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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 24 gennaio 2008 1(1)

Causa C-27/07

Banque Féderative du Crédit Mutuel

contro

Ministre de l’Economie, des Finances et de l’Industrie

«Direttiva 90/435 – Tassazione di dividendi transfrontalieri – “Utili distribuiti [da una] società figlia”»





1.        La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame, proposta dal Conseil d’État (Consiglio di Stato) francese, riguarda l’interpretazione degli artt. 4 e 7, n. 2, della direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (2) (in prosieguo: la «direttiva»).

2.        Tale direttiva può essere compresa più agevolmente se inquadrata nella più ampia problematica nella quale si inserisce.

 Tassazione dei dividendi intragruppo

3.        Una società controllata distribuisce dividendi alla sua controllante, attingendo a tal fine dagli utili. Qualora tutte le società di un gruppo abbiano sede nello stesso Stato membro, la controllata sarà tassata sugli utili con i quali sono pagati i dividendi e la controllante (come qualsiasi altro azionista) sarà tassata sui dividendi, in quanto reddito. Lo stesso reddito viene quindi tassato due volte, in capo a due diversi contribuenti. Questo è ciò che si intende per doppia imposizione economica.

4.        Per porre rimedio a tale doppia imposizione, taluni Stati membri hanno adottato «sistemi di imputazione» secondo cui agli azionisti è garantito un credito d’imposta che rappresenta interamente o parzialmente l’imposta societaria riscossa sugli utili a base dei dividendi. Il credito d’imposta è dedotto dall’importo dovuto dall’azionista a titolo di imposta sui dividendi, riducendo ovvero eliminando in tal modo la doppia imposizione. Nel periodo rilevante, la Francia provvedeva a questo tipo di credito d’imposta nazionale con il cosiddetto avoir fiscal (3).

5.        Gli Stati membri che accordano siffatti crediti d’imposta per i dividendi vorranno essere certi che l’imposta societaria sia stata effettivamente riscossa sugli utili alla base dei dividendi. I sistemi di imputazione provvedono a tal fine mediante un’imposta speciale, in genere in forma di acconto, a carico della società che versa il dividendo, beneficiando così del credito d’imposta. Nel periodo rilevante, la Francia disponeva di una siffatta imposta di imputazione, il cosiddetto précompte mobilier (4).

6.        Qualora un gruppo di società comprenda una controllante stabilita in uno Stato membro e una o più controllate stabilite in uno o più Stati membri, il pagamento transnazionale di dividendi effettuati dalla controllata alla controllante solleva ovviamente una serie di diversi problemi di ordine fiscale.

7.        La maggior parte degli Stati membri tassa le società stabilite nei rispettivi territori sulla base del loro reddito estero, il che ha storicamente incluso i dividendi versati dalle controllate estere. La maggior parte degli Stati membri tassa anche il reddito di non residenti prodotto all’interno dei rispettivi territori ed ha storicamente trattenuto alla fonte l’imposta sui dividendi transfrontalieri. Tale ritenuta d’acconto garantisce allo Stato membro della controllata la riscossione dell’imposta a carico degli azionisti, che non possono essere raggiunti mediante accertamento diretto.

8.        Di conseguenza, qualora una controllante percepisca redditi da dividendo da una controllata estera, tale reddito sarà già stato tassato due volte: la prima volta con l’imposta estera sulle società relativamente agli utili della controllata sulla base dei quali sono distribuiti i dividendi (tale imposta è versata dalla controllata); la seconda volta con la ritenuta d’acconto estera sugli stessi dividendi, a carico della controllante (ma trattenuta alla fonte e versata alle autorità tributarie estere dalla controllata). Anche questa è una doppia imposizione in senso economico. Se il dividendo è soggetto tanto alla ritenuta d’acconto nello Stato membro della controllata quanto all’imposta sulle persone giuridiche nello Stato membro della controllante, tale società pagherà un’imposta sullo stesso reddito due volte, in due Stati membri. Questa è una doppia imposizione in senso giuridico.

9.        Per ridurre o eliminare tale doppia imposizione economica e/o giuridica dei dividendi, la maggior parte degli Stati membri ha storicamente accordato uno sgravio ai destinatari dei dividendi fiscalmente residenti sul loro territorio, sia unilateralmente che mediante la stipula di convenzioni contro la doppia imposizione, ricorrendo sia al metodo dell’esenzione che a quello del credito d’imposta.

10.      Con il metodo dell’esenzione, il reddito estero pertinente è completamente esonerato dall’imposta nazionale sul reddito e sulle società. Con il sistema del credito d’imposta, lo Stato continua a tassare il reddito estero, ma consente di accordare un credito per talune imposte estere sul reddito (per esempio, l’imposta sugli utili alla base dei dividendi e/o la ritenuta d’acconto sui dividendi), che può poi essere dedotto dalle imposte statali.

11.      Ai sensi dei trattati stipulati dalla Francia con altri Stati membri in materia tributaria, ad una società controllante stabilita in Francia viene riconosciuto un siffatto credito d’imposta estera (il credit d’impôt étranger) relativo alla distribuzione degli utili da parte di una controllata con sede in un altro Stato membro, qualora la distribuzione sia stata soggetta ad una ritenuta alla fonte operata da tale altro Stato membro. Il credito d’imposta estera è pari all’importo della ritenuta.

 La direttiva

12.      La direttiva mira ad eliminare la penalizzazione fiscale nella quale incorrono società di Stati membri diversi rispetto alle società dello stesso Stato membro, qualora cerchino di cooperare formando gruppi di controllanti e controllate (5).

13.      L’art. 3, n. 1, lett. a), della direttiva impone agli Stati membri di riconoscere la qualità di controllante almeno ad ogni società (6) che ha il domicilio fiscale in uno Stato membro e che detenga nel capitale di una società di un altro Stato membro una partecipazione minima del 25% (7) [definita “società figlia” all’art. 3, n. 1, lett. b)].

14.      Ai sensi dell’art. 4, n. 1, della direttiva, qualora una controllante con sede in uno Stato membro riceva un dividendo da una controllata stabilita in un altro Stato membro, lo Stato membro della controllante deve astenersi dal tassare il dividendo (metodo dell’esenzione), oppure tassarlo, autorizzando però la controllante a detrarre dalla sua imposta la frazione dell’imposta sulle società pagata dalla controllata a fronte degli utili distribuiti con quel dividendo (metodo del credito).

15.      Conformemente all’art. 4, n. 2, tuttavia, gli Stati membri possono disporre che gli oneri relativi alla partecipazione e le minusvalenze risultanti dalla distribuzione degli utili della controllata non siano deducibili dall’utile imponibile della controllante. In tal caso, qualora le spese di gestione relative alla partecipazione siano fissate forfettariamente, l’importo forfettario «non può essere superiore al 5% degli utili distribuiti dalla società figlia».

16.      L’art. 5, n. 1, della direttiva impone agli Stati membri di esentare dalla ritenuta alla fonte gli utili distribuiti da una controllata alla sua controllante. Peraltro, la Grecia, la Germania e il Portogallo godono di deroghe che consentono loro, per periodi transitori diversi, di applicare ritenute alla fonte sugli «utili distribuiti» da controllate a controllanti di altri Stati membri (8).

17.      L’art. 7, n. 2, recita:

«La presente direttiva lascia impregiudicata l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali intese a sopprimere o ad attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi, in particolare delle disposizioni relative al pagamento di crediti di imposta ai beneficiari dei dividendi».

18.      Ai sensi dell’art. 1, n. 2, della direttiva, essa «non pregiudica l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi».

19.      La direttiva richiedeva una trasposizione entro il 1° gennaio 1992, salvo le disposizioni transitorie dell’art. 5.

 Normativa nazionale rilevante (9)

20.      La Francia ha optato per il metodo dell’esenzione ex art. 4, n. 1, della direttiva. Pertanto, l’art. 216 del Code général des impôts (10) (in prosieguo: il «CGI») dispone che i redditi netti delle partecipazioni, che danno diritto all’applicazione del regime fiscale delle società controllanti (11) riscossi nel corso di un esercizio da una società controllante, possono essere esclusi dall’utile netto totale di quest’ultima, salvo una quota per spese ed oneri fissata forfettariamente al 5% del ricavo totale delle partecipazioni, compreso il credito d’imposta (12). L’effetto di tale disposizione è che il detto 5% è reintegrato al reddito imponibile della controllante; vi farò riferimento con l’espressione «il 5% reintegrato».

21.      Una circolare amministrativa (13) (in prosieguo: la «circolare amministrativa») afferma che il credito d’imposta menzionato all’art. 216 del CGI comprende tanto il credito d’imposta nazionale (avoir fiscal) per i redditi prodotti in Francia, quanto il credito d’imposta estera (credit d’impôt étranger) per i redditi delle controllate aventi sede in uno Stato con il quale la Francia ha stipulato una convenzione contro la doppia imposizione.

22.      Conformemente all’art. 146, n. 2, del CGI, se la distribuzione, da parte di una controllante ai suoi azionisti, di dividendi ricevuti da una controllata estera conduce all’applicazione del précompte mobilier, dal précompte mobilier possono essere detratti crediti d’imposta solo qualora essi riguardino dividendi distribuiti negli ultimi cinque anni. In forza di una concessione eccezionale, tali crediti d’imposta possono essere eventualmente detratti dalla ritenuta d’acconto da versare sulla ridistribuzione dei dividendi da parte della controllante a soggetti fiscalmente non domiciliati, o che non hanno la loro sede, in Francia.

 La questione pregiudiziale

23.      La Banque Fédérative du Crédit Mutuel (in prosieguo: la «Banque Fédérative») ha proposto dinanzi al Conseil d’État un ricorso diretto all’annullamento della circolare amministrativa. Essa ha sostenuto che, comprendendo nella base di calcolo del 5% reintegrato i crediti d’imposta estera versati conformemente ai trattati stipulati dalla Francia con altri Stati, la circolare impugnata è in contrasto con l’art. 4 della direttiva, che limita l’ammontare delle spese non deducibili dal reddito imponibile della controllante, limitandolo ad un importo fisso, pari al 5% solo «degli utili distribuiti dalla società figlia» (14).

24.       Il Conseil d’État rileva che, conformemente ai trattati stipulati dalla Francia con altri Stati membri in materia tributaria, alla controllata avente sede in Francia viene riconosciuto un credito d’imposta sulla distribuzione dei dividendi da parte di una controllata con sede in un altro Stato membro, qualora tale distribuzione di utili sia stata soggetta ad una ritenuta d’acconto operata dall’altro Stato membro (15). Tale credito d’imposta è pari all’importo della ritenuta d’acconto così dedotta. Il 5% reintegrato pone la controllante in una situazione identica a quella in cui essa si troverebbe se non vi fosse stata alcuna ritenuta d’acconto, dato che il credito d’imposta può essere interamente detratto dall’imposta dovuta dalla controllante. Dagli artt. 146, n. 2, e 216 del CGI nonché dalla circolare amministrativa emerge che il credito d’imposta riconosciuto in occasione della distribuzione di dividendi alla controllante da parte della controllata avente sede in un altro Stato membro può essere detratto dall’imposta dovuta dalla controllante solo qualora tali dividendi siano ridistribuiti nei successivi cinque anni. In tal caso, il 5% reintegrato non incide sul principio della neutralità fiscale sulla distribuzione transfrontaliera degli utili.

25.      Inoltre, se la controllata non ridistribuisce i suoi dividendi entro tale termine, il Conseil d’État concorda sul fatto che il 5% reintegrato ha l’effetto di aumentare il suo reddito imponibile al di sopra del limite fissato dall’art. 4 della direttiva e di pregiudicare, di conseguenza, la neutralità fiscale della distribuzione transfrontaliera degli utili. Esso ritiene che si ponga il problema di sapere se, in tal caso, l’aumento che ne deriva dell’imposta sulle persone giuridiche versata dalla controllata possa essere consentito dall’art. 7, n. 2, della direttiva.

26.      Il Conseil d’État ha pertanto deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Il reintegro nell’imponibile di una società controllante stabilita in Francia del 5% dei crediti d’imposta attribuiti al momento della distribuzione di dividendi da parte di una controllata stabilita in un altro Stato membro dell’Unione europea, quando tali dividendi distribuiti sono stati soggetti a ritenuta alla fonte in detto altro Stato, non incide sul livello dell’imposta gravante sulla controllante quando quest’ultima può detrarre la totalità di detti crediti d’imposta dall’imposta dovuta. Risulta dubbio se, nel caso in cui la controllante non abbia deciso di ridistribuire i dividendi in questione ai propri azionisti entro cinque anni, e quindi non abbia diritto all’agevolazione fiscale costituita da siffatti crediti d’imposta, l’aggravio tributario risultante, per l’imposta sulle società, dal reintegro del 5% dei crediti d’imposta nel suo imponibile possa ritenersi consentito dalle disposizioni di cui all’art. 7, n. 2, della direttiva 23 luglio 1990, 90/435/CEE, in considerazione dell’importo contenuto di tale prelievo e della circostanza che esso è stato instaurato in diretta connessione con il pagamento di crediti d’imposta, istituiti al fine di attenuare la doppia imposizione economica sui dividendi, oppure vada considerato in contrasto con gli obiettivi risultanti dall’art. 4 della citata direttiva».

27.      Hanno presentato osservazioni scritte la Banque Fédérative, i governi francese e tedesco, nonché la Commissione; tutti sono stati rappresentati in udienza, ad eccezione del governo tedesco.

28.      Il giudice del rinvio ritiene che, salvo il caso in cui sia consentita dall’art. 7, n. 2, della direttiva, la normativa nazionale, così come interpretata dalla circolare amministrativa, sarà contraria all’art. 4, n. 2, della direttiva stessa, qualora il credito d’imposta non possa essere usato perché la controllata non ridistribuisce gli utili entro cinque anni dal pagamento. I governi tedesco e francese, tuttavia, sostengono che la normativa è compatibile con l’art. 4, n. 2, senza dover ricorrere all’art. 7, n. 2. Propongo quindi di prendere in considerazione, in primo luogo, la questione, logicamente precedente, se la normativa nazionale di cui trattasi nella causa principale sia contraria, in linea di principio, all’art. 4, n. 2, della direttiva, prima di esaminare, in secondo luogo, la questione se, eventualmente, essa sia ciò nondimeno legittima in forza della deroga prevista dal suo art. 7, n. 2 (e/o, come sostenuto dal governo francese, in forza del suo art. 1, n. 2).

 Art. 4, n. 2, della direttiva

29.      La Banque Fédérative e la Commissione sostengono che la normativa nazionale, come interpretata dalla circolare amministrativa, è in contrasto con l’art. 4, n. 2, della direttiva. Entrambi i governi sostengono una tesi contraria.

30.      L’art. 4, n. 2, direttiva dispone che, qualora uno Stato membro fissi forfettariamente le spese di gestione relative alla partecipazione, tale importo forfettario non può essere superiore al 5% «degli utili distribuiti dalla società figlia». Le parti che hanno presentato osservazioni sono in disaccordo sul problema se l’espressione «utili distribuiti dalla società figlia» significhi, in una situazione in cui il dividendo è soggetto a ritenuta alla fonte, l’importo netto del dividendo effettivamente percepito dalla controllante (in seguito a detrazione della ritenuta) o l’importo lordo del dividendo, pari all’importo effettivamente percepito, maggiorato dell’importo del credito d’imposta accordato dalla Francia per compensare la ritenuta d’acconto.

31.      Il Conseil d’État e tutte le parti che hanno presentato osservazioni fanno ampi riferimenti alla causa risolta con sentenza della Corte 25 settembre 2003, causa C-58/01, Océ van der Grinten (16), in cui si chiedeva alla Corte, tra l’altro, se un onere del 5% imposto sull’ammontare complessivo dei dividendi distribuiti da una controllata con sede nel Regno Unito alla sua controllante con sede nei Paesi Bassi ed il credito d’imposta cui dava diritto tale distribuzione equivalesse ad una ritenuta d’acconto contraria all’art. 5, n. 1, della direttiva.

32.      Nella detta causa si sosteneva esplicitamente che il credito d’imposta dovesse essere considerato parte degli utili distribuiti dalla controllata (17). La Corte ha respinto tale argomento, dichiarando quanto segue: 

«Per quanto riguarda la parte del prelievo del 5% che si applica al credito fiscale cui la distribuzione del dividendo dà diritto, essa non presenta le caratteristiche di una trattenuta alla fonte sugli utili distribuiti, in linea di principio vietata dall’art. 5, n. 1, della direttiva, poiché non colpisce gli utili distribuiti dalla società controllata.

Infatti, il credito fiscale è uno strumento fiscale diretto ad evitare, in termini economici, una doppia imposizione degli utili distribuiti sotto forma di dividendi: una prima volta a carico della società controllata e una seconda volta a carico della società capogruppo beneficiaria dei dividendi. Non costituisce pertanto un rendimento da titoli» (18).

33.      Occorre rammentare che il credito d’imposta oggetto della causa Océ van der Grinten riguardava l’importo del pagamento anticipato dell’imposta sulle persone giuridiche versata dalla società sui dividendi da essa versati. Esso era quindi diretto, come chiarito dalla Corte, a ridurre la doppia imposizione economica (19). Nella causa in esame, il credito d’imposta di cui trattasi è diretto a compensare l’azionista per la ritenuta effettuata sul dividendo ed è quindi diretto a ridurre la doppia imposizione giuridica (20). Di conseguenza, non concordo con la Commissione, che nelle sue osservazioni, molto succinte (21), afferma semplicemente che dalla sentenza Océ van der Grinten emerge che il credito d’imposta non può essere considerato alla stregua di utili distribuiti.

34.      Sulla base di un’interpretazione letterale, dubito che l’espressione «utili distribuiti [da una] società figlia» non esprima l’importo del dividendo effettivamente percepito, maggiorato dell’importo del credito d’imposta accordato dalla Francia per compensare l’imposta trattenuta alla fonte. Dal punto di vista della controllata, se essa dichiara un dividendo, ad esempio, di EUR 100, essa distribuirà utili per EUR 100. Se non vi fosse ritenuta alla fonte, tale importo lascerebbe la sfera della controllata per giungere direttamente in quella della controllante. Non vedo perché tale analisi dovrebbe essere modificata dal fatto che lo Stato membro della controllata esige una trattenuta da detto pagamento per un importo pari all’imposta dovuta dalla controllante ed accredita lo stesso importo direttamente alle autorità fiscali di tale Stato membro. Come dichiarato dalla Corte nella sentenza 4 ottobre 2001, causa C-294/99, Athinaiki Zythopoiia (22), nel caso di una ritenuta d’acconto «la società che distribuisce dividendi deve trattenerne una parte, che essa versa alle autorità fiscali». Questa interpretazione mi sembra inoltre confermata dall’art. 5 della direttiva, che autorizza la Germania, la Grecia e il Portogallo a prelevare una ritenuta d’acconto sugli «utili distribuiti».

35.      A mio avviso, e come sostenuto dal governo francese, la normativa francese non fa che calcolare il 5% reintegrato facendo riferimento all’importo totale del dividendo dichiarato; il riferimento al credito d’imposta è solo uno strumento per garantire che esso sia stato accreditato. Non condivido, quindi, l’argomento fatto valere dalla Banque Fédérative secondo cui, poiché un credito d’imposta previsto da un trattato contro la doppia imposizione per compensare la riduzione dovuta alla ritenuta assume la forma di un credito nei confronti dello Stato, esso non può essere considerato un dividendo, ovvero, di conseguenza, un utile distribuito ai sensi della direttiva. Devo poi rilevare che, nell’ambito di un argomento che non intendo trattare, in quanto mira esplicitamente a rimettere in discussione l’interpretazione del diritto nazionale su cui il Conseil d’État ha fondato il suo rinvio pregiudiziale alla Corte, la Banque Fédérative afferma che, sebbene legalmente dovuta dalla società che distribuisce, la ritenuta alla fonte è in realtà sopportata dai destinatari dei dividendi. Mi pare che tale affermazione confermi l’interpretazione da me proposta.

36.      Concordo altresì con il governo tedesco, secondo il quale l’obiettivo della direttiva non inficia tale analisi. Per garantire la neutralità fiscale, l’art. 5, n. 1, della direttiva vieta agli Stati membri di prelevare una ritenuta d’acconto sugli utili distribuiti dalla controllata alla sua controllante. Nella causa in esame, la mancanza di neutralità fiscale è dovuta alla ritenuta d’acconto operata nello Stato della controllata. La totale neutralità fiscale non potrà essere realizzata fino a quando saranno in vigore le disposizioni transitorie. Questo non significa che un’interpretazione che conduce ad una neutralità fiscale imperfetta o incompleta sia per ciò stesso inesatta. La natura delle disposizioni transitorie implica che durante la loro vigenza gli obiettivi della normativa alla quale esse derogano non possono essere interamente realizzati. Chiedere alla Francia di concedere un credito totale per le imposte trattenute durante il periodo transitorio, mentre essa ha optato per il metodo dell’esenzione invece che per quello del credito, equivarrebbe sostanzialmente a chiederle di optare per entrambi i metodi, quando la direttiva chiede agli Stati membri di optare solo per uno di essi.

37.      Di conseguenza, ritengo che, qualora uno Stato membro abbia deciso, conformemente all’art. 4, n. 2, della direttiva, di disporre che gli oneri relativi alla partecipazione di una controllante in una controllata di un altro Stato membro e le minusvalenze risultanti dalla distribuzione degli utili della controllata non siano deducibili dall’utile imponibile della controllante, tale disposizione non osta a che le spese di gestione relative alla partecipazione siano fissate al 5% del reddito complessivo della holding, compresi i crediti d’imposta diretti a compensare le ritenute d’acconto prelevate sui dividendi ai sensi dell’art. 5, nn. 2, 3 o 4, della direttiva.

38.      Pertanto, non è necessario esaminare se la normativa possa essere giustificata con riferimento ad altre disposizioni della direttiva. Ciò nondimeno, prenderò brevemente in considerazione la rilevanza di tali disposizioni.

 Art. 7, n. 2, della direttiva

39.      Qualora la normativa nazionale, come interpretata dalla circolare amministrativa, sia contraria all’art. 4, n. 2, della direttiva, il giudice nazionale chiede se essa sia consentita dall’art. 7, n. 2, della stessa considerato che, poiché l’unico effetto del 5% reintegrato consiste parzialmente nella riduzione del credito d’imposta riconosciuto alla controllante in occasione della distribuzione dei dividendi, essa può essere considerata facente parte di un corpus di norme relative al versamento di crediti d’imposta ai beneficiari dei dividendi e dirette, attraverso il medesimo meccanismo, a ridurre la doppia imposizione.

40.      L’art. 7, n. 2, della direttiva stabilisce che quest’ultima «lascia impregiudicata l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali intese a sopprimere o ad attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi, in particolare delle disposizioni relative al pagamento di crediti di imposta ai beneficiari dei dividendi».

41.      La Banque Fédérative e la Commissione ritengono inapplicabile la deroga prevista all’art. 7, n. 2, della direttiva. Il governo francese esprime un avviso contrario nelle sue osservazioni scritte, sebbene abbia sostenuto in udienza la compatibilità della normativa rispetto all’art. 4, n. 2, con la conseguente irrilevanza dell’art. 7, n. 2, della direttiva. Il governo tedesco non si è espresso sull’art. 7, n. 2.

42.      Mi sembra evidente che l’art. 7, n. 2, della direttiva non può avere alcuna rilevanza nella causa in esame, dato che la normativa nazionale di cui trattasi non è diretta ad eliminare o attenuare la doppia imposizione economica. Sebbene la questione pregiudiziale menzioni il fatto che il prelievo aggiuntivo risultante dal 5% reintegrato «è stato instaurato in diretta connessione con il pagamento di crediti d’imposta, istituiti al fine di attenuare la doppia imposizione economica sui dividendi», emerge chiaramente dalla domanda pregiudiziale nel suo complesso che i crediti d’imposta (crédits d’impôt étranger) di cui trattasi sono intesi a ridurre la doppia imposizione giuridica dello stesso dividendo in capo alla controllante nello Stato membro della controllata e in quello della controllante.

 Art. 1, n. 2, della direttiva

43.      Il governo francese ha sostenuto che la Corte dovrebbe considerare, oltre agli artt. 4, n. 2, e 7, n. 2, della direttiva, specificatamente menzionati dal giudice del rinvio, anche il suo art. 1, n. 2, il quale dispone che la direttiva non pregiudica l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi. Il governo francese osserva che la disposizione nazionale di cui trattasi nella causa principale prevede che una controllante possa detrarre i crediti d’imposta ottenuti dalle controllate aventi sede un altro Stato membro dal précompte mobilier versato per i dividendi distribuiti ai suoi azionisti solo qualora la distribuzione avvenga entro cinque anni. Tale limitazione a cinque anni riflette l’intento del governo francese di combattere le frodi. Il rischio di frode e la difficoltà del controllo fiscale aumenterebbero se le imprese potessero detrarre crediti d’imposta relativi a dividendi percepiti 10 o 20 anni prima. L’amministrazione non sarebbe in grado di verificare se detti crediti fossero effettivi e quindi di impedire il rischio di frodi connesso alla detrazione di crediti d’imposta fittizi.

44.      Tale argomento non può essere accolto. Come la Corte ha dichiarato nella sentenza 17 luglio 1997, causa C-28/95, Leur-Bloem, una presunzione generale di evasione o di frode fiscali non può giustificare una misura fiscale che pregiudichi gli obiettivi di una direttiva (23). Va rilevato che detta causa riguardava una disposizione nazionale diretta a impedire, conformemente all’art. 11 della direttiva sulle fusioni (24), le agevolazioni fiscali che la direttiva intendeva escludere per le operazioni che hanno come obiettivo principale la frode o l’evasione fiscale. Lo stesso principio dovrebbe chiaramente valere qualora, come nel caso in esame, una direttiva consenta ad uno Stato membro di derogare alle sue disposizioni per ragioni di frode o di abuso. Se le autorità francesi desiderano verificare l’effettività dei crediti d’imposta accordati, esse possono avvalersi della direttiva sulla reciproca assistenza (25) per ottenere dalle autorità competenti di un altro Stato membro le informazioni necessarie per svolgere un corretto accertamento dell’imposta sulle persone giuridiche.

 Conclusione

45.      Considerato quanto precede, ritengo che la questione pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Francia) dovrebbe essere risolta come segue:

Qualora uno Stato membro abbia deciso (conformemente all’art. 4, n. 2, della direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi) di disporre che gli oneri relativi alla partecipazione di una controllante in una controllata di un altro Stato membro e le minusvalenze risultanti dalla distribuzione degli utili della controllata non siano deducibili dall’utile imponibile della controllante, tale disposizione non osta a che le spese di gestione relative alla partecipazione siano fissate al 5% del reddito complessivo della holding, compresi i crediti d’imposta diretti a compensare le ritenute d’acconto prelevate sui dividendi ai sensi dell’art. 5, nn. 2, 3 o 4, della direttiva.


1 – Lingua originale: l’inglese.


2 – GU L 225, pag. 6. La direttiva è stata successivamente modificata, ma (secondo la ricorrente) la causa principale riguarda solo la versione originale.


3 – Previsto dall’art 158 bis del Code général des impôts (codice generale delle imposte).


4 – Previsto dall’art. 223 sexies del Code général des impôts.


5 – Secondo e terzo ‘considerando’ della direttiva.


6 – Più precisamente, ogni società che assume una delle forme elencate nell’allegato alla direttiva e che è soggetta a una delle imposte elencate all’art. 2, lett. c), della direttiva.


7 – Tale partecipazione minima è stata ridotta al 20% a decorrere dal 2 febbraio 2004, al 15% a decorrere dal 1° gennaio 2007 e sarà ulteriormente ridotta al 10% a decorrere dal 1° gennaio 2009: direttiva del Consiglio 22 dicembre 2003, 2003/123/CE, che modifica la direttiva 90/435/CEE (GU 2004, L 7, pag. 41).


8 – Rispettivamente art. 5, nn. 2, 3 e 4. Le disposizioni transitorie sono state abrogate dalla direttiva 2003/123, citata alla nota 7.


9 – Come descritta dal giudice del rinvio, dinanzi al quale è stato proposto il 22 dicembre 2003 un ricorso di annullamento. L’avoir fiscal ed il précompte mobilier sono stati in seguito abrogati (a decorrere dal 1° gennaio 2005).


10 – Nella versione derivante dall’art. 43 (I) della legge finanziaria per il 1999 (n. 98-1266 del 30 dicembre 1998, GURF 20050), come modificata dall’art. 20 della legge finanziaria per il 2000 (n. 99-1172 del 30 dicembre 1999, GURF 19914).


11 – L’art. 145 del Code général des impôts, il quale, all’epoca dei fatti disponeva che il regime fiscale per le controllate era applicabile alle società soggette all’imposta sulle persone giuridiche al tasso nomale di partecipazione di almeno il 5% del capitale della società in questione.


12 – Con il limite, per ciascun esercizio, dell’importo complessivo delle spese e degli oneri sostenuti a qualsiasi titolo dalla società holding durante lo stesso esercizio.


13 – Del 25 giugno 1999, pubblicata nel Bulletin officiel des impôts 4 H-4-99; v., in particolare, paragrafo 15.


14 – La Banque Fédérative ha fatto valere dinanzi al Conseil d’Etat altresì che: i) l’art. 216 del CGI viola l’art. 4, n. 2, della direttiva, in quanto dispone che il 5% reintegrato non può superare, per ciascun esercizio fiscale, l’importo totale delle spese e degli oneri di qualsiasi natura sostenuti dalla holding durante tale esercizio, e ii) l’inclusione dell’avoir fiscal (nel caso di controllate con sede in Francia) e del credit d’impôt étranger (nel caso di controllate con sede in uno Stato terzo) nella base di calcolo del 5% reintegrato è discriminatoria nei confronti delle controllanti con sede in Francia, in contrasto con gli artt. 43 CE e 56 CE. Il Conseil d’Etat ha respinto entrambi gli argomenti e non li menziona nella questione pregiudiziale.


15 – Ovviamente, tale situazione non dovrebbe più riprodursi, dato che l’art. 5, n. 1, della direttiva impone che gli utili distribuiti da una controllata alla sua controllante siano esenti da ritenuta. La questione pregiudiziale in esame è sorta in seguito ad un ricorso di annullamento di una normativa nazionale, e non da una controversia avente ad oggetto un concreto accertamento fiscale. È quindi possibile che il giudizio della Corte riguardi accertamenti avvenuti in esercizi precedenti, ai quali erano ancora applicabili le disposizioni transitorie dell’art. 5, nn. 2, 3 e 4.


16 – Racc. pag. I-9809.


17 – V. punti 38 e 42.


18 –      Punti 55 e 56.


19 – Cioè la duplice tassazione dello stesso reddito, in capo a due diversi contribuenti: v. supra, paragrafo 3.


20 – Cioè la duplice tassazione dello stesso reddito, in capo allo stesso contribuente: v. supra, paragrafo 8.


21 – La Commissione dedica quattro brevi paragrafi al problema della compatibilità della normativa nazionale, come interpretata dalla circolare amministrativa, con l’art. 4, n. 2, della direttiva.


22 – Racc. pag. I-6797, punto 7.


23 – Racc. pag. I-4161, punto 44.


24 – Direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/434/CEE, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi (GU L 225, pag. 1).


25 – Direttiva del Consiglio 19 dicembre 1977, 77/799/CEE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette (GU L 336, pag. 15).