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SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)

4 settembre 2009 (*)

«Aiuti di Stato – Regime di aiuti istituito dalle autorità italiane a favore di società recentemente quotate in borsa – Decisione che dichiara l’aiuto incompatibile con il mercato comune e ne ordina il recupero – Obbligo di motivazione – Carattere selettivo – Pregiudizio per gli scambi tra Stati membri – Lesione della concorrenza»

Nella causa T-211/05,

Repubblica italiana, rappresentata inizialmente dal sig. I. Braguglia, successivamente dal sig. R. Adam ed infine dalla sig.ra I. Bruni, in qualità di agenti, assistiti dal sig. P. Gentili, avvocato dello Stato,

ricorrente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. V. Di Bucci e dalla sig.ra E. Righini, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda di annullamento della decisione della Commissione 16 marzo 2005, 2006/261/CE, relativa al regime di aiuti C 8/2004 (ex NN 164/2003) cui l’Italia ha dato esecuzione a favore di società recentemente quotate in borsa (GU 2006, L 94, pag. 42),

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Terza Sezione),

composto dal sig. J. Azizi, presidente, dalla sig.ra E. Cremona (relatore) e dal sig. S. Frimodt Nielsen, giudici,

cancelliere: sig. J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 9 settembre 2008,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1.     Le misure nazionali di cui è causa

1        Il regime di aiuti cui l’Italia ha dato esecuzione a favore di società recentemente quotate in borsa è stato instaurato dall’art. 1, comma 1, lett. d), e dall’art. 11 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici (in prosieguo: il «d.l. n. 269/2003»), convertito in legge 24 novembre 2003, n. 326. Il regime di aiuti è entrato in vigore il 2 ottobre 2003, data di pubblicazione del d.l. n. 269/2003 nella Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana (GURI), senza essere stato notificato alla Commissione.

2        L’art. 1, comma 1, lett. d), del d.l. n. 269/2003 prevede quanto segue:

«Per i soggetti in attività alla data di entrata in vigore del presente decreto, in aggiunta alla ordinaria deduzione è escluso dall’imposizione sul reddito d’impresa:

(…)

d)       l’ammontare delle spese sostenute per la quotazione in un mercato regolamentato di cui all’articolo 11 [del d.l. n. 269/2003]».

3        L’art. 11 del d.l. n. 269/2003 così dispone:

«1. Per le società le cui azioni sono ammesse alla quotazione in un mercato regolamentato di uno Stato membro dell’Unione europea successivamente alla data di entrata in vigore del [d.l. n. 269/2003] e fino al 31 dicembre 2004, l’aliquota dell’imposta sul reddito è ridotta al 20 per cento per il periodo d’imposta nel corso del quale è stata disposta l’ammissione alla quotazione e per i due periodi d’imposta successivi, a condizione che le azioni delle predette società non siano state precedentemente negoziate in un mercato regolamentato di uno Stato membro dell’Unione (...) e che le società effettuino, al fine di ottenere l’ammissione alla quotazione, un’offerta di sottoscrizione di proprie azioni che dia luogo ad un incremento del patrimonio netto non inferiore al 15 per cento del patrimonio netto risultante dal bilancio relativo all’esercizio precedente a quello di inizio dell’offerta, al netto dell’utile di esercizio.

2. Il reddito complessivo netto dichiarato è assoggettabile ad aliquota ridotta ai sensi del comma 1 per un importo complessivo fino a 30 milioni di euro.

3. Se le azioni di cui al comma 1 sono escluse dalla quotazione, fuori del caso previsto dall’articolo 133 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, [vale a dire, il caso di una società successivamente quotata su un’altra borsa valori europea che garantisce un livello di tutela degli investitori equivalente a quello assicurato dalla borsa valori italiana], l’agevolazione di cui al comma 1 si applica soltanto per i periodi d’imposta chiusi prima della revoca.

4. Per i periodi d’imposta in cui è applicabile l’agevolazione di cui al comma 1, alle società ivi indicate non si applica l’agevolazione di cui all’articolo 1 e seguenti del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 466. Tuttavia tali società possono optare per l’applicazione di quest’ultima agevolazione, in luogo di quella di cui al comma 1».

4        Il decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 466, recante riordino delle imposte personali sul reddito al fine di favorire la capitalizzazione delle imprese, a norma dell’art. 3, comma 162, lettere a), b), c), d) ed f), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, pubblicato nel Supplemento ordinario alla GURI n. 3 del 5 gennaio 1998, ha istituito un sistema di agevolazioni, il cosiddetto «Super DIT» (in prosieguo: il «Super DIT»). Il Super DIT prevede segnatamente una riduzione al 7% dell’aliquota d’imposta applicabile alla remunerazione ordinaria dell’aumento del capitale investito, che non può risultare in un’aliquota media d’imposta inferiore al 20%, per le società i cui titoli di partecipazione sono ammessi alla quotazione in un mercato regolamentato per i tre periodi di imposta successivi a quello della prima quotazione. Il Super DIT è stato soppresso dalla legge 18 ottobre 2001, n. 383, recante primi interventi per il rilancio dell’economia, pubblicata nella GURI n. 248 del 24 ottobre 2001. Tuttavia, le società che al 30 giugno 2001 avevano effettuato operazioni di aumento del capitale in base a tale normativa continuavano a fruire delle summenzionate agevolazioni.

5        Ai sensi dell’art. 11, comma 4, del d.l. n. 269/2003, le società interessate possono scegliere tra le agevolazioni riconosciute da tale articolo o la riduzione prevista dal Super DIT.

2.     Procedimento amministrativo e decisione impugnata

6        Con lettera del 22 ottobre 2003, la Commissione ha chiesto alle autorità italiane di fornirle informazioni sulle misure adottate con il d.l. n. 269/2003 e sulla loro entrata in vigore, rammentando loro l’obbligo di notifica gravante su di esse ai sensi dell’art. 88, n. 3, CE.

7        Con lettera del 5 novembre 2003, le autorità italiane hanno fornito le informazioni richieste, precisando, da un lato, che il d.l. n. 269/2003 doveva ancora essere convertito in legge e, dall’altro, che le sue disposizioni non avrebbero inciso sulla determinazione dell’acconto d’imposta per i redditi dell’anno 2003.

8        Con lettera del 19 dicembre 2003, la Commissione ha ricordato nuovamente alle autorità italiane gli obblighi ad esse incombenti in forza dell’art. 88, n. 3, CE, e le ha invitate ad informare i potenziali beneficiari in merito alle conseguenze previste dal Trattato CE e dall’art. 14 del regolamento (CE) del Consiglio 22 marzo 1999, n. 659, recante modalità di applicazione dell’articolo [88] CE (GU L 83, pag. 1),qualora si fosse accertato che le misure in causa rappresentavano un aiuto al quale era stata data illegittimamente esecuzione. Le autorità italiane non hanno dato riscontro a tale lettera.

9        Con lettera del 18 febbraio 2004, la Commissione ha informato la Repubblica italiana di aver deciso di avviare il procedimento di cui all’art. 88, n. 2, CE, relativamente agli aiuti fiscali concessi in base all’art. 1, comma 1, lett. d), ed all’art. 11 del d.l. n. 269/2003. Le autorità italiane hanno presentato le loro osservazioni il 21 aprile 2004.

10      La decisione della Commissione di avviare il procedimento di indagine formale è stata pubblicata il 3 settembre 2004 nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea (GU C 221, pag. 7).

11      Il 16 e 27 settembre 2004, si sono svolte alcune riunioni tra i servizi della Commissione e le autorità italiane al fine di esaminare taluni aspetti delle misure controverse.

12      Il 4 ottobre 2004, la Commissione ha ricevuto osservazioni da parte della Borsa Italiana SpA. La Commissione ha trasmesso tali osservazioni alle autorità italiane, che le hanno comunicato i loro commenti con lettera del 30 novembre 2004.

13      Il 16 marzo 2005, la Commissione ha adottato la decisione 2006/261/CE, relativa al regime di aiuti C 8/2004 (ex NN 164/2003) cui l’Italia ha dato esecuzione a favore di società recentemente quotate in borsa (GU 2006, L 94, pag. 42; in prosieguo: la «decisione impugnata»).

14      Nella decisione impugnata, la Commissione descrive anzitutto la procedura che ha preceduto l’adozione di tale decisione (parte I) e le misure controverse (parte II). Successivamente, essa enuncia i motivi che hanno indotto all’avvio del procedimento di indagine formale (parte III), le osservazioni delle autorità italiane e dei terzi interessati (parte IV) e la sua valutazione dell’aiuto in questione (parte V).

15      Nella sua valutazione, in primo luogo, la Commissione dichiara che il regime di aiuti in questione offre evidenti vantaggi selettivi, in quanto deroga al normale funzionamento del sistema tributario e favorisce talune imprese (punti 26-32 della decisione impugnata).

16      In secondo luogo, essa fa rilevare che i benefici concessi provengono dallo Stato sotto forma di rinuncia a gettiti d’imposta di norma percepiti dall’erario italiano (punto 33 della decisione impugnata).

17      In terzo luogo, la Commissione ritiene che le misure controverse possano colpire gli scambi tra Stati membri e falsare la concorrenza tra imprese, dato che le società beneficiarie potrebbero operare in mercati internazionali e svolgere attività commerciali e altre attività economiche in mercati caratterizzati da un’intensa concorrenza (punti 34-37 della decisione impugnata).

18      In quarto luogo, la Commissione sottolinea che le autorità italiane hanno dato esecuzione a tali misure senza previa notifica, cosicché esse costituiscono un aiuto illegittimo (punto 38 della decisione impugnata).

19      In quinto luogo, la Commissione dedica i punti 39-45 della decisione impugnata all’esame della compatibilità del regime di aiuti con il mercato comune, escludendo che esso possa beneficiare delle deroghe previste dall’art. 87, nn. 2 e 3, CE.

20      Il dispositivo della decisione impugnata recita quanto segue:

«Articolo 1

Il regime di aiuti di Stato concessi sotto forma di incentivi fiscali a favore di società ammesse alla quotazione in un mercato regolamentato europeo, previsti dall’articolo 1, primo comma, lettera d), e dall’articolo 11 del [d.l. n. 269/2003], cui [la Repubblica italiana] ha dato esecuzione, è incompatibile con il mercato comune.

Articolo 2

[La Repubblica italiana] sopprime il regime di aiuti di cui all’articolo 1 con effetto dall’esercizio fiscale in cui cade la data di notifica della presente decisione.

Articolo 3

1. [La Repubblica italiana] prende tutti i provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti di cui all’articolo 1, già posti illegalmente a loro disposizione.

2. Il recupero viene eseguito senza indugio e secondo le procedure del diritto nazionale, a condizione che queste consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della presente decisione.

3. Il recupero viene completato al più presto. In particolare, qualora l’aiuto sia già stato concesso mediante riduzione dei pagamenti delle imposte dovute durante l’esercizio fiscale in corso, [la Repubblica italiana] deve riscuotere l’intera imposta dovuta con l’ultimo versamento previsto per il 2004. In tutti gli altri casi, [la Repubblica italiana] recupera l’imposta dovuta al più tardi alla fine del periodo fiscale in cui cade la data di notificazione della presente decisione.

4. Gli aiuti da recuperare comprendono gli interessi, che decorrono dalla data in cui gli aiuti sono divenuti disponibili per i beneficiari fino alla data dell’effettivo recupero.

5. Gli interessi sono calcolati a norma del capo V del regolamento (CE) n. 794/2004.

6. Entro due mesi dalla notificazione della presente decisione, [la Repubblica italiana] ingiunge a tutti i beneficiari degli aiuti di cui all’articolo 1 di rimborsare gli aiuti illegali comprensivi di interessi.

Articolo 4

[La Repubblica italiana] informa la Commissione, nel termine di due mesi a decorrere dalla data della notificazione della presente decisione, delle misure adottate e previste per conformarvisi. (...) [La Repubblica italiana] presenta entro lo stesso termine tutti i documenti comprovanti l’avvenuto avvio del procedimento di recupero nei confronti dei beneficiari degli aiuti illegali.

(…)».

 Procedimento e conclusioni delle parti

21      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 26 maggio 2005, la Repubblica italiana ha introdotto il presente ricorso.

22      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Terza Sezione) ha deciso di avviare la fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste nell’art. 64 del suo regolamento di procedura, ha posto alcuni quesiti alle parti, invitandole a rispondervi per iscritto. Le parti hanno ottemperato a tale domanda nel termine impartito.

23      Le parti hanno svolto le loro difese orali ed hanno risposto ai quesiti formulati dal Tribunale nell’udienza del 9 settembre 2008.

24      La Repubblica italiana chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare la Commissione alle spese.

25      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la Repubblica italiana alle spese.

 In diritto

26      La Repubblica italiana invoca cinque motivi. Il primo è relativo, in sostanza, ad una violazione del principio del contraddittorio, per quanto riguarda la decisione di avvio del procedimento previsto dall’art. 88, n. 2, CE. Il secondo motivo attiene alla violazione di forme sostanziali e dell’art. 253 CE, in quanto la Commissione non avrebbe tenuto conto dell’esistenza, nell’ordinamento giuridico italiano, di una misura con caratteristiche analoghe a quelle delle misure in esame. Il terzo, quarto e quinto motivo riguardano una violazione dell’art. 87 CE e un difetto di motivazione. Nell’ambito del terzo motivo, la Repubblica italiana deduce altresì una violazione del principio del contraddittorio per quanto attiene ad un addebito preciso, mosso dalla Commissione nella decisione impugnata. Il Tribunale esaminerà anzitutto la violazione del principio del contraddittorio, lamentata nell’ambito dei motivi primo e terzo, per poi analizzare il vizio di motivazione, raggruppando il complesso degli argomenti dedotti dalla Repubblica italiana a tal riguardo, e, infine, valuterà la violazione dell’art. 87 CE.

1.     Sulla violazione del principio del contraddittorio

27      La Repubblica italiana lamenta sostanzialmente una violazione del principio del contraddittorio tanto nell’ambito del suo primo motivo quanto, unitamente ad una violazione dell’art. 87, n. 1, CE, nell’ambito del suo terzo motivo.

 Sul primo motivo, relativo, in sostanza, alla violazione del principio del contraddittorio, per quanto riguarda la decisione di avvio del procedimento d’indagine formale

 Argomenti delle parti

28      La Repubblica italiana addebita alla Commissione di aver avviato il procedimento d’indagine formale ai sensi dell’art. 88, n. 2, CE, senza averla invitata a fornire spiegazioni sulla natura e sugli effetti delle misure in questione. Essa richiama a tal proposito la sentenza della Corte 10 maggio 2005, causa C-400/99, Italia/Commissione (Racc. pag. I-3657, punti 29-31). Da tale pronuncia emergerebbe che la Commissione è tenuta a discutere le misure in questione con lo Stato membro preliminarmente all’avvio del procedimento di cui all’art. 88, n. 2, CE, affinché questo possa far presente che tali misure non costituiscono aiuti oppure che sono aiuti esistenti.

29      La Repubblica italiana rileva in sostanza che, nella lettera del 22 ottobre 2003, la Commissione si è limitata a formulare una generica richiesta di informazioni, riguardo ad un insieme di misure, senza alcun riferimento agli artt. 1 e 11 del d.l. n. 269/2003, il che ha impedito di avviare una discussione preliminare di merito sulle caratteristiche specifiche delle misure controverse. Inoltre, nella lettera del 19 dicembre 2003, la Commissione avrebbe indicato di non disporre di elementi che consentissero di escludere che le misure di cui al d.l. n. 269/2003 configuravano aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune. Per la sua stessa formulazione, detta lettera non avrebbe consentito alle autorità italiane di comprendere i dubbi della Commissione relativamente alle misure di cui è causa. Avendo affermato nella stessa lettera di non disporre di informazioni che consentissero di escludere che due dei potenziali beneficiari avessero fruito della riduzione d’imposta di cui al d.l. n. 269/2003, la Commissione non avrebbe tenuto conto, inoltre, degli elementi forniti dalle autorità italiane al fine di dimostrare che le misure in questione non avrebbero inciso sull’acconto d’imposta dovuto nel 2003.

30      Emergerebbe peraltro dal terzo paragrafo di detta lettera che la Commissione non poteva escludere che gli incentivi di cui all’art. 11 del d.l. n. 269/2003 dessero luogo ad un aiuto al funzionamento. La Commissione avrebbe però omesso di precisare i motivi per cui essa riteneva o, quanto meno, sospettava, da un lato, che si trattasse di aiuti di Stato e, dall’altro, che si trattasse di aiuti al funzionamento e come tali «normalmente» esclusi dalla deroga ai sensi dell’art. 87, n. 3, lett. c), CE. Inoltre, poiché tale paragrafo della lettera non faceva nessun riferimento alla misura di cui all’art. 1, comma 1, lett. d), del d.l. n. 269/2003, sarebbe stato possibile supporre che tale misura potesse costituire, secondo la Commissione, un aiuto all’investimento, autorizzabile ai sensi dell’art. 87, n. 3, lett. c), CE.

31      Dato che non era pertanto possibile avviare alcuna discussione preliminare, la Repubblica italiana avrebbe rinunciato a dar seguito alla lettera della Commissione del 19 dicembre 2003, avendo già fornito tutte le informazioni utili nella lettera del 5 novembre 2003.

32      La Repubblica italiana critica inoltre l’argomento della Commissione secondo cui non sarebbe stato necessario, sin dalla fase preliminare, avviare un dibattito sulla eventuale qualificazione delle misure in questione come aiuti esistenti, in quanto le agevolazioni fiscali che esse introducono dovevano essere valutate in continuità con quelle precedentemente accordate dal decreto legislativo n. 466/1997, che ha istituito il Super DIT.

33      Ad ogni modo, la Repubblica italiana sostiene che le misure in questione non potevano essere tecnicamente sospese e che la decisione di avvio non produceva nessun effetto sospensivo, tenuto conto del termine stabilito per l’applicazione delle misure in questione. Essa ritiene che fosse perfettamente lecito da parte sua non impugnare la decisione di avvio, riservandosi la possibilità di far valere gli eventuali vizi di detta decisione nell’ambito del ricorso proposto contro la decisione finale.

34      La Commissione respinge gli argomenti della Repubblica italiana.

 Giudizio del Tribunale

35      Occorre osservare che, nell’ambito del procedimento di controllo degli aiuti di Stato previsto dall’art. 88 CE, devono essere distinte, da un lato, la fase preliminare d’esame degli aiuti, istituita dall’art. 88, n. 3, CE, che ha il solo scopo di permettere alla Commissione di formarsi una prima opinione tanto sul carattere di aiuto di Stato della misura in questione, quanto sulla compatibilità parziale o totale dell’aiuto in questione con il mercato comune, e, dall’altro, la fase formale d’esame, prevista dall’art. 88, n. 2, CE. È solo nell’ambito di quest’ultima, la quale è destinata a permettere alla Commissione di avere un’informazione completa sull’insieme dei dati del caso, che il Trattato CE prevede l’obbligo della Commissione di intimare agli interessati di presentare le loro osservazioni (sentenza del Tribunale 12 dicembre 2006, causa T-95/03, Asociación de Estaciones de Servicio de Madrid e Federación Catalana de Estaciones de Servicio/Commissione, Racc. pag. II-4739, punto 133).

36      Conformemente all’art. 4, n. 4, del regolamento n. 659/1999, la Commissione è obbligata ad avviare il procedimento previsto dall’art. 88, n. 2, CE, qualora un primo esame non le abbia consentito di superare tutte le difficoltà poste dalla questione concernente la natura di aiuto, ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE, di un provvedimento statale sottoposto al suo controllo, o quanto meno allorquando, nel corso di tale primo esame, non sia stata in grado di acquisire la convinzione che il provvedimento di cui trattasi, ammesso che costituisca un aiuto, è in ogni modo compatibile con il mercato comune (sentenza Asociación de Estaciones de Servicio de Madrid e Federación Catalana de Estaciones de Servicio/Commissione, citata nel precedente punto 35, punto 134).

37      Considerate le conseguenze giuridiche di una decisione di avviare il procedimento ex art. 88, n. 2, CE, con relativa qualificazione provvisoria delle misure di cui trattasi come aiuti nuovi, qualificazione dalla quale lo Stato membro interessato può dissentire, la Commissione è tenuta a discutere preliminarmente dette misure con tale Stato, affinché questo possa farle eventualmente presente che, a suo parere, esse non costituiscono aiuti oppure che sono aiuti esistenti (sentenza Italia/Commissione, citata nel precedente punto 28, punto 29).

38      Orbene, dall’esame della corrispondenza scambiata tra le autorità italiane e la Commissione non emerge nessun inadempimento degli obblighi che incombono a quest’ultima.

39      In primo luogo, la lettera della Commissione datata 22 ottobre 2003, che costituiva una richiesta generale di informazioni riguardante un insieme di misure contenute nel d.l. n. 269/2003, comprendeva, nella parte intitolata «numero misura: 4», le misure in questione.

40      In tale lettera, che indicava che talune misure fiscali «sembra[va]no comportare degli alleggerimenti d’imposta per certe categorie di imprese, ovvero degli incentivi ad hoc per determinate imprese, ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, [CE]», la Commissione ha invitato le autorità italiane a precisarle l’esatta natura dei vantaggi fiscali previsti, l’identificazione e il numero (anche stimato) dei beneficiari dei vantaggi suddetti, l’impatto finanziario (anche stimato) relativo alla erogazione di tali vantaggi, la loro possibile giustificazione alla luce della natura del sistema fiscale generale e ogni altro elemento che le consentisse di formarsi un’opinione.

41      Le autorità italiane hanno risposto a tale lettera con lettera del 5 novembre 2003, ribadendo il carattere generale delle misure in questione, al fine di confutare la qualificazione delle medesime quali aiuto di Stato.

42      In secondo luogo, nella sua lettera datata 19 dicembre 2003, la Commissione ha precisato di non disporre di elementi idonei ad escludere che gli incentivi fiscali in questione costituissero un vantaggio fiscale limitato a talune imprese ammesse alla quotazione in un mercato regolamentato durante il periodo di applicazione del regime di aiuti, e che tale agevolazione implicasse una distorsione della concorrenza e degli scambi comunitari. Essa ha altresì precisato di non disporre di elementi per escludere che gli incentivi fiscali previsti dall’art. 11 del d.l. n. 269/2003 costituissero un aiuto al funzionamento normalmente incompatibile col mercato unico, perché non finalizzati ad alcun investimento od obiettivo previsto dall’art. 87, n. 3, CE. Infine, la Commissione ha invitato le autorità italiane ad informare i potenziali beneficiari di tali incentivi fiscali della possibilità che l’aiuto fosse recuperato presso di essi, qualora fosse stato considerato illegittimo.

43      Con tale lettera, la Commissione ha comunicato alle autorità italiane la sua analisi preliminare e le ha pertanto poste in grado di sollevare eventuali obiezioni. Orbene, le autorità italiane non vi hanno dato seguito.

44      Alla luce di quanto precede, si deve considerare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica italiana, le misure di cui è causa sono state effettivamente discusse con essa prima che la Commissione adottasse la decisione di avviare il procedimento ex art. 88, n. 2, CE.

45      Occorre comunque osservare che, anche se il rispetto dei diritti della difesa esige che lo Stato membro di cui trattasi sia posto in grado di far conoscere efficacemente la propria posizione sugli elementi sui quali la Commissione ha basato la propria valutazione (v., in tal senso e per analogia, sentenza della Corte 21 marzo 1990, causa C-142/87, Belgio/Commissione, Racc. pag. I-959, punto 47), cionondimeno, perché una violazione dei diritti della difesa nella fase preliminare comporti un annullamento della decisione finale, occorre che, in mancanza di tale irregolarità, il procedimento potesse sfociare in un diverso risultato (v., in tal senso e per analogia, sentenze della Corte Belgio/Commissione, cit., punto 48, e 5 ottobre 2000, causa C-288/96, Germania/Commissione, Racc. pag. I-8237, punto 101; sentenza del Tribunale 8 luglio 2004, causa T-198/01, Technische Glaswerke Ilmenau/Commissione, Racc. pag. II-2717, punto 201, e giurisprudenza ivi citata). L’onere della prova a questo proposito incombe allo Stato membro interessato, dato che qualunque violazione dei diritti della difesa costituisce un vizio di forma, il quale richiede che la parte interessata eccepisca l’effetto negativo specifico di tale omissione sui propri diritti soggettivi (v., in tal senso, sentenza Technische Glaswerke Ilmenau/Commissione, cit., punto 203).

46      A questo proposito, è giocoforza constatare che la Repubblica italiana non ha fornito nessun elemento che consenta di dimostrare che, in mancanza della presunta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto sfociare in un diverso risultato, ma si è limitata a dichiarare che «nessuno può “divinare” quali sarebbero stati gli effetti sugli sviluppi successivi del procedimento di una discussione preliminare “mai nata”».

47      La Repubblica italiana non ha dimostrato, in particolare, l’effetto negativo che deriverebbe dai presunti vizi contenuti nella decisione di avvio del procedimento ex art. 88, n. 2, CE.

48      Alla luce di tutte le considerazioni sin qui svolte, occorre concludere che le misure controverse sono state effettivamente discusse con le autorità italiane prima che la Commissione adottasse la decisione di avvio del procedimento e che, in ogni caso, la Repubblica italiana non ha dimostrato l’esistenza di un’irregolarità o di un vizio della decisione di avvio, in mancanza dei quali il procedimento sarebbe potuto sfociare in un diverso risultato.

49      In quanto infondato, pertanto, il primo motivo va respinto.

 Sulla parte del terzo motivo vertente sulla violazione del principio del contraddittorio

 Argomenti delle parti

50      La Repubblica italiana asserisce che è solo nella decisione impugnata, in particolare nel punto 30 della medesima, che la Commissione ha formulato per la prima volta la censura riguardante il vantaggio che le imprese italiane trarrebbero dall’applicazione delle agevolazioni fiscali in questione agli utili da loro realizzati su scala mondiale, e rilevato che le imprese straniere potrebbero goderne solo per gli utili dalle medesime conseguiti in Italia. La Commissione avrebbe pertanto violato il principio del contraddittorio.

51      La Repubblica italiana deduce che, nella decisione di avvio del procedimento e in tutto il corso di questo, la Commissione ha posto soltanto la questione della presunta disparità di trattamento tra imprese italiane e imprese straniere, consistente nel fatto che le prime sarebbero incluse nel regime agevolato, mentre le seconde sarebbero escluse da detto regime. Di converso, la Commissione non avrebbe mai posto la questione della presunta disparità di trattamento tra imprese italiane e straniere, che sarebbero tutte incluse nel regime in causa.

52      La Commissione respinge gli argomenti della Repubblica italiana.

 Giudizio del Tribunale

53      Secondo una giurisprudenza consolidata, il principio del contraddittorio, che costituisce un principio fondamentale del diritto comunitario e che fa parte, segnatamente, dei diritti della difesa, esige che la parte interessata sia stata messa in grado, durante il procedimento amministrativo, di far conoscere in modo efficace la propria posizione sull’esistenza e sulla rilevanza dei fatti, degli addebiti e delle circostanze allegati dalla Commissione per suffragare l’asserita infrazione del Trattato CE (sentenza della Corte 10 luglio 2008, causa C-413/06 P, Bertelsmann e Sony Corporation of America/Impala, Racc. pag. I-4951, punto 61; v. altresì, in tal senso, sentenza del Tribunale 9 luglio 2008, causa T-301/01, Alitalia/Commissione, Racc. pag. II-1753, punto 169, e giurisprudenza ivi citata).

54      Occorre rammentare che, secondo l’art. 6, n. 1, del regolamento n. 659/1999, «la decisione di avvio del procedimento d’indagine formale espone sinteticamente i punti di fatto e di diritto pertinenti, contiene una valutazione preliminare della Commissione relativa al carattere di aiuto della misura prevista ed espone i dubbi attinenti alla sua compatibilità con il mercato comune». Tale decisione di avvio deve mettere gli interessati in condizione di partecipare in modo efficace al procedimento d’indagine formale, nel corso del quale essi avranno la possibilità di far valere i loro argomenti. A tal fine, è sufficiente che le parti conoscano l’iter logico che ha portato la Commissione a ritenere provvisoriamente che la misura controversa potesse costituire un aiuto nuovo, incompatibile con il mercato comune (sentenza del Tribunale 30 aprile 2002, cause riunite T-195/01 e T-207/01, Government of Gibraltar/Commissione, Racc. pag. II-2309, punto 138).

55      Occorre rilevare parimenti che il procedimento d’indagine formale consente di approfondire e chiarire le questioni sollevate nella decisione di avvio del procedimento, di modo che un’eventuale divergenza tra questa e la decisione finale non può essere considerata di per sé integrante gli estremi di un vizio che pregiudichi la legittimità di quest’ultima.

56      Nel caso di specie, occorre ricordare che, nella decisione di avvio del procedimento d’indagine formale, in particolare nel punto 19 di quest’ultima, la Commissione ha precisato che, a suo parere, le misure in questione avvantaggiavano solo le imprese con sede in Italia a danno delle imprese straniere ivi attive, nei termini in cui queste ultime non avevano diritto alle agevolazioni fiscali concesse da dette misure. Con lettera datata 21 aprile 2004, le autorità italiane hanno dichiarato che, a norma dell’art. 11 del d.l. n. 269/2003, le società straniere, operanti in Italia tramite una stabile organizzazione e quotate in un mercato regolamentato dell’Unione, potevano godere anch’esse delle misure in questione. In seguito a tale lettera, la Commissione ha constatato e precisato, nel punto 30 della decisione impugnata, che rimaneva comunque una disparità di trattamento tra imprese italiane e straniere, in quanto le agevolazioni fiscali concesse dal regime di aiuti in questione riguardavano, per le prime, gli utili realizzati a livello mondiale e, per le seconde, quelli conseguiti e soggetti ad imposta in Italia.

57      Occorre pertanto osservare, come giustamente sottolineato dalla Commissione, che, benché la posizione di quest’ultima appaia certamente meglio definita rispetto ai dubbi espressi nella decisione di avvio del procedimento, ciò è proprio il risultato del contraddittorio instauratosi con le autorità italiane, che hanno avuto modo, durante tutta la durata del procedimento d’indagine formale, di precisare la loro posizione nei confronti delle censure della Commissione. Infatti, contrariamente a quanto sostiene la Repubblica italiana, la censura formulata dalla Commissione nel punto 30 della decisione impugnata non differisce, quanto al suo oggetto, da quella espressa in sede di decisione di avvio del procedimento, in particolare nel punto 19 di quest’ultima. La differenza riguarda unicamente la valutazione della portata della disparità di trattamento tra le imprese registrate in Italia e quelle che tali non sono e, di conseguenza, anche la portata del carattere selettivo dell’agevolazione di cui godono le imprese registrate in Italia.

58      Non risulta, d’altro canto, da nessuna disposizione relativa al controllo degli aiuti di Stato né dalla giurisprudenza che la Commissione sia tenuta ad informare lo Stato membro interessato della propria posizione prima di adottare la propria decisione, una volta che lo Stato membro è stato posto in grado di presentare le sue osservazioni, come è avvenuto nel caso di specie (v., in tal senso, sentenza Technische Glaswerke Ilmenau/Commissione, citata nel precedente punto 45, punto 198).

59      Comunque, come rilevato nel precedente punto 45, qualsiasi violazione dei diritti della difesa costituisce un vizio di forma, il quale richiede che lo Stato membro interessato eccepisca l’effetto negativo specifico di tale omissione sui propri diritti soggettivi. Orbene, a questo proposito basta constatare che la Repubblica italiana non ha dimostrato che, in mancanza dell’asserita irregolarità, il procedimento sarebbe potuto sfociare in un diverso risultato.

60      Ne consegue che dev’essere respinta la parte del terzo motivo relativa alla violazione del principio del contraddittorio.

2.     Sul difetto di motivazione

61      La Repubblica italiana lamenta una violazione dell’art. 253 CE nell’ambito tanto del suo secondo motivo quanto, unitamente ad una violazione dell’art. 87 CE, dei suoi motivi terzo, quarto e quinto.

 Argomenti delle parti

62      Nell’ambito del secondo motivo, la Repubblica italiana critica la Commissione per non aver esplicitamente risposto all’osservazione formulata nella sua lettera del 30 novembre 2004 in risposta alle osservazioni della Borsa italiana, con la quale essa rilevava che una misura con caratteristiche analoghe al regime in oggetto esisteva già nell’ordinamento giuridico italiano con il nome di Super DIT. Tale misura, che risulterebbe collegata agli incentivi fiscali previsti dall’art. 11, comma 4, del d.l. n. 269/2003, sarebbe già stata oggetto di una richiesta di informazioni da parte della Commissione in merito ad aspetti eventualmente discriminatori, che sarebbero stati, in seguito, eliminati dalle autorità italiane. Peraltro, detta misura sarebbe stata sottoposta formalmente al Consiglio «Questioni economiche e finanziarie», che l’avrebbe considerata una misura non dannosa ai sensi della risoluzione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, 1° dicembre 1997, su un codice di condotta in materia di tassazione delle imprese (GU 1998, C 2, pag. 2).

63      In particolare, fondandosi sulla sentenza del Tribunale 6 marzo 2003, cause riunite T-228/99 e T-233/99, Westdeutsche Landesbank Girozentrale e Land Nordrhein-Westfalen/Commissione (Racc. pag. II-435; in prosieguo: la «sentenza WestLB», punti 279-281), e sulla giurisprudenza ivi citata, la Repubblica italiana deduce che la Commissione avrebbe dovuto spiegare le ragioni per le quali non riteneva di adottare la stessa posizione assunta nei confronti del Super DIT. In sostanza, la Commissione avrebbe dovuto spiegare le ragioni per cui, nella decisione impugnata, essa avrebbe dichiarato incompatibile con il mercato comune una misura che sarebbe analoga a un’altra ad essa di poco anteriore, nel caso di specie il Super DIT, e in merito alla quale non sarebbe stata sollevata nessuna obiezione.

64      Nell’ambito del terzo motivo, la Repubblica italiana lamenta la violazione dell’art. 253 CE in quanto la Commissione ritiene, nella decisione impugnata, che le società ammesse alla quotazione durante il periodo di applicazione del regime di aiuti beneficino di un vantaggio selettivo. La Commissione si sarebbe accontentata di affermare che al trattamento differenziato non corrisponde nessuna distinzione di rilievo tra la posizione delle società quotate e quella delle società non quotate, e non si sarebbe nemmeno espressa sugli argomenti formulati al riguardo dalla Borsa italiana nonché dalle autorità italiane.

65      Nell’ambito del quarto motivo, la Repubblica italiana sostiene che la decisione impugnata è viziata da un difetto di motivazione nei termini in cui la Commissione ritiene accertata un’incidenza delle misure in questione sulla concorrenza intracomunitaria. La Commissione avrebbe quantomeno dovuto indicare gli elementi specifici dai quali deduce che l’assetto concorrenziale potrebbe essere modificato, e che gli scambi tra i mercati degli Stati membri risulterebbero potenzialmente danneggiati. E ciò sarebbe tanto più vero nel caso in esame, poiché le imprese interessate opererebbero in svariati settori economici e gli aiuti sarebbero di ammontare assai esiguo. La Commissione non avrebbe dimostrato che tali misure costituiscono un aiuto al funzionamento e si sarebbe limitata ad affermazioni generiche e approssimative. La Repubblica italiana rileva inoltre che la Commissione esamina, nella decisione impugnata, soltanto una delle misure controverse, vale a dire la riduzione dell’aliquota prevista dall’art. 11 del d.l. n. 269/2003, e che essa non considera la deduzione dall’imponibile dei costi di quotazione, prevista dall’art. 1, comma 1, lett. d), del d.l. n. 269/2003.

66      Infine, nell’ambito del suo quinto motivo la Repubblica italiana critica la Commissione per essersi limitata a fondare l’incompatibilità delle misure in questione con il mercato comune sulla circostanza che esse istituirebbero aiuti al funzionamento e, in ogni caso, di non aver sufficientemente motivato in diritto il suo accertamento dell’incompatibilità di dette misure con il mercato comune.

67      La Commissione respinge gli argomenti della Repubblica italiana.

 Giudizio del Tribunale

68      In via preliminare, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, la portata dell’obbligo di motivazione dipende dalla natura dell’atto in questione e dal contesto nel quale esso è stato adottato. La motivazione deve fare apparire in modo chiaro e inequivocabile il ragionamento dell’istituzione da cui promana l’atto in modo da consentire, da una parte, al giudice comunitario di esercitare il suo controllo di legittimità e, dall’altra, agli interessati di conoscere le giustificazioni della misura adottata, per poter difendere i loro diritti e verificare se la decisione è fondata. Non viene richiesto che la motivazione specifichi tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti, in quanto il problema di stabilire se la motivazione di un atto soddisfi gli obblighi di cui all’art. 253 CE va valutato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto nonché del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia (sentenza della Corte 2 aprile 1998, causa C-367/95 P, Commissione/Sytraval e Brink’s France, Racc. pag. I-1719, punto 63; sentenza WestLB, citata nel precedente punto 63, punti 278 e 279, e giurisprudenza ivi citata). In particolare, la Commissione non è obbligata a prendere posizione su tutti gli argomenti che gli interessati fanno valere dinanzi ad essa. Le è sufficiente esporre i fatti e le considerazioni giuridiche aventi un ruolo essenziale nell’economia della decisione (v. sentenza WestLB, citata nel precedente punto 63, punto 280, e giurisprudenza ivi citata).

69      Peraltro, nel caso di un regime di aiuti, la Commissione può limitarsi a studiarne le caratteristiche generali, senza essere tenuta ad esaminare ogni singolo caso di applicazione (sentenze della Corte 19 ottobre 2000, cause riunite C-15/98 e C-105/99, Italia e Sardegna Lines/Commissione, Racc. pag. I-8855, punto 51, e 29 aprile 2004, causa C-278/00, Grecia/Commissione, Racc. pag. I-3997, punto 24), al fine di verificare se il detto regime presenti elementi di aiuto (sentenza della Corte 15 dicembre 2005, causa C-66/02, Italia/Commissione, Racc. pag. I-10901, punto 91).

70      È alla luce di questi principi che occorre valutare se la decisione impugnata sia sufficientemente motivata per quanto riguarda i vari aspetti del giudizio della Commissione criticati dalla Repubblica italiana.

 Sul difetto di motivazione, relativo al fatto che la Commissione non avrebbe tenuto conto dell’esistenza, nell’ordinamento giuridico italiano, di una misura avente caratteristiche analoghe alle misure in questione

71      Con il suo secondo motivo, la Repubblica italiana critica sostanzialmente la Commissione per non essersi espressa sulla presunta esistenza di una continuità tra una delle due misure in questione, ossia l’abbattimento di imposta di cui all’art. 11 del d.l. n. 269/2003, ed il Super DIT.

72      Occorre rilevare, preliminarmente, che il riferimento al Super DIT, che presenterebbe un nesso cronologico e giuridico con le misure in questione, è stato effettuato formalmente, per la prima volta, nelle osservazioni presentate dalla Borsa italiana il 4 ottobre 2004, commentate dalle autorità italiane nella lettera del 30 novembre 2004. Secondo le autorità italiane e la Borsa italiana, le misure in questione sono giustificate sostanzialmente dai principi generali del sistema tributario italiano in ragione della preesistenza del Super DIT nell’ordinamento giuridico italiano.

73      Occorre rilevare anche che, come sottolineato dalla Repubblica italiana, la Commissione ha illustrato, nella decisione impugnata, le ragioni per le quali gli incentivi fiscali previsti dal d.l. n. 269/2003 conferivano un vantaggio selettivo ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE, senza fare nessuna allusione al Super DIT.

74      L’argomento dedotto dalla Repubblica italiana non può però essere accolto.

75      A questo riguardo occorre anzitutto osservare che la Commissione, come sostenuto dalla medesima nelle sue memorie, non si è mai pronunciata sull’eventuale qualificazione del Super DIT come aiuto di Stato, il quale non è stato oggetto di una notificazione alla Commissione a norma dell’art. 88, n. 3, CE, e, essendo stato abrogato nel 2001 – il che non è contestato dalla Repubblica italiana –, non rientrava nel regime di aiuti in questione. Il Super DIT è unicamente menzionato nell’art. 11 del d.l. n. 269/2003, allo scopo di impedire alle imprese interessate di beneficiare di una duplice agevolazione fiscale.

76      Per quanto poi concerne la presunta conoscenza, da parte della Commissione, del Super DIT nell’ambito della sua attività di vigilanza sull’applicazione delle norme in materia di mercato interno e l’esame del Super DIT da parte del Consiglio «Questioni economiche e finanziarie», occorre rilevare che, da un lato, questi due aspetti non rientrano nell’ambito del controllo degli aiuti di Stato e, dall’altro, qualsiasi apparente inazione della Commissione nei confronti di una misura che potrebbe costituire un aiuto di Stato è priva di significato nel caso in cui, come nella fattispecie, un regime di aiuti non le sia stato notificato (v., in tal senso, sentenza della Corte 11 novembre 2004, cause riunite C-183/02 P e C-187/02 P, Demesa e Territorio Histórico de Álava/Commissione, Racc. pag. I-10609, punto 52).

77      Inoltre, la circostanza che la Commissione abbia conosciuto in modo dettagliato il Super DIT e che, pur avendo la possibilità di avviare un procedimento di indagine formale, non si sia mai pronunciata sull’eventuale qualificazione quale aiuto di Stato del Super DIT non ha nessuna rilevanza per quanto riguarda la nozione di aiuto di Stato ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE, né sulla qualificazione di aiuto nuovo o esistente ai sensi del regolamento n. 659/1999.

78      In ogni caso, anche a voler ritenere che il Super DIT e il regime di aiuti controverso si inserissero in una logica di continuità e di estensione cronologica, la circostanza che la Commissione non sia intervenuta nei confronti del Super DIT è irrilevante, dal momento che il regime di aiuti in esame nella presente controversia, esaminato indipendentemente dal Super DIT, costituisce un aiuto di Stato (v., in tal senso, sentenze della Corte 7 giugno 1988, causa 57/86, Grecia/Commissione, Racc. pag. 2855, punto 10, e 15 dicembre 2005, causa C-148/04, Unicredito Italiano, Racc. pag. I-11137, punto 105).

79      Infine, è importante ricordare che, conformemente alla giurisprudenza citata nel precedente punto 69, la Commissione non era obbligata a prendere posizione su tutti gli argomenti che gli interessati avevano fatto valere dinanzi ad essa. Le era sufficiente esporre i fatti e le considerazioni giuridiche aventi un ruolo essenziale nell’economia della decisione impugnata (v. altresì, in tal senso, sentenza Technische Glaswerke Ilmenau/Commissione, citata nel precedente punto 45, punto 60, e giurisprudenza ivi citata). Per di più, la Commissione non era nemmeno tenuta a giustificare la decisione impugnata in modo dettagliato per replicare ad argomenti che essa riteneva per nulla o solo poco pertinenti (v., in tal senso, ordinanza del presidente della Corte 29 aprile 2005, causa C-404/04 P-R, Technische Glaswerke Ilmenau/Commissione, Racc. pag. I-3539, punto 37). Orbene, poiché il Super DIT non faceva parte del regime di aiuti in questione e la sua conformità alle norme in materia di aiuti di Stato non era stata assolutamente valutata dalla Commissione, esso non rivestiva un’importanza essenziale nell’economia della decisione impugnata.

80      Non si può dunque rimproverare la Commissione per non aver risposto specificamente all’affermazione secondo la quale le misure in questione potevano interpretarsi nel solco di una presunta continuità con il Super DIT e potevano, di conseguenza, risultare giustificate dai principi generali del sistema tributario italiano.

81      Occorre pertanto dichiarare infondato il secondo motivo.

 Sul difetto di motivazione della decisione impugnata quanto alla natura selettiva delle misure di cui è causa

82      La Commissione dedica i punti 26-32 della decisione impugnata alla dimostrazione dell’esistenza di un vantaggio selettivo.

83      In primo luogo, la Commissione ritiene, nel punto 26 della decisione impugnata, che le misure in questione introducano una deroga al normale funzionamento del sistema tributario e procurino un vantaggio esclusivo per le società che sono in grado di farsi ammettere alla quotazione nel breve periodo d’applicazione del regime di aiuti, da cui sono escluse le imprese già quotate, le imprese che non soddisfano le condizioni per essere quotate e quelle che decidono comunque di non farsi quotare in quel periodo.

84      Nei punti 27-29, essa espone le ragioni per le quali tale deroga non è giustificabile in base alla natura del sistema tributario, in quanto non corrisponde a nessuna distinzione rilevante tra la posizione delle società quotate su un mercato regolamentato rispetto a quelle non quotate. La Commissione precisa, da un lato, che la riduzione dell’aliquota d’imposta gravante sugli utili futuri realizzati dai beneficiari, prevista dall’art. 11 del d.l. n. 269/2003, non è proporzionata, non avendo tali utili alcuna relazione con l’ammissione alla quotazione dei beneficiari, con la struttura del loro capitale e con le altre caratteristiche associate alla quotazione, e, dall’altro, che l’esclusione dal reddito imponibile, prevista dall’art. 1, comma 1, lett. d), del d.l. n. 269/2003, costituisce un incentivo straordinario, in quanto si aggiunge alla normale deduzione delle spese. Peraltro, la breve durata d’applicazione del regime di aiuti, implicando l’esclusione di fatto di numerosi beneficiari potenziali, è in contraddizione, in base a quanto esposto nella decisione impugnata, con l’obiettivo specifico della promozione della quotazione delle società.

85      In secondo luogo, la Commissione sottolinea, nel punto 30 della decisione impugnata, che le misure di cui è causa hanno effetti rilevanti sulle imprese di una certa dimensione e possono falsare la concorrenza migliorando la posizione di dette imprese rispetto a quella dei concorrenti non registrati in Italia. Per di più essa rileva che, dato che gli incentivi in questione sono concessi tramite il sistema fiscale, essi vanno soprattutto a beneficio delle imprese italiane, per le quali la minore imposizione si applica agli utili realizzati su scala mondiale, rispetto alle imprese estere, per le quali le agevolazioni fiscali si applicano solo agli utili conseguiti in Italia. La Commissione esclude altresì qualunque giustificazione fondata sulla natura del sistema tributario, dato che il regime di aiuti costituisce un aiuto straordinario, non giustificabile nell’ambito della normale amministrazione del sistema fiscale.

86      Dai punti prima citati si evince che, nella decisione impugnata, la Commissione ha chiaramente illustrato in cosa consiste il vantaggio selettivo di cui godono le imprese beneficiarie delle misure in questione. Alla luce di ciò, dev’essere respinta la parte del terzo motivo relativa ad un difetto di motivazione.

 Sul difetto di motivazione della decisione impugnata relativamente all’incidenza delle misure in questione sulla concorrenza e sugli scambi intracomunitari

87      Si deve ricordare che, anche se la Commissione deve quanto meno menzionare, nella motivazione della propria decisione, le circostanze nelle quali un aiuto è stato concesso, quando esse permettono di dimostrare che l’aiuto è atto a incidere sul commercio intracomunitario e ad alterare o a minacciare di alterare la concorrenza, essa non è tenuta a procedere ad un’analisi economica della situazione effettiva dei mercati di cui trattasi, della quota di mercato delle imprese beneficiarie degli aiuti, della posizione delle imprese concorrenti e delle correnti di scambi tra Stati membri. Inoltre, nel caso di aiuti illegittimamente concessi, la Commissione non è tenuta a dimostrare l’effetto reale che tali aiuti hanno avuto sulla concorrenza e sugli scambi tra Stati membri. Se così fosse, infatti, quest’obbligo finirebbe col favorire gli Stati membri che versano aiuti illegittimi a detrimento di quelli che notificano il piano di aiuti (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 29 settembre 2000, causa T-55/99, CETM/Commissione, Racc. pag. II-3207, punti 100-103, e Technische Glaswerke Ilmenau/Commissione, citata nel precedente punto 45, punto 215).

88      Alla luce di questa giurisprudenza, non risulta che nel caso di specie la Commissione sia venuta meno all’obbligo ad essa incombente di motivare in modo sufficiente la parte della decisione impugnata relativa all’incidenza delle misure di cui è causa sulla concorrenza e sugli scambi intracomunitari.

89      A questo proposito, la Commissione dedica i punti 34-37 della decisione impugnata all’esame degli effetti di dette misure sulla concorrenza e sugli scambi intracomunitari.

90      Essa sottolinea anzitutto che siffatte misure sono atte a «falsare la concorrenza tra imprese e gli scambi tra Stati membri, dato che le società beneficiarie possono operare in mercati internazionali e svolgere attività commerciali e altre attività economiche in mercati caratterizzati da un’intensa concorrenza» (punto 34 della decisione impugnata).

91      Essa poi elenca gli obiettivi finanziari perseguiti dalle società che chiedono di essere ammesse alla quotazione, tra cui l’aumento e la differenziazione delle fonti di finanziamento, l’incremento della propria capacità finanziaria, l’ottenimento di una valutazione di mercato, e afferma che, «concedendo un’agevolazione fiscale straordinaria alle società che decidono di farsi quotare in borsa, il regime migliora la posizione concorrenziale e la capacità finanziaria di tali società rispetto alle concorrenti», precisando nel contempo che gli effetti descritti «possono favorire beneficiari italiani operanti su mercati nei quali avvengono scambi intracomunitari» e che pertanto «il regime incid[e] sugli scambi e fals[a] la concorrenza» (punto 35 della decisione impugnata).

92      Infine, la Commissione precisa che «le [dieci] società ammesse alla quotazione nelle borse italiane appartengono a vari settori, che vanno da quello manifatturiero ai servizi di pubblica utilità e che sono aperti alla concorrenza internazionale» e ritiene che le agevolazioni fiscali concesse sono notevoli, potendo ammontare sino a EUR 11,7 millioni per ogni beneficiario nell’arco del triennio di applicazione del regime di aiuti (punto 36 della decisione impugnata).

93      La Commissione ne conclude, al punto 37 della decisione impugnata, che «la distorsione [della]concorrenza prodotta dal regime nei diversi settori nei quali operano i beneficiari è significativa, considerando che questi hanno spesso un ruolo di preminenza nei rispettivi settori in Italia, il che giustifica la valutazione negativa espressa sul regime».

94      La motivazione della decisione impugnata consente pertanto alla Repubblica italiana e al giudice comunitario di conoscere le ragioni che hanno indotto la Commissione a ritenere che nel caso di specie sussistessero i presupposti per l’applicazione dell’art. 87, n. 1, CE relativi all’incidenza sugli scambi tra Stati membri e alla distorsione della concorrenza.

95      Questa conclusione non può essere rimessa in discussione dagli argomenti dedotti dalla Repubblica italiana, in base ai quali l’esame della distorsione della concorrenza e dell’incidenza delle misure in questione sugli scambi tra Stati membri non si sarebbe esteso alla misura prevista dall’art. 1, comma 1, lett. d), del d.l. n. 269/2003. A questo proposito basti ricordare che i punti 34-37 della decisione impugnata, indicando gli effetti del «regime», evidenziano in modo chiaro e inequivocabile che il ragionamento della Commissione è valido per il regime di aiuti nel suo complesso, e pertanto per le due misure in questione.

96      Da ciò discende che dev’essere parimenti respinta la parte del quarto motivo relativa ad un difetto di motivazione della decisione impugnata, per quanto concerne l’incidenza delle misure di cui è causa sulla concorrenza e sugli scambi intracomunitari.

 Sul difetto di motivazione della decisione impugnata quanto all’incompatibilità delle misure di cui è causa con il mercato comune

97      La Commissione dedica i punti 39-45 della decisione impugnata all’analisi della compatibilità delle misure in questione con il mercato comune.

98      La Commissione sottolinea anzitutto che tale compatibilità dev’essere valutata alla luce delle deroghe previste dall’art. 87, nn. 2 e 3, CE (punto 39 della decisione impugnata) e che le autorità italiane non hanno esplicitamente criticato la sua valutazione, esposta nella decisione di avvio del procedimento, secondo la quale non risultava applicabile nel caso di specie nessuna di tali deroghe (punto 40 della decisione impugnata). Essa chiarisce poi che «i benefici o non sono correlati ad alcuna spesa oppure sono connessi a spese inammissibili agli aiuti a norma dei regolamenti di esenzione per categoria o degli orientamenti comunitari» (punto 41 della decisione impugnata). La Commissione precisa altresì che le deroghe previste dall’art. 87, nn. 2 e 3, lett. a), b) e d), CE non sono applicabili al caso di specie (punti 42-44 della decisione impugnata). Infine, per quanto attiene in particolare all’art. 87, n. 3, lett. c), CE, essa sottolinea che «le agevolazioni fiscali disposte dal regime non sono connesse ad investimenti specifici, alla creazione di posti di lavoro o a progetti specifici» e che «esse costituiscono semplicemente una riduzione degli oneri che le imprese interessate devono di norma sostenere nel corso delle loro attività economiche e devono pertanto essere considerate come aiuti di Stato al funzionamento che sono incompatibili con il mercato comune» (punto 45 della decisione impugnata).

99      Orbene, per quanto riguarda, in particolare, il presunto obbligo della Commissione di motivare specificamente la sua conclusione, secondo la quale le misure controverse sono incompatibili con il mercato comune in relazione alla possibilità che gli aiuti, persino se qualificabili come aiuti al funzionamento, possano essere giustificati, si deve ricordare che, conformemente alla giurisprudenza citata nel precedente punto 68, la Commissione non è obbligata ad esprimersi su tutti gli argomenti che gli interessati fanno valere. Le è sufficiente esporre i fatti e le considerazioni giuridiche aventi un ruolo essenziale nell’economia della decisione. Inoltre, conformemente alla giurisprudenza citata nel precedente punto 79, essa non è nemmeno obbligata a giustificare la sua decisione in modo dettagliato per replicare ad argomenti che essa ritiene per nulla o solo poco rilevanti.

100    A tale riguardo, basti rilevare che la Commissione ha sufficientemente illustrato in diritto, nei punti 39-45 della decisione impugnata, le ragioni essenziali alla base della sua constatazione dell’incompatibilità del regime di aiuti con il mercato comune ed ha rilevato, nel punto 46 della decisione impugnata, che nessuna deroga era applicabile per questi aiuti, in quanto aiuti al funzionamento.

101    È giocoforza constatare che la motivazione della decisione impugnata consente di comprendere le ragioni per le quali la Commissione ha escluso l’applicazione delle deroghe previste dall’art. 87, nn. 2 e 3, CE, e, in particolare, le ragioni per cui essa ha qualificato le misure controverse come aiuti al funzionamento, escluse dalla sfera d’applicazione dell’art. 87, n. 3, lett. c), CE, e non come aiuti agli investimenti.

102    Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, si deve respingere la parte del quinto motivo riguardante un difetto di motivazione della decisione impugnata relativo all’incompatibilità delle misure in questione con il mercato comune.

3.     Sulla violazione dell’art. 87 CE

103    La Repubblica italiana lamenta la violazione dell’art. 87 CE, relativamente a diversi aspetti della valutazione delle misure in questione effettuata dalla Commissione, nell’ambito dei suoi motivi terzo, quarto e quinto. Essa nega, con il suo terzo motivo, l’esistenza di un vantaggio concesso a società recentemente quotate in borsa nonché il carattere selettivo di tale vantaggio; con il quarto motivo, l’incidenza di dette misure sulla concorrenza e sugli scambi intracomunitari; e, con il quinto motivo, l’incompatibilità di queste ultime con il mercato comune.

 Sul carattere selettivo del vantaggio concesso alle società recentemente quotate in borsa

 Argomenti delle parti

104    Nell’ambito del terzo motivo, la Repubblica italiana sostiene che le misure esaminate non hanno carattere selettivo o che la differenziazione che esse introducono è giustificata dalla natura o dalla struttura del sistema fiscale.

105    La Repubblica italiana critica l’osservazione formulata nel punto 26 della decisione impugnata, secondo la quale il carattere selettivo del vantaggio risiede nel fatto che le misure in questione derogano «al normale funzionamento del sistema tributario, e favorisc[ono] talune imprese o talune produzioni, in quanto costituisc[ono] un regime specifico di cui possono beneficiare soltanto le società che sono in grado di farsi ammettere alla quotazione nel periodo previsto dal regime». Essa ritiene che, dato che il regime di aiuti in questione si riferisce a tutte le società per azioni potenzialmente in grado di farsi ammettere alla quotazione, esso non è selettivo. Infatti, un regime di aiuti di nuova istituzione si rivolgerebbe necessariamente a coloro che, nel momento in cui il regime stesso entra in vigore, soddisfano i requisiti in esso previsti, mentre non può rivolgersi a coloro che non soddisfano tali requisiti o li hanno soddisfatti in un momento precedente.

106    La Repubblica italiana critica anche l’osservazione formulata nel punto 27 della decisione impugnata, secondo la quale il regime di aiuti in questione non sarebbe giustificabile in base alla natura del sistema tributario italiano, non sarebbe proporzionato, in quanto la riduzione dell’aliquota d’imposta si applica agli utili futuri realizzati dai beneficiari senza nessuna relazione con il fatto che questi siano stati ammessi alla quotazione, con la struttura del loro capitale e con le altre caratteristiche associate alla quotazione in borsa, e non sarebbe giustificabile neppure in base ai suoi obiettivi specifici, considerata la sua breve durata che lo rende di fatto inaccessibile a molti beneficiari potenziali. Secondo la Repubblica italiana, le misure in questione introducono una differenziazione inerente alla logica del sistema fiscale, in quanto corrispondono a una situazione, quella delle società quotate, obiettivamente diversa rispetto alla situazione delle società non quotate. Le società quotate dovrebbero far fronte a costi di elevato ammontare che resterebbero, in parte, a loro carico, in quanto potrebbero non risultare deducibili già nel periodo di imposta in cui sono stati sostenuti e, anche qualora lo fossero, la loro deducibilità comporterebbe un risparmio di imposta che non potrebbe comunque eccedere l’aliquota delle imposte applicabili sul reddito imponibile.

107    Le sentenze della Corte 8 novembre 2001, causa C-143/99, Adria-Wien Pipeline e Wietersdorfer & Peggauer Zementwerke (Racc. pag. I-8365, punti 41 e 42), e 13 febbraio 2003, causa C-409/00, Spagna/Commissione (Racc. pag. I-1487, punto 52), confermano, secondo la Repubblica italiana, che l’applicazione di un diverso trattamento fiscale alle società quotate è sistematicamente coerente e non è selettivo.

108    Quanto all’argomento dedotto dalla Commissione, secondo cui la riduzione dell’aliquota di cui all’art. 11 del d.l. n. 269/2003 non sarebbe commisurata ai costi di quotazione, ma agli utili conseguiti dalle società, la Repubblica italiana fa osservare che potrebbero anche non sussistere utili, per cui la riduzione dell’aliquota potrebbe non avere nessuna incidenza reale, e che, se anche dovessero sussistere tali utili, è certo che si tratterebbe di utili notevolmente ridotti a causa degli oneri necessari per ottenere la quotazione stessa.

109    Pertanto, l’affermazione della Commissione, secondo cui il trattamento differenziato «non corrisponde ad alcuna distinzione rilevante (...) tra la situazione delle società quotate rispetto a quelle non quotate» (punto 27 della decisione impugnata), sarebbe errata in diritto.

110    La Repubblica italiana aggiunge che, al fine di valutare la selettività delle misure in questione, si dovrebbe porre a raffronto non la situazione di tutte le società per azioni, bensì piuttosto solo la situazione delle società per azioni potenzialmente in grado di quotarsi. In questo caso, sarebbe evidente che le misure controverse, indirizzandosi indistintamente a tutte le società per azioni potenzialmente in grado di quotarsi, non operano nessuna selezione «soggettiva».

111    Secondo la Repubblica italiana, la Commissione non ha tenuto conto, inoltre, della coerenza delle due misure in questione, che si pongono in continuità con le precedenti misure in materia di agevolazioni fiscali per le società neoquotate, vale a dire il Super DIT.

112    Essa rileva parimenti che il carattere selettivo di una misura non viene meno per il fatto che tale misura è temporanea, tanto più che la limitazione nel tempo deriverebbe dalla necessità di contemperare il regime di aiuti in discussione con le esigenze del bilancio statale e potrebbe spiegarsi anche con il carattere sperimentale della misura.

113    Per quanto concerne il punto 28 della decisione impugnata, secondo il quale la deduzione dei costi di quotazione, prevista dall’art. 1, comma 1, lett. d), del d.l. n. 269/2003, costituisce anch’essa un incentivo straordinario, in quanto si aggiunge alla normale deduzione delle spese, la Repubblica italiana pone in risalto la contraddizione che vizierebbe la decisione impugnata, in quanto la Commissione, da un lato, affermerebbe che detta misura potrebbe essere considerata giustificata dallo specifico obiettivo perseguito dal regime di aiuti e, dall’altro, ignorerebbe tale giustificazione in relazione all’altra misura controversa, vale a dire la riduzione d’imposta stabilita dall’art. 11 del d.l. n. 269/2003.

114    Quanto al punto 30 della decisione impugnata, secondo cui le misure di cui è causa vanno a beneficio soprattutto di imprese italiane in ragione dell’applicazione della minore imposizione agli utili realizzati su scala mondiale, la Repubblica italiana rileva che il carattere selettivo di una misura va valutato esclusivamente comparando da un lato le situazioni incluse e, dall’altro, quelle escluse, mentre non avrebbe nessuna rilevanza, al fine di configurare un aiuto di Stato, confrontare tra loro le situazioni contemplate dalla misura considerata, per valutare se queste traggano da questa misura vantaggi della medesima importanza o di importanza diversa.

115    Infine, la Repubblica italiana sottolinea che ogni diversa ripercussione delle misure in questione sulle società beneficiarie italiane e le società beneficiarie estere non può essere vietata, in quanto è normale che un sistema fiscale si fondi sulla regola della universalità della tassazione e delle agevolazioni per quanto riguarda i residenti, e sulla regola della territorialità della tassazione per quanto riguarda i non residenti (v., in tal senso, sentenze della Corte 14 febbraio 1995, causa C-279/93, Schumacker, Racc. pag. I-225, punti 31, 32 e 34, e 14 settembre 1999, causa C-391/97, Gschwind, Racc. pag. I-5451, punti 21-24).

116    La Commissione critica gli argomenti della Repubblica italiana.

 Giudizio del Tribunale

117    L’art. 87, n. 1, CE vieta gli aiuti che «favoriscono talune imprese o talune produzioni», vale a dire gli aiuti selettivi (sentenza 15 dicembre 2005, Italia/Commissione, citata nel precedente punto 69, punto 94). È, tuttavia, giurisprudenza costante che la nozione di aiuto di Stato non riguarda i provvedimenti statali che stabiliscono una differenziazione tra imprese e, pertanto, selettivi a priori, qualora tale differenziazione risulti dalla natura o dalla struttura del sistema fiscale in cui tali provvedimenti si inseriscono (sentenze della Corte 29 aprile 2004, causa C-159/01, Paesi Bassi/Commissione, Racc. pag. I-4461, punto 42, e 6 settembre 2006, causa C-88/03, Portogallo/Commissione, Racc. pag. I-7115, punto 52, e giurisprudenza ivi citata).

118    Di conseguenza, occorre anzitutto verificare se le misure di riduzione delle aliquote d’imposta in questione abbiano un carattere a priori selettivo e, eventualmente, in un secondo tempo, valutare se, come sostiene la Repubblica italiana, tali misure siano giustificate dalla natura e dall’economia del sistema tributario italiano.

–       Sul carattere a priori selettivo delle misure in questione

119    In merito alla valutazione del requisito della selettività, che è un elemento costitutivo della nozione di aiuto di Stato, dalla giurisprudenza risulta che l’art. 87, n. 1, CE richiede di stabilire se, nell’ambito di un dato regime giuridico, un provvedimento statale possa favorire talune imprese rispetto ad altre che si trovino in una situazione di fatto e di diritto analoga, tenuto conto dell’obiettivo perseguito dal detto regime (v. sentenze Spagna/Commissione, citata nel precedente punto 107, punto 47, e Portogallo/Commissione, citata nel precedente punto 117, punto 54, e giurisprudenza ivi citata).

120    Orbene, nel caso di specie, la natura selettiva dell’agevolazione fiscale stabilita dall’art. 1, comma 1, lett. d), e dall’art. 11 del d.l. n. 269/2003 si ricava da diversi elementi. Anzitutto, il diritto alla riduzione dell’aliquota dell’imposta sui redditi nei tre anni successivi all’esercizio durante il quale avviene la quotazione, nonché il diritto alla deduzione dal reddito imponibile di un importo pari alle spese sostenute per la quotazione, è riconosciuto solo alle imprese recentemente quotate in un mercato regolamentato. Queste imprese poi, ossia società per azioni recentemente quotate, devono farsi ammettere alla quotazione ufficiale in un mercato regolamentato nel periodo compreso tra il 2 ottobre 2003, data di entrata in vigore del d.l. n. 269/2003, ed il 31 dicembre 2004, termine ultimo per la prima quotazione conformemente all’art. 11 del d.l. n. 269/2003. Pertanto, le misure in questione avvantaggiano unicamente le imprese che effettuino le operazioni considerate (v., in tal senso, sentenza 15 dicembre 2005, Italia/Commissione, citata nel precedente punto 69, punto 97), nel breve periodo d’applicazione del regime di aiuti, pari a 15 mesi (v., in tal senso e per analogia, sentenza del Tribunale 6 marzo 2002, cause riunite T-92/00 e T-103/00, Diputación Foral de Álava e a./Commissione, Racc. pag. II-1385, punto 49). Infatti, qualunque altra impresa è esclusa dai benefici del regime di aiuti, a prescindere dal fatto che si tratti di società già quotate o che non soddisfano o non possono soddisfare i requisiti per essere quotate nel periodo di validità del regime di aiuti. A questo proposito occorre inoltre precisare, come si ricava dal punto 18 della decisione impugnata e come la Commissione ha più volte sostenuto nelle sue memorie, senza essere contraddetta dalla Repubblica italiana, che il breve periodo previsto per il regime di aiuti era sostanzialmente paragonabile al tempo necessario per progettare, avviare e condurre a buon fine l’ammissione alla quotazione, tenuto conto delle disposizioni che disciplinano quest’ultima, che impongono il rispetto di rigorose condizioni per le imprese che desiderino farsi ammettere alla quotazione. Di conseguenza, i benefici concessi dalle misure in questione, come ammesso in udienza dalla Repubblica italiana, erano riservati, di fatto, alle sole imprese che avessero già avviato il procedimento per la quotazione, a quelle che avessero quanto meno progettato di farlo o a quelle che fossero pronte ad avviare un’iniziativa del genere entro breve termine.

121    Nei termini in cui le società ammesse alla quotazione nel periodo di vigenza del regime di aiuti beneficiavano di agevolazioni fiscali – ossia, la riduzione dell’aliquota dell’imposta sui redditi e la deduzione dal reddito imponibile, oltre alla deduzione normale, dei costi collegati alla quotazione – di cui non potevano beneficiare imprese che non effettuassero operazioni del tipo di quelle previste da queste misure, esse beneficiavano di vantaggi cui non avrebbero avuto diritto in sede di ordinaria applicazione del regime tributario. Per questa ragione, le misure in questione risultano essere selettive.

122    Inoltre, le misure in questione sono selettive in quanto favoriscono di fatto le società registrate in Italia rispetto a quelle che non lo sono (v., in tal senso e per analogia, sentenza della Corte 14 luglio 1983, causa C-203/82, Commissione/Italia, Racc. pag. 2525). Infatti, come sottolinea giustamente la Commissione nel punto 30 della decisione impugnata, l’incentivo fiscale, concesso in deroga al normale trattamento fiscale a favore di tutte le imprese soggette a imposizione in Italia ammesse alla quotazione in un mercato regolamentato, va a beneficio soprattutto di società registrate in Italia. Per di più, per quanto riguarda queste ultime, la minore imposizione si applica agli utili realizzati su scala mondiale, mentre per le società estere dette agevolazioni valgono soltanto per gli utili realizzati in Italia.

123    Questa conclusione non può essere rimessa in discussione in base all’argomento della Repubblica italiana secondo il quale il carattere selettivo di una misura va valutato esclusivamente paragonando, da un lato, le situazioni disciplinate e, dall’altro, quelle escluse, e non confrontando tra loro le situazioni disciplinate dalla misura considerata. A questo proposito occorre ricordare che l’art. 87, n. 1, CE ha lo scopo di vietare qualsiasi aiuto che possa favorire «talune imprese o talune produzioni» e definisce una misura di aiuto in funzione dei suoi effetti. Pertanto, nulla osta, come giustamente sottolineato dalla Commissione, a che una misura già in partenza limitata a determinati soggetti – nel caso di specie, le società che si quotano in borsa – avvantaggi maggiormente alcuni dei beneficiari – nella fattispecie, le società italiane, per le quali le agevolazioni fiscali si applicano agli utili conseguiti a livello mondiale – rispetto ad altre società, parimenti beneficiarie del regime di aiuti, ossia le società straniere, per le quali le agevolazioni fiscali valgono per i soli utili conseguiti in Italia.

124    Da quanto detto risulta che le misure in questione favoriscono «talune imprese», ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE. Pertanto, occorre esaminare se la disparità istituita dalle dette misure sia giustificata dalla natura o dall’economia generale del sistema tributario nel quale si iscrivono.

–       Sulla giustificazione delle misure in questione in base alla natura e all’economia del sistema tributario italiano

125    A questo proposito occorre precisare che, qualora una siffatta differenziazione sia basata su finalità diverse da quelle perseguite dal sistema generale, il provvedimento in questione va considerato, in linea di principio, selettivo ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE (v., in tal senso, sentenze della Corte 2 luglio 1974, causa 173/73, Italia/Commissione, Racc. pag. 709, punto 33, e Adria-Wien Pipeline e Wietersdorfer & Peggauer Zementwerke, citata nel precedente punto 107, punto 49). Spetta, peraltro, allo Stato membro che ha introdotto una siffatta differenziazione tra imprese in materia di oneri dimostrare che essa sia effettivamente giustificata dalla natura e dalla struttura del sistema di cui trattasi (sentenza Paesi Bassi/Commissione, citata nel precedente punto 117, punto 43).

126    Secondo la Repubblica italiana, la riduzione dell’imposta costituiva un incentivo fiscale alla quotazione delle società destinatarie del regime di aiuti in questione, tenuto conto del fatto che qualunque società che intendesse essere ammessa alla quotazione in borsa o in un altro mercato regolamentato doveva sostenere oneri rilevanti. Dette misure risponderebbero pertanto alla situazione particolare delle società che intendevano essere ammesse alla quotazione, situazione oggettivamente diversa da quella delle altre società.

127    A questo proposito la Commissione precisa, nel punto 27 della decisione impugnata, che le misure in questione non appaiono giustificate da nessuna distinzione rilevante dal punto di vista tributario tra la situazione delle società quotate in borsa o su un altro mercato regolamentato rispetto a quelle non quotate.

128    Di conseguenza, occorre verificare se la Commissione abbia escluso a ragione l’esistenza di una qualsiasi correlazione tra le misure in questione e una situazione oggettiva, peculiare ai beneficiari di queste ultime.

129    In quest’ottica, è opportuno esaminare separatamente le due misure.

130    Da un lato, come la Commissione giustamente sottolinea nel punto 27 della decisione impugnata, poiché le agevolazioni fiscali previste dall’art. 11 del d.l. n. 269/2003 sono concesse all’atto dell’ammissione alla quotazione, esse si applicano agli utili futuri realizzati dalle imprese beneficiarie, che non hanno nessun nesso con il fatto che i beneficiari siano stati ammessi alla quotazione, né con gli oneri sostenuti in seguito alle operazioni di ammissione, né con un qualsiasi altro presunto svantaggio derivante da questa specifica situazione. Inoltre, vista la sua breve durata, il regime di aiuti non è giustificabile neppure in base ai suoi obiettivi specifici, ossia la promozione della quotazione delle imprese, poiché esso esclude di fatto numerosi beneficiari potenziali.

131    La Repubblica italiana, del resto, non ha dimostrato nessun collegamento tra le caratteristiche specifiche delle società ammesse alla quotazione – in particolare tra i presunti svantaggi che deriverebbero dalla quotazione, in termini di accesso al mercato dei capitali e di oneri organizzativi – e dette misure.

132    Pertanto, anche ipotizzando che le società quotate possano avere caratteristiche diverse da quelle delle società non quotate per quanto riguarda, in particolare, l’accesso al mercato dei capitali e gli oneri organizzativi, occorre prendere atto del fatto che le agevolazioni fiscali previste dall’art. 11 del d.l. n. 269/2003 non hanno nessun collegamento con dette caratteristiche.

133    D’altra parte, come osserva correttamente la Commissione nel punto 28 della decisione impugnata, la deduzione dal reddito imponibile di cui all’art. 1, comma 1, lett. d), del d.l. n. 269/2003, che si aggiunge alla normale deduzione delle spese, costituisce anch’essa un incentivo straordinario. Orbene, anche ipotizzando che essa possa essere considerata giustificata dallo scopo specifico di promuovere la quotazione di società, perseguito dal regime di aiuti, ciò nondimeno ancora una volta, come giustamente rilevato dalla Commissione, a causa della sua breve durata d’applicazione, essa è in contraddizione con tale obiettivo, in quanto esclude di fatto numerosi beneficiari potenziali.

134    Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica italiana, non c’è nessuna contraddizione nella decisione impugnata tra il fatto che la Commissione avrebbe apparentemente escluso qualsiasi possibilità di giustificazione ricavata dalla natura o dall’economia del sistema rispetto agli incentivi fiscali enunciati dall’art. 11 del d.l. n. 269/2003 (punto 27 della decisione impugnata), ed il contemporaneo riconoscimento, viceversa, della possibilità di una giustificazione riguardo agli incentivi fiscali previsti dall’art. 1, comma 1, lett. d), del d.l. n. 269/2003 (punto 28 della decisione impugnata).

135    A questo proposito, la Commissione giustamente esclude sin dall’inizio, per quanto concerne la prima misura, qualsiasi possibilità di giustificazione, dato che tale misura non è collegata a nessuna situazione particolare, peculiare alle società ammesse alla quotazione, e, per quanto concerne la seconda misura, esclude qualsiasi giustificazione nel caso di specie, dopo aver rilevato che sarebbe stato eventualmente possibile giustificarla, dal momento che essa si riferisce a spese inerenti alla quotazione.

136    Pertanto, si deve concludere che la Commissione non ha violato l’art. 87, n. 1, CE giudicando che le misure in questione favoriscono «talune imprese o talune produzioni», e che, in mancanza di un collegamento diretto tra dette misure e lo scopo del regime di aiuti, queste ultime non risultano coerenti con la natura e l’economia del sistema tributario italiano.

137    Questa conclusione non può essere inficiata dalla presunta coerenza, sostenuta dalla Repubblica italiana, tra le misure in questione e analoghe misure anteriori, ossia il Super DIT.

138    A questo proposito, la Repubblica italiana non ha dimostrato che esista una siffatta coerenza.

139    Anzitutto, occorre rilevare che esiste una soluzione di continuità tra i due regimi, dal momento che il Super DIT è stato abrogato nel 2001, anche se continuava ad essere applicato in via transitoria alle società che, alla data del 30 giugno 2001, avevano proceduto ad operazioni di aumento del capitale, e le misure in questione, che sono state introdotte nell’ottobre 2003.

140    Inoltre, la sfera d’applicazione dei due regimi è completamente diversa. Il Super DIT prevedeva riduzioni per l’aliquota d’imposta applicabile unicamente alla remunerazione ordinaria dell’aumento del capitale investito per le società i cui titoli di partecipazione siano ammessi alla quotazione in un mercato regolamentato, per i tre periodi di imposta successivi a quello della prima quotazione. Come sottolinea la Commissione, il Super DIT mirava ad attenuare la penalizzazione degli apporti di nuovo capitale di rischio in occasione delle operazioni di quotazione, il cui regime fiscale è meno favorevole rispetto ai finanziamenti col debito. Viceversa, le misure in questione prevedono, da un lato, alcune riduzioni dell’aliquota dell’imposta applicabile al reddito globale e, dall’altro, una deduzione dei costi sostenuti per l’ammissione alla quotazione, che si aggiunge alla deduzione ordinaria.

141    In ogni caso, anche ipotizzando che le due misure consecutive rispondano ad una logica di continuità e di prolungamento, questo aspetto non basterebbe da solo a dimostrare che esse siano coerenti con la natura e con l’economia del sistema, dato che, come constatato nel precedente punto 75, la Commissione non si è pronunciata sull’eventuale natura di aiuto di Stato del Super DIT.

142    Infine, per quanto concerne l’argomento della Repubblica italiana ricavato, in sostanza, dalla coerenza del trattamento differenziato tra residenti e non residenti con il sistema tributario nazionale, occorre ricordare che, nel caso di specie, gli effetti delle misure in questione non derivano dalla determinazione della base imponibile in quanto tale, e pertanto dalle diverse modalità di imposizione, la cui coerenza è stata sottolineata dalla Repubblica italiana. Questi effetti derivano piuttosto, come giustamente sostenuto dalla Commissione, dalla scelta di collegare le agevolazioni in questione alla base imponibile, circostanza che costituisce una scelta estranea alla logica del sistema tributario. In altri termini, le agevolazioni, dirette in linea di principio a promuovere la quotazione in un mercato regolamentato, si applicano alla base imponibile, che non ha nessun rapporto con la quotazione. Di conseguenza, benché l’agevolazione tragga origine dall’ammissione alla quotazione, il regime di aiuti giunge in pratica a concedere un’agevolazione diversa in funzione del fatto che il beneficiario sia stabilito, in via principale, in Italia o altrove.

143    Da quanto sin qui esposto si ricava che il terzo motivo dev’essere respinto per la parte in cui esso riguarda una violazione dell’art. 87, n. 1, CE.

 Sull’incidenza delle misure in questione sugli scambi intracomunitari e sulla concorrenza

 Argomenti delle parti

144    Nell’ambito del quarto motivo, la Repubblica italiana mette in discussione l’analisi svolta dalla Commissione per quanto concerne le due condizioni relative all’alterazione della concorrenza e all’incidenza sul commercio intracomunitario.

145    Secondo la Repubblica italiana, l’alterazione della concorrenza è, per definizione, una modifica dell’equilibrio concorrenziale esistente, cioè un effetto che si può apprezzare soltanto su una certa durata. La Commissione non avrebbe precisato i motivi per cui, malgrado la loro breve durata ed il loro importo ridotto, le misure controverse contenessero nondimeno in sé la potenzialità di modificare in modo permanente l’equilibrio concorrenziale. La Repubblica italiana richiama a tal riguardo la giurisprudenza secondo cui un aiuto di entità relativamente modesta può incidere sugli scambi «qualora il settore nel quale opera l’impresa che ne fruisce sia caratterizzato da una forte concorrenza», per concludere che la Commissione avrebbe dovuto effettuare un’analisi, sia pure sintetica, dei settori nei quali potevano operare i vari beneficiari delle misure in questione e della situazione concorrenziale ivi esistente, che invece sarebbe mancata del tutto nel caso di specie.

146    Laddove sarebbe stata doverosa un’analisi economica, la Commissione si sarebbe limitata ad affermazioni generiche, senza distinguere i settori comunitari e quelli di mero interesse nazionale, pur avendo ammesso che taluni beneficiari potrebbero operare in questi ultimi.

147    La Commissione non avrebbe dimostrato, inoltre, che le misure di cui è causa costituiscano aiuti al funzionamento. Dette misure miravano invece, secondo la Repubblica italiana, al rafforzamento patrimoniale delle società a seguito della loro quotazione. Trattandosi quindi di misure non di aiuto alla gestione corrente, ma di portata strutturale, la Commissione avrebbe dovuto analizzare adeguatamente il loro presunto impatto sulla concorrenza.

148    Per quanto attiene in particolare alla distorsione della concorrenza, la Repubblica italiana rileva che, in relazione ai beneficiari del regime di aiuti in esame nella decisione impugnata, vale a dire le più importanti imprese operanti sul mercato, l’agevolazione fiscale – potendo apportare risparmi di imposta complessivi pari ad EUR 11,7 milioni, sommando i tre anni di applicazione dell’aliquota ridotta – non è di per sé tale da incidere in modo ragguardevole sulla loro situazione concorrenziale in relazione al loro fatturato, salvo che si proceda ad una più analitica indagine, che è mancata nel caso di specie.

149    Infine, dato che la riduzione dell’aliquota mira a parificare le società quotande, che sopportano costi elevati, rispetto alle società non quotate e non quotande, tale riduzione non costituirebbe un vantaggio per le società quotande e non darebbe luogo, conseguentemente, a nessuna distorsione della concorrenza.

150    La Commissione critica gli argomenti della Repubblica italiana.

 Giudizio del Tribunale

151    L’art. 87, n. 1, CE vieta gli aiuti che incidono sugli scambi tra Stati membri e falsano o minacciano di falsare la concorrenza.

152    Nell’ambito della sua valutazione di tali due condizioni, la Commissione non è tenuta a dimostrare un’incidenza effettiva degli aiuti sugli scambi tra gli Stati membri e un’effettiva distorsione della concorrenza, ma deve solamente esaminare se i detti aiuti siano idonei a incidere su tali scambi e a falsare la concorrenza (v. sentenza 15 dicembre 2005, Italia/Commissione, citata nel precedente punto 69, punto 111, e giurisprudenza ivi citata).

153    In particolare, allorché un aiuto concesso da uno Stato membro rafforza la posizione di un’impresa nei confronti di altre imprese concorrenti negli scambi intracomunitari, questi sono da considerarsi influenzati dall’aiuto. Non è dunque necessario che le imprese beneficiarie dell’aiuto partecipino direttamente agli scambi intracomunitari. Infatti, quando uno Stato membro concede un aiuto ad un’impresa, la produzione interna può risultarne invariata o aumentare, con la conseguenza che le opportunità per le imprese con sede in altri Stati membri di inserirsi nel mercato di questo Stato membro risultano diminuite. Inoltre, il rafforzamento di un’impresa che, sino a quel momento, non partecipava a scambi intracomunitari può collocare l’impresa medesima in una situazione che le consenta di inserirsi nel mercato di un altro Stato membro (v., in tal senso, sentenza 15 dicembre 2005, Italia/Commissione, citata nel precedente punto 69, punti 115 e 117, e giurisprudenza ivi citata).

154    Anche un aiuto di entità relativamente esigua può incidere sugli scambi fra Stati membri quando i settori nei quali operano le imprese beneficiarie sono altamente concorrenziali (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 30 aprile 1998, causa T-214/95, Vlaams Gewest/Commissione, Racc. pag. II-717, punto 49).

155    Inoltre, secondo una costante giurisprudenza, una volta che un’autorità pubblica favorisce un’impresa che opera in un settore caratterizzato da un’intensa concorrenza concedendole un’agevolazione, si verifica una distorsione di concorrenza o il rischio di una tale distorsione. Se il vantaggio è ridotto, la concorrenza è falsata in maniera ridotta, ma essa è nondimeno falsata. Orbene, il divieto ex art. 87, n. 1, CE si applica a qualsiasi aiuto che falsi o minacci di falsare la concorrenza, indipendentemente dall’importo, qualora incida sugli scambi fra Stati membri (sentenza Vlaams Gewest/Commissione, citata nel precedente punto 154, punto 46).

156    Dai punti 34-36 della decisione impugnata emerge che la Commissione ha esaminato, conformemente alla citata giurisprudenza, se le misure in questione possano falsare la concorrenza e incidere sugli scambi tra Stati membri. A suo parere, dette misure migliorano la posizione concorrenziale e la capacità finanziaria delle società beneficiarie, che possono operare in mercati internazionali e in mercati caratterizzati da un’intensa concorrenza, circostanza che può inoltre favorire taluni beneficiari italiani attivi su mercati dove si svolgano scambi intracomunitari. La Commissione precisa altresì che le società beneficiarie appartengono a vari settori, che vanno da quello manifatturiero ai servizi di pubblica utilità, tutti aperti alla concorrenza internazionale, e che l’agevolazione consistente nella riduzione delle imposte è sostanziale, dato che può raggiungere gli EUR 11,7 milioni per beneficiario durante i tre anni di applicazione del regime di aiuti.

157    Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica italiana, la Commissione non era obbligata a dimostrare un’alterazione «permanente» della concorrenza, né ad effettuare un’indagine più dettagliata sull’incidenza sostanziale delle misure in questione sulla posizione concorrenziale dei beneficiari, e ancor meno rispetto al fatturato dei medesimi. La giurisprudenza non esige, infatti, che la distorsione della concorrenza o la minaccia di una siffatta distorsione e la ripercussione sugli scambi intracomunitari siano sensibili o sostanziali (sentenza Diputación Foral de Álava e a./Commissione, citata nel precedente punto 120, punto 78). Peraltro, come illustrato nei precedenti punti 155 e 156, la circostanza, richiamata dalla Repubblica italiana, riguardante il valore esiguo dell’aiuto è irrilevante nel caso di specie, dato che le imprese beneficiarie operano in settori aperti alla concorrenza.

158    Per di più, come già spiegato nel precedente punto 87, trattandosi di un aiuto non notificato alla Commissione, la decisione che accerta l’incompatibilità di questo aiuto con il mercato comune non dev’essere obbligatoriamente basata sulla dimostrazione dell’effetto reale di quest’aiuto sulla concorrenza o sugli scambi tra Stati membri.

159    Inoltre, contrariamente a quanto sostiene la Repubblica italiana, nemmeno il fatto che talune delle imprese beneficiarie potessero operare su mercati di interesse esclusivamente nazionale obbligava la Commissione a svolgere un’analisi approfondita.

160    Ad ogni modo, come illustrato nel precedente punto 69, nel caso di un regime di aiuti, la Commissione può limitarsi a studiarne le caratteristiche generali, senza essere tenuta ad esaminare ogni singolo caso di applicazione al fine di verificare se il detto regime presenti elementi di aiuto. La circostanza che eventualmente esso giovi anche a beneficiari che operano esclusivamente su mercati di interesse nazionale non rimette in discussione tale constatazione, sufficiente ai fini dell’applicazione dell’art. 87, n. 1, CE a un regime di aiuti (v., in tal senso e per analogia, sentenza 15 dicembre 2005, Italia/Commissione, citata nel precedente punto 69, punti 91 e 92, e giurisprudenza ivi citata).

161    Per quanto riguarda l’argomento della Repubblica italiana basato sul fatto che la riduzione dell’aliquota dell’imposta sarebbe sostanzialmente diretta a neutralizzare gli svantaggi che le imprese beneficiarie dovrebbero sopportare in conseguenza della loro quotazione, è importante sottolineare che il fatto che le misure statali in esame mirino a compensare i costi aggiuntivi che le imprese beneficiarie avrebbero sostenuto a seguito della loro quotazione non può sottrarle alla qualifica di aiuto ai sensi dell’art. 87 CE (v., in tal senso, sentenza della Corte 5 ottobre 1999, causa C-251/97, Francia/Commissione, Racc. pag. I-6639, punto 47).

162    Infine, per quanto concerne la distinzione che la Repubblica italiana tenta di tracciare tra aiuti al funzionamento ed aiuti di portata strutturale occorre rilevare che, conformemente alla giurisprudenza citata nei precedenti punti 152-155, essa è irrilevante ai fini dell’analisi del presente motivo. Infatti, qualsiasi aiuto concesso ad un’impresa che eserciti le sue attività sul mercato comunitario è idoneo a causare distorsioni di concorrenza e ad incidere sugli scambi fra Stati membri (sentenza Diputación Foral de Álava e a./Commissione, citata nel precedente punto 120, punto 72).

163    Pertanto, anche il quarto motivo, nei termini in cui riguarda una violazione dell’art. 87, n. 1, CE, dev’essere respinto.

 Sulla qualificazione delle misure in questione come aiuti al funzionamento e sulla loro incompatibilità con il mercato comune

 Argomenti delle parti

164    La Repubblica italiana critica la valutazione della Commissione in ordine all’incompatibilità del regime di aiuti con il mercato comune.

165    In primo luogo, essa afferma che, anche supponendo che le misure in questione costituiscano aiuti al funzionamento, ciò non osterebbe a che esse rientrino nell’ambito di applicazione dell’art. 87, n. 3, lett. c), CE. A questo proposito, la Repubblica italiana cita anche la decisione della Commissione 22 dicembre 1999, 2000/410/CE, relativa all’aiuto di Stato al quale la Francia intende dare esecuzione in favore del settore portuale francese (GU 2000, L 155, pag. 52), dove la Commissione avrebbe riconosciuto la legittimità di un aiuto al funzionamento in base a un certo numero di circostanze – quali l’impatto economico limitato dell’aiuto, il fatto che i beneficiari fossero piccole e medie imprese e l’assenza di obiezioni da parte dei terzi interessati –, che sarebbero parimenti presenti nella fattispecie. La Commissione avrebbe dovuto dunque ammettere la legittimità del regime di aiuti in questione o, quantomeno, motivare in modo specifico il suo giudizio di incompatibilità di quest’ultimo con il mercato comune, che non potrebbe basarsi sulla qualificazione di quest’ultimo come aiuto al funzionamento.

166    In secondo luogo, la Repubblica italiana sostiene che le misure in questione costituiscono in ogni caso aiuti all’investimento, poiché la quotazione in borsa comporta spese inerenti a un’operazione di rafforzamento patrimoniale e strutturale della società, quindi a costi ad effetto durevole, cioè ad investimenti.

167    In terzo luogo, la Repubblica italiana ritiene che lo scopo perseguito dalle misure in questione, ossia aumentare e promuovere le quotazioni in borsa, sia un obiettivo specifico di politica economica idoneo ad essere disciplinato dall’art. 87, n. 3, lett. c), CE.

168    La Commissione critica gli argomenti della Repubblica italiana.

 Giudizio del Tribunale

169    Si deve rammentare che, ai fini dell’applicazione dell’art. 87, n. 3, CE, la Commissione gode di un ampio potere discrezionale il cui esercizio comporta valutazioni di ordine economico e sociale da effettuarsi in un contesto comunitario. Il controllo giurisdizionale applicato all’esercizio di tale potere discrezionale si limita alla verifica del rispetto delle norme di procedura e di motivazione, nonché al controllo dell’esattezza materiale dei fatti presi in considerazione e dell’assenza di errori di diritto, di errori manifesti nella valutazione dei fatti o di sviamento di potere (v. sentenza della Corte 29 aprile 2004, causa C-372/97, Italia/Commissione, Racc. pag. I-3679, punto 83, e giurisprudenza ivi citata).

170    Risulta inoltre dalla giurisprudenza che la legittimità di una decisione della Commissione che rileva che un nuovo aiuto non soddisfa le condizioni di applicazione dell’art. 87, n. 3, lett. c), CE dev’essere valutata solo nell’ambito di tale deroga, e non in base a una precedente prassi in materia di decisioni della Commissione, anche ammettendo che essa sia dimostrata (v., in tal senso, sentenza della Corte 30 settembre 2003, cause riunite C-57/00 P e C-61/00 P, Freistaat Sachsen e a./Commissione, Racc. pag. I-9975, punti 52 e 53, e sentenza del Tribunale 15 giugno 2005, causa T-171/02, Regione autonoma della Sardegna/Commissione, Racc. pag. II-2123, punto 177).

171    Nel caso di specie la Commissione, nel punto 45 della decisione impugnata, ha concluso nel senso della qualificazione delle misure in questione come aiuti al funzionamento, esclusi dalla deroga prevista dall’art. 87, n. 3, lett. c), CE, concernente lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, e quindi incompatibili con il mercato comune, precisando che «le agevolazioni fiscali disposte dal regime non sono connesse ad investimenti specifici, alla creazione di posti di lavoro o a progetti specifici».

172    Orbene, una siffatta constatazione non può essere considerata viziata da un errore manifesto di valutazione. Infatti, le misure di cui è causa non mirano a favorire lo sviluppo di un’attività o di una regione economica, bensì alla mera riduzione degli oneri normalmente sostenuti dalle imprese interessate nell’ambito della loro attività economica.

173    Anzitutto, per quanto concerne la possibilità che il regime di aiuti, anche in quanto aiuti al funzionamento, possa essere considerato compatibile con il mercato comune, come sostiene la Repubblica italiana, si deve ricordare che, in linea di principio, gli aiuti al funzionamento non rientrano nel campo di applicazione dell’art. 87, n. 3, CE, poiché essi falsano le condizioni della concorrenza nei settori ove sono concessi senza essere in grado tuttavia, per la loro stessa natura, di conseguire uno degli obiettivi fissati da tale disposizione (v. sentenza del Tribunale 8 giugno 1995, causa T-459/93, Siemens/Commissione, Racc. pag. II-1675, punto 48, e giurisprudenza ivi citata).

174    Questi aiuti possono essere considerati compatibili con il mercato comune solo in casi eccezionali. Orbene, come si evince dagli atti e dalla decisione impugnata, questi casi eccezionali non erano ravvisabili nel caso di specie e non sono stati nemmeno invocati dalle autorità italiane, alle quali incombeva l’onere di fornire tutti gli elementi atti a consentire alla Commissione di accertare che ricorressero le condizioni della deroga richiesta (v., in tal senso, sentenza Regione autonoma della Sardegna/Commissione, citata nel precedente punto 170, punto 129, e giurisprudenza ivi citata). Peraltro, questa constatazione non può essere rimessa in discussione dalla precedente prassi in materia di decisioni della Commissione, anche ammettendo che essa sia dimostrata, come si evince dalla giurisprudenza citata nel precedente punto 170.

175    Per quanto riguarda poi la presunta natura di aiuti all’investimento delle misure in questione, come illustrato nel precedente punto 171 la Commissione ha giustamente escluso tale qualificazione alla luce della circostanza che le agevolazioni fiscali concesse non sono collegate a specifici investimenti, alla creazione di posti di lavoro o a particolari progetti. Del resto, si deve constatare che la Repubblica italiana non ha fornito nessun elemento a sostegno della sua tesi a favore di questa qualificazione. 

176    Infine, per quanto concerne il fatto che le misure potrebbero essere giustificate in quanto dirette ad aumentare e a promuovere le quotazioni in borsa, occorre fare una distinzione tra la valutazione riguardante la riduzione dell’imposta, prevista dall’art. 11 del d.l. n. 269/2003, e quella relativa alla deduzione dal reddito imponibile dei costi collegati alla quotazione, in aggiunta alla normale deduzione di questi stessi costi, prevista dall’art. 1, comma 1, lett. d), del d.l. n. 269/2003.

177    Poiché la riduzione dell’imposta è collegata ai redditi globali dei beneficiari, essa non è direttamente connessa ai costi relativi alla quotazione o ad altri presunti svantaggi derivanti dalla detta operazione. Di conseguenza, essa non può essere qualificata in nessun caso come misura diretta a promuovere la quotazione in borsa. Pertanto la Commissione non ha commesso un errore manifesto di valutazione a questo proposito.

178    Viceversa, la deduzione dal reddito imponibile, prevista dall’art. 1, comma 1, lett. d), del d.l. n. 269/2003, se effettivamente collegata a costi inerenti alla quotazione, potrebbe essere considerata, in linea di principio, come diretta a promuovere la quotazione in borsa. Pertanto, si deve esaminare se la Commissione abbia commesso un errore manifesto di valutazione dichiarando che detta misura non perseguiva uno scopo compatibile con il disposto dell’art. 87, n. 3, lett. c), CE.

179    Va ricordato in proposito che, ai fini dell’applicazione dell’art. 87, n. 3, CE, la Commissione gode di un ampio potere discrezionale il cui esercizio comporta complesse valutazioni di ordine economico e sociale da effettuarsi in un contesto comunitario (v. il precedente punto 169).

180    Occorre ricordare parimenti che gli aiuti al funzionamento non sono considerati come tali da contribuire alla realizzazione di uno degli obiettivi previsti dall’art. 87, n. 3, CE e possono essere autorizzati solo in casi eccezionali, come precisato nel precedente punto 174.

181    Orbene, la Commissione ha escluso, nel caso di specie, che le misure in questione possano essere giustificate alla luce dell’art. 87, n. 3, lett. c), CE, poiché esse costituiscono aiuti al funzionamento. In particolare, la Commissione precisa che «le agevolazioni fiscali disposte dal regime (…) costituiscono semplicemente una riduzione degli oneri che le imprese interessate devono di norma sostenere nel corso delle loro attività economiche e devono pertanto essere considerate come aiuti di Stato al funzionamento che sono incompatibili con il mercato comune» (punto 45 della decisione impugnata).

182    Infatti, contrariamente a quanto sostiene la Repubblica italiana, la quotazione in borsa, di per sé, non è un investimento specifico perché non costituisce una spesa in beni di investimento materiali o immateriali, né una spesa per l’assunzione di nuovo personale collegata ad un nuovo investimento. È piuttosto un’operazione complessa attraverso la quale le società che si quotano perseguono obiettivi finanziari, legati all’accesso a determinate fonti di capitale.

183    Peraltro, la mera circostanza che dette misure siano dirette ad aumentare il numero di società quotate in borsa – circostanza che, secondo la Repubblica italiana, costituisce un obiettivo di politica economica nazionale – non può bastare a far loro applicare la deroga prevista dall’art. 87, n. 3, lett. c), CE. Infatti, come accertato dal Tribunale, gli aiuti in questione non soddisfano le due condizioni secondo le quali gli aiuti devono essere destinati ad agevolare lo sviluppo di determinate attività o di determinate regioni economiche e non devono alterare le condizioni degli scambi in misura contraria all’interesse comune.

184    Di conseguenza, si deve giudicare che la Commissione non ha commesso un errore manifesto di valutazione dichiarando che le misure in questione costituiscono aiuti al funzionamento incompatibili con il mercato comune ed esclusi dalla deroga prevista dall’art. 87, n. 3, lett. c), CE.

185    Pertanto, occorre respingere anche il quinto motivo, in quanto riguardante una violazione dell’art. 87, n. 3, lett. c), CE.

186    Alla luce del complesso delle considerazioni sin qui esposte, poiché nessuno dei motivi dedotti dalla Repubblica italiana può essere accolto, il ricorso dev’essere respinto.

 Sulle spese

187    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Repubblica italiana è condannata alle spese.

Azizi

Cremona

Frimodt Nielsen

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 4 settembre 2009.

Firme

Indice


Fatti

1.  Le misure nazionali di cui è causa

2.  Procedimento amministrativo e decisione impugnata

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

1.  Sulla violazione del principio del contraddittorio

Sul primo motivo, relativo, in sostanza, alla violazione del principio del contraddittorio, per quanto riguarda la decisione di avvio del procedimento d’indagine formale

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sulla parte del terzo motivo vertente sulla violazione del principio del contraddittorio

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

2.  Sul difetto di motivazione

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sul difetto di motivazione, relativo al fatto che la Commissione non avrebbe tenuto conto dell’esistenza, nell’ordinamento giuridico italiano, di una misura avente caratteristiche analoghe alle misure in questione

Sul difetto di motivazione della decisione impugnata quanto alla natura selettiva delle misure di cui è causa

Sul difetto di motivazione della decisione impugnata relativamente all’incidenza delle misure in questione sulla concorrenza e sugli scambi intracomunitari

Sul difetto di motivazione della decisione impugnata quanto all’incompatibilità delle misure di cui è causa con il mercato comune

3.  Sulla violazione dell’art. 87 CE

Sul carattere selettivo del vantaggio concesso alle società recentemente quotate in borsa

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

–  Sul carattere a priori selettivo delle misure in questione

–  Sulla giustificazione delle misure in questione in base alla natura e all’economia del sistema tributario italiano

Sull’incidenza delle misure in questione sugli scambi intracomunitari e sulla concorrenza

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sulla qualificazione delle misure in questione come aiuti al funzionamento e sulla loro incompatibilità con il mercato comune

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sulle spese


* Lingua processuale: l’italiano.