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Causa C-582/08

Commissione europea

contro

Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord

«Inadempimento di uno Stato — Imposta sul valore aggiunto — Direttiva 2006/112/CE — Artt. 169-171 — Tredicesima direttiva 86/560/CEE — Art. 2 — Rimborso — Soggetto passivo non stabilito nell’Unione — Operazioni assicurative — Operazioni finanziarie»

Massime della sentenza

Disposizioni tributarie — Armonizzazione delle legislazioni — Imposte sulla cifra d’affari — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Rimborso dell’imposta ai soggetti passivi non stabiliti nel territorio dell’Unione

[Direttive del Consiglio 86/560, art. 2, n. 1, e 2006/112, artt. 169, lett. c), 170 e 171]

Non viene meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli artt. 169-171 della direttiva 2006/112, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, e dell’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva 86/560, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, lo Stato membro che escluda il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto pagata a monte per operazioni assicurative e per operazioni finanziarie di cui all’art. 169, lett. c), della direttiva 2006/112 realizzate da soggetti passivi non stabiliti nel territorio dell’Unione.

Infatti, le disposizioni della tredicesima direttiva e, in particolare, il suo art. 2, n. 1, che non fa riferimento alle operazioni menzionate all’art. 169, lett. c), della direttiva 2006/112, devono essere considerate come una lex specialis, rispetto agli artt. 170 e 171 della direttiva 2006/112, la quale osta a che il diritto al rimborso, enunciato in termini generali al detto art. 170, possa prevalere sulla formulazione chiara e precisa dell’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva.

Anche supponendo che il mancato rinvio all’art. 169, lett. c), della direttiva 2006/112 costituisca un errore del legislatore dell’Unione, non spetta alla Corte procedere ad un’interpretazione diretta a correggere il citato art. 2, n. 1. Non si può, inoltre, contestare ad uno Stato membro, la cui disciplina nazionale è conforme alla formulazione chiara e precisa dell’art. 2, n. 1, di essere venuto meno agli obblighi ad esso incombenti precisamente in forza di detta disposizione, per il fatto che esso avrebbe omesso di procedere ad un’interpretazione diretta a correggere tale disposizione, allo scopo di conformarsi alla logica generale del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto e di rimediare ad un errore del legislatore comunitario. A tal riguardo, il principio di certezza del diritto esige che una normativa dell’Unione consenta agli interessati di conoscere esattamente la portata degli obblighi che essa impone loro. I soggetti dell’ordinamento devono infatti poter conoscere senza ambiguità i propri diritti ed obblighi e regolarsi di conseguenza. Tale principio è pertinente anche nel contesto della trasposizione di una direttiva relativa al settore fiscale. Non si può infatti procedere, ignorando la formulazione chiara e precisa del citato art. 2, n. 1, ad un’interpretazione diretta a correggere detta disposizione ampliando in tal modo gli obblighi degli Stati membri ad essa relativi.

(v. punti 35, 46, 48-51)







SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

15 luglio 2010 (*)

«Inadempimento di uno Stato – Imposta sul valore aggiunto – Direttiva 2006/112/CE – Artt. 169-171 – Tredicesima direttiva 86/560/CEE – Art. 2 – Rimborso – Soggetto passivo non stabilito nell’Unione – Operazioni assicurative – Operazioni finanziarie»

Nella causa C-582/08,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 29 dicembre 2008,

Commissione europea, rappresentata dal sig. R. Lyal e dalla sig.ra M. Afonso, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato dalla sig.ra I. Rao e dal sig. S. Hathaway, in qualità di agenti, assistiti dal sig. K. Lasok, QC,

convenuto,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dai sigg. E. Juhász, G. Arestis, T. von Danwitz (relatore) e D. Šváby, giudici,

avvocato generale: sig. N. Jääskinen

cancelliere: sig. M.-A. Gaudissart, capounità

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 febbraio 2010,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 20 maggio 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, negando il recupero dell’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA») pagata a monte per talune operazioni realizzate da soggetti passivi non stabiliti sul territorio dell’Unione europea, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli artt. 169-171 della direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU L 347, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva IVA»), e dell’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva del Consiglio 17 novembre 1986, 86/560/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Modalità di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti nel territorio della Comunità (GU L 326, pag. 40; in prosieguo: la «tredicesima direttiva»).

 Contesto normativo

 La normativa dell’Unione

2        L’art. 17, nn. 3 e 4, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari – sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1), come modificata dalla direttiva del Consiglio 26 aprile 2004, 2004/66/CE (GU L 168, pag. 35; in prosieguo: la «sesta direttiva»), nella sua versione derivante dall’art. 28 septies, punto 1, di detta direttiva, così disponeva:

«3.      Gli Stati membri accordano altresì ad ogni soggetto passivo la deduzione o il rimborso dell’[IVA] di cui al paragrafo 2 nella misura in cui i beni e i servizi sono utilizzati ai fini:

a)      di sue operazioni relative ad attività economiche di cui all’articolo 4, paragrafo 2, effettuate all’estero che darebbero diritto a deduzione se fossero effettuate all’interno del paese;

b)      di sue operazioni esenti ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, lettere g) e i), dell’articolo 15, dell’articolo 16, paragrafo 1, punti B, C, D ed E, e paragrafo 2, e dell’articolo 28 quater, parti A e C;

c)      di sue operazioni esenti ai sensi dell’articolo 13, punto B, lettera a) e lettera d), punti da 1 a 5, quando il cliente risieda fuori della Comunità o quando tali operazioni sono direttamente connesse a beni destinati a essere esportati in un paese non appartenente alla Comunità.

4.      Il rimborso dell’[IVA] di cui al paragrafo 3 viene effettuato:

–      a favore dei soggetti passivi che non sono stabiliti all’interno del paese ma che sono stabiliti in un altro Stato membro, secondo le modalità d’applicazione stabilite dalla direttiva 79/1072/CEE;

–      a favore dei soggetti passivi che non sono stabiliti nel territorio della Comunità, secondo le modalità d’applicazione stabilite dalla direttiva 86/560/CEE.

(…)».

3        L’art. 17, n. 4, della sesta direttiva disponeva, nella sua versione iniziale, quanto segue:

«Il Consiglio cercherà di adottare entro il 31 dicembre 1977, su proposta della Commissione e deliberando all’unanimità, le modalità comunitarie d’applicazione secondo le quali i rimborsi devono essere effettuati ai sensi del paragrafo 3 a favore di soggetti passivi non residenti all’interno del paese. Fino all’entrata in vigore di queste modalità di applicazione comunitarie, spetterà agli Stati membri stabilire le modalità secondo le quali questo rimborso sarà effettuato. Qualora il soggetto passivo non risieda nel territorio della Comunità, gli Stati membri possono rifiutare il rimborso o subordinarlo a condizioni complementari».

4        Gli artt. 169-171 della direttiva IVA hanno sostituito l’art. 17, nn. 3 e 4, della sesta direttiva a partire dal 1° gennaio 2007.

5        L’art. 169 della direttiva IVA così dispone:

«Oltre alla detrazione di cui all’articolo 168, il soggetto passivo ha il diritto di detrarre l’IVA ivi prevista nella misura in cui i beni e servizi sono utilizzati ai fini delle operazioni seguenti:

a)      sue operazioni relative alle attività di cui all’articolo 9, paragrafo 1, secondo comma, effettuate fuori dello Stato membro in cui l’imposta è dovuta o assolta, che darebbero diritto a detrazione se fossero effettuate in tale Stato membro;

b)      sue operazioni esenti conformemente agli articoli 138, 142 e 144, agli articoli da 146 a 149, agli articoli 151, 152, 153 e 156, all’articolo 157, paragrafo 1, lettera b), agli articoli da 158 a 161 e all’articolo 164;

c)      sue operazioni esenti conformemente all’articolo 135, paragrafo 1, lettere da a) a f), quando il destinatario è stabilito fuori della Comunità o quando tali operazioni sono direttamente connesse a beni destinati a essere esportati fuori della Comunità».

6        L’art. 170 di detta direttiva prevede quanto segue:

«Il soggetto passivo che, ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 79/1072/CEE, dell’articolo 1 della direttiva 86/560/CEE e dell’articolo 171 della presente direttiva, non è stabilito nello Stato membro in cui effettua acquisti di beni e servizi o importazioni di beni gravati da IVA ha il diritto al rimborso di tale imposta nella misura in cui i beni e i servizi sono utilizzati ai fini delle operazioni seguenti:

a)       le operazioni di cui all’articolo 169;

b)       le operazioni per le quali l’imposta è dovuta unicamente dall’acquirente o dal destinatario a norma degli articoli da 194 a 197 e dell’articolo 199».

7        L’art. 171 della direttiva IVA recita:

«1.      Il rimborso dell’IVA a favore dei soggetti passivi che non sono stabiliti nello Stato membro in cui effettuano acquisti di beni e servizi o importazioni di beni gravati da imposta ma che sono stabiliti in un altro Stato membro è effettuato secondo le modalità d’applicazione previste dalla direttiva 79/1072/CEE.

(…)

2.      Il rimborso dell’IVA a favore dei soggetti passivi che non sono stabiliti nel territorio della Comunità, è effettuato secondo le modalità d’applicazione stabilite dalla direttiva 86/560/CEE.

(…)

3.      Le direttive 79/1072/CEE e 86/560/CEE non si applicano alle cessioni di beni esentate, o che possono essere esentate, a norma dell’articolo 138 quando i beni oggetto della cessione sono spediti o trasportati dall’acquirente o per suo conto».

8        Le operazioni esentate di cui all’art. 169, lett. c), della direttiva IVA riguardano, conformemente all’art. 135, n. 1, lett. a)-f), in particolare operazioni assicurative ed operazioni finanziarie, precisate in quest’ultima disposizione.

9        L’art. 2 dell’ottava direttiva del Consiglio 6 dicembre 1979, 79/1072/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Modalità per il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti all’interno del paese (GU L 331, pag. 11; in prosieguo: l’«ottava direttiva»), così prevede:

«Ciascuno Stato membro rimborsa ad ogni soggetto passivo non residente all’interno del paese, ma residente in un altro Stato membro, alle condizioni stabilite in appresso, l’[IVA] applicata a servizi che gli sono resi o beni mobili che gli sono ceduti all’interno del paese da altri soggetti passivi, o applicata all’importazione di beni nel paese, nella misura in cui questi beni e servizi sono impiegati ai fini delle operazioni di cui all’articolo 17, paragrafo 3), lettere a) e b) della direttiva 77/388/CEE o delle prestazioni di servizi di cui all’articolo 1, lettera b)».

10      L’art. 8 dell’ottava direttiva, abrogato ai sensi dell’art. 7 della tredicesima direttiva, così disponeva:

«Per quanto riguarda i soggetti passivi non residenti nel territorio della Comunità, ciascuno Stato membro ha la facoltà di escluderli dal rimborso o di subordinare il rimborso a condizioni particolari.

Il rimborso non può essere concesso a condizioni più favorevoli di quelle applicate ai soggetti passivi della Comunità».

11      L’esposizione dei motivi della proposta di ottava direttiva del Consiglio, del 3 gennaio 1978, presentata dalla Commissione [(COM(77) 721 def.] (in prosieguo: la «proposta di ottava direttiva»), recita, con riferimento all’art. 2 di detta proposta:

«Il riferimento contenuto nell’articolo 17, paragrafo 4, della sesta direttiva (“ai sensi del paragrafo 3”), implica che si debba rimborsare soltanto l’imposta sugli acquisti di beni e servizi o sulle importazioni di beni che sono utilizzati dal soggetto passivo straniero per le attività di cui all’articolo 17, paragrafo 3, della direttiva. Ora, tra i tre casi contemplati alle lettere a), b) e c) di questo paragrafo soltanto i primi due sembrano essere richiamati (...).

(…)

Quanto ai casi di cui alla lettera c) dell’articolo 17, paragrafo 3, della direttiva, poiché le operazioni assicurative o bancarie ivi contemplate sono sempre situate in un paese terzo, non si può mai considerare che il prestatore di un paese membro effettui un’operazione nel paese di rimborso: questi casi rientrano quindi tra quelli contemplati alla lettera a) (soggetto passivo straniero che non effettua alcuna operazione imponibile nel paese di rimborso) e ne seguono la disciplina».

12      L’art. 2 della proposta di ottava direttiva, approvato dal Parlamento europeo riguardava il rimborso dell’IVA relativa ai servizi o ai beni «nella misura in cui questi beni e servizi sono impiegati ai fini delle operazioni di cui all’articolo 17, paragrafo 3, della sesta direttiva».

13      Il secondo ‘considerando’ della tredicesima direttiva recita:

«considerando che occorre assicurare uno sviluppo armonioso delle relazioni commerciali della Comunità con i paesi terzi ispirandosi alle disposizioni della direttiva 79/1072/CEE, pur tenendo conto delle diverse situazioni riscontrate nei paesi terzi».

14      L’art. 2 della tredicesima direttiva così dispone:

«1.      Fatti salvi gli articoli 3 e 4, ciascuno Stato membro rimborsa ad ogni soggetto passivo non residente nel territorio della Comunità, alle condizioni stabilite in appresso, l’[IVA] applicata a servizi che gli sono resi o beni mobili che gli sono ceduti all’interno del paese da altri soggetti passivi, o applicata all’importazione di beni nel paese, nella misura in cui questi beni e servizi sono impiegati ai fini delle operazioni di cui all’articolo 17, paragrafo 3, lettere a) e b), della direttiva 77/388/CEE o delle prestazioni di servizi di cui all’articolo 1, punto 1, lettera b), della presente direttiva.

2.      Gli Stati membri possono subordinare il rimborso di cui al paragrafo 1 alla concessione da parte degli Stati terzi di vantaggi analoghi nel settore delle imposte sulla cifra d’affari.

(…)».

15      L’art. 4 della tredicesima direttiva così prevede:

«1.      Ai fini della presente direttiva il diritto al rimborso è determinato conformemente all’articolo 17 della direttiva 77/388/CEE, quale esso è applicato nello Stato membro di rimborso.

2.      Gli Stati membri possono tuttavia prevedere l’esclusione di alcune spese o subordinare il rimborso a condizioni complementari.

3.      La presente direttiva non si applica alle cessioni di beni esentate o che possono essere esentate ai sensi dell’articolo 15, punto 2, della direttiva 77/388/CEE».

16      Ai sensi dell’art. 5 della direttiva del Consiglio 12 febbraio 2008, 2008/9/CE, che stabilisce norme dettagliate per il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto, previsto dalla direttiva 2006/112/CE, ai soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso, ma in un altro Stato membro (GU L 44, pag. 23), e che ha sostituito l’ottava direttiva a partire dal 1° gennaio 2010:

«Ciascuno Stato membro rimborsa ad ogni soggetto passivo non stabilito nello Stato membro di rimborso l’IVA a lui addebitata in relazione a beni o servizi fornitigli da altri soggetti passivi in tale Stato membro o in relazione all’importazione di beni in tale Stato membro, nella misura in cui i beni e servizi in questione siano impiegati ai fini delle seguenti operazioni:

a)      operazioni di cui all’articolo 169, lettere a) e b), della direttiva 2006/112/CE;

b)      operazioni il cui destinatario è debitore dell’IVA ai sensi degli articoli da 194 a 197 e dell’articolo 199 della direttiva 2006/112/CE, quali applicati nello Stato membro di rimborso.

Fatto salvo l’articolo 6, ai fini della presente direttiva il diritto al rimborso dell’IVA a monte è determinato secondo la direttiva 2006/112/CE quale applicata dallo Stato membro di rimborso».

 La normativa nazionale

17      Dagli artt. 26 e 39 del Value Added Tax Act del 1994, dall’art. 3 del Value Added Tax (Input Tax) (Specified Supplies) Order del 1999 e dall’art. 190 dei Value Added Tax Regulations del 1995, nella versione derivante dai Value Added Tax (Amendment) (N. 4) Regulations del 2004, risulta che gli operatori non stabiliti nell’Unione non sono legittimati a ottenere il rimborso dell’imposta pagata a monte che ha gravato le operazioni previste dall’art. 169, lett. c), della direttiva IVA.

 Il procedimento precontenzioso

18      Il 13 gennaio 2006, la Commissione ha comunicato alle autorità del Regno Unito che riteneva che l’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva non potesse essere interpretato nel senso che escludeva il rimborso dell’IVA applicata ai beni e ai servizi utilizzati ai fini delle operazioni assicurative e delle operazioni finanziarie di cui all’art. 17, n. 3, lett. c), della sesta direttiva, il cui testo è riportato all’art. 169, lett. c), della direttiva IVA. In una lettera del 12 maggio 2006, il Regno Unito ha espresso parere contrario, sostenendo che la sua legislazione era conforme alla normativa dell’Unione applicabile.

19      La Commissione ha allora deciso di avviare il procedimento previsto all’art. 226 CE, inviando al Regno Unito, il 12 ottobre 2006, una lettera di diffida in cui contestava a tale Stato membro di venir meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’art. 17, nn. 3 e 4, della sesta direttiva e dell’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva.

20      Non convinta dagli argomenti presentati dal Regno Unito nella sua risposta del 14 dicembre 2006, la Commissione ha emesso, il 27 giugno 2007, un parere motivato nel quale invitava detto Stato membro ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi, nel termine di due mesi a decorrere dal ricevimento del parere motivato, ai requisiti derivanti dagli articoli 169-171 della direttiva IVA e dall’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva.

21      Il Regno Unito ha risposto a detto parere motivato con lettera del 29 agosto 2007, nella quale ha confermato la sua interpretazione della tredicesima direttiva e degli articoli 169-171 della direttiva IVA. La Commissione, contestando detta interpretazione e mantenendo la propria posizione per quanto riguarda l’incompatibilità della legislazione in esame del Regno Unito con le esigenze derivanti dal diritto dell’Unione, ha deciso di proporre il presente ricorso.

 Sul ricorso

22      Va osservato preliminarmente che è pacifico che l’operatore stabilito fuori dell’Unione, in forza della regolamentazione del Regno Unito, non ha diritto a recuperare l’imposta versata a monte in tale Stato membro, per beni o servizi utilizzati ai fini delle operazioni rientranti nelle categorie menzionate nell’art. 169, lett. c), della direttiva IVA, cioè talune operazioni assicurative e talune operazioni finanziarie.

23      Il ricorso verte quindi sulla sola questione se gli artt. 169-171 della direttiva IVA, nonché l’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva riconoscano tale diritto ad operatori stabiliti fuori dell’Unione.

24      In conformità all’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva, ciascuno Stato membro rimborsa ad ogni soggetto passivo non stabilito nel territorio dell’Unione l’IVA applicata ai servizi che gli sono resi o ai beni mobili che gli sono ceduti all’interno del paese da altri soggetti oppure applicata all’importazione dei beni nel paese, nella misura in cui tali beni o servizi sono impiegati ai fini delle operazioni di cui all’art. 17, n. 3, lett. a) e b), della sesta direttiva.

25      Per quanto riguarda il rinvio all’art. 17, n. 3, lett. a) e b), della sesta direttiva che compare all’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva, va osservato, da una parte, che il dettato di quest’ultima direttiva non è stato adattato successivamente all’entrata in vigore della direttiva IVA, il cui art. 169, lett. a) e b), ha sostituito detto art. 17, n. 3, lett. a) e b). L’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva deve quindi intendersi come riferito all’art. 169, lett. a) e b).

26      Va d’altra parte osservato che le operazioni assicurative e le operazioni finanziarie di cui trattasi nella presente controversia sono contemplate all’art. 169, lett. c), della direttiva IVA.

27      Il Regno Unito, basandosi sulla formulazione dell’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva, il quale rinvia esplicitamente soltanto alle operazioni previste dall’art. 169, lett. a) e b), della direttiva IVA, conclude che non esiste alcun diritto al rimborso dell’IVA con riferimento alle operazioni previste dall’art. 169, lett. c), di detta direttiva.

28      La Commissione per contro, pur ammettendo che l’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva non rinvia alle operazioni contemplate all’art.169, lett. c), della direttiva IVA, sostiene, fondandosi su argomenti desunti dai lavori preparatori, dall’economia e dalle finalità delle disposizioni di cui trattasi, che detto art. 2, n. 1, letto in combinato disposto con gli artt. 169–171 della direttiva IVA, deve essere inteso nel senso che conferisce un diritto al rimborso dell’IVA anche per quanto riguarda le operazioni di cui all’art. 169, lett. c), della direttiva IVA.

29      Occorre, dunque, stabilire se gli argomenti fatti valere dalla Commissione a sostegno della sua interpretazione dell’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva e degli artt. 169-171 della direttiva IVA siano idonei a giustificare un’interpretazione di detti articoli nel senso che conferiscono il diritto al rimborso dell’IVA per le operazioni di cui all’art. 169, lett. c), della direttiva IVA, sebbene il testo chiaro e preciso di detto art. 2, n. 1, rinvii soltanto all’art. 169, lett. a) e b), della direttiva IVA.

30      Secondo la Commissione, il diritto degli operatori residenti fuori dell’Unione di recuperare l’imposta versata a monte, in uno Stato membro, ai fini di operazioni di cui all’art. 169, lett. c), della direttiva IVA deriva già dagli artt. 169-171 di tale direttiva. L’art. 170 di detta direttiva sancirebbe tale diritto per tutte le operazioni previste dall’art. 169 di quest’ultima e non prevederebbe alcuna deroga. Considerato che la direttiva IVA esporrebbe la regola di base mentre la tredicesima direttiva conterrebbe soltanto disposizioni di applicazione che disciplinano le modalità di rimborso, la formulazione incondizionata dell’art. 170 della direttiva IVA dovrebbe prevalere sul dettato dell’art. 2 della tredicesima direttiva.

31      Certo, l’art. 170 della direttiva IVA prevede, in termini generali, proprio come anteriormente enunciava l’art. 17, n. 3, della sesta direttiva, il diritto al rimborso dell’IVA versata a monte, qualora i beni e i servizi cui l’IVA è stata applicata siano impiegati per le «operazioni di cui all’articolo 169» della direttiva IVA.

32      Del pari, è pacifico che l’ottava direttiva sia intesa a stabilire le modalità di rimborso dell’IVA versata in uno Stato membro ad opera di soggetti passivi stabiliti in un altro Stato membro. La sua finalità è quindi di armonizzare il diritto al rimborso quale è sancito dall’art. 17, n. 3, della sesta direttiva (v. sentenze 13 luglio 2000, causa C-136/99, Monte Dei Paschi Di Siena, Racc. pag. I-6109, punto 20, e 15 marzo 2007, causa C-35/05, Reemtsma Cigarettenfabriken, Racc. pag. I-2425, punto 26). Ciò vale anche, per la tredicesima direttiva, con riferimento ai soggetti passivi stabiliti in Stati terzi.

33      Non si può tuttavia dedurre, come sostiene la Commissione, che l’art. 170 della direttiva IVA consenta di derogare al testo chiaro e preciso dell’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva.

34      La tredicesima direttiva, infatti, non si limita a disciplinare le modalità formali di applicazione del diritto al rimborso dell’IVA, ma prevede talune deroghe a siffatto diritto, come la Commissione riconosce nelle sue osservazioni scritte senza contestarne la validità. Tra tali deroghe figura la facoltà che gli Stati membri hanno di subordinare, in forza dell’art. 2, n. 2, di detta direttiva, tale rimborso alla concessione da parte degli Stati terzi di analoghi vantaggi e, in conformità all’art. 4, n. 2, di detta direttiva, di prevedere l’esclusione da detto rimborso di talune spese o di subordinarlo a condizioni complementari.

35      Pertanto, le disposizioni della tredicesima direttiva e, in particolare il suo art. 2, n. 1, devono essere considerate come una lex specialis, rispetto agli artt. 170 e 171 della direttiva IVA, la quale osta a che il diritto al rimborso, enunciato in termini generali al detto art. 170, possa prevalere sulla formulazione chiara e precisa dell’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva.

36      Ne consegue che la questione se gli Stati membri siano tenuti a concedere un diritto al rimborso dell’IVA per le operazioni di cui all’art. 169, lett. c), della direttiva IVA ai soggetti passivi stabiliti fuori dell’Unione, deve essere determinata soltanto in funzione dell’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva.

37      Per quanto riguarda l’interpretazione di detto art. 2, n. 1, la Commissione sostiene anzitutto che dai lavori preparatori risulta che non si può presumere che il legislatore dell’Unione abbia voluto escludere, con la sola menzione, all’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva, delle operazioni previste dall’art. 169, lett. a) e b), della direttiva IVA, il rimborso dell’IVA per le operazioni previste dall’art. 169, lett. c), di detta direttiva. La formulazione dell’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva sarebbe basata su una valutazione errata che il legislatore dell’Unione avrebbe recepito all’adozione dell’art. 2 dell’ottava direttiva, il quale reca un testo quasi identico a quello dell’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva e i cui termini sono serviti di modello per l’elaborazione di quest’ultimo.

38      Al riguardo, la Commissione si basa anzitutto sull’esposizione dei motivi della proposta di ottava direttiva e afferma che all’atto dell’adozione di quest’ultima, il legislatore ha omesso il rinvio all’art. 17, n. 3, lett. c), della sesta direttiva, per aver considerato erroneamente che le operazioni interessate fossero già state prese in considerazione all’art. 17, n. 3, lett. a), della stessa, il quale è menzionato nell’elencazione che compare all’art. 2 dell’ottava direttiva.

39      Secondo la Commissione, poi, la logica del sistema dell’IVA esige che sia concesso il diritto al rimborso dell’IVA per le operazioni previste all’art. 169, lett. c), della direttiva IVA. Secondo detta logica, infatti, e in conformità all’uso internazionale, non dovrebbe essere dovuta alcuna imposta qualora i beni e i servizi siano esportati. Per quanto riguarda, in particolare, le operazioni esentate, come le operazioni assicurative e le operazioni finanziarie, per le quali non esisterebbe normalmente la possibilità di recuperare l’imposta pagata a monte, l’art. 169, lett. c), della direttiva IVA sarebbe inteso a permettere il recupero dell’IVA attinente al prezzo d’acquisto dei beni e dei servizi destinati all’esecuzione di siffatte operazioni. Quindi, il fatto di concedere il diritto al rimborso dell’IVA consentirebbe di evitare che l’operatore avente sede nell’Unione sia svantaggiato rispetto ai suoi concorrenti stabiliti fuori di essa.

40      Infine, la Commissione considera che il paragone effettuato tra l’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva e l’art. 2 dell’ottava direttiva dimostra che queste due disposizioni devono essere interpretate in modo uniforme. Orbene, malgrado le formulazioni quasi identiche di dette disposizioni, il Regno Unito interpreterebbe l’art. 2 dell’ottava direttiva nel senso che include le operazioni menzionate all’art. 169, lett. c), della direttiva IVA, adottando così una posizione contraddittoria. Secondo la Commissione, l’interpretazione dell’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva sostenuta dal Regno Unito dovrebbe, se fosse corretta, valere anche per quanto riguarda l’art. 2 dell’ottava direttiva e comportare ripercussioni per tutti gli Stati membri che recepiscono siffatta interpretazione di detto art. 2.

41      Occorre, anzitutto, escludere quest’ultimo argomento, in quanto non pertinente.

42      Il presente ricorso di adempimento, infatti, riguarda soltanto la questione se il Regno Unito sia venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli artt. 169-171 della direttiva IVA e dell’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva, negando il recupero dell’IVA versata a monte per operazioni previste all’art. 169, lett. c), della direttiva IVA, realizzate da soggetti non stabiliti sul territorio dell’Unione.

43      Orbene, né il fatto che il Regno Unito e gli altri Stati membri concedano, in forza dell’ottava direttiva, siffatto diritto al rimborso dell’IVA agli operatori stabiliti all’interno dell’Unione, né l’eventuale assenza di ragioni che giustifichino una pratica divergente per quanto riguarda, da una parte, gli operatori contemplati da detta direttiva e, dall’altra, quelli previsti dalla tredicesima direttiva, né le eventuali ripercussioni al livello degli Stati membri in caso di assenza di dette ragioni, constituiscono elementi idonei a sorreggere l’interpretazione accolta dalla Commissione con riferimento all’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva.

44      Per quanto riguarda, poi, l’argomento vertente sui lavori preparatori, occorre anzitutto precisare che l’art. 2 della proposta di ottava direttiva, in cui figura l’esposizione dei motivi cui si riferisce la Commissione, rinviava, senza altre precisazioni, alle «operazioni di cui all’articolo 17, paragrafo 3, della sesta direttiva». Non può quindi essere considerato dimostrato che l’eventuale valutazione erronea effettuata, secondo la Commissione, in tale esposizione di motivi, sia stata effettivamente all’origine della formulazione dell’art. 2 dell’ottava direttiva o di quella dell’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva.

45      Inoltre, l’art. 5 della direttiva 2008/9, che ha sostituito l’ottava direttiva, rinvia, proprio come l’art. 2 di quest’ultima direttiva, all’art. 169, «[lett.] a) et b)», della direttiva IVA. La tesi della Commissione implica quindi, da una parte, che il legislatore dell’Unione abbia commesso un errore all’atto dell’adozione dell’ottava direttiva, errore che si sarebbe riprodotto nella tredicesima direttiva e, dall’altra, che detto legislatore abbia commesso lo stesso errore all’atto dell’adozione della direttiva 2008/9.

46      Per quanto riguarda l’asserito errore, nonché l’argomento della Commissione secondo cui la lettura che essa dà delle disposizioni di cui trattasi sarebbe più conforme alla logica del sistema comune dell’IVA, va constatato che, anche supponendo che le affermazioni della Commissione siano esatte, come ha osservato l’Avvocato generale al paragrafo 65 delle sue conclusioni, non spetta alla Corte svolgere siffatta interpretazione, intesa a correggere l’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva.

47      Al riguardo, la Corte ha giudicato, nella sentenza 5 ottobre 2004, causa C-475/01, Commissione/Grecia (Racc. pag. I-8923), che la Repubblica ellenica poteva legittimamente basare la sua legislazione nazionale sulla chiara formulazione dell’art. 23, n. 2, della direttiva del Consiglio 19 ottobre 1992, 92/83/CEE, relativa all’armonizzazione delle strutture delle accise sull’alcole e sulle bevande alcoliche (GU L 316, pag. 21), che la autorizza ad applicare all’ouzo un tasso d’accisa inferiore al tasso minimo. La Corte ha quindi respinto il ricorso della Commissione con cui quest’ultima faceva valere l’inadempimento, da parte di tale Stato membro, degli obblighi derivanti dall’art. 90, primo comma, CE, e sosteneva che gli Stati membri non erano dispensati, neppure in presenza di tale autorizzazione esplicita nel diritto derivato, dall’osservanza del diritto primario, con la conseguenza che, nel caso in cui il provvedimento nazionale risultasse inconciliabile con il diritto primario, lo Stato membro non era abilitato ad avvalersi di siffatta autorizzazione.

48      Analogamente, non si può contestare al Regno Unito, la cui disciplina nazionale è conforme alla formulazione chiara e precisa dell’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva, di essere venuto meno agli obblighi ad esso incombenti precisamente in forza di detta disposizione, per il fatto che esso avrebbe omesso di procedere ad un’interpretazione diretta a correggere tale disposizione, allo scopo di conformarsi alla logica generale del sistema comune dell’IVA e di rimediare ad un errore del legislatore comunitario, fatto valere dalla Commissione e risultante, secondo quest’ultima, dall’esposizione dei motivi della proposta di ottava direttiva.

49      Secondo costante giurisprudenza, il principio di certezza del diritto esige che una normativa dell’Unione consenta agli interessati di conoscere esattamente la portata degli obblighi che essa impone loro. Infatti, i soggetti dell’ordinamento devono poter conoscere senza ambiguità i propri diritti ed obblighi e regolarsi di conseguenza (sentenza 10 marzo 2009, causa C-345/06, Heinrich, Racc. pag. I-1659, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).

50      Certo, questa giurisprudenza riguarda i rapporti tra i singoli e la pubblica autorità. Tuttavia, come l’Avvocato generale ha osservato al punto 64 delle sue conclusioni, detta giurisprudenza è pertinente anche nel contesto della trasposizione di una direttiva relativa al settore fiscale.

51      Non si può infatti procedere, ignorando la formulazione chiara e precisa di una disposizione come l’art. 2, n. 1, della tredicesima direttiva, ad un’interpretazione diretta a correggere detta disposizione ampliando al tempo stesso gli obblighi degli Stati membri ad essa relativi (v., analogamente, sentenza 22 dicembre 2008, causa C-48/07, Les Vergers du Vieux Tauves, Racc. pag. I-10627, punto 44).

52      Risulta da tutto quanto precede che il ricorso della Commissione deve essere respinto.

 Sulle spese

53      A norma dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il Regno Unito ne ha fatto domanda, la Commissione, rimasta soccombente, va condannata alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Commissione europea è condannata alle spese.

Firme


* Lingua processuale: l’inglese.