale in questione possono essere compensati, sulla base del diritto comunitario, attraverso una domanda diretta al rimborso dell’imposta indebitamente riscossa o di importi pagati allo Stato membro interessato o da questo trattenuti in rapporto diretto con tale imposta. Infatti, detti costi deriverebbero da decisioni prese dalle società di questo gruppo e non potrebbero quindi costituire, per le stesse, una conseguenza inevitabile della decisione del Regno Unito di qualificare come utili distribuiti taluni interessi versati a società non residenti.
114 In tale contesto spetta pertanto al giudice nazionale stabilire se i costi menzionati al punto precedente costituiscano, per le società interessate, perdite finanziarie subite a causa di una violazione del diritto comunitario imputabile allo Stato membro interessato.
115 Senza comunque escludere che la responsabilità dello Stato possa essere chiamata in causa a condizioni meno restrittive in base al diritto nazionale, la Corte ha dichiarato che uno Stato membro ha l’obbligo di risarcire i danni causati ai singoli attraverso violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili in quanto siano soddisfatte tre condizioni, vale a dire che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli, che si tratti di una violazione sufficientemente qualificata e che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi (v. sentenze Brasserie du Pêcheur e Factortame, cit., punti 51 e 66; 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler, Racc. pag. I-10239, punti 51 e 57, nonché Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 209).
116 L’applicazione dei criteri che consentono di stabilire la responsabilità degli Stati membri per danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario deve, in linea di principio, avvenire ad opera dei giudici nazionali in conformità agli orientamenti forniti dalla Corte per procedere a tale applicazione (sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 210, e la giurisprudenza ivi citata).
117 Nella causa principale, la prima condizione è manifestamente soddisfatta con riferimento all’art. 43 CE. Infatti, tale disposizione ha l’effetto di conferire diritti ai singoli (v. sentenze citate Brasserie du Pêcheur e Factortame, punti 23 e 54, nonché Test Claimants in the FII Group Litigation, punto 211).
118 Per quanto riguarda la seconda condizione, si deve ricordare, da un lato, che una violazione del diritto comunitario è sufficientemente qualificata quando uno Stato membro, nell’esercizio del suo potere normativo, ha violato in maniera grave e manifesta i limiti che sono imposti all’esercizio dei suoi poteri. Dall’altro, nell’ipotesi in cui lo Stato membro interessato, nel momento in cui ha commesso la trasgressione, disponesse soltanto di un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente, la semplice trasgressione del diritto comunitario può essere sufficiente per accertare l’esistenza di una violazione grave e manifesta (sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 212, e la giurisprudenza ivi citata).
119 Per determinare se sussista una violazione sufficientemente qualificata, si devono considerare tutti gli elementi che caratterizzano la situazione sottoposta al giudice nazionale. Fra tali elementi compaiono, in particolare, il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, il carattere intenzionale o involontario della trasgressione commessa o del danno causato, la scusabilità o l’inescusabilità di un eventuale errore di diritto, la circostanza che i comportamenti adottati da un’istituzione comunitaria abbiano potuto concorrere all’adozione o al mantenimento in vigore di provvedimenti o di prassi nazionali contrari al diritto comunitario (sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 213, e la giurisprudenza ivi citata).
120 In ogni caso, una violazione del diritto comunitario è sufficientemente qualificata quando si è protratta nonostante la pronuncia di una sentenza che ha accertato l’inadempimento contestato, di una sentenza pregiudiziale o di una giurisprudenza consolidata della Corte in materia, dalle quali risulti l’illegittimità del comportamento in questione (sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 214, e la giurisprudenza ivi citata).
121 Nel caso di specie il giudice nazionale, per valutare se una violazione dell’art. 43 CE commessa dallo Stato membro interessato fosse sufficientemente qualificata, deve prendere in considerazione il fatto che, in un settore quale quello della tassazione diretta, le conseguenze derivanti dalle libertà di circolazione garantite dal Trattato si sono manifestate solo via via, in particolare, attraverso i principi elaborati dalla Corte a partire dalla sua sentenza 28 gennaio 1986, Commissione/Francia, cit. Infatti, sino alla citata sentenza Lankhorst-Hohorst, il problema sollevato dal presente rinvio pregiudiziale non era stato ancora trattato come tale dalla giurisprudenza della Corte.
122 Quanto alla terza condizione, vale a dire il requisito di un nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il danno subito dalle persone lese, spetta al giudice del rinvio verificare se il danno invocato derivi in modo sufficientemente diretto dalla violazione del diritto comunitario per imporre allo Stato di risarcirlo (sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 218, e la giurisprudenza ivi citata).
123 Fatto salvo il diritto al risarcimento, che si fonda direttamente sul diritto comunitario qualora siano soddisfatte tali condizioni, è nell’ambito della normativa interna sulla responsabilità che lo Stato è tenuto a riparare le conseguenze del danno arrecato, restando inteso che le condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle relative ad analoghi reclami di natura interna e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento (sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 219, e la giurisprudenza ivi citata).
124 Va precisato che, per determinare il danno risarcibile, il giudice nazionale può verificare se il soggetto leso abbia dato prova di una ragionevole diligenza per evitare il danno o limitarne l’entità e, in particolare, se esso abbia tempestivamente esperito tutti i rimedi giuridici a sua disposizione (sentenza Brasserie du Pêcheur e Factortame, cit., punto 84).
125 Al riguardo, la Corte ha statuito, al punto 106 della citata sentenza Metallgesellschaft e a., relativamente ad una normativa fiscale che negava alle controllate residenti di società controllanti non residenti il beneficio del regime fiscale di gruppo, che l’esercizio dei diritti che le norme del diritto comunitario direttamente applicabili conferiscono ai singoli sarebbe reso impossibile o eccessivamente difficoltoso se le loro domande di ripetizione o di risarcimento, fondate sulla violazione del diritto comunitario, dovessero essere respinte o ridotte per il solo motivo che i singoli non avevano richiesto di beneficiare del regime fiscale che la legge nazionale negava loro, in vista d’impugnare il rifiuto opposto dall’amministrazione fiscale con i mezzi di ricorso previsti a tale scopo, richiamandosi alla preminenza e all’efficacia diretta delle disposizioni del diritto comunitario.
126 Parimenti, l’applicazione delle disposizioni relative alla libertà di stabilimento sarebbe resa impossibile o eccessivamente difficile se le domande di ripetizione o di risarcimento fondate sulla violazione di dette disposizioni dovessero essere respinte o ridotte per la sola ragione che le società interessate non avevano chiesto all’amministrazione tributaria di poter versare interessi su prestiti concessi da una società collegata non residente senza che tali interessi fossero qualificati come utili distribuiti, quando, nelle presenti circostanze, la legge nazionale, in combinato disposto, eventualmente, con le disposizioni rilevanti delle CDI, prevedeva una tale qualificazione.
127 Qualora risultasse che la normativa nazionale di cui alla causa principale, in combinato disposto, eventualmente, con le disposizioni rilevanti delle CDI, non rispondeva ai requisiti enunciati al punto 92 della presente sentenza, così costituendo un ostacolo alla libertà di stabilimento vietato dall’art. 43 CE, spetta al giudice del rinvio stabilire se l’applicazione di tale normativa avrebbe ad ogni modo portato al rigetto delle richieste delle ricorrenti nella causa principale dinanzi all’amministrazione tributaria del Regno Unito.
128 Occorre quindi rispondere alle questioni dalla quinta alla decima dichiarando quanto segue:
– In mancanza di una normativa comunitaria, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario, compresa la qualificazione delle azioni promosse dalle persone lese dinanzi ai giudici nazionali. Questi devono però garantire che i singoli dispongano di un mezzo di ricorso effettivo che consenta loro di ottenere il rimborso dell’imposta indebitamente riscossa e degli importi pagati a tale Stato membro o trattenuti da quest’ultimo che siano in relazione diretta con tale imposta. Per quanto riguarda altri danni che una persona avrebbe subito a causa di una violazione del diritto comunitario imputabile a uno Stato membro, quest’ultimo è tenuto a risarcire i danni causati ai singoli alle condizioni enunciate nel punto 51 della citata sentenza Brasserie du Pêcheur e Factortame, senza che ciò escluda che, in base al diritto nazionale, la responsabilità dello Stato possa essere invocata a condizioni meno restrittive.
– Qualora risultasse che la normativa di uno Stato membro costituisce un ostacolo alla libertà di stabilimento vietato dall’art. 43 CE, il giudice del rinvio, al fine di individuare i danni risarcibili, può verificare se il soggetto leso abbia dato prova di una ragionevole diligenza per evitare tale danno o limitarne l’entità e, in particolare, se esso abbia tempestivamente esperito tutti i rimedi giuridici a sua disposizione. Tuttavia, per evitare che l’esercizio dei diritti che l’art. 43 CE conferisce ai singoli sia reso impossibile o eccessivamente difficile, il giudice del rinvio può stabilire se l’applicazione di tale normativa, in combinato disposto, eventualmente, con le disposizioni rilevanti delle CDI, avrebbe ad ogni modo portato al rigetto delle richieste avanzate dalle ricorrenti nella causa principale dinanzi all’amministrazione tributaria dello Stato membro interessato.
Sulla domanda di limitazione nel tempo degli effetti della presente sentenza
129 In udienza, il governo del Regno Unito ha chiesto alla Corte, nel caso in cui quest’ultima interpretasse il diritto comunitario nel senso che questo osta ad una legislazione nazionale quale quella di cui alla causa principale, di limitare gli effetti della sua sentenza nel tempo, anche per quanto riguarda le azioni giudiziarie avviate prima della data della pronuncia di questa sentenza. Tale governo stima in EUR 300 milioni il costo di un’interpretazione del diritto comunitario ad esso sfavorevole.
130 È giocoforza constatare che, nel caso di specie, il governo del Regno Unito non ha precisato i criteri sulla base dei quali egli è giunto alla sua stima numerica degli effetti della presente sentenza, e neppure se tale importo riguarda unicamente le conseguenze finanziarie nella causa principale o anche quelle che deriverebbero da tale sentenza in riferimento ad altri casi.
131 Inoltre, l’importo indicato da tale governo si fonda sull’ipotesi secondo cui le risposte fornite dalla Corte condurrebbero ad un accoglimento integrale delle richieste delle ricorrenti nella causa principale, il che spetta, però, al giudice del rinvio.
132 In tali circostanze, la Corte non dispone di elementi sufficienti per esaminare la domanda del governo britannico.
133 Di conseguenza, non occorre limitare nel tempo gli effetti della presente sentenza.
Sulle spese
134 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) L’art. 43 CE osta ad una normativa di uno Stato membro che limiti la possibilità per una società residente di dedurre, a fini fiscali, gli interessi versati su prestiti concessi da una società controllante, in via diretta o indiretta, residente in un altro Stato membro o da una società residente in un altro Stato membro controllata da tale società controllante, senza assoggettare a una siffatta restrizione una società residente che ha ottenuto un prestito da una società parimenti residente, salvo che, da un lato, tale normativa disponga un esame di elementi oggettivi e verificabili che permettano di individuare l’esistenza di una costruzione di puro artificio attuata a soli fini fiscali, prevedendo la possibilità per il contribuente di produrre, eventualmente e senza eccessivi oneri amministrativi, elementi relativi alle ragioni commerciali soggiacenti alla transazione in questione e, dall’altro, qualora l’esistenza di una tale costruzione venisse accertata, detta normativa qualifichi tali interessi come utili distribuiti solo nella misura in cui questi eccedono quanto sarebbe stato convenuto in condizioni di piena concorrenza.
2) Una normativa di uno Stato membro quale quella contemplata dalla prima questione non rileva ai fini dell’art. 43 CE allorché si applica ad una situazione in cui una società residente ottiene un prestito da una società avente sede in un altro Stato membro o in un paese terzo, che, di per sé, non controlla la società mutuataria, e allorché tali due società sono controllate, direttamente o indirettamente, da una comune società collegata stabilita in un paese terzo.
3) In mancanza di una normativa comunitaria, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario, compresa la qualificazione delle azioni promosse dalle persone lese dinanzi ai giudici nazionali. Questi devono però garantire che i singoli dispongano di un mezzo di ricorso effettivo che consenta loro di ottenere il rimborso dell’imposta indebitamente riscossa e degli importi pagati a tale Stato membro o trattenuti da quest’ultimo che siano in relazione diretta con tale imposta. Per quanto riguarda altri danni che una persona avrebbe subito a causa di una violazione del diritto comunitario imputabile a uno Stato membro, quest’ultimo è tenuto a risarcire i danni causati ai singoli alle condizioni enunciate nel punto 51 della sentenza 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du Pêcheur e Factortame, senza che ciò escluda che, in base al diritto nazionale, la responsabilità dello Stato possa essere invocata a condizioni meno restrittive.
Qualora risultasse che la normativa di uno Stato membro costituisce un ostacolo alla libertà di stabilimento vietato dall’art. 43 CE, il giudice del rinvio, al fine di individuare i danni risarcibili, può verificare se il soggetto leso abbia dato prova di una ragionevole diligenza per evitare tale danno o limitarne l’entità e, in particolare, se esso abbia tempestivamente esperito tutti i rimedi giuridici a sua disposizione. Tuttavia, per evitare che l’esercizio dei diritti che l’art. 43 CE conferisce ai singoli sia reso impossibile o eccessivamente difficile, il giudice del rinvio può stabilire se l’applicazione di tale normativa, in combinato disposto, eventualmente, con le disposizioni rilevanti delle CDI, avrebbe ad ogni modo portato al rigetto delle richieste avanzate dalle ricorrenti nella causa principale dinanzi all’amministrazione tributaria dello Stato membro interessato.
Firme
* Lingua processuale: l'inglese.