SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)
10 febbraio 2011 (*)
«Libera circolazione dei capitali – Imposta sulle società – Esenzione dei dividendi di origine nazionale – Esenzione dei dividendi di origine estera subordinata al rispetto di determinate condizioni – Applicazione di un sistema di imputazione ai dividendi di origine estera non esentati – Prove richieste riguardo all’imposta estera imputabile»
Nei procedimenti riuniti C-436/08 e C-437/08,
aventi ad oggetto alcune domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dall’Unabhängiger Finanzsenat, Außenstelle Linz (Austria), con decisioni 29 settembre 2008, pervenute in cancelleria il 3 ottobre 2008, e riformulate da detto giudice in data 30 ottobre 2009, nelle cause
Haribo Lakritzen Hans Riegel BetriebsgmbH (C-436/08),
Österreichische Salinen AG (C-437/08)
contro
Finanzamt Linz,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta dal sig. K. Lenaerts (relatore), presidente di sezione, dal sig. D. Šváby, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. J. Malenovský e T. von Danwitz, giudici,
avvocato generale: sig.ra J. Kokott
cancelliere: sig. K. Malacek, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 15 settembre 2010,
considerate le osservazioni presentate:
– per la Haribo Lakritzen Hans Riegel BetriebsgmbH, dai sigg. R. Leitner, Wirtschaftsprüfer und Steuerberater, e G. Gahleitner, Steuerberater, nonché dalla sig.ra B. Prechtl;
– per il governo austriaco, dal sig. J. Bauer e dalla sig.ra C. Pesendorfer, in qualità di agenti;
– per il governo tedesco, dai sigg. J. Möller e C. Blaschke, in qualità di agenti;
– per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dal sig. P. Gentili, avvocato dello Stato;
– per il governo dei Paesi Bassi, dal sig. J. Langer nonché dalle sig.re C. Wissels, M. Noort e B. Koopman, in qualità di agenti;
– per il governo finlandese, dal sig. J. Heliskoski, in qualità di agente;
– per il governo del Regno Unito, inizialmente dalla sig.ra V. Jackson, successivamente dai sigg. S. Hathaway e L. Seeboruth, in qualità di agenti, assistiti dal sig. R. Hill, barrister;
– per la Commissione europea, dai sigg. R. Lyal e W. Mölls, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza dell’11 novembre 2010,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione del diritto dell’Unione.
2 Tali domande sono state presentate nell’ambito di controversie instaurate dalla Haribo Lakritzen Hans Riegel BetriebsgmbH (in prosieguo: la «Haribo»), società a responsabilità limitata di diritto austriaco, nonché dalla Österreichische Salinen AG (in prosieguo: la «Salinen»), società per azioni di diritto austriaco, contro il Finanzamt Linz (Ufficio delle entrate di Linz), in merito alla tassazione in Austria di dividendi pagati da società stabilite in altri Stati membri nonché in Stati terzi.
I – Contesto normativo nazionale
3 Al fine di prevenire la doppia imposizione economica dei dividendi distribuiti da una società residente o non residente e percepiti da una società residente, la normativa tributaria austriaca prevede, in presenza di determinati presupposti, che essi siano assoggettati o al «metodo dell’esenzione» – nel qual caso i dividendi percepiti dalla società beneficiaria sono esentati dall’imposta sulle società – o al «metodo dell’imputazione» – il quale comporta che l’imposta sulle società pagata sugli utili all’origine dei dividendi distribuiti viene imputata all’imposta sulle società dovuta in Austria dalla società beneficiaria.
4 L’art. 10 della legge del 1988 relativa all’imposta sulle società (Körperschaftsteuergesetz 1988, BGBl. 401/1988), come modificata dalla legge finanziaria del 2009 (BGBl. I, 52/2009; in prosieguo: il «KStG»), ed applicabile, a norma dell’art. 26c, punto 16, lett. b), del medesimo KStG, a tutti gli accertamenti di imposta ancora in corso, dispone quanto segue:
«1) I proventi da partecipazioni sono esenti dall’imposta sulle società. Costituiscono proventi da partecipazioni:
1. le quote di utili di qualsiasi genere derivanti da partecipazioni in società di capitali austriache o in cooperative di produzione e consumo austriache sotto forma di quote in tali enti societari;
(...)
5. le quote di utili (...) derivanti da una partecipazione in una società straniera, la quale soddisfi i presupposti di cui all’art. 2 della direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/CEE[, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi] (GU L 255, pag. 6), quali contemplati nell’allegato 2 della legge del 1988 relativa all’imposta sul reddito, e non ricada sotto il punto 7 del presente paragrafo;
6. le quote di utili (...) derivanti da una partecipazione in una società residente in uno Stato [terzo parte contraente dell’Accordo sullo] Spazio economico europeo [del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 1; in prosieguo: l’«Accordo SEE»)], (...) e con il cui Stato di residenza sussista un accordo di cooperazione informativa e di assistenza nelle procedure esecutive a carattere generale, qualora essa non ricada sotto il punto 7 del presente paragrafo;
7. le quote di utili di qualsiasi genere derivanti da una partecipazione internazionale qualificata ai sensi del n. 2 del presente articolo.
2) Sussiste una partecipazione internazionale qualificata nel caso in cui dei soggetti d’imposta (...) siano comprovatamente titolari, per un periodo ininterrotto di almeno un anno, di una partecipazione del 10% almeno, sotto forma di quote di capitale, in [una società straniera].
(...)
4) In deroga al n. 1, punto 7, di cui sopra, le quote di utili (...) derivanti da partecipazioni internazionali qualificate ai sensi del n. 2 del presente articolo non sono esentate dall’imposta sulle società, nei termini delle disposizioni che seguono, nel caso in cui sussistano motivi per cui il Ministro federale delle Finanze ritenga di disporre in tal senso tramite regolamento, al fine di impedire l’evasione fiscale o altre forme di abuso (art. 22 della legge federale generale in materia di tributi). La sussistenza di motivi di tal genere può in particolare essere presunta, quando:
1. l’attività fondamentale della persona giuridica straniera consiste direttamente o indirettamente nel realizzare profitti tramite la riscossione di interessi, la cessione di beni patrimoniali mobili materiali o immateriali e l’alienazione di partecipazioni, e
2. il reddito della persona giuridica straniera non è soggetto ad alcuna imposta estera che sia equiparabile, sotto il profilo della determinazione della base imponibile o delle aliquote fiscali applicabili, all’imposta sulle società austriaca.
5) In deroga al n. 1, punti 5 e 6, di cui sopra, le quote di utili non sono esentate dall’imposta sulle società qualora sussista uno dei seguenti presupposti:
1. la persona giuridica straniera non sia effettivamente assoggettata all’estero, in forma diretta o indiretta, ad alcuna imposta paragonabile all’imposta sulle società austriaca;
2. gli utili della persona giuridica straniera siano assoggettati all’estero ad un’imposta paragonabile all’imposta sulle società austriaca, la cui aliquota applicabile sia inferiore di oltre 10 punti percentuali all’imposta sulle società austriaca (...);
3. la persona giuridica straniera goda all’estero di una generale esenzione ratione personae o ratione materiae. (...)
6) Nei casi di cui ai precedenti nn. 4 e 5 occorre procedere, relativamente alle quote di utili, allo sgravio di un’imposta estera corrispondente all’imposta sulle società [austriaca], secondo le seguenti modalità: l’imposta estera da considerarsi quale onere preliminare gravante sulla distribuzione di utili viene imputata, su richiesta, a quella parte dell’imposta sulle società austriaca dovuta sulle quote di utili di qualsiasi tipo percepite in virtù della partecipazione internazionale qualificata. In sede di accertamento dei redditi, l’imposta estera imputabile deve essere computata in aggiunta agli utili di qualsiasi tipo derivanti dalla partecipazione internazionale qualificata».
5 Il 13 giugno 2008, il Bundesministerium für Finanzen (Ministero federale delle Finanze) ha pubblicato, a seguito della decisione del Verwaltungsgerichtshof in data 17 aprile 2008 illustrata al punto 13 della presente sentenza, una circolare riguardante l’art. 10, n. 2, del KStG nel testo vigente prima della legge finanziaria del 2009 (BMF-010216/0090-VI/6/2008). Tale norma stabiliva che i proventi derivanti da partecipazioni detenute in una società residente erano esentati dall’imposta sulle società, mentre i proventi derivanti da partecipazioni detenute in una società non residente erano esentati soltanto qualora la partecipazione del beneficiario di tali proventi nel capitale sociale della società distributrice fosse di entità pari al 25% almeno.
6 Per quanto riguarda i dividendi provenienti da partecipazioni in società di capitali non residenti di entità inferiore alla soglia del 25%, la circolare del 13 giugno 2008 prevede che vengano imputate all’imposta sulle società austriaca tanto l’imposta sulle società applicata sugli utili distribuiti nello Stato di residenza della società distributrice, quanto la ritenuta alla fonte effettivamente prelevata in questo medesimo Stato in conformità alla pertinente convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni.
7 In tale contesto, la circolare sopra citata stabilisce che il contribuente, per poter ottenere l’imputazione dell’imposta estera all’imposta dovuta in Austria, deve fornire i seguenti dati:
– esatta denominazione della società partecipata che distribuisce gli utili;
– esatta indicazione della quota di partecipazione detenuta;
– esatta indicazione dell’aliquota dell’imposta sulle società che viene applicata nello Stato di residenza alla società che distribuisce gli utili. Nel caso in cui tale società non sia soggetta al regime fiscale ordinario dello Stato di residenza (ma usufruisca, ad esempio, di un’aliquota fiscale privilegiata, di un’esenzione ratione personae o di rilevanti esenzioni o riduzioni ratione materiae), si deve indicare l’aliquota effettivamente applicabile;
– indicazione dell’importo dell’imposta sulle società prelevata all’estero che grava sulla quota di partecipazione del dichiarante, calcolato sulla base dei parametri precedentemente indicati;
– esatta indicazione dell’aliquota della ritenuta alla fonte effettivamente applicata, sino a concorrenza dell’aliquota della ritenuta alla fonte prevista dalla pertinente convenzione contro le doppie imposizioni;
– un calcolo delle imposte imputabili.
8 Il giudice del rinvio ritiene che la circolare del 13 giugno 2008 resti applicabile malgrado le modifiche legislative intervenute nel corso del 2009.
II – Cause principali e questioni pregiudiziali
9 Nel corso dell’esercizio fiscale 2001, la Haribo ha percepito redditi derivanti da una partecipazione in un fondo di investimento e consistenti in dividendi pagati da società di capitali stabilite in Stati membri diversi dalla Repubblica d’Austria nonché in Stati terzi. La Salinen ha percepito analoghi redditi nel corso dell’esercizio fiscale 2002. Durante questo stesso esercizio fiscale, quest’ultima società ha subìto perdite di esercizio.
10 Avendo il Finanzamt Linz rigettato le domande da esse proposte al fine di ottenere che i dividendi provenienti da società di capitali non residenti fossero esenti da imposta, la Haribo e la Salinen hanno proposto ricorsi dinanzi al giudice del rinvio.
11 Nelle sue decisioni in data 13 gennaio 2005, il giudice del rinvio ha ritenuto che l’art. 10, n. 2, del KStG nel testo vigente prima della legge finanziaria del 2009 fosse contrario al principio della libera circolazione dei capitali nella misura in cui assoggettava i dividendi provenienti da società non residenti, ivi compresi quelli provenienti da società stabilite in Stati terzi, ad una tassazione meno favorevole di quella applicabile ai dividendi provenienti da società residenti, senza che tale diversità di trattamento fosse giustificata. Il detto giudice, applicando in via analogica il regime fiscale previsto dall’art. 10, n. 1, del KStG per i dividendi provenienti da società di capitali nazionali, ha trattato i dividendi pagati da società di capitali stabilite in altri Stati membri o in Stati terzi come proventi esenti da imposta.
12 Il Finanzamt Linz ha interposto appello contro tali pronunce dinanzi al Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa suprema) facendo valere, in particolare, che le quote di partecipazione in fondi di investimento nazionali non ricadono nella sfera di applicazione dell’art. 63 TFUE.
13 Con decisione in data 17 aprile 2008, il citato giudice di appello ha statuito, anzitutto, che ricadono nella sfera di applicazione dell’art. 63 TFUE l’acquisto e la detenzione, in società non residenti, di partecipazioni che non consentano di esercitare un’influenza notevole su tali società, ivi compreso il caso in cui tali partecipazioni siano detenute attraverso un fondo di investimento.
14 Al pari del giudice del rinvio, il Verwaltungsgerichtshof ha poi ritenuto che le disposizioni dell’art. 10, n. 2, del KStG nella versione antecedente alla legge finanziaria del 2009 violassero il principio della libertà di circolazione dei capitali e potessero, di conseguenza, essere applicate unicamente in maniera conforme al diritto dell’Unione. Il detto giudice d’appello ha ritenuto che, qualora sussistano più soluzioni conformi al diritto dell’Unione, debba essere scelta quella che consente di rispettare nella maggior misura possibile la volontà del legislatore nazionale.
15 A questo proposito, il Verwaltungsgerichtshof ha affermato che, per rimediare al trattamento fiscale meno favorevole cui sono sottoposti i dividendi provenienti da società non residenti nelle quali l’azionista detiene meno del 25% del capitale rispetto al trattamento accordato ai dividendi provenienti da società residenti, occorreva applicare alla prima categoria di dividendi non già il metodo dell’esenzione, bensì quello consistente nell’imputare all’imposta dovuta in Austria l’onere tributario assolto sui dividendi nello Stato di residenza della società distributrice.
16 Infine, a giudizio del Verwaltungsgerichtshof, il metodo dell’imputazione corrisponderebbe maggiormente al sistema concepito dal legislatore austriaco che non il metodo dell’esenzione. Infatti, allorché lo Stato di residenza della società distributrice assoggetta i dividendi ad un’imposta identica o superiore a quella applicata dallo Stato dell’azionista, il metodo dell’imputazione e quello dell’esenzione porterebbero al medesimo risultato. Se però il livello impositivo applicabile nel primo Stato citato è meno elevato di quello applicato nello Stato dell’azionista, soltanto il metodo dell’imputazione porterebbe in quest’ultimo Stato ad una tassazione di entità uguale a quella gravante sui dividendi di origine nazionale.
17 Ritenendo che l’applicazione analogica del metodo dell’esenzione previsto dall’art. 10, n. 2, del KStG nella versione antecedente alla legge finanziaria del 2009 avesse determinato l’illegittimità delle decisioni adottate dal giudice del rinvio, il Verwaltungsgerichtshof ha annullato tali decisioni e ha rinviato le cause dinanzi a questo medesimo giudice.
18 Con ordinanze pervenute alla Corte il 3 ottobre 2008, il giudice del rinvio chiede a quest’ultima se il metodo dell’esenzione e quello dell’imputazione possano essere considerati equivalenti in rapporto al diritto dell’Unione.
19 L’art. 10 del KStG, nella sua versione originaria, è stato modificato retroattivamente dalla legge finanziaria del 2009. Poiché tale nuova disposizione prevede l’applicazione, a determinate condizioni, del metodo dell’esenzione anche per i dividendi che una società residente percepisce da società non residenti, la Corte ha inviato, l’8 ottobre 2009, una richiesta di chiarimenti al giudice del rinvio a norma dell’art. 104, n. 5, del proprio regolamento di procedura. Tale giudice è stato invitato a precisare le conseguenze derivanti per il testo delle questioni pregiudiziali a seguito della modifica legislativa intervenuta.
20 Nella sua risposta del 30 ottobre 2009 a tale richiesta di chiarimenti, il giudice del rinvio ha riformulato i quesiti sollevati in ciascuna delle cause.
21 Nella causa C-436/08, esso chiarisce anzitutto che il KStG subordina l’esenzione dei dividendi provenienti da partecipazioni inferiori al 10% del capitale sociale di una società distributrice – vale a dire i dividendi di portafoglio – pagati da una società stabilita in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE all’esistenza di un accordo generale di reciproca assistenza in materia amministrativa e di riscossioni tra la Repubblica d’Austria e lo Stato terzo interessato. Una condizione del genere non sarebbe prevista per le partecipazioni internazionali qualificate contemplate dall’art. 10, n. 2, del KStG.
22 Il detto giudice sottolinea poi che l’esenzione fiscale dei dividendi di portafoglio pagati da società non residenti stabilite in Stati membri diversi dall’Austria o in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE non trova comunque applicazione nella maggior parte dei casi, a motivo delle informazioni che il contribuente è tenuto a fornire all’amministrazione tributaria per poter beneficiare di tale vantaggio fiscale. Infatti, incombe al contribuente l’onere di fornire la prova dell’insussistenza delle condizioni fissate dall’art. 10, n. 5, del KStG. In concreto, il contribuente dovrebbe effettuare un raffronto tra le diverse tassazioni (art. 10, n. 5, punto 1, del KStG), determinare l’aliquota di imposta applicabile (art. 10, n. 5, punto 2, del KStG) nonché le esenzioni ratione personae o rationae materiae di cui beneficia la persona giuridica non residente (art. 10, n. 5, punto 3, del KStG), procurarsi i corrispondenti documenti giustificativi e tenerli a disposizione dell’amministrazione tributaria nell’eventualità di un controllo. In particolare, per quanto concerne le partecipazioni in fondi di investimento, sarebbe praticamente impossibile provare che non sussistono le situazioni contemplate dall’art. 10, n. 5, del KStG.
23 Il giudice del rinvio non condivide la posizione espressa dal Verwaltungsgerichtshof nella sua decisione in data 17 aprile 2008, secondo cui il metodo dell’esenzione e quello dell’imputazione dovrebbero essere sempre considerati equivalenti.
24 Infine, il giudice del rinvio fa osservare come il legislatore, all’art. 10 del KStG, non abbia previsto alcun vantaggio fiscale a favore dei dividendi provenienti da partecipazioni inferiori al 10% nel capitale di persone giuridiche stabilite in Stati terzi, tenendo presente che in passato la soglia al di sotto della quale tale vantaggio non veniva accordato era del 25%. Qualora tale disciplina violasse il diritto dell’Unione, il giudice del rinvio dovrebbe di norma applicare il metodo dell’imputazione, in conformità della decisione del Verwaltungsgerichtshof del 17 aprile 2008.
25 Alla luce di tali circostanze, l’Unabhängiger Finanzsenat, Außenstelle Linz, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte, nella causa C-436/08, le seguenti questioni pregiudiziali, come riformulate:
«1) Se contrasti con il diritto [dell’Unione] il fatto che le partecipazioni di portafoglio estere in società residenti in Stati aderenti all’Accordo SEE siano esenti da imposta soltanto qualora sussistano strumenti internazionali di cooperazione informativa e assistenza nelle procedure esecutive, quando invece l’esenzione fiscale prevista per le partecipazioni internazionali qualificate (anche per dividendi provenienti da Stati terzi e persino in caso di switchover al metodo dell’imputazione) non è subordinata a tale presupposto.
2) Se contrasti con il diritto [dell’Unione] il fatto che ai dividendi di portafoglio esteri provenienti da società residenti in Stati dell’Unione [europea] o in Stati aderenti all’Accordo SEE debba applicarsi il metodo dell’imputazione qualora non sussistano i presupposti per il metodo dell’esenzione, malgrado che sia impossibile o assai difficile per il titolare della partecipazione tanto fornire la prova dell’esistenza dei presupposti per il metodo dell’esenzione (tassazione in misura paragonabile, entità dell’aliquota fiscale estera, insussistenza di esenzioni ratione personae o ratione materiae a favore della società estera), quanto produrre i dati necessari per l’imputazione dell’imposta sulle società estera.
3) Se contrasti con il diritto [dell’Unione] il fatto che, per i proventi derivanti da partecipazioni in società residenti in Stati terzi, la legge non conceda né un’esenzione dall’imposta sulle società, né l’imputazione dell’imposta sulle società già versata, qualora l’entità della partecipazione sia inferiore al 10% (25%), mentre i proventi derivanti da partecipazioni in società austriache sono esenti da imposta indipendentemente dalla quota di partecipazione.
4) a) In caso di soluzione affermativa della questione sub 3), se contrasti con il diritto [dell’Unione] il fatto che un’autorità nazionale, al fine di rimuovere la discriminazione a danno delle partecipazioni in società residenti in Stati terzi, applichi il metodo dell’imputazione – nel qual caso, in considerazione del livello ridotto della partecipazione, la prova dell’avvenuto assolvimento dell’imposta (sulle società) all’estero non è possibile o è possibile solo a prezzo di sforzi sproporzionati –, e ciò faccia a motivo del fatto che, secondo una decisione del Verwaltungsgerichtshof austriaco, questa soluzione è quella che corrisponde maggiormente alla volontà (ipotetica) del legislatore, mentre dalla semplice disapplicazione del limite discriminatorio del 10% (25%) per i dividendi provenienti da società residenti in Stati terzi deriverebbe un’esenzione dall’imposta.
b) In caso di soluzione affermativa della questione sub 4), lett. a), se contrasti con il diritto [dell’Unione] il fatto che venga negata l’esenzione degli utili derivanti da partecipazioni in società residenti in Stati terzi qualora la quota di partecipazione sia inferiore al 10% (25%), quando invece nel caso di partecipazioni a partire dal 10% (25%) l’esenzione degli utili non è subordinata all’esistenza di uno strumento internazionale di cooperazione amministrativa e assistenza nelle procedure esecutive a carattere generale.
c) In caso di soluzione negativa della questione sub 4), lett. a), se contrasti con il diritto [dell’Unione] il fatto che per gli utili derivanti da partecipazioni in società residenti in Stati terzi venga negata l’imputazione dell’imposta sulle società assolta all’estero, qualora la misura della partecipazione sia inferiore al 10% (25%), quando invece l’imputazione di imposta – disposta in determinati casi – per gli utili derivanti da partecipazioni di entità pari o superiore al 10% (25%) in società residenti in Stati terzi non è subordinata all’esistenza di uno strumento internazionale di cooperazione amministrativa e assistenza nelle procedure esecutive a carattere generale».
26 Nella causa C-437/08, il giudice del rinvio fa osservare come la decisione del Verwaltungsgerichtshof del 17 aprile 2008 lasci aperto il quesito se l’imposta da imputare comprenda non soltanto l’imposta sulle società pagata nello Stato di residenza della società distributrice, ma anche l’imposta che tale Stato ha trattenuto alla fonte ai sensi della pertinente convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni.
27 Inoltre, nel caso di un esercizio fiscale nel corso del quale la società residente beneficiaria dei dividendi abbia subìto una perdita di esercizio, si pone il quesito se, al fine di evitare una discriminazione connessa al differente trattamento dei dividendi provenienti da società non residenti rispetto a quelli provenienti da società residenti, l’amministrazione non debba riportare agli esercizi successivi l’imputazione dell’imposta pagata all’estero.
28 Alla luce di tali circostanze, l’Unabhängiger Finanzsenat, Außenstelle Linz, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte, nella causa C-437/08, le seguenti questioni pregiudiziali, come riformulate:
«1) Se contrasti con il diritto [dell’Unione] il fatto che ai dividendi esteri debba essere applicato, nelle ipotesi di cambio di metodo, il metodo dell’imputazione, e tuttavia, in relazione all’imposta sulle società imputabile e/o alla ritenuta alla fonte imputabile, non venga accordato al tempo stesso un riporto dell’imputazione per gli anni successivi o un credito d’imposta nell’anno in perdita.
2) Se contrasti con il diritto [dell’Unione] il fatto che ai dividendi provenienti da Stati terzi debba essere applicato il metodo dell’imputazione, in quanto, secondo una decisione del Verwaltungsgerichtshof austriaco, questa soluzione è quella che corrisponde maggiormente alla volontà (ipotetica) del legislatore, e tuttavia non venga accordato al tempo stesso un riporto dell’imputazione o un credito d’imposta nell’anno in perdita».
29 Con ordinanza del presidente della Corte 16 gennaio 2009, le cause C-436/08 e C-437/08 sono state riunite ai fini delle fasi orale e scritta del procedimento nonché della sentenza.
30 Inoltre, alla luce del testo delle questioni pregiudiziali come riformulato dal giudice del rinvio nella sua risposta del 30 ottobre 2009 alla richiesta di chiarimenti inviatagli, la Corte ha deciso, il 18 novembre 2009, di riaprire la fase scritta del procedimento nelle presenti cause.
III – Sulle questioni pregiudiziali
A – Sulla libertà in questione nelle cause principali
31 Occorre constatare come le questioni sollevate nelle due cause non indichino alcuna disposizione precisa del Trattato FUE la cui interpretazione sarebbe necessaria per consentire al giudice del rinvio di emettere la propria decisione nelle controversie dinanzi ad esso pendenti. Dette questioni fanno riferimento unicamente, in modo generico, al diritto dell’Unione.
32 Secondo una giurisprudenza consolidata, spetta alla Corte, di fronte a questioni formulate in modo impreciso, ricavare dal complesso dei dati forniti dal giudice nazionale e dal fascicolo della causa principale i punti del diritto dell’Unione che vanno interpretati, tenuto conto dell’oggetto della lite (sentenze 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal, Racc. pag. I-8121, punto 34, nonché 23 gennaio 2003, causa C-57/01, Makedoniko Metro e Michaniki, Racc. pag. I-1091, punto 56).
33 A questo proposito, occorre ricordare che il trattamento fiscale dei dividendi può ricadere nella sfera di applicazione dell’art. 49 TFUE, riguardante la libertà di stabilimento, e in quella dell’art. 63 TFUE, relativo alla libera circolazione dei capitali (v., in tal senso, sentenza 12 dicembre 2006, causa C-446/04, Test Claimants in the FII Group Litigation, Racc. pag. I-11753, punto 36).
34 Quanto al punto se una legislazione nazionale rientri nell’una o nell’altra libertà di circolazione, risulta da una giurisprudenza ora consolidata che occorre prendere in considerazione l’oggetto della legislazione di cui trattasi (v., in tal senso, sentenze 12 settembre 2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, Racc. pag. I-7995, punti 31-33; 3 ottobre 2006, causa C-452/04, Fidium Finanz, Racc. pag. I-9521, punti 34 e 44-49; 12 dicembre 2006, causa C-374/04, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, Racc. pag. I-11673, punti 37 e 38; Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 36, e 13 marzo 2007, causa C-524/04, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, Racc. pag. I-2107, punti 26-34).
35 A questo proposito, la Corte ha già avuto modo di dichiarare che una normativa nazionale destinata ad applicarsi esclusivamente alle partecipazioni che consentono di esercitare una sicura influenza sulle decisioni di una società e di determinare le attività di quest’ultima ricade nella sfera di applicazione delle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento (v. sentenze Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 37, e 21 ottobre 2010, causa C-81/09, Idryma Typou, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 47). Per contro, eventuali disposizioni nazionali che siano applicabili a partecipazioni effettuate al solo scopo di realizzare un investimento finanziario, senza intenzione di influire sulla gestione e sul controllo dell’impresa, devono essere esaminate esclusivamente alla luce della libera circolazione dei capitali (v., in tal senso, sentenze Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 38, e 17 settembre 2009, causa C-182/08, Glaxo Wellcome, Racc. pag. I-8591, punti 40 e 45-52).
36 Nel caso di specie occorre constatare, da un lato, che le due cause principali vertono sulla tassazione in Austria di dividendi percepiti da società residenti in virtù di partecipazioni che queste detengono in società non residenti e la cui entità è inferiore al 10% del capitale di tali società estere. Orbene, partecipazioni di tale entità non consentono di esercitare una sicura influenza sulle decisioni delle società partecipate e di determinare le attività di queste ultime.
37 Dall’altro lato, si deve constatare come la normativa tributaria nazionale in questione nella causa principale operi una distinzione a seconda dell’origine nazionale o meno dei dividendi qualora questi ultimi provengano da partecipazioni inferiori al 10% del capitale della società distributrice. Infatti, ai sensi dell’art. 10, n. 1, punto 1, del KStG, i dividendi di portafoglio sono sempre esentati dall’imposta sulle società qualora le partecipazioni in questione siano detenute in società residenti. Per contro, i dividendi di portafoglio non beneficiano né di un’esenzione né di un’imputazione dell’imposta pagata sugli utili alla base dei dividendi distribuiti nel caso in cui le partecipazioni di cui trattasi siano detenute in società stabilite in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE con il quale non esista alcun accordo di reciproca assistenza in materia amministrativa e di riscossioni, giusta quanto previsto dall’art. 10, n. 1, punto 6, del KStG, ovvero in società stabilite in un altro Stato terzo. Per quanto riguarda i dividendi di portafoglio provenienti da altri Stati membri o da Stati aderenti all’Accordo SEE con i quali sia stato concluso un accordo generale di reciproca assistenza in materia amministrativa e di riscossioni, tali dividendi si vedono applicare il metodo dell’imputazione, e non già quello dell’esenzione, nel caso in cui – in sostanza – gli utili della società distributrice non siano stati effettivamente assoggettati, nello Stato di residenza della società medesima, ad un’imposta sulle società paragonabile a quella applicabile in Austria, secondo quanto previsto dall’art. 10, n. 5, del KStG.
38 Alla luce di tali circostanze, occorre ritenere che una normativa quale quella in questione nella causa principale ricada esclusivamente nella sfera di applicazione delle disposizioni del Trattato riguardanti la libera circolazione dei capitali.
B – Sulle questioni pregiudiziali nella causa C-436/08
1. Sulla prima questione
39 Con tale questione, il giudice del rinvio intende sapere, in sostanza, se l’art. 63 TFUE osti ad una normativa nazionale la quale subordini l’esenzione fiscale dei dividendi di portafoglio pagati da società stabilite negli Stati aderenti all’Accordo SEE all’esistenza di un accordo generale di reciproca assistenza in materia amministrativa e di riscossioni, mentre invece nessuna analoga condizione viene imposta per le «partecipazioni internazionali qualificate».
a) Sulla ricevibilità
40 Il governo austriaco ritiene che tale questione sia irricevibile. Esso sottolinea che, in base all’esposizione dei fatti contenuta nella decisione di rinvio, la ricorrente nella causa principale detiene partecipazioni in fondi di investimento il cui patrimonio non sarebbe stato composto da quote di partecipazione in società aventi la propria sede in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE. Pertanto, la questione non avrebbe alcuna relazione con l’oggetto della causa principale.
41 A tale riguardo occorre ricordare che, nell’ambito di un procedimento ex art. 267 TFUE, basato sulla netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, ogni valutazione dei fatti di causa rientra nella competenza del giudice nazionale. Parimenti, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi (v., in particolare, sentenza 22 ottobre 2009, cause riunite C-261/08 e C-348/08, Zurita García e Choque Cabrera, Racc. pag. I-10143, punto 34 e la giurisprudenza ivi citata).
42 Il rifiuto di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile solo qualora risulti manifestamente che la richiesta interpretazione del diritto dell’Unione non ha alcuna relazione con la realtà effettiva o con l’oggetto della causa principale, qualora il problema sia di natura ipotetica, oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le sono sottoposte (v., in particolare, sentenze 13 marzo 2001, causa C-379/98, PreussenElektra, Racc. pag. I-2099, punto 39; 22 gennaio 2002, causa C-390/99, Canal Satélite Digital, Racc. pag. I-607, punto 19, nonché Zurita García e Choque Cabrera, cit., punto 35).
43 Nella decisione di rinvio viene precisato che la ricorrente nella causa principale ha percepito, nel corso dell’esercizio fiscale pertinente, dividendi di portafoglio provenienti da società di capitali aventi la propria sede in Stati membri diversi dalla Repubblica d’Austria e in Stati terzi. Orbene, è lecito ritenere che il giudice del rinvio, nel riferirsi alle partecipazioni detenute in società stabilite in «Stati terzi», abbia utilizzato tale espressione in opposizione a quella di «Stati membri». Stanti tali circostanze, il riferimento agli Stati terzi deve ritenersi comprensivo anche degli Stati parti contraenti dell’Accordo SEE.
44 Tenuto conto, da un lato, che il giudice del rinvio nutre dubbi in merito alla compatibilità della normativa nazionale applicabile ai dividendi di portafoglio provenienti da partecipazioni detenute in società stabilite negli Stati aderenti all’Accordo SEE e, dall’altro lato, che la decisione di rinvio non offre alcun elemento riguardo al fatto che la ricorrente nella causa principale non deterrebbe alcuna partecipazione in società di questo tipo, non consta in maniera manifesta che la richiesta interpretazione del diritto dell’Unione sia priva di rilevanza rispetto alla decisione che il giudice del rinvio è chiamato a emettere.
45 Di conseguenza, la prima questione dev’essere dichiarata ricevibile.
b) Nel merito
i) Osservazioni preliminari
46 È importante ricordare che l’art. 63, n. 1, TFUE dà attuazione alla liberalizzazione dei capitali tra gli Stati membri nonché tra gli Stati membri e gli Stati terzi. A tal fine esso dispone che, nell’ambito del capitolo del Trattato FUE intitolato «Capitali e pagamenti», sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e Stati terzi.
47 Con il suo quesito, il giudice del rinvio si interroga in merito all’interpretazione dell’art. 63 TFUE, al fine di valutare la compatibilità con tale disposizione della normativa in questione nella causa principale, la quale concede ai dividendi provenienti da «partecipazioni internazionali qualificate» – ossia le partecipazioni del 10% almeno nel capitale di società non residenti – un trattamento fiscale più favorevole di quello riservato ai dividendi di portafoglio pagati da società stabilite negli Stati terzi aderenti all’Accordo SEE.
48 Tuttavia, come rilevato dai governi austriaco, tedesco e neerlandese nonché dalla Commissione europea, in un caso quale quello di cui alla causa principale occorre procedere ad un raffronto tra, da un lato, il trattamento fiscale riservato ai dividendi di portafoglio distribuiti da società residenti e, dall’altro, quello riservato ai dividendi di portafoglio pagati da società stabilite negli Stati terzi aderenti all’Accordo SEE. Infatti, l’art. 63 TFUE osta, in linea di principio, a che in uno Stato membro venga riservato ai dividendi provenienti da società stabilite in uno Stato terzo un trattamento differenziato rispetto a quello accordato ai dividendi provenienti da società aventi la propria sede nel detto Stato membro (v. ordinanza 4 giugno 2009, cause riunite C-439/07 e C-499/07, KBC Bank e Beleggen, Risicokapitaal, Beheer, Racc. pag. I-4409, punto 71). Per contro, il trattamento differenziato accordato ai redditi provenienti da uno Stato terzo rispetto ai redditi provenienti da un altro Stato terzo non ricade, in quanto tale, nell’ambito di applicazione della disposizione sopra citata.
49 Nell’ambito della presente questione, occorre dunque esaminare se l’art. 63 TFUE debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale la quale stabilisca che i dividendi di portafoglio provenienti da partecipazioni detenute in società residenti sono sempre esentati dall’imposta sulle società, così come previsto dall’art. 10, n. 1, punto 1, del KStG, mentre invece, giusta quanto disposto dall’art. 10, n. 1, punto 6, di tale legge, i dividendi di portafoglio provenienti da una società stabilita in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE beneficiano di tale esenzione soltanto qualora la Repubblica d’Austria e lo Stato terzo interessato abbiano concluso un accordo generale di reciproca assistenza in materia amministrativa e di riscossioni.
ii) Sull’esistenza di una restrizione dei movimenti di capitali
50 Risulta da una costante giurisprudenza che le misure vietate dall’art. 63, n. 1, TFUE, in quanto restrizioni dei movimenti di capitali, comprendono quelle che sono idonee a dissuadere i non residenti dal fare investimenti in uno Stato membro o a dissuadere i residenti di questo Stato membro dal farne in altri Stati (sentenze 25 gennaio 2007, causa C-370/05, Festersen, Racc. pag. I-1129, punto 24, e 18 dicembre 2007, causa C-101/05, A, Racc. pag. I-11531, punto 40).
51 Riguardo alla questione se una normativa nazionale quale quella controversa nella causa principale costituisca una restrizione dei movimenti di capitali, occorre constatare che, per poter beneficiare dell’esenzione dall’imposta sulle società, le società residenti che percepiscono dividendi di portafoglio provenienti da società stabilite in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE sono assoggettate – a differenza delle società residenti che percepiscono dividendi di portafoglio provenienti da società residenti – ad una condizione supplementare, vale a dire quella dell’esistenza di un accordo generale di reciproca assistenza in materia amministrativa e di riscossioni tra la Repubblica d’Austria e lo Stato terzo interessato. Orbene, tenuto conto del fatto che spetta soltanto agli Stati interessati decidere se assumere obblighi per via pattizia, appare chiaro che la condizione consistente nell’esistenza di un accordo generale di reciproca assistenza in materia amministrativa e di riscossioni è idonea a determinare di fatto, per i dividendi di portafoglio provenienti da una società stabilita in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE, un regime permanente di non esenzione dall’imposta sulle società (v., per analogia, sentenza 28 ottobre 2010, causa C-72/09, Établissements Rimbaud, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 25).
52 Ne consegue che, a motivo delle condizioni che la normativa in questione nella causa principale impone affinché i dividendi di portafoglio provenienti da società stabilite negli Stati terzi aderenti all’Accordo SEE e percepiti dalle società stabilite in Austria possano essere esentati dall’imposta sulle società in tale Stato, l’investimento nelle prime società che potrebbe essere realizzato da queste seconde società risulta meno attraente rispetto all’investimento che potrebbe essere realizzato in una società stabilita in Austria o in un altro Stato membro. Una simile disparità di trattamento è idonea a dissuadere le società stabilite in Austria dal procedere all’acquisizione di azioni in società stabilite negli Stati terzi aderenti all’Accordo SEE.
53 Pertanto, la suddetta normativa costituisce una restrizione della libera circolazione dei capitali tra uno Stato membro e alcuni Stati terzi, la quale è in linea di principio vietata dall’art. 63 TFUE.
54 Occorre tuttavia esaminare se tale restrizione della libera circolazione dei capitali possa essere giustificata alla luce delle disposizioni del Trattato riguardanti tale libertà.
iii) Sulle eventuali giustificazioni della misura in questione
55 A norma dell’art. 65, n. 1, lett. a), TFUE, «[l]e disposizioni dell’articolo 63 [TFUE] non pregiudicano il diritto degli Stati membri (...) di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale».
56 Tale disposizione, in quanto costituente una deroga al principio fondamentale della libera circolazione dei capitali, deve essere oggetto di un’interpretazione restrittiva. Pertanto, essa non può essere interpretata nel senso che qualsiasi legislazione tributaria operante una distinzione tra i contribuenti in base al luogo in cui essi risiedono o allo Stato in cui investono i loro capitali sia automaticamente compatibile con il Trattato (v. sentenze 11 settembre 2008, causa C-11/07, Eckelkamp e a., Racc. pag. I-6845, punto 57, e 22 aprile 2010, causa C-510/08, Mattner, Racc. pag. I-3553, punto 32).
57 Infatti, la deroga prevista dall’art. 65, n. 1, lett. a), TFUE subisce a sua volta una limitazione per effetto del n. 3 del medesimo articolo, il quale prevede che le disposizioni nazionali contemplate dal citato n. 1 «non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti di cui all’articolo 63».
58 Le differenze di trattamento autorizzate dall’art. 65, n. 1, lett. a), TFUE devono pertanto essere mantenute distinte dalle discriminazioni vietate dal n. 3 del medesimo articolo. Orbene, dalla giurisprudenza risulta che, perché una normativa tributaria nazionale quale quella oggetto della causa principale possa essere considerata compatibile con le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali, è necessario che la differenza di trattamento da essa prevista, tra dividendi di portafoglio provenienti da società residenti e analoghi dividendi provenienti da società stabilite in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE, riguardi situazioni che non sono oggettivamente paragonabili o sia giustificata da motivi imperativi di interesse generale (v. sentenze 6 giugno 2000, causa C-35/98, Verkooijen, Racc. pag. I-4071, punto 43; 7 settembre 2004, causa C-319/02, Manninen, Racc. pag. I-7477, punto 29; 8 settembre 2005, causa C-512/03, Blanckaert, Racc. pag. I-7685, punto 42, e 19 novembre 2009, causa C-540/07, Commissione/Italia, Racc. pag. I-10983, punto 49).
59 Occorre qui ricordare che, rispetto ad una disciplina tributaria quale quella in questione nella causa principale, volta a prevenire la doppia imposizione economica degli utili distribuiti, la situazione di una società azionista che percepisce dividendi di origine estera è paragonabile a quella di una società azionista che percepisce dividendi di origine nazionale, dal momento che, in entrambi i casi, gli utili realizzati possono, in linea di principio, essere oggetto di un’imposizione a catena (v. sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 62).
60 Date tali premesse, l’art. 63 TFUE impone ad uno Stato membro, che applichi un sistema per prevenire la doppia imposizione economica nel caso di dividendi versati a società residenti da altre società residenti, l’obbligo di concedere un trattamento equivalente ai dividendi versati a società residenti da società stabilite negli Stati terzi aderenti all’Accordo SEE (v., in tal senso, sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 72).
61 Tuttavia, la normativa nazionale oggetto della causa principale non prevede un simile trattamento equivalente. Infatti, tale normativa, pur prevenendo sistematicamente la doppia imposizione economica dei dividendi di portafoglio di origine nazionale percepiti da una società residente, non elimina né attenua tale doppia imposizione nel caso in cui una società residente percepisca dividendi di portafoglio provenienti da una società stabilita in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE con il quale la Repubblica d’Austria non abbia concluso un accordo generale di reciproca assistenza in materia amministrativa e di riscossioni. In quest’ultima ipotesi, la citata normativa nazionale non prevede né l’esenzione fiscale dei dividendi percepiti, né l’imputazione dell’imposta pagata nello Stato terzo in questione sugli utili così distribuiti, sebbene la necessità di prevenire la doppia imposizione economica si ponga in termini identici per le società residenti, tanto che esse percepiscano dividendi da altre società residenti quanto che esse li percepiscano da società stabilite in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE.
62 Ne consegue che la differenza di trattamento, sotto il profilo dell’imposta sulle società, tra i dividendi di origine nazionale e quelli provenienti da una società stabilita in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE non può essere giustificata da una diversità di situazioni inerente al luogo in cui i capitali sono stati investiti.
63 Resta da esaminare se la restrizione risultante da una normativa nazionale quale quella in questione nella causa principale sia giustificata da ragioni imperative di interesse generale (v. sentenza 11 ottobre 2007, causa C-451/05, ELISA, Racc. pag. I-8251, punto 79).
64 I governi austriaco, tedesco, italiano, neerlandese e del Regno Unito fanno presente al riguardo che, in mancanza di un sistema di cooperazione tra le autorità competenti interessate, quale quello istituito dalla direttiva del Consiglio 19 dicembre 1977, 77/799/CEE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette e indirette (GU L 336, pag. 15), come modificata dalla direttiva del Consiglio 25 febbraio 1992, 92/12/CEE (GU L 76, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 77/799»), uno Stato membro è legittimato a subordinare l’esenzione di dividendi di portafoglio pagati da società stabilite in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE all’esistenza di un accordo di reciproca assistenza con lo Stato terzo interessato. Infatti, la verifica dell’imposta pagata dalla società distributrice di dividendi implicherebbe uno scambio di informazioni con l’amministrazione tributaria dello Stato nel quale tale società è stabilita.
65 Occorre ricordare che la giurisprudenza relativa alle restrizioni all’esercizio delle libertà di circolazione in seno all’Unione non può essere integralmente trasposta ai movimenti di capitali tra gli Stati membri e gli Stati terzi, in quanto tali movimenti si iscrivono in un contesto giuridico differente (v. citate sentenze A, punto 60, e Commissione/Italia, punto 69).
66 Al riguardo occorre rilevare che il quadro di cooperazione tra le autorità competenti degli Stati membri istituito dalla direttiva 77/799 non sussiste tra tali autorità e le autorità competenti di uno Stato terzo qualora quest’ultimo non abbia assunto alcun impegno di reciproca assistenza (citate sentenze Commissione/Italia, punto 70, e Établissements Rimbaud, punto 41).
67 Ne consegue che, quando la normativa di uno Stato membro fa dipendere il beneficio di un vantaggio fiscale dal soddisfacimento di condizioni il cui rispetto può essere verificato solo ottenendo determinate informazioni dalle autorità competenti di uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE, il citato Stato membro può, in linea di principio, legittimamente negare la concessione del vantaggio di cui trattasi nell’ipotesi in cui, segnatamente a causa dell’assenza di un obbligo pattizio di fornire informazioni gravante sullo Stato terzo interessato, risulti impossibile conseguire da quest’ultimo le informazioni di cui sopra (sentenza Établissements Rimbaud, cit., punto 44).
68 Risulta dalla normativa in questione nella causa principale che l’art. 10, n. 5, del KStG esclude l’esenzione dei dividendi di portafoglio provenienti da società stabilite negli Stati terzi aderenti all’Accordo SEE nel caso in cui, in sostanza, gli utili della società distributrice non siano stati effettivamente assoggettati, nello Stato terzo di cui trattasi, ad un’imposta sulle società paragonabile a quella applicabile in Austria. È lecito dunque ritenere che i presupposti di applicazione dell’esenzione fiscale non possano essere verificati dallo Stato membro interessato in assenza di un obbligo pattizio dello Stato terzo di fornire determinate informazioni alle autorità tributarie di detto Stato membro.
69 Ne consegue che una normativa di uno Stato membro, come quella in questione nella causa principale, la quale subordini l’esenzione di dividendi pagati da società stabilite in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE all’esistenza di un accordo di reciproca assistenza con lo Stato terzo interessato, può essere giustificata da ragioni imperative di interesse generale inerenti all’efficacia dei controlli fiscali e alla lotta contro le frodi tributarie.
70 Tuttavia, la restrizione di una libertà di circolazione, quand’anche sia appropriata rispetto all’obiettivo perseguito, non può andare oltre quanto è necessario per il conseguimento di quest’ultimo (v. sentenza ELISA, cit., punto 82 e la giurisprudenza ivi citata). Occorre dunque esaminare se la restrizione derivante da una normativa quale quella in questione nella causa principale rispetti il principio di proporzionalità.
71 Al riguardo occorre constatare, in primo luogo, che, alla luce delle considerazioni sopra svolte, è in linea di principio consentito ad uno Stato membro subordinare l’esenzione dei dividendi provenienti da società stabilite in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE all’esistenza di un accordo di reciproca assistenza concluso con tale Stato. Il carattere proporzionato di una normativa siffatta non viene quindi rimesso in discussione per il solo fatto che uno Stato membro non preveda tale presupposto ai fini dell’esenzione dei dividendi provenienti dalle partecipazioni di entità pari al 10% almeno del capitale della società distributrice.
72 In secondo luogo, si deve constatare che la normativa in questione nella causa principale subordina l’esenzione dei dividendi di portafoglio provenienti da società stabilite in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE all’esistenza, con tale Stato, di un accordo di reciproca assistenza non soltanto a livello amministrativo, ma anche in materia di riscossioni.
73 Orbene, soltanto l’esistenza di un accordo di reciproca assistenza in materia amministrativa può essere considerata come necessaria al fine di consentire allo Stato membro interessato di verificare l’effettivo livello di tassazione applicato alla società non residente distributrice dei dividendi. Infatti, la norma nazionale in questione riguarda la tassazione in Austria, a titolo dell’imposta sulle società, di redditi percepiti in tale Stato da società residenti. La riscossione di tali imposte da parte delle autorità austriache non può esigere l’assistenza delle autorità di uno Stato terzo.
74 L’argomento addotto all’udienza dal governo austriaco, secondo cui l’assistenza in materia di riscossioni sarebbe necessaria in caso di trasferimento in altro luogo del contribuente, deve essere respinto. Infatti, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 90 delle sue conclusioni, il trasferimento è un’ipotesi troppo lontana perché possa giustificare il fatto di subordinare in tutti i casi l’eliminazione della doppia imposizione economica sui dividendi di portafoglio provenienti da uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE all’esistenza di un accordo di assistenza in materia di riscossioni.
75 Occorre dunque risolvere la prima questione sollevata dichiarando che l’art. 63 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa di uno Stato membro, la quale preveda l’esenzione dall’imposta sulle società per i dividendi di portafoglio provenienti da partecipazioni detenute in società residenti, e che subordini tale esenzione per i dividendi di portafoglio provenienti da società stabilite negli Stati terzi aderenti all’Accordo SEE all’esistenza di un accordo generale di reciproca assistenza in materia amministrativa e di riscossioni tra lo Stato membro e lo Stato terzo interessati, nella misura in cui soltanto l’esistenza di un accordo di reciproca assistenza in materia amministrativa risulta necessaria per raggiungere gli obiettivi della normativa in questione.
2. Sulla seconda questione
a) Osservazioni preliminari
76 Il giudice del rinvio ricorda che, a norma dell’art. 10 del KStG, nel caso in cui esista un accordo generale di reciproca assistenza, i dividendi di portafoglio provenienti da società residenti, da società stabilite in altri Stati membri e da società stabilite in Stati terzi aderenti all’Accordo SEE beneficiano di un’esenzione fiscale. Tuttavia, secondo il detto giudice, l’esenzione fiscale dei dividendi versati da società non residenti non trova applicazione nella maggior parte dei casi, a motivo delle informazioni che la società beneficiaria è tenuta a fornire all’amministrazione tributaria per poter beneficiare di tale vantaggio. Il metodo dell’imputazione sarebbe dunque generalmente applicabile per i dividendi provenienti da società non residenti. Secondo il giudice del rinvio, il contribuente potrebbe soltanto con difficoltà fornire le prove relative all’imposta estera imputabile.
77 Con il suo secondo quesito, il giudice del rinvio chiede dunque, in sostanza, se l’art. 63 TFUE osti ad una normativa nazionale, quale quella in questione nella causa principale, la quale applichi il metodo dell’imputazione ai dividendi di portafoglio distribuiti da società stabilite in altri Stati membri e in Stati terzi aderenti all’Accordo SEE nel caso in cui non sia dimostrato il soddisfacimento dei presupposti di applicazione dell’esenzione fiscale, malgrado che sia difficile o addirittura impossibile, per l’azionista, tanto fornire la prova dell’esistenza di tali presupposti – vale a dire la tassazione in misura paragonabile, l’entità dell’aliquota fiscale estera e l’insussistenza di esenzioni ratione personae o ratione materiae a favore della società estera – quanto produrre i dati necessari per l’imputazione dell’imposta estera sulle società.
78 La risposta che la Corte sarà portata a fornire dovrà consentire al giudice del rinvio di valutare se siano compatibili con l’art. 63 TFUE, in primo luogo, il «passaggio» dal metodo dell’esenzione a quello dell’imputazione previsto dalla normativa nazionale in questione nella causa principale nel caso in cui il beneficiario di dividendi provenienti da società non residenti non disponga di alcuni elementi di prova e, in secondo luogo, l’applicazione di un metodo di imputazione che imponga al detto beneficiario oneri amministrativi considerevoli o, addirittura, eccessivi.
b) Sull’esistenza di una restrizione dei movimenti di capitali
79 Occorre ricordare che l’art. 10, n. 1, punto 1, del KStG esenta dall’imposta sulle società i dividendi di portafoglio pagati da società residenti in Austria. A norma dell’art. 10, nn. 1, punti 5 e 6, e 5, del KStG, la doppia imposizione economica dei dividendi pagati da società stabilite negli Stati membri diversi dalla Repubblica d’Austria o negli Stati terzi aderenti all’Accordo SEE viene evitata, grazie all’esenzione fiscale o al metodo dell’imputazione, soltanto nel caso in cui il beneficiario dei dividendi stessi disponga di elementi di prova riguardanti il livello dell’imposta cui sono assoggettate le società distributrici di tali dividendi nel loro Stato di residenza.
80 Orbene, la differenza di trattamento cui sono assoggettati i dividendi di portafoglio ha l’effetto di dissuadere le società residenti in Austria dall’investire i loro capitali in società stabilite in altri Stati membri nonché in Stati terzi aderenti all’Accordo SEE. Infatti, poiché in Austria i dividendi pagati da società stabilite in altri Stati membri e in Stati terzi aderenti all’Accordo SEE ricevono un trattamento fiscale meno favorevole di quello accordato ai dividendi pagati da società stabilite in Austria, le azioni delle società della prima categoria sono meno attraenti per gli investitori residenti in Austria rispetto a quelle delle società stabilite in quest’ultimo Stato membro.
81 Una disciplina come quella controversa nella causa principale comporta pertanto una restrizione dei movimenti di capitali tra gli Stati membri e tra gli Stati membri e gli Stati terzi, che è in linea di principio vietata dall’art. 63, n. 1, TFUE.
82 Occorre tuttavia esaminare se tale restrizione della libera circolazione dei capitali possa essere giustificata alla luce delle disposizioni del Trattato disciplinanti tale libertà.
c) Sulle eventuali giustificazioni della misura in questione
83 Risulta dalla giurisprudenza citata al punto 58 della presente sentenza che, affinché una normativa tributaria nazionale quale quella di cui alla causa principale possa essere considerata compatibile con le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali, è necessario che la differenza di trattamento riguardi situazioni che non sono oggettivamente paragonabili oppure sia giustificata da motivi imperativi di interesse generale.
84 A questo proposito occorre ricordare anzitutto che, rispetto ad una disciplina tributaria quale quella in questione nella causa principale, volta a prevenire la doppia imposizione economica degli utili distribuiti, la situazione di una società azionista che percepisce dividendi di origine estera è paragonabile a quella di una società azionista che percepisce dividendi di origine nazionale, dal momento che, in entrambi i casi, gli utili realizzati possono, in linea di principio, essere oggetto di un’imposizione a catena (v. sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 62).
85 Stanti tali premesse, l’art. 63 TFUE impone ad uno Stato membro, che applichi un sistema per prevenire la doppia imposizione economica nel caso di dividendi versati a residenti da società residenti, l’obbligo di concedere un trattamento equivalente ai dividendi versati a residenti da società non residenti (v., in tal senso, sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 72).
86 Orbene, la Corte ha già statuito che il diritto dell’Unione non vieta che uno Stato membro prevenga l’imposizione a catena di dividendi percepiti da una società residente applicando disposizioni che esentano da imposta tali dividendi allorché vengono versati da una società residente, evitando al tempo stesso la suddetta imposizione a catena, attraverso un sistema di imputazione, nel caso in cui i dividendi in questione vengano versati da una società non residente, a condizione però che l’aliquota d’imposta sui dividendi di origine estera non sia superiore a quella applicata ai dividendi di origine nazionale e che il credito d’imposta sia perlomeno pari all’importo versato nello Stato della società distributrice, sino a concorrenza dell’importo dell’imposta applicata nello Stato membro della società beneficiaria (v. sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punti 48 e 57, nonché ordinanza 23 aprile 2008, causa C-201/05, Test Claimants in the CFC and Dividend Group Litigation, Racc. pag. I-2875, punto 39).
87 Quindi, allorché gli utili alla base dei dividendi di origine estera sono assoggettati nello Stato della società distributrice ad un’imposta inferiore al prelievo effettuato dallo Stato membro della società beneficiaria, quest’ultimo deve concedere un credito d’imposta complessivo corrispondente all’imposta versata dalla società distributrice nel suo Stato di residenza (sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 51).
88 Se invece tali utili soggiacciono nello Stato membro della società distributrice ad un’imposta superiore al prelievo effettuato dallo Stato membro della società beneficiaria, quest’ultimo deve concedere un credito d’imposta soltanto nei limiti dell’importo dell’imposta sulle società dovuto dalla società beneficiaria. Esso non è tenuto a rimborsare la differenza, vale a dire l’ammontare versato nello Stato della società distributrice che eccede l’importo dell’imposta dovuto nello Stato membro della società beneficiaria (v. sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 52).
89 Il metodo dell’imputazione consente, in tali circostanze, di accordare ai dividendi provenienti da società non residenti un trattamento equivalente a quello concesso, tramite il metodo dell’esenzione, ai dividendi versati da società residenti. L’applicazione del metodo dell’imputazione ai dividendi provenienti da società non residenti consente infatti di garantire che i dividendi di portafoglio di origine estera e quelli di origine nazionale sopportino il medesimo carico fiscale, segnatamente nel caso in cui lo Stato da cui provengono i dividendi applichi, nell’ambito dell’imposta sulle società, un’aliquota fiscale inferiore a quella applicabile nello Stato membro nel quale è stabilita la società beneficiaria dei dividendi. In un simile caso, l’eventuale esenzione dei dividendi provenienti da società non residenti avvantaggerebbe i contribuenti che avessero investito in partecipazioni estere rispetto a quelli che avessero investito i loro capitali in partecipazioni nazionali.
90 Tenuto conto dell’equivalenza dei metodi dell’esenzione e dell’imputazione, le difficoltà che il contribuente potrebbe incontrare ai fini della prova del soddisfacimento dei presupposti per l’esenzione fiscale dei dividendi distribuiti da società non residenti sono, in linea di principio, irrilevanti ai fini della decisione se l’art. 63 TFUE osti ad una normativa quale quella in questione nella causa principale. Infatti, tali difficoltà, o perfino l’impossibilità per il contribuente di fornire le prove richieste, avranno come unica conseguenza che ai dividendi a costui versati da società non residenti verrà applicato il metodo dell’imputazione, equivalente a quello dell’esenzione.
91 Quanto agli oneri amministrativi imposti al contribuente perché egli possa beneficiare del metodo dell’imputazione, la Corte ha già dichiarato che il solo fatto che, in confronto ad un sistema di esenzione, un sistema di imputazione imponga ai contribuenti oneri amministrativi supplementari non può essere considerato come una differenza di trattamento contraria alla libera circolazione dei capitali (v., in tal senso, sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 53).
92 Tuttavia, secondo il giudice del rinvio, gli oneri amministrativi così imposti alla società beneficiaria di dividendi di portafoglio dalla normativa nazionale in questione nella causa principale potrebbero risultare eccessivi.
93 La Haribo chiarisce al riguardo che, contrariamente ai dividendi di portafoglio versati da società residenti, i quali beneficiano di esenzione, i dividendi di portafoglio versati in Austria da società stabilite in un altro Stato membro o in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE e percepiti per il tramite di un fondo di investimento sono normalmente assoggettati, in Austria, ad un’imposta sulle società del 25%, a motivo degli oneri amministrativi eccessivi imposti al contribuente. Secondo la Haribo, il metodo dell’esenzione e quello dell’imputazione sarebbero equivalenti soltanto nel caso in cui la prova dell’imposta sulle società pagata all’estero potesse essere effettivamente fornita o potesse esserlo senza sforzi sproporzionati.
94 Per contro, i governi austriaco, tedesco, italiano, neerlandese e del Regno Unito nonché la Commissione sostengono che gli oneri amministrativi imposti alla società beneficiaria di dividendi di portafoglio non sono eccessivi. Il governo austriaco insiste al riguardo sul fatto che la circolare del 13 giugno 2008 ha sostanzialmente semplificato le prove necessarie per ottenere l’imputazione dell’imposta estera.
95 A questo proposito, è importante ricordare che le autorità tributarie di uno Stato membro hanno il diritto di esigere dal contribuente le prove a loro avviso necessarie per valutare se siano soddisfatti i presupposti per la concessione di un vantaggio fiscale previsto dalla normativa in questione e, di conseguenza, se si debba o no concedere tale vantaggio (v., in tal senso, sentenze 3 ottobre 2002, causa C-136/00, Danner, Racc. pag. I-8147, punto 50; 26 giugno 2003, causa C-422/01, Skandia e Ramstedt, Racc. pag. I-6817, punto 43, e 27 gennaio 2009, causa C-318/07, Persche, Racc. pag. I-359, punto 54).
96 Certo, qualora dovesse risultare che le società beneficiarie di dividendi di portafoglio provenienti da società stabilite in Stati membri diversi dalla Repubblica d’Austria e in Stati terzi aderenti all’Accordo SEE si trovano, a causa di oneri amministrativi eccessivi, nell’effettiva impossibilità di beneficiare del metodo dell’imputazione, una normativa siffatta non consentirebbe di prevenire, e neppure di attenuare, la doppia imposizione economica di tali dividendi. In tali circostanze, non si potrebbe ritenere che il metodo dell’imputazione e quello dell’esenzione – che invece consente di evitare l’imposizione a catena dei dividendi distribuiti – conducano ad un risultato equivalente.
97 Tuttavia, poiché uno Stato membro è, in linea di principio, libero di evitare l’imposizione a catena dei dividendi di portafoglio percepiti da una società residente optando per il metodo dell’esenzione nel caso in cui tali dividendi vengano versati da una società residente e per il metodo dell’imputazione nel caso in cui essi vengano versati da una società non residente stabilita in un altro Stato membro o in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE, gli oneri amministrativi supplementari che risultano imposti alla società residente – e in particolare il fatto che l’amministrazione tributaria nazionale richieda informazioni riguardanti l’imposta effettivamente applicata sugli utili della società distributrice di dividendi nello Stato di residenza di quest’ultima – sono inerenti al funzionamento stesso del metodo dell’imputazione e non possono essere considerati eccessivi (v., in tal senso, sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punti 48 e 53). Infatti, in assenza di tali informazioni, le autorità tributarie dello Stato membro in cui è stabilita la società beneficiaria dei dividendi di origine estera non sono in grado, in linea di massima, di determinare l’importo dell’imposta sulle società pagato nello Stato della società distributrice che deve essere imputato all’importo dell’imposta dovuto dalla società beneficiaria.
98 Se è certo vero che la società beneficiaria dei dividendi non dispone personalmente dell’insieme delle informazioni riguardanti l’imposta sulle società applicata sui dividendi distribuiti da una società stabilita in un altro Stato membro o in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE, tali informazioni sono comunque note a quest’ultima società. Orbene, in tali circostanze, qualsiasi difficoltà per la società beneficiaria di fornire le informazioni richieste in merito all’imposta pagata dalla società distributrice di dividendi deriva non già dall’intrinseca complessità di tali informazioni, bensì dall’eventuale mancanza di cooperazione da parte della società che dispone di queste ultime. Come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 58 delle sue conclusioni, il venir meno del flusso di informazioni verso l’investitore non è un problema di cui debba occuparsi lo Stato membro interessato.
99 Inoltre, si deve constatare che, come rilevato dal governo austriaco, la circolare del 13 giugno 2008 ha semplificato le prove necessarie per ottenere l’imputazione dell’imposta estera nel senso che, per calcolare l’imposta pagata all’estero, viene applicata la seguente formula: l’utile della società distributrice di dividendi deve essere moltiplicato per l’aliquota nominale dell’imposta sulle società applicabile nello Stato nel quale è stabilita la società suddetta e per la quota di partecipazione detenuta dalla società beneficiaria nel capitale della società distributrice. Orbene, un simile calcolo richiede soltanto una cooperazione limitata da parte della società distributrice dei dividendi, ovvero da parte del fondo di investimenti qualora la partecipazione in questione sia detenuta per il tramite di un fondo di questo tipo.
100 Infine, come sottolineato dai governi austriaco, tedesco, neerlandese e del Regno Unito nonché dalla Commissione, il fatto che, per i dividendi distribuiti da società stabilite in Stati membri diversi dalla Repubblica d’Austria, l’amministrazione tributaria di tale Stato membro possa ricorrere al meccanismo di reciproca assistenza previsto dalla direttiva 77/799 non implica che essa sia tenuta a dispensare la società beneficiaria dei dividendi dal fornirle la prova dell’imposta pagata dalla società distributrice in un altro Stato membro.
101 Infatti, poiché la direttiva 77/799 prevede la facoltà per le autorità tributarie nazionali di chiedere informazioni che esse non possono ottenere da sole, la Corte ha rilevato che l’impiego, all’art. 2, n. 1, di questa direttiva, del termine «può» evidenzia che le suddette autorità, pur avendo certo la possibilità di chiedere informazioni alla competente autorità di un altro Stato membro, non hanno affatto un obbligo in tal senso. Spetta a ciascuno Stato membro valutare i casi specifici nei quali manchino informazioni in merito alle transazioni effettuate dai soggetti d’imposta stabiliti nel suo territorio e decidere se tali casi giustifichino la presentazione di una richiesta di informazioni ad un altro Stato membro (sentenze 27 settembre 2007, causa C-184/05, Twoh International, Racc. pag. I-7897, punto 32, e Persche, cit., punto 65).
102 Di conseguenza, la direttiva 77/799 non impone allo Stato membro in cui è stabilita la società beneficiaria dei dividendi di far ricorso al meccanismo di reciproca assistenza previsto da tale direttiva ogni volta che le informazioni fornite dalla società suddetta non siano sufficienti per verificare se essa soddisfi i presupposti dettati dalla normativa nazionale per l’applicazione del metodo dell’imputazione.
103 Per gli stessi motivi, l’eventuale esistenza di un accordo di reciproca assistenza tra la Repubblica d’Austria e uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE, il quale preveda la facoltà per tale Stato membro di chiedere alle autorità dello Stato terzo interessato informazioni pertinenti ai fini dell’applicazione del metodo dell’imputazione, non implicherebbe che gli oneri amministrativi imposti alla società beneficiaria dei dividendi ai fini della prova dell’imposta pagata nello Stato terzo in questione siano eccessivi.
104 Di conseguenza, tenuto conto di quanto precede, occorre risolvere la seconda questione sollevata dichiarando che l’art. 63 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro, la quale esenti dall’imposta sulle società i dividendi di portafoglio che una società residente percepisce da un’altra società residente, assoggettando invece a tale imposta i dividendi di portafoglio che una società residente percepisce da una società stabilita in un altro Stato membro o in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE, a condizione però che l’imposta pagata nello Stato di residenza di quest’ultima società venga imputata all’imposta dovuta nello Stato membro della società beneficiaria e che gli oneri amministrativi imposti a quest’ultima per poter beneficiare di tale imputazione non siano eccessivi. Eventuali informazioni che vengano richieste dall’amministrazione tributaria nazionale alla società beneficiaria dei dividendi in merito all’imposta effettivamente applicata sugli utili della società distributrice dei dividendi nello Stato di residenza di quest’ultima sono inerenti al funzionamento stesso del metodo dell’imputazione e non possono essere considerate come un onere amministrativo eccessivo.
3. Sulla terza questione
a) Osservazioni preliminari
105 Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede se l’art. 63 TFUE osti ad una normativa nazionale, quale quella in questione nella causa principale, la quale escluda tanto l’esenzione dall’imposta sulle società quanto l’imputazione dell’imposta sulle società pagata all’estero in relazione ai dividendi provenienti da partecipazioni detenute in società stabilite in Stati terzi, qualora la partecipazione della società beneficiaria sia inferiore al 10% (in passato, al 25%) del capitale della società distributrice, mentre invece i dividendi provenienti da partecipazioni detenute in società residenti sono esentati quale che sia il livello della partecipazione detenuta.
106 A questo proposito, si deve constatare che la soglia del 25% cui il giudice del rinvio fa riferimento nel suo quesito si ricollega all’art. 10 del KStG così come era formulato prima della modifica legislativa intervenuta nel corso dell’anno 2009. Tuttavia, risulta dal fascicolo presentato alla Corte che l’art. 10, nn. 1, punto 7, 2 e 4, del KStG, applicabile retroattivamente alle controversie oggetto delle cause principali, prevede che i dividendi derivanti da una partecipazione detenuta in una società stabilita in uno Stato terzo siano esentati dall’imposta sulle società in Austria oppure beneficino dell’imputazione dell’imposta pagata all’estero nel caso in cui la partecipazione in questione rappresenti il 10% almeno del capitale della società suddetta.
107 Per quanto riguarda le partecipazioni che non raggiungono tale soglia, la normativa nazionale controversa nelle cause principali opera una distinzione, nell’ambito dei dividendi di portafoglio provenienti da società stabilite in Stati terzi, tra gli Stati aderenti all’Accordo SEE e gli altri Stati terzi. Mentre i dividendi di portafoglio provenienti da società stabilite in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE con il quale la Repubblica d’Austria abbia concluso un accordo generale di reciproca assistenza in materia amministrativa e di riscossioni sono esentati dall’imposta sulle società ovvero beneficiano dell’imputazione dell’imposta pagata nello Stato terzo aderente all’Accordo SEE di cui trattasi nel quale è stabilita la società distributrice dei dividendi, lo stesso non vale per i dividendi di portafoglio provenienti da società stabilite in altri Stati terzi.
108 Poiché il trattamento fiscale dei dividendi provenienti da società stabilite negli Stati aderenti all’Accordo SEE costituisce l’oggetto della prima questione sollevata, occorre ritenere che, con la sua terza questione, il giudice del rinvio desideri sapere se l’art. 63 TFUE osti ad una normativa, quale quella in questione nella causa principale, la quale disponga che i dividendi di portafoglio provenienti da partecipazioni in società stabilite in Stati terzi diversi dagli Stati aderenti all’Accordo SEE non sono né esentati né assoggettati ad un regime di imputazione dell’imposta estera pagata, mentre invece i dividendi provenienti da analoghe partecipazioni detenute in società residenti sono sempre esentati.
b) Sull’esistenza di una restrizione dei movimenti di capitali
109 Occorre constatare che una normativa nazionale quale quella in questione nella causa principale ha l’effetto di dissuadere le società stabilite in Austria dall’investire i loro capitali in società stabilite in Stati terzi diversi dagli Stati aderenti all’Accordo SEE. Infatti, poiché i dividendi che queste ultime società versano alle società stabilite in Austria ricevono un trattamento fiscale meno favorevole di quello accordato ai dividendi distribuiti da società stabilite nel detto Stato membro, le azioni delle società stabilite in Stati terzi sono per gli investitori residenti in Austria meno attraenti di quelle delle società stabilite in tale paese (v., in tal senso, citate sentenze Test Claimants in the FII Group Litigation, punto 166, e A, punto 42).
110 Una disciplina come quella controversa nella causa principale comporta dunque una restrizione dei movimenti di capitali tra gli Stati membri e gli Stati terzi in questione, la quale è in linea di principio vietata dall’art. 63, n. 1, TFUE.
111 Tuttavia, occorre esaminare se tale restrizione della libera circolazione dei capitali possa essere giustificata alla luce delle disposizioni del Trattato che disciplinano tale libertà.
c) Sulle eventuali giustificazioni della misura in questione
112 Come ricordato ai punti 58 e 83 della presente sentenza, affinché una normativa tributaria nazionale quale quella di cui alla causa principale possa essere considerata compatibile con le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali, è necessario che la differenza di trattamento riguardi situazioni che non sono oggettivamente paragonabili oppure sia giustificata da motivi imperativi di interesse generale.
113 Orbene, rispetto ad una disciplina tributaria quale quella in questione nella causa principale, volta a prevenire la doppia imposizione economica degli utili distribuiti, la situazione di una società azionista che percepisce dividendi provenienti da Stati terzi è paragonabile a quella di una società azionista che percepisce dividendi di origine nazionale, dal momento che, in entrambi i casi, gli utili realizzati possono, in linea di principio, essere oggetto di un’imposizione a catena (sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 62).
114 Date tali circostanze, l’art. 63 TFUE impone ad uno Stato membro, il quale applichi un sistema per prevenire la doppia imposizione economica nel caso di dividendi versati a società residenti da altre società residenti, l’obbligo di concedere un trattamento equivalente ai dividendi versati a società residenti da società stabilite in uno Stato terzo diverso da quelli aderenti all’Accordo SEE (v., in tal senso, sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 72).
115 Orbene, la legislazione nazionale in questione nella causa principale non prevede un trattamento equivalente di questo tipo. Infatti, tale legislazione, se da un lato previene sistematicamente la doppia imposizione economica dei dividendi di portafoglio di origine nazionale percepiti da una società residente, dall’altro non elimina né attenua tale doppia imposizione nel caso in cui una società residente percepisca dividendi di portafoglio provenienti da una società stabilita in uno Stato terzo diverso da quelli aderenti all’Accordo SEE.
116 Ne consegue che il diverso trattamento accordato, per quel che riguarda l’imposta sulle società, ai dividendi percepiti da società residenti, a seconda dell’origine dei dividendi stessi, non può essere giustificato in virtù di una diversità di situazioni attinente al luogo in cui i capitali sono investiti.
117 Resta da esaminare se la restrizione risultante da una normativa quale quella in questione nella causa principale sia giustificata da motivi imperativi di interesse generale (v. sentenza ELISA, cit., punto 79).
118 Secondo i governi austriaco, tedesco, italiano, finlandese e neerlandese, se è certo vero che una restrizione ai movimenti di capitali provenienti da Stati terzi può essere giustificata, lo stesso non vale nel caso in cui tale restrizione riguardi i movimenti di capitali tra Stati membri (v. citate sentenze Test Claimants in the FII Group Litigation, punto 171, e A, punto 37). I detti governi ritengono che la necessità di garantire una ripartizione equilibrata del potere impositivo nei rapporti tra gli Stati membri e gli Stati terzi diversi da quelli aderenti all’Accordo SEE possa costituire un motivo imperativo di interesse generale che dispensa gli Stati membri dal riservare ai dividendi originari dei suddetti Stati terzi un trattamento fiscale identico a quello accordato ai dividendi provenienti da società residenti. I citati governi chiariscono che, mentre gli Stati membri sono tenuti a concedere ad una società stabilita in un altro Stato membro gli stessi vantaggi fiscali che essi accordano alle società stabilite nel loro territorio, un simile obbligo non sussiste tra gli Stati membri dell’Unione e gli Stati terzi nei confronti delle società stabilite nei rispettivi territori. Se l’art. 63 TFUE dovesse essere inteso nel senso che impone a uno Stato membro l’obbligo di trattare i dividendi provenienti da Stati terzi diversi da quelli aderenti all’Accordo SEE allo stesso modo dei dividendi versati da società residenti, il margine di manovra degli Stati membri per negoziare le convenzioni in materia tributaria e garantirsi così una ripartizione equilibrata del potere impositivo nei loro rapporti con gli Stati terzi diverrebbe in pratica inesistente.
119 A questo proposito, occorre ricordare che la giurisprudenza riguardante le restrizioni all’esercizio delle libertà di circolazione in seno all’Unione non può essere integralmente applicata ai movimenti di capitali tra gli Stati membri e gli Stati terzi, in quanto tali movimenti si iscrivono in un contesto giuridico differente (sentenza Établissements Rimbaud, cit., punto 40 e la giurisprudenza ivi citata).
120 Ciò premesso, non si può escludere che uno Stato membro possa dimostrare che una restrizione dei movimenti di capitali a destinazione di Stati terzi o in provenienza da essi sia giustificata da un determinato motivo in circostanze in cui tale motivo non potrebbe costituire una giustificazione valida per una restrizione ai movimenti di capitali tra Stati membri (sentenza A, cit., punti 36 e 37, nonché citate ordinanze Test Claimants in the CFC and Dividend Group Litigation, punto 93, e KBC Bank e Beleggen, Risicokapitaal, Beheer, punto 73).
121 La Corte ha già riconosciuto che una restrizione all’esercizio di una libertà di circolazione in seno all’Unione può essere giustificata al fine di preservare la ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri (v., in tal senso, sentenze 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks & Spencer, Racc. pag. I-10837, punto 45; 18 luglio 2007, causa C-231/05, Oy AA, Racc. pag. I-6373, punto 51, e 15 maggio 2008, causa C-414/06, Lidl Belgium, Racc. pag. I-3601, punto 42). Pertanto, una simile giustificazione, costituente un motivo imperativo di interesse generale, può, a fortiori, essere riconosciuta nei rapporti degli Stati membri con gli Stati terzi.
122 Tuttavia, perché la diversità di trattamento tra i dividendi di origine nazionale e i dividendi provenienti da Stati terzi diversi da quelli aderenti all’Accordo SEE possa essere giustificata da un siffatto motivo imperativo di interesse generale, essa dev’essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non deve eccedere quanto necessario per raggiungerlo (v. sentenze 15 maggio 1997, causa C-250/95, Futura Participations e Singer, Racc. pag. I-2471, punto 26; 11 marzo 2004, causa C-9/02, de Lasteyrie du Saillant, Racc. pag. I-2409, punto 49, nonché Marks & Spencer, cit., punto 35).
123 Occorre precisare che il fatto di assoggettare i dividendi di portafoglio percepiti da una società residente ad un medesimo trattamento, indipendentemente dal fatto che essi provengano da un’altra società residente oppure da una società stabilita in uno Stato terzo diverso da quelli aderenti all’Accordo SEE, non avrebbe come conseguenza che redditi normalmente imponibili nello Stato membro di residenza della società beneficiaria verrebbero spostati verso lo Stato terzo in questione (v., in tal senso, sentenza Glaxo Wellcome, cit., punto 87). Come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 120 delle sue conclusioni, nella causa principale viene in questione non già il potere impositivo riguardante le attività economiche nel territorio nazionale, bensì la tassazione di redditi esteri.
124 Pertanto, la diversità di trattamento dei dividendi di portafoglio a seconda della loro origine nazionale o estera non può essere giustificata sulla base della necessità di preservare la ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri e gli Stati terzi diversi da quelli aderenti all’Accordo SEE.
125 Vero è che l’esenzione dei dividendi di portafoglio distribuiti da società stabilite in uno Stato terzo diverso da quelli aderenti all’Accordo SEE, ovvero l’imputazione dell’imposta pagata in tale Stato, determinerebbe, per la Repubblica d’Austria, una riduzione delle sue entrate tributarie a titolo dell’imposta sulle società.
126 Tuttavia, risulta da una costante giurisprudenza che la riduzione delle entrate tributarie non può essere considerata un motivo imperativo di interesse generale invocabile per giustificare una misura contraria, in linea di principio, ad una libertà fondamentale (v., in particolare, sentenze Manninen, cit., punto 49, e 14 settembre 2006, causa C-386/04, Centro di Musicologia Walter Stauffer, Racc. pag. I-8203, punto 59).
127 Quanto alla mancanza di reciprocità nei rapporti tra gli Stati membri e gli Stati terzi, occorre ricordare che, quando il principio della libera circolazione dei capitali è stato esteso, dall’art. 56, n. 1, CE, divenuto art. 63, n. 1, TFUE, ai movimenti di capitali tra gli Stati terzi e gli Stati membri, questi ultimi hanno scelto di affermare tale principio nello stesso articolo e negli stessi termini per i movimenti di capitali che hanno luogo all’interno dell’Unione e per quelli che riguardano rapporti con Stati terzi (sentenza A, cit., punto 31).
128 Stanti tali premesse, un’assenza di reciprocità nei rapporti tra gli Stati membri e gli Stati terzi diversi da quelli aderenti all’Accordo SEE non può giustificare una restrizione dei movimenti di capitali tra gli Stati membri e tali Stati terzi.
129 Il governo austriaco sostiene poi che il suo regime fiscale è giustificato dalla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali alla luce del fatto che le attuali convenzioni contro le doppie imposizioni vigenti con gli Stati terzi non garantiscono uno scambio di informazioni con le autorità competenti di tali Stati di livello identico a quello previsto, dalla direttiva 77/799, tra le autorità degli Stati membri.
130 A questo proposito, occorre ricordare che il quadro di cooperazione tra le autorità competenti degli Stati membri istituito dalla direttiva 77/799 non sussiste tra tali autorità e le competenti autorità di uno Stato terzo qualora quest’ultimo non abbia assunto alcun impegno di reciproca assistenza (v. citate sentenze Commissione/Italia, punto 70, e Établissements Rimbaud, punto 41).
131 Ne consegue che, qualora una normativa di uno Stato membro subordini il godimento di un vantaggio fiscale al soddisfacimento di condizioni il cui rispetto può essere verificato soltanto ottenendo informazioni dalle autorità competenti di uno Stato terzo diverso da quelli aderenti all’Accordo SEE, detto Stato membro può, in linea di principio, legittimamente rifiutare la concessione di tale vantaggio qualora, segnatamente a motivo dell’assenza di un obbligo pattizio di fornire informazioni gravante sul citato Stato terzo, risulti impossibile ottenere da quest’ultimo le informazioni in questione (v., per analogia, sentenza Établissements Rimbaud, cit., punto 44).
132 Tuttavia, occorre constatare che la normativa nazionale in questione nella causa principale non subordina un’eventuale esenzione dei dividendi di portafoglio pagati da una società stabilita in uno Stato terzo diverso da quelli aderenti all’Accordo SEE, ovvero un’eventuale imputazione dell’imposta pagata in tale Stato terzo, all’esistenza di un accordo di reciproca assistenza tra lo Stato membro in questione e lo Stato terzo interessato. Infatti, a norma dell’art. 10 del KStG, i dividendi di portafoglio provenienti da Stati terzi diversi da quelli aderenti all’Accordo SEE sono sempre assoggettati all’imposta sulle società in Austria, senza che la normativa nazionale controversa preveda alcun vantaggio fiscale a favore di tali dividendi al fine di prevenire la loro doppia imposizione economica.
133 Considerate tali circostanze, la differenza che esiste, sotto il profilo della cooperazione tra le autorità tributarie, tra la situazione caratterizzante i rapporti tra gli Stati membri in seno all’Unione, da un lato, e quella propria dei rapporti tra gli Stati membri e gli Stati terzi, dall’altro, non può giustificare una diversità di trattamento fiscale tra i dividendi di portafoglio di origine nazionale e quelli provenienti da Stati terzi diversi da quelli aderenti all’Accordo SEE.
134 Infine, il governo austriaco rileva che, se la normativa in questione nella causa principale fosse contraria alla libera circolazione dei capitali, occorrerebbe verificare se le partecipazioni in società stabilite in Stati terzi non debbano essere qualificate come investimenti diretti ai sensi dell’art. 64, n. 1, TFUE, dal momento che, in tal caso, il regime nazionale potrebbe essere considerato come già esistente alla data del 31 dicembre 1993. Tale regime potrebbe dunque in tal caso essere considerato giustificato dalla clausola di «standstill» contenuta nel citato articolo del Trattato FUE.
135 Al riguardo, occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 64, n. 1, TFUE, le disposizioni di cui all’art. 63 TFUE lasciano impregiudicata l’applicazione agli Stati terzi delle restrizioni in vigore alla data del 31 dicembre 1993 in virtù delle legislazioni nazionali o della legislazione dell’Unione per quanto concerne i movimenti di capitali da e verso Stati terzi che implichino investimenti diretti.
136 Ne consegue che, nel caso in cui, precedentemente al 31 dicembre 1993, uno Stato membro abbia adottato una normativa che stabilisce restrizioni ai movimenti di capitali provenienti da Stati terzi o a questi diretti vietate dall’art. 63 TFUE e, dopo la data di cui sopra, adotti misure che, pur costituendo anch’esse una restrizione ai suddetti movimenti, siano sostanzialmente identiche alla normativa precedente oppure si limitino a ridurre o a sopprimere un ostacolo all’esercizio dei diritti e delle libertà dell’Unione previsto dalla normativa precedente, l’art. 63 TFUE non osta all’applicazione agli Stati terzi di queste ultime misure quando esse si applichino a movimenti di capitali implicanti investimenti diretti (sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 196).
137 La Corte ha già statuito che non possono essere considerate investimenti diretti le partecipazioni in una società che non siano acquisite al fine di creare o mantenere legami economici durevoli e diretti tra l’azionista e tale società e non consentano all’azionista di partecipare effettivamente alla gestione o al controllo di quest’ultima (sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 196). Poiché la normativa esaminata nell’ambito della presente questione riguarda unicamente le partecipazioni inferiori al 10% del capitale sociale della società distributrice, si deve ritenere che essa non rientri nell’ambito di applicazione ratione materiae dell’art. 64, n. 1, TFUE.
138 Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre dunque risolvere la terza questione sollevata dichiarando che l’art. 63 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale, al fine di prevenire una doppia imposizione economica, esenti dall’imposta sulle società i dividendi di portafoglio percepiti da una società residente e distribuiti da un’altra società residente, e che, per i dividendi distribuiti da una società stabilita in uno Stato terzo diverso da quelli aderenti all’Accordo SEE, non preveda né l’esenzione dei dividendi, né un sistema di imputazione dell’imposta pagata dalla società distributrice nel suo Stato di residenza.
4. Sulla quarta questione
139 Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio desidera sapere, in sostanza, se l’art. 63 TFUE osti a che un’amministrazione nazionale applichi il metodo dell’imputazione per i dividendi di portafoglio provenienti da società stabilite in uno Stato terzo aderente all’Accordo SEE con il quale la Repubblica d’Austria non abbia concluso un accordo generale di reciproca assistenza in materia amministrativa e di riscossioni, o provenienti da società stabilite in un altro Stato terzo, malgrado che tale metodo comporti oneri amministrativi asseritamente eccessivi per il beneficiario dei dividendi, e ciò faccia a motivo del fatto che il metodo dell’imputazione sarebbe quello che, secondo una decisione del Verwaltungsgerichtshof, corrisponde meglio alla volontà del legislatore, mentre la non applicabilità del limite di partecipazione del 10% avrebbe come conseguenza un’esenzione fiscale e dunque la prevenzione automatica della doppia imposizione economica per i dividendi di portafoglio provenienti da società stabilite negli Stati terzi.
140 A questo proposito occorre ricordare che il Verwaltungsgerichtshof ha affermato che, per rimediare al trattamento fiscale meno favorevole al quale sono assoggettati i dividendi provenienti da società non residenti rispetto a quelli provenienti da società residenti, occorreva applicare alla prima categoria di dividendi non già il metodo dell’esenzione, bensì quello consistente nell’imputare all’imposta dovuta in Austria l’imposta pagata sui dividendi nello Stato di residenza della società distributrice.
141 Come ricordato al punto 86 della presente sentenza, il diritto dell’Unione non vieta che uno Stato membro prevenga l’imposizione a catena di dividendi percepiti da una società residente applicando disposizioni che esentano da imposta tali dividendi allorché vengono versati da una società residente, evitando al tempo stesso la suddetta imposizione a catena, attraverso un sistema di imputazione, nel caso in cui i dividendi in questione vengano versati da una società non residente, a condizione però che l’aliquota d’imposta sui dividendi di origine estera non sia superiore a quella applicata ai dividendi di origine nazionale e che il credito d’imposta sia perlomeno pari all’importo versato nello Stato della società distributrice, sino a concorrenza dell’importo dell’imposta applicata nello Stato membro della società beneficiaria.
142 Inoltre, spetta in linea di principio agli Stati membri, quando introducono meccanismi volti a prevenire o ad attenuare l’imposizione a catena di utili distribuiti, determinare la categoria di contribuenti ammessi a beneficiare dei detti meccanismi, e introdurre, a tale scopo, soglie basate sulla partecipazione che tali contribuenti detengono nelle società distributrici interessate (sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 67).
143 Pertanto, l’art. 63 TFUE non osta alla prassi di un’autorità tributaria nazionale che, per i dividendi provenienti da alcuni Stati terzi, applichi il metodo dell’imputazione al di sotto di una certa soglia di partecipazione della società beneficiaria nel capitale della società distributrice ed il metodo dell’esenzione in caso di superamento di tale soglia, ed applichi invece sistematicamente il metodo dell’esenzione per i dividendi di origine nazionale, a condizione però che i meccanismi in questione intesi a prevenire o ad attenuare l’imposizione a catena di utili distribuiti conducano ad un risultato equivalente.
144 Gli oneri amministrativi asseritamente eccessivi che l’applicazione del metodo dell’imputazione comporta sono già stati presi in esame ai punti 92-99 e 104 della presente sentenza.
145 Con la sua quarta questione, sub b) e c), il giudice del rinvio chiede altresì alla Corte se l’art. 63 TFUE osti ad una normativa o ad una prassi nazionale la quale, per i dividendi di portafoglio distribuiti da una società stabilita in uno Stato terzo diverso da quelli aderenti all’Accordo SEE, subordini l’applicazione del metodo dell’imputazione all’esistenza di un accordo di reciproca assistenza con lo Stato terzo di cui trattasi.
146 Tuttavia, una simile questione ha natura puramente ipotetica ed è pertanto irricevibile (v. sentenza 22 giugno 2010, cause riunite C-188/10 e C-189/10, Melki e Abdeli, Racc. pag. I-5667, punto 27 e la giurisprudenza ivi citata).
147 Occorre dunque risolvere la quarta questione sollevata dichiarando che l’art. 63 TFUE non osta alla prassi di un’autorità tributaria nazionale che, per i dividendi provenienti da alcuni Stati terzi, applichi il metodo dell’imputazione al di sotto di una certa soglia di partecipazione della società beneficiaria nel capitale della società distributrice ed il metodo dell’esenzione in caso di superamento di tale soglia, ed applichi invece sistematicamente il metodo dell’esenzione per i dividendi di origine nazionale, a condizione però che i meccanismi in questione intesi a prevenire o a attenuare l’imposizione a catena di utili distribuiti conducano ad un risultato equivalente. Il fatto che l’amministrazione tributaria nazionale richieda alla società beneficiaria dei dividendi informazioni in merito all’imposta effettivamente applicata sugli utili della società distributrice dei dividendi nello Stato terzo di residenza di quest’ultima è inerente al funzionamento stesso del metodo dell’imputazione e non pregiudica, in quanto tale, l’equivalenza dei metodi dell’esenzione e dell’imputazione.
C – Sulle questioni pregiudiziali nella causa C-437/08
148 Con le sue questioni della causa C-437/08, il giudice del rinvio chiede in sostanza, in primo luogo, se l’art. 63 TFUE osti ad una normativa nazionale, come quella in questione nella causa principale, la quale preveda, a determinate condizioni, l’applicazione del metodo dell’imputazione ai dividendi provenienti da una società stabilita in un altro Stato membro o in uno Stato terzo, mentre invece i dividendi di origine nazionale sono sempre esentati dall’imposta sulle società, e che, per gli esercizi fiscali nel corso dei quali la società beneficiaria abbia registrato perdite di esercizio, non preveda alcun riporto dell’imputazione agli esercizi successivi.
149 In secondo luogo, il giudice del rinvio desidera sapere se l’art. 63 TFUE obblighi uno Stato membro a tener conto, ai fini dell’applicazione del metodo dell’imputazione ai dividendi di origine estera, non soltanto dell’imposta sulle società pagata nello Stato in cui la società distributrice dei dividendi è stabilita, ma anche della ritenuta alla fonte applicata in tale Stato.
1. Sulla ricevibilità
150 Il governo austriaco ritiene che le questioni non abbiano alcun rapporto con la controversia nella causa principale, dato che quest’ultima verte soltanto sull’esercizio fiscale 2002, ossia quello durante il quale si sono verificate le perdite di esercizio. L’eventuale riporto dell’imputazione dell’imposta pagata all’estero potrebbe riguardare unicamente gli esercizi successivi.
151 Tale argomento deve essere respinto.
152 A questo proposito occorre constatare che, anche se la causa principale riguarda soltanto la tassazione a titolo dell’esercizio fiscale 2002, ossia l’anno nel corso del quale la Salinen ha subìto delle perdite, il giudice del rinvio mira ad appurare, attraverso i suoi quesiti, se l’applicazione, per tale esercizio fiscale, del metodo dell’imputazione ai dividendi che tale società percepisce da una società non residente possa essere considerata come equivalente ad un’esenzione fiscale di tali dividendi. Esso chiede anche se tale applicazione sia compatibile con l’art. 63 TFUE, nell’ipotesi in cui il metodo suddetto non consenta alla società beneficiaria di riportare agli esercizi successivi l’imposta pagata nello Stato di residenza della società distributrice dei dividendi.
153 Stanti tali premesse, le questioni sollevate nella causa C-437/08 sono ricevibili.
2. Nel merito
154 Alla luce delle questioni sollevate dal giudice del rinvio, occorre esaminare, in primo luogo, se l’art. 63 TFUE imponga a uno Stato membro, che applica il metodo dell’imputazione per i dividendi distribuiti da società non residenti e il metodo dell’esenzione per i dividendi provenienti da società residenti, l’obbligo di prevedere il riporto dell’imputazione dell’imposta pagata, nel caso in cui, per l’esercizio fiscale nel corso del quale la società beneficiaria percepisce i dividendi, quest’ultima registri perdite di esercizio.
155 Il governo austriaco ritiene che l’art. 63 TFUE non gli imponga di prevedere tale riporto. Infatti, se gli utili fossero assoggettati nello Stato di residenza della società distributrice ad un’imposta superiore all’imposta prelevata dallo Stato della società beneficiaria, quest’ultimo Stato sarebbe tenuto a concedere un credito di imposta soltanto nei limiti dell’importo dell’imposta sulle società dovuto dalla società beneficiaria (sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 52). Allo stesso modo, nel caso in cui, a motivo di perdite subite dalla società beneficiaria nel corso dell’anno della distribuzione dei dividendi, non venga pagata alcuna imposta nazionale sui dividendi percepiti, lo Stato della società beneficiaria non sarebbe tenuto ad accordare un credito d’imposta, né per l’esercizio fiscale corrispondente a tale anno né, a fortiori, per gli esercizi fiscali successivi.
156 A questo proposito occorre ricordare che l’art. 63 TFUE impone ad uno Stato membro, il quale applichi un sistema di prevenzione della doppia imposizione economica nel caso di dividendi versati a società residenti da altre società residenti, l’obbligo di concedere un trattamento equivalente ai dividendi versati a società residenti da società non residenti (v. sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 72).
157 Nella causa principale, risulta dall’art. 10, n. 6, del KStG che, nell’ambito del sistema di imputazione di cui trattasi, i dividendi distribuiti dalle società non residenti vengono integrati nella base imponibile della società beneficiaria, riducendo così, nel caso in cui si registrino delle perdite riferite all’esercizio fiscale in questione, l’ammontare di queste ultime in misura pari ai dividendi percepiti. Pertanto, l’importo delle perdite riportabili agli esercizi fiscali successivi risulta diminuito in identica misura. Al contrario, i dividendi provenienti da società residenti, che sono esentati, non incidono in alcun modo sulla base imponibile della società beneficiaria e dunque neppure sulle perdite di quest’ultima eventualmente riportabili.
158 Ne consegue che, anche se i dividendi distribuiti da una società non residente e percepiti da una società residente non vengono assoggettati all’imposta sulle società nello Stato membro in cui quest’ultima società è stabilita a titolo dell’esercizio fiscale nel corso del quale essi sono stati percepiti, la riduzione delle perdite della società beneficiaria è idonea a determinare per quest’ultima, ove essa non benefici di un riporto dell’imputazione dell’imposta pagata dalla società distributrice, una doppia imposizione economica a carico di tali dividendi in occasione degli esercizi fiscali successivi, qualora il risultato di detta società beneficiaria sia positivo (v., in tal senso, sentenza 12 febbraio 2009, causa C-138/07, Cobelfret, Racc. pag. I-731, punti 39 e 40, e ordinanza KBC Bank e Beleggen, Risicokapitaal, Beheer, cit., punti 39 e 40). Al contrario, nessun rischio di doppia imposizione economica grava sui dividendi di origine nazionale, a motivo dell’applicazione nei loro confronti del metodo dell’esenzione.
159 Qualora una normativa nazionale, quale quella in questione nella causa principale, non preveda il riporto dell’imputazione dell’imposta sulle società pagata nello Stato di stabilimento della società distributrice dei dividendi, i dividendi di origine estera subiscono, in un sistema come quello oggetto del procedimento a quo, una tassazione superiore a quella risultante dall’applicazione del metodo dell’esenzione per i dividendi di origine nazionale.
160 Tenuto conto di quanto chiarito al punto 156 della presente sentenza, occorre dichiarare che l’art. 63 TFUE osta ad una normativa siffatta.
161 Contrariamente a quanto affermato dal governo austriaco, una normativa quale quella in questione nella causa principale non può essere giustificata dal fatto che, nell’ambito dell’applicazione del metodo dell’imputazione, uno Stato membro è tenuto ad accordare un credito d’imposta soltanto entro il limite dell’importo dell’imposta sulle società dovuto dalle società beneficiarie (v. sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punti 50 e 52).
162 Indubbiamente, risulta dalla giurisprudenza che l’equivalenza dei metodi dell’esenzione e dell’imputazione non impone che, nell’ambito di quest’ultimo metodo, venga concesso un credito d’imposta per i dividendi provenienti da società non residenti che sia superiore al livello di tassazione nazionale (v. sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punti 50 e 52). Infatti, la concessione di un credito d’imposta entro i limiti dell’importo dell’imposta sulle società dovuto dalle società beneficiarie è sufficiente per eliminare la doppia imposizione economica dei dividendi distribuiti.
163 Tuttavia, come risulta dal punto 158 della presente sentenza, una normativa nazionale che non consenta, per i dividendi provenienti da società non residenti, il riporto dell’imputazione dell’imposta pagata all’estero, e che esenti invece dall’imposta sulle società i dividendi di origine nazionale, non previene la doppia imposizione economica nei confronti dei dividendi di origine estera.
164 Orbene, in considerazione del fatto che, rispetto ad una disciplina tributaria volta a prevenire o ad attenuare la doppia imposizione degli utili distribuiti, la situazione di una società che percepisce dividendi di origine estera è paragonabile a quella di una società che percepisce dividendi di origine nazionale, dal momento che, in entrambi i casi, gli utili realizzati possono, in linea di principio, essere oggetto di un’imposizione a catena (v. sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 62), una differenza di trattamento, quale quella in questione nella causa principale, tra i dividendi di origine nazionale, da un lato, e i dividendi di origine estera, dall’altro, non può essere giustificata da una diversità di situazione correlata al luogo in cui i capitali sono investiti.
165 Infine, e diversamente da quanto asserito dal governo italiano, la differenza di trattamento in questione nella causa principale non può essere giustificata dalla necessità di evitare che, in seno ad un gruppo di società cui appartengono la società beneficiaria dei dividendi e la società non residente distributrice degli stessi, vengano realizzate costruzioni di puro artificio dirette a modificare l’origine dei dividendi al solo scopo di ottenere vantaggi fiscali. A questo riguardo, è sufficiente constatare che la misura nazionale in questione nella causa principale, che restringe la libera circolazione dei capitali, non concerne specificamente le costruzioni di puro artificio, prive di realtà economica, il cui solo scopo sia di ottenere un vantaggio fiscale (v., in tal senso, sentenza Glaxo Wellcome, cit., punto 89 e la giurisprudenza ivi citata). Inoltre, come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 160 delle sue conclusioni, l’esistenza di costruzioni di puro artificio in seno ad un gruppo societario sembra essere esclusa in un caso quale quello oggetto della causa principale, dato che la Salinen ha percepito dividendi derivanti da partecipazioni inferiori al 10% del capitale della società distributrice e detenute in comproprietà con altri investitori per il tramite di un fondo di investimento nazionale.
166 In secondo luogo, quanto alla questione se, nell’ambito dell’applicazione del metodo dell’imputazione, si debba tener conto dell’imposta ritenuta alla fonte nello Stato della società distributrice, occorre ricordare che tale imposta, ove non venga imputata nello Stato in cui è stabilita la società che percepisce i dividendi in questione, crea i presupposti per una doppia imposizione giuridica.
167 A questo proposito occorre ricordare che spetta a ciascuno Stato membro organizzare, in osservanza del diritto dell’Unione, il proprio sistema di tassazione degli utili distribuiti e definire, in tale ambito, la base imponibile nonché il tasso d’imposizione che vengono applicati in capo all’azionista beneficiario (v., in particolare, sentenze Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, cit., punto 50; Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 47, e 20 maggio 2008, causa C-194/06, Orange European Smallcap Fund, Racc. pag. I-3747, punto 30).
168 Ne consegue, da un lato, che i dividendi distribuiti da una società stabilita in uno Stato membro a un azionista residente in un altro Stato membro possono subire una doppia imposizione giuridica qualora i due Stati membri decidano di esercitare la propria competenza fiscale e di assoggettare tali dividendi a tassazione in capo all’azionista (sentenza 16 luglio 2009, causa C-128/08, Damseaux, Racc. pag. I-6823, punto 26).
169 Dall’altro lato, la Corte ha già avuto modo di affermare che le conseguenze svantaggiose che possono derivare dall’esercizio parallelo da parte di diversi Stati membri della loro competenza fiscale, se e in quanto tale esercizio non sia discriminatorio, non costituiscono restrizioni vietate dal Trattato (sentenza 3 giugno 2010, causa C-487/08, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-4843, punto 56 e la giurisprudenza ivi citata).
170 Poiché il diritto dell’Unione, al suo stato attuale, non stabilisce criteri generali per la ripartizione delle competenze tra gli Stati membri per quanto riguarda l’eliminazione della doppia imposizione all’interno dell’Unione, la circostanza che tanto lo Stato membro della fonte dei dividendi quanto lo Stato membro di residenza dell’azionista possano tassare tali dividendi non implica che lo Stato membro di residenza sia tenuto, in forza del diritto dell’Unione, a prevenire gli svantaggi che potrebbero derivare dall’esercizio della competenza così ripartita da parte dei due Stati membri (v. sentenze Damseaux, cit., punti 30 e 34, e 15 aprile 2010, causa C-96/08, CIBA, Racc. pag. I-2911, punti 27 e 28).
171 Stanti tali premesse, l’art. 63 TFUE non può essere interpretato nel senso che esso obblighi uno Stato membro a prevedere, nella propria normativa tributaria, l’imputazione dell’imposta prelevata sui dividendi mediante ritenuta alla fonte in un altro Stato membro al fine di prevenire la doppia imposizione giuridica dei dividendi percepiti da una società stabilita nel primo Stato membro, doppia imposizione che consegue dall’esercizio parallelo, da parte degli Stati membri in questione, della loro rispettiva competenza fiscale (v., in tal senso, sentenza 14 novembre 2006, causa C-513/04, Kerckhaert e Morres, Racc. pag. I-10967, punti 22-24).
172 La medesima constatazione si impone a fortiori nel caso in cui la doppia imposizione giuridica consegua dall’esercizio parallelo, da parte di uno Stato membro e di uno Stato terzo, della loro rispettiva competenza fiscale, così come risulta dai punti 119 e 120 della presente sentenza.
173 Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre risolvere le questioni sollevate dichiarando che l’art. 63 TFUE deve essere interpretato nel senso:
– che esso osta ad una normativa nazionale, la quale conceda alle società residenti la possibilità di riportare perdite subite nel corso di un esercizio fiscale agli esercizi fiscali successivi, e che prevenga la doppia imposizione economica dei dividendi applicando il metodo dell’esenzione ai dividendi di origine nazionale e, per contro, il metodo dell’imputazione ai dividendi distribuiti da società stabilite in un altro Stato membro o in uno Stato terzo, se e in quanto tale normativa non consenta, in ipotesi di applicazione del metodo dell’imputazione, di riportare l’imputazione dell’imposta sulle società pagata nello Stato di residenza della società distributrice dei dividendi agli esercizi successivi nel caso in cui, per l’esercizio nel corso del quale la società beneficiaria ha percepito i dividendi di origine estera, tale società abbia registrato perdite di esercizio, e
– che esso non obbliga uno Stato membro a prevedere, nella propria normativa tributaria, l’imputazione dell’imposta prelevata sui dividendi mediante ritenuta alla fonte in un altro Stato membro o in uno Stato terzo, al fine di prevenire la doppia imposizione giuridica dei dividendi percepiti da una società stabilita nel primo Stato membro, doppia imposizione che consegue dall’esercizio parallelo, da parte degli Stati in questione, della loro rispettiva competenza fiscale.
IV – Sulle spese
174 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:
1) L’art. 63 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa di uno Stato membro, la quale preveda l’esenzione dall’imposta sulle società per i dividendi di portafoglio provenienti da partecipazioni detenute in società residenti, e che subordini tale esenzione per i dividendi di portafoglio provenienti da società stabilite negli Stati terzi aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo, del 2 maggio 1992, all’esistenza di un accordo generale di reciproca assistenza in materia amministrativa e di riscossioni tra lo Stato membro e lo Stato terzo interessati, nella misura in cui soltanto l’esistenza di un accordo di reciproca assistenza in materia amministrativa risulta necessaria per raggiungere gli obiettivi della normativa in questione.
2) L’art. 63 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro, la quale esenti dall’imposta sulle società i dividendi di portafoglio che una società residente percepisce da un’altra società residente, assoggettando invece a tale imposta i dividendi di portafoglio che una società residente percepisce da una società stabilita in un altro Stato membro o in uno Stato terzo aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo, del 2 maggio 1992, a condizione però che l’imposta pagata nello Stato di residenza di quest’ultima società venga imputata all’imposta dovuta nello Stato membro della società beneficiaria e che gli oneri amministrativi imposti a quest’ultima per poter beneficiare di tale imputazione non siano eccessivi. Eventuali informazioni che vengano richieste dall’amministrazione tributaria nazionale alla società beneficiaria dei dividendi in merito all’imposta effettivamente applicata sugli utili della società distributrice dei dividendi nello Stato di residenza di quest’ultima sono inerenti al funzionamento stesso del metodo dell’imputazione e non possono essere considerate come un onere amministrativo eccessivo.
3) L’art. 63 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale, al fine di prevenire una doppia imposizione economica, esenti dall’imposta sulle società i dividendi di portafoglio percepiti da una società residente e distribuiti da un’altra società residente, e che, per i dividendi distribuiti da una società stabilita in uno Stato terzo diverso da quelli aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo, del 2 maggio 1992, non preveda né l’esenzione dei dividendi, né un sistema di imputazione dell’imposta pagata dalla società distributrice nel suo Stato di residenza.
4) L’art. 63 TFUE non osta alla prassi di un’autorità tributaria nazionale che, per i dividendi provenienti da alcuni Stati terzi, applichi il metodo dell’imputazione al di sotto di una certa soglia di partecipazione della società beneficiaria nel capitale della società distributrice ed il metodo dell’esenzione in caso di superamento di tale soglia, ed applichi invece sistematicamente il metodo dell’esenzione per i dividendi di origine nazionale, a condizione però che i meccanismi in questione intesi a prevenire o a attenuare l’imposizione a catena di utili distribuiti conducano ad un risultato equivalente. Il fatto che l’amministrazione tributaria nazionale richieda alla società beneficiaria dei dividendi informazioni in merito all’imposta effettivamente applicata sugli utili della società distributrice dei dividendi nello Stato terzo di residenza di quest’ultima è inerente al funzionamento stesso del metodo dell’imputazione e non pregiudica, in quanto tale, l’equivalenza dei metodi dell’esenzione e dell’imputazione.
5) L’art. 63 TFUE deve essere interpretato nel senso:
– che esso osta ad una normativa nazionale, la quale conceda alle società residenti la possibilità di riportare perdite subite nel corso di un esercizio fiscale agli esercizi fiscali successivi, e che prevenga la doppia imposizione economica dei dividendi applicando il metodo dell’esenzione ai dividendi di origine nazionale e, per contro, il metodo dell’imputazione ai dividendi distribuiti da società stabilite in un altro Stato membro o in uno Stato terzo, se e in quanto tale normativa non consenta, in ipotesi di applicazione del metodo dell’imputazione, di riportare l’imputazione dell’imposta sulle società pagata nello Stato di residenza della società distributrice dei dividendi agli esercizi successivi nel caso in cui, per l’esercizio nel corso del quale la società beneficiaria ha percepito i dividendi di origine estera, tale società abbia registrato perdite di esercizio, e
– che esso non obbliga uno Stato membro a prevedere, nella propria normativa tributaria, l’imputazione dell’imposta prelevata sui dividendi mediante ritenuta alla fonte in un altro Stato membro o in uno Stato terzo, al fine di prevenire la doppia imposizione giuridica dei dividendi percepiti da una società stabilita nel primo Stato membro, doppia imposizione che consegue dall’esercizio parallelo, da parte degli Stati in questione, della loro rispettiva competenza fiscale.
Firme
* Lingua processuale: il tedesco.