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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 22 dicembre 2010 (1)

Causa C-310/09

Ministre du Budget, des Comptes publics et de la Fonction publique

contro

Accor

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Francia)]

«Libera circolazione dei capitali – Libertà di stabilimento – Normativa nazionale che assoggetta ad imposte differenziate i dividendi provenienti da società controllate stabilite nello Stato membro di residenza della società controllante e quelli provenienti da controllate stabilite in altri Stati membri – Rifiuto di restituire l’anticipo di imposta versato dalla società controllante – Arricchimento senza causa – Rimborso delle somme versate dalla società controllante subordinato alla prova che le sue controllate abbiano assolto l’imposta in uno Stato membro diverso da quello in cui la controllante ha la propria sede – Onere della prova – Principi di equivalenza e di effettività»






I –    Introduzione

1.        Con il presente rinvio pregiudiziale il Conseil d’État (Francia) chiede alla Corte di interpretare gli artt. 43 CE e 56 CE nell’ambito di una controversia che oppone il Ministre du Budget, des Comptes publics et de la Fonction publique (Ministro del bilancio, dei Conti pubblici e della Funzione pubblica) alla società Accor in relazione alla domanda di quest’ultima di rimborso dell’anticipo di imposta che essa ha dovuto versare in occasione della ridistribuzione di dividendi ai propri azionisti per gli esercizi 1999-2001 (2).

2.        Risulta infatti dalla decisione di rinvio che negli esercizi 1998, 1999 e 2000 la Accor ha percepito dividendi versati dalle sue controllate stabilite in altri Stati membri e che, in occasione della ridistribuzione di tali dividendi ai suoi azionisti, tale società ha pagato, in applicazione dell’art. 146, n. 2, in combinato disposto con gli artt. 158 bis e 223 sexies del Code général des impôts (Codice generale delle imposte), nella versione applicabile all’epoca dei fatti della causa principale (in prosieguo: il «CGI»), un anticipo di imposta che ammontava, negli esercizi 1999, 2000 e 2001, rispettivamente a FRF 323 279 053 (EUR 49 283 574), FRF 359 183 404 (EUR 54 757 157) e FRF 341 261 380 (EUR 52 024 962).

3.        Il pagamento di tali somme a titolo dell’anticipo di imposta deve essere collocato nel contesto legislativo dell’«avoir fiscale» (credito d’imposta) applicabile all’epoca dei fatti della causa principale, che è stato abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 2005, dall’art. 93 della legge n. 2003-1311 (3).

4.        Per evitare la doppia imposizione economica degli utili, tassati anzitutto al momento della loro realizzazione in capo alla società distributrice e successivamente in occasione della loro distribuzione in capo ai beneficiari, l’art. 158 bis del CGI, concedeva ai beneficiari dei dividendi distribuiti da società francesi un credito d’imposta rappresentato da un credito aperto nei confronti del Tesoro. Tale credito d’imposta era pari alla metà delle somme effettivamente versate dalla società distributrice alla società controllante.

5.        Tuttavia, per evitare perdite fiscali, il meccanismo del credito d’imposta veniva associato a quello del c.d. «précompte mobilier» (imposta speciale in forma di acconto) quando gli utili che erano alla base della distribuzione non erano stati assoggettati all’imposta sulle società all’aliquota normale.

6.        In tale contesto, l’art. 223 sexies del CGI, prevedeva che la società che effettuava la distribuzione era tenuta a versare un anticipo pari al credito d’imposta calcolato secondo i criteri stabiliti dall’art. 158 bis del medesimo codice. Tale anticipo era dovuto per le distribuzioni che davano diritto al credito d’imposta, indipendentemente da chi ne fosse il beneficiario.

7.        Poiché, ai sensi dell’art. 216 del CGI, i dividendi distribuiti da una controllata alla sua controllante avente sede in Francia erano esenti dall’imposta sulle società dovuta da quest’ultima (4), a prescindere dalla provenienza di tali dividendi, la ridistribuzione degli stessi da parte della società controllante ai propri azionisti comportava, in linea di principio, l’obbligo di versare l’anticipo di imposta, conformemente all’art. 223 sexies del CGI.

8.        Tuttavia, mentre l’art. 146, n. 2, del CGI, prevedeva che, in tali casi, dall’anticipo di imposta potevano essere detratti gli eventuali crediti fiscali relativi ai proventi delle partecipazioni di cui all’art. 145 del CGI, distribuiti durante gli esercizi chiusi negli ultimi cinque anni, come già indicato al paragrafo 4 delle presenti conclusioni, il beneficio del credito d’imposta era riservato alle società controllanti che percepivano dividendi distribuiti da società francesi.

9.        In altri termini, come riassunto dal giudice del rinvio, l’art. 146, n. 2, del CGI permetteva a una società controllante stabilita in Francia, allorché le ridistribuzioni di dividendi ricevuti da proprie controllate francesi davano luogo all’applicazione dell’anticipo d’imposta, di detrarre da tale anticipo l’importo del credito fiscale di cui essa beneficiava per i dividendi ricevuti dalle suddette controllate. Per contro, in assenza di un credito fiscale a titolo di un dividendo versato da una controllata stabilita in un altro Stato membro, e che potesse ridurre l’importo dell’anticipo d’imposta dovuto, l’anticipo che la società controllante era tenuta a versare per la distribuzione di tale dividendo ai propri azionisti, essendo detratto dall’insieme delle somme che potevano essere distribuite, riduceva corrispondentemente l’importo della ridistribuzione del dividendo stesso.

10.      Ritenendo che tale disparità di trattamento fosse incompatibile con il diritto comunitario, la Accor adiva il Tribunal administratif de Versailles, il quale, con sentenza 21 dicembre 2006, accoglieva la sua domanda. L’impugnazione proposta dal Ministre du Budget, des Comptes publics et de la Fonction publique contro tale sentenza veniva respinta dalla Cour administrative d’appel de Versailles con sentenza 20 maggio 2008.

11.      Chiamato a statuire su tale sentenza a seguito di un ricorso proposto dal Ministre du Budget, des Comptes publics et de la Fonction publique, il Conseil d’État accoglieva il motivo dedotto da tale Ministro, fondato su un difetto di motivazione della sentenza della Cour administrative d’appel de Versailles, e, conseguentemente, annullava detta sentenza.

12.      Ritenendo, in tale contesto, di essere tenuto a risolvere la causa nel merito alla luce delle circostanze del caso di specie, il Conseil d’État, dopo avere respinto l’argomento della Accor relativo all’incompatibilità delle disposizioni legislative controverse con la direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (5), ha ritenuto che vi fossero dubbi sull’interpretazione di altre disposizioni e di altri principi del diritto dell’Unione. Il Conseil d’État ha quindi deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) a)      Se gli artt. 56 CE e 43 CE debbano essere interpretati nel senso che ostano ad un regime fiscale diretto all’eliminazione della doppia imposizione economica dei dividendi, che

–        consente ad una società controllante di detrarre dall’anticipo d’imposta che essa è tenuta a versare al momento della distribuzione, ai propri azionisti, dei dividendi percepiti dalle proprie controllate, il credito d’imposta collegato alla distribuzione dei suddetti dividendi se questi provengono da una controllata stabilita in Francia,

–        ma non permette tale possibilità nel caso in cui detti dividendi provengano da una controllata stabilita in un altro Stato membro (…), dal momento che tale regime non dà diritto, in questo caso, alla concessione di un credito d’imposta collegato alla distribuzione di detti dividendi da parte di tale controllata, in quanto il suddetto regime, di per sé, pregiudicherebbe, per tale società controllante, i principi della libera circolazione dei capitali o della libertà di stabilimento;

b)      in caso di soluzione negativa al [punto a)], se i suddetti articoli debbano essere interpretati nel senso che ostano tuttavia a un siffatto regime, dovendosi prendere in considerazione altresì la situazione degli azionisti poiché, tenuto conto del pagamento dell’anticipo d’imposta, l’importo dei dividendi che la società controllante ha percepito dalle sue controllate e distribuito ai propri azionisti è diverso a seconda che le controllate siano stabilite in Francia o in un altro Stato membro (…), di modo che il suddetto regime presenterebbe per gli azionisti un effetto dissuasivo dall’effettuare investimenti in tale società controllante, e quindi avrebbe per effetto di pregiudicare la raccolta dei capitali da parte di tale società e sarebbe tale da scoraggiare quest’ultima dal mettere capitali a disposizione di controllate stabilite in Stati membri diversi dalla Francia o dal creare siffatte controllate in tali Stati.

2)      In caso di risposta affermativa ai [punti a) e b) della prima questione], e qualora gli artt. 56 CE e 43 CE fossero interpretati nel senso che ostano al regime fiscale dell’anticipo d’imposta testé descritto e si ritenesse, di conseguenza, che l’amministrazione sia tenuta, in linea di principio, a restituire le somme percepite sulla base del suddetto regime in quanto percepite in violazione del diritto comunitario, se in un regime siffatto, che di per sé non si traduce nella ripercussione di un’imposta su un terzo da parte del debitore, il diritto comunitario osti:

a)      a che l’amministrazione possa opporsi al rimborso delle somme pagate dalla società controllante, in quanto tale restituzione comporterebbe per quest’ultima un arricchimento senza causa e,

b)      in caso di risposta negativa, a che il fatto che la somma versata dalla controllante non rappresenta per essa un onere contabile o fiscale, ma viene semplicemente detratta dall’insieme delle somme che possono essere distribuite ai suoi azionisti, possa essere fatto valere per non ingiungere alla società la restituzione della suddetta somma.

3)      Tenuto conto della soluzione che verrà data alle questioni [prima e seconda], se i principi comunitari di equivalenza e di effettività ostino a che la restituzione delle somme che possono garantire l’applicazione di uno stesso regime fiscale ai dividendi distribuiti da una società controllante, indipendentemente dal fatto che tali dividendi derivino da somme che quest’ultima ha percepito da sue controllate stabilite in Francia o in un altro Stato membro (…), sia subordinata alla condizione che il debitore fornisca gli elementi che sono in suo esclusivo possesso e relativi, per ognuno dei dividendi controversi, in particolare all’aliquota d’imposta effettivamente applicata e all’ammontare dell’imposta effettivamente versata per gli utili realizzati dalle controllate stabilite in Stati membri (…) diversi dalla Francia, fatte salve, eventualmente, le disposizioni della convenzione bilaterale applicabile tra la [Repubblica francese] e lo Stato membro in cui la controllata è stabilita, relative allo scambio di informazioni, mentre per le controllate stabilite in Francia questi documenti giustificativi, noti all’amministrazione, non sono richiesti».

II – Analisi

13.      Mentre la prima questione sollevata dal giudice del rinvio riguarda la compatibilità con la libertà di stabilimento e con la libera circolazione dei capitali di un meccanismo fiscale come quello sopra descritto, la seconda e la terza questione vertono, sostanzialmente, sull’eventuale applicazione di principi, vale a dire quello del divieto di arricchimento senza causa (seconda questione) e quelli di equivalenza e di effettività (terza questione), che potrebbero eventualmente ostare, in tutto o in parte, al rimborso dell’anticipo di imposta versato dalla Accor.

14.      Prima di esaminare tali questioni, mi sembra utile formulare due osservazioni.

15.      Anzitutto, da un punto di vista generale, non si deve ignorare l’importanza degli interessi finanziari in gioco nella controversia principale e in analoghe controversie pendenti dinanzi ai giudici amministrativi francesi, stimati in circa EUR 3 miliardi. Tali interessi non sembrano estranei alla decisione del Conseil d’État di rivolgersi alla Corte con il presente rinvio pregiudiziale e avevano inoltre parzialmente motivato la domanda di detto giudice diretta a far sottoporre la presente causa a procedimento accelerato, ai sensi dell’art. 104 bis, primo comma, del regolamento di procedura della Corte, domanda che è stata respinta con ordinanza del presidente della Corte 19 ottobre 2009.

16.      Per quanto riguarda tale aspetto pecuniario, va inoltre rilevato che né il giudice del rinvio, né il governo francese hanno chiesto la limitazione nel tempo degli effetti della sentenza che verrà pronunciata dalla Corte, forse tanto perché, secondo la giurisprudenza, le conseguenze finanziarie, senza rischio di gravi inconvenienti economici, che potrebbero derivare per uno Stato membro da una sentenza pronunciata in via pregiudiziale non giustificano, di per sé, una siffatta limitazione degli effetti nel tempo di tale sentenza (6), quanto in ragione del fatto che l’oggetto stesso di tutte le controversie pendenti dinanzi ai giudici amministrativi francesi riguarda la soluzione di situazioni passate, dato che il regime controverso, come ho già rilevato, è stato abolito con effetto dal 1° gennaio 2005 (7).

17.      Inoltre, si deve osservare che le questioni del Conseil d’État non vertono sull’interpretazione della direttiva 90/435, e in particolare del suo art. 4, secondo cui lo Stato membro di stabilimento della società controllante che detenga una partecipazione minima del 25% nel capitale di una controllata stabilita in un altro Stato membro deve attenuare la doppia imposizione economica degli utili distribuiti da tale controllata alla suddetta controllante. A tal fine, lo Stato membro in cui è stabilita la società controllante si astiene dal sottoporre tali utili ad imposizione, oppure li sottopone ad imposizione autorizzando però detta società a detrarre dalla sua imposta la frazione dell’imposta pagata dalla controllata a fronte dei suddetti utili e, eventualmente, l’importo della ritenuta alla fonte prelevata dallo Stato membro in cui ha sede la controllata in applicazione delle disposizioni derogatorie dell’art. 5 di detta direttiva, nel limite dell’importo dell’imposta nazionale corrispondente. Come sostanzialmente ricordato dalla Corte nella sentenza Cobelfret (8), l’obbligo incombente allo Stato di stabilimento della controllante è quindi collegato alla distribuzione degli utili a quest’ultima da parte della sua controllata.

18.      Dinanzi al Conseil d’État, ma anche nuovamente nelle sue osservazioni scritte dinanzi alla Corte, la Accor ha sostenuto la tesi della contrarietà dell’anticipo di imposta all’art. 4 della direttiva 90/435. Tale tesi si fondava in sostanza sul sillogismo seguente: la Repubblica francese, in virtù degli artt. 145 e 216 del CGI, ha optato per l’esenzione dall’imposta sulle società dei dividendi versati ad una società controllante da una controllata, a prescindere dalla loro provenienza (9). Orbene, al momento della ridistribuzione ai suoi azionisti di dividendi provenienti da utili versati da una controllata stabilita in uno Stato membro diverso dalla Francia, la società controllante francese era tenuta a versare l’anticipo di imposta, che era destinato a sostituire l’imposta sulle società in quanto aveva ad oggetto solo gli utili distribuiti che non erano stati previamente assoggettati all’imposta sulle società all’aliquota piena. Di conseguenza, secondo la Accor, l’anticipo di imposta costituiva un’imposizione sui dividendi versati dalle controllate non residenti in Francia incompatibile con l’art. 4 della direttiva 90/435.

19.      Il Conseil d’État ha respinto tale argomento in quanto il fatto generatore dell’anticipo di imposta controverso non era il versamento di dividendi alla società controllante francese da parte delle controllate stabilite negli altri Stati membri, bensì la ridistribuzione da parte della controllante ai propri azionisti dei dividendi così percepiti. In altre parole, l’anticipo di imposta non aveva quindi né per oggetto né per effetto l’imposizione degli utili distribuiti, e pertanto non si sostituiva all’imposta sulle società, ma era dovuta unicamente all’atto della ridistribuzione dei dividendi agli azionisti della società controllante.

20.      Malgrado il tentativo fatto dalla Accor nelle sue osservazioni scritte presentate dinanzi alla Corte di estendere la portata delle questioni sollevate dal Conseil d’État all’interpretazione della direttiva 90/435, condivido il rigetto da parte di detto giudice dell’argomento dedotto nella causa principale da detta società.

21.      Infatti, come già rilevato, la direttiva 90/435 riguarda solo le distribuzioni degli utili tra una controllata e la sua controllante stabilite in due Stati membri diversi. Essa non pregiudica quindi il regime fiscale della ridistribuzione di proventi da partecipazione da parte della controllante ai propri azionisti. La motivazione del giudice del rinvio accoglie, in definitiva, lo spirito del ragionamento sviluppato dalla Corte nella citata sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation a proposito dell’«advance corporate tax» (ACT), che una società controllante stabilita nel Regno Unito era tenuta a versare all’atto della ridistribuzione ai suoi azionisti di dividendi versati da controllate stabilite in altri Stati membri (10) e che è stata considerata esclusa dall’ambito di applicazione della direttiva 90/435.

A –    Sulla prima questione

22.      Con la prima questione, che è suddivisa in due capi, il giudice del rinvio chiede, da un lato, se gli artt. 43 CE e 56 CE ostino ad un meccanismo in base al quale una società controllante che ridistribuisca ai propri azionisti dividendi versati da controllate stabilite esclusivamente in Francia, e non in altri Stati membri, possa imputare il credito d’imposta collegato alla distribuzione di tali dividendi all’anticipo di imposta e, dall’altro, in caso di risposta negativa, se queste stesse disposizioni ostino comunque a tale meccanismo in ragione del suo eventuale effetto dissuasivo nei confronti degli azionisti della società controllante beneficiari di dividendi versati da controllate stabilite in Stati membri diversi dalla Francia.

23.      Prima di esaminare il carattere dissuasivo di tale meccanismo, occorre svolgere alcune osservazioni in merito alla libertà di circolazione applicabile.

1.      Sulla libertà di circolazione applicabile

24.      Secondo la giurisprudenza, quando un cittadino di uno Stato membro detiene nel capitale di una società stabilita in un altro Stato membro una partecipazione tale da conferirgli una sicura influenza sulle decisioni di tale società e da consentirgli di indirizzarne le attività, si applicano le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento, e non quelle in materia di libera circolazione dei capitali (11).

25.      Nella specie, il giudice del rinvio non ha fornito alla Corte alcuna informazione in merito all’entità delle partecipazioni detenute dalla Accor nel capitale delle controllate stabilite negli Stati membri diversi dalla Francia, il che non può quindi escludere partecipazioni che non le consentono di esercitare una sicura influenza sulle decisioni di tali società.

26.      Infatti, si deve anzitutto sottolineare che il regime controverso era applicabile, conformemente all’art. 145 del CGI, alle società le cui partecipazioni fossero superiori alla soglia minima del 10% del capitale sociale della società distributrice, per quanto riguarda il periodo fino al 31 dicembre 2000, soglia che è stata ridotta al 5% del capitale sociale della società distributrice per il periodo decorrente dal 1° gennaio 2001 (12). Tale regime si applicava quindi già alla detenzione da parte delle società controllanti di partecipazioni nel capitale di altre società di entità tale da escludere, a priori, la possibilità di esercitare una sicura influenza sulle decisioni di dette società.

27.      Per quanto riguarda le situazioni di fatto all’origine della causa principale, tale deduzione sembra confermata dalle indicazioni fornite nelle osservazioni scritte del governo francese, secondo cui un certo numero di dividendi percepiti dalla Accor sarebbe stato versato da società nelle quali essa deteneva partecipazioni minoritarie, che non le consentivano di esercitare una sicura influenza sulle decisioni di tali società.

28.      Per contro, sia la Accor che il governo francese fanno riferimento anche a situazioni nelle quali detta società deteneva una partecipazione maggioritaria nel capitale di controllate stabilite in vari Stati membri, potendosi quindi presumere che la Accor esercitasse un’influenza sulle decisioni di tali controllate.

29.      Benché spetti al giudice del rinvio verificare la realtà di tutti questi elementi ai fini della soluzione della controversia principale (13), sembra che sia le disposizioni legislative in questione, sia le situazioni di fatto all’origine della causa principale potrebbero rientrare tanto nell’ambito della libertà di stabilimento quanto in quello della libera circolazione dei capitali (14).

30.      Ritengo tuttavia che, sulla scorta degli elementi di cui dispone la Corte, l’esame della presente causa possa essere svolto più adeguatamente alla luce delle disposizioni del Trattato concernenti la libera circolazione dei capitali, restando inteso che l’analisi della questione pregiudiziale alla luce dell’art. 43 CE non dovrebbe comunque condurre ad una soluzione diversa.

2.      Sull’esistenza di una restrizione alla libera circolazione dei capitali

31.      Secondo la giurisprudenza, costituiscono movimenti di capitali ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE, inter alia, gli investimenti diretti sotto forma di partecipazione ad un’impresa attraverso un possesso di azioni che consenta di partecipare effettivamente alla sua gestione e al suo controllo (investimenti c.d. «diretti»), nonché l’acquisto dei titoli sul mercato dei capitali effettuato soltanto per realizzare un investimento finanziario, senza intenzione di incidere sulla gestione e sul controllo dell’impresa (investimenti c.d. «di portafoglio») (15).

32.      La Corte ha inoltre dichiarato che le restrizioni alla circolazione dei capitali tra gli Stati membri vietate dall’art. 56, n. 1, CE includono le misure nazionali, anche fiscali, atte a dissuadere le persone residenti in uno Stato membro dall’investire i loro capitali in società stabilite in altri Stati membri (16).

33.      Nella causa principale è pacifico, come ha riconosciuto lo stesso governo francese, che, mentre il credito di imposta collegato ai dividendi versati dalle controllate francesi alla loro controllante stabilita in Francia poteva essere imputato all’importo dell’anticipo di imposta dovuto all’atto della ridistribuzione da parte di quest’ultima dei dividendi in questione ai propri azionisti, i dividendi versati da controllate non residenti in Francia non davano diritto ad un analogo credito d’imposta in capo alla loro controllante francese. Quest’ultima era quindi tenuta a versare l’anticipo di imposta senza però ottenere il vantaggio del credito d’imposta, a differenza di una società controllante che percepisse dividendi da controllate francesi e li ridistribuisse ai propri azionisti.

34.      Tale meccanismo comportava quindi, come ha ammesso lo stesso governo francese, una disparità di trattamento dei dividendi versati a società controllanti francesi a seconda che le controllate da cui essi provenivano fossero stabilite in Francia o in altri Stati membri.

35.      Pur senza rimettere quindi in discussione l’equiparabilità della situazione di una società controllante francese che percepisce dividendi da controllate francesi a quella di una controllante che riceve dividendi da controllate stabilite in altri Stati membri (17), nondimeno il governo francese ha fatto valere, in modo un po’ contraddittorio, in un primo tempo, che tale disparità di trattamento non avrebbe alcun effetto restrittivo sui movimenti di capitali, ai sensi dell’art. 56 CE (18), mentre ha riconosciuto, in un secondo tempo, che sussisteva una dissuasione diretta solo allorché la società controllante francese adottava una politica di ridistribuzione dei dividendi versati dalle controllate stabilite negli altri Stati membri (19).

36.      A prescindere dalla contraddizione interna testé evidenziata dell’argomentazione esposta dal governo francese, ricordo che quest’ultimo fonda la sua tesi principale, vale a dire l’assenza di effetti restrittivi delle disposizioni fiscali controverse, sui due argomenti che seguono.

37.      Da un lato, esso sostiene che l’attivazione del credito d’imposta o il pagamento dell’anticipo d’imposta discenderebbe da un’autonoma decisione degli organi competenti della società controllante che percepisce dividendi versati da proprie controllate francesi, e non dalla legge. Riferendosi segnatamente alla sentenza Graf (20), il governo francese aggiunge che l’effetto eventualmente negativo delle disposizioni controverse della normativa nazionale dipende quindi da una decisione degli organi competenti della società controllante talmente ipotetica che tali disposizioni non potrebbero essere considerate un ostacolo alla libera circolazione dei capitali.

38.      Dall’altro, detto governo afferma che l’anticipo di imposta, essendo imputato ai proventi della società controllante che potevano essere distribuiti, costituiva non un onere gravante sugli utili, bensì un’imputazione degli utili che potevano essere distribuiti il cui costo era interamente sopportato dagli azionisti, i quali percepivano un dividendo ridotto. La società controllante non era quindi interessata dal meccanismo. Oltre a ciò, il governo francese indica che, poiché gli azionisti non-residenti potevano ottenere il rimborso dell’anticipo di imposta se non beneficiavano del credito d’imposta, conformemente alle convenzioni fiscali concluse dalla Repubblica francese e/o alla dottrina amministrativa francese, solo gli azionisti francesi della società controllante francese sarebbero stati interessati dalla disparità di trattamento, situazione che, in ragione del suo carattere puramente interno, non rientrerebbe nell’ambito di applicazione dell’art. 56 CE.

39.      Ritengo che non occorra dilungarsi troppo sulla prima obiezione, peraltro piuttosto confusa, sollevata dal governo francese. Per quanto mi è dato di capire, tale obiezione consiste nell’affermare che le società controllanti (o i loro organi) godrebbero della libertà di decidere se procedere ad una ridistribuzione dei dividendi ai loro azionisti in modo da attivare o meno il meccanismo dell’applicazione dell’anticipo di imposta e del credito fiscale. Il governo francese sembra quindi ritenere che, se gli organi competenti di una società controllante francese che riceve dividendi da controllate stabilite in altri Stati membri decidono di procedere ad una ridistribuzione agli azionisti di tale società che corrisponde integralmente all’ammontare dei dividendi versati dalla controllata alla sua controllante, senza quindi beneficiare del credito d’imposta, detti organi possono rimproverare solo sé stessi. Tale argomento si ispira apparentemente alle conclusioni del rapporteur public dinanzi al Conseil d’État, allegate alle osservazioni scritte del governo francese e della Accor (21).

40.      Tuttavia, oltre al fatto che la disparità di trattamento sopra evidenziata risiede effettivamente nelle disposizioni stesse della normativa francese, la questione non è, come suggerito dal governo francese, se una società controllante o i suoi organi competenti potessero evitare di pagare l’anticipo di imposta omettendo di procedere alla ridistribuzione dei dividendi ad essa versati dalle sue controllate stabilite negli Stati membri diversi dalla Francia, o ridurre l’ammontare dei dividendi oggetto della ridistribuzione agli azionisti di tale società allo scopo, in definitiva, di aggirare o di adeguarsi all’ostacolo costituito dal regime fiscale controverso.

41.      Al contrario, si tratta di accertare se una società controllante in una situazione come quella della Accor possa trarre vantaggio dalla libera circolazione dei capitali rivendicando un trattamento equivalente a quello riservato dalla normativa nazionale ad una società controllante francese che, avendo percepito dividendi da controllate francesi, proceda alla distribuzione integrale di tali dividendi ai propri azionisti.

42.      Peraltro, trovo difficile immaginare come, nell’ambito di una società di capitali, una decisione di (ri)distribuzione di dividendi a vantaggio degli azionisti di detta società possa rivestire, come afferma il governo francese, natura ipotetica o aleatoria, ai sensi della citata sentenza Graf. Come osservato dalla società Accor in udienza, è difficile immaginare che gli azionisti investano in una società che progetta di ridistribuire dividendi solo molto raramente, per di più qualora tale società sia quotata sui mercati finanziari e adotti una politica di distribuzione inserita nel quadro della sua informativa societaria.

43.      Quanto al secondo argomento esposto dal governo francese, mi preme rilevare che esso sembra essere all’origine dello sdoppiamento della prima questione pregiudiziale sollevata dal giudice del rinvio, a seconda che siano interessati la società controllante (primo capo di tale questione) o i suoi azionisti (secondo capo in subordine della questione).

44.      Tale sdoppiamento sembra essenzialmente dovuto a considerazioni procedurali di diritto interno, in quanto la controversia principale oppone le autorità francesi alla Accor, e non agli azionisti di tale società.

45.      Tuttavia, detto sdoppiamento non mi sembra pertinente ai fini dell’interpretazione dell’art. 56 CE, il cui ambito di applicazione si estende alle misure nazionali che dissuadono gli investimenti transfrontalieri, senza che occorra chiedersi se tale dissuasione leda maggiormente la società in quanto tale, i suoi organi competenti o, più in generale, i suoi azionisti. Infatti, avallare la distinzione suggerita dal giudice del rinvio e dal governo francese equivarrebbe, a mio parere, a subordinare l’applicazione dell’art. 56 CE al diritto interno degli Stati membri e alle modalità di organizzazione delle società stabilite nei loro rispettivi territori.

46.      Del resto, dalla giurisprudenza della Corte emerge che una stessa misura nazionale può dissuadere i residenti (ivi comprese le società) di uno Stato membro dall’investire i loro capitali in altri Stati membri e avere effetti restrittivi per i residenti di questi altri Stati membri, in quanto costituisce un ostacolo alla raccolta di capitali nel primo Stato membro (22). Non ravviso quindi alcun elemento ostativo, ai fini della qualificazione di una misura nazionale ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE, a che detta misura possa avere anche un effetto dissuasivo nei confronti di una società e/o dei suoi azionisti. Peraltro, l’esistenza di siffatta dissuasione dei movimenti transfrontalieri di capitali non è subordinata, per definizione, neppure nel settore fiscale, ad una dimostrazione aritmetica delle conseguenze patrimoniali sopportate dagli interessati.

47.      In ogni caso, ritengo che la Corte possa evitare di rispondere al secondo capo della questione pregiudiziale, tenuto conto dell’effetto dissuasivo del meccanismo controverso nei confronti della società controllante Accor, che peraltro, come ho già rilevato, è stato riconosciuto dal governo francese al punto 82 delle sue osservazioni scritte.

48.      Infatti, non potendo trarre vantaggio dalla neutralizzazione dell’anticipo di imposta attraverso il credito fiscale, a differenza di una società controllante che abbia ridistribuito integralmente ai propri azionisti i dividendi versati dalle sue controllate francesi, una società controllante nella situazione della Accor, per poter procedere alla ridistribuzione integrale dei dividendi ai propri azionisti, doveva attingere alle sue riserve finanziarie per un importo equivalente alla somma da versare a titolo dell’anticipo di imposta. Le società controllanti francesi che avevano investito i loro capitali in controllate francesi godevano quindi di un vantaggio in termini di liquidità rispetto a quelle che avevano investito i loro capitali in controllate aventi sede in altri Stati membri (23).

49.      Inoltre – e a tal riguardo condivido totalmente le conclusioni presentate dal rapporteur public dinanzi al Conseil d’État – l’anticipo di imposta, che riguardava la ridistribuzione dei dividendi agli azionisti della società controllante e di cui era debitrice quest’ultima, aveva l’effetto di ridurre l’insieme dei dividendi che potevano essere distribuiti, dato che tale insieme non era identico a seconda che la società controllante fosse stabilita in Francia o in un altro Stato membro. Orbene, tale situazione poteva incidere, con ogni probabilità, sul valore dei titoli della società controllante, dato che i dividendi distribuiti risultavano inferiori. La politica di distribuzione di tale società poteva quindi risultare meno attraente per gli azionisti attuali o potenziali, di modo che l’accesso di tale società al mercato dei capitali poteva essere compromesso.

50.      Il regime fiscale controverso era quindi perfettamente idoneo a dissuadere società stabilite in Francia dall’effettuare investimenti di portafoglio in società aventi sede in altri Stati membri.

51.      Pertanto, ritengo che il meccanismo fiscale controverso costituisca una restrizione ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE.

52.      Poiché né il giudice del rinvio né il governo francese hanno fatto riferimento ai motivi indicati all’art. 58 CE o ai motivi imperativi di interesse generale atti a giustificare siffatta restrizione, suggerisco di rispondere come segue alla prima questione pregiudiziale: l’art. 56 CE deve essere interpretato nel senso che osta ad un regime fiscale in base al quale una società controllante stabilita in uno Stato membro che percepisca dividendi versati da una controllata stabilita in un altro Stato membro non può imputare all’anticipo di imposta, di cui è debitrice all’atto della ridistribuzione ai propri azionisti di tali dividendi, il credito fiscale collegato alla distribuzione di tali dividendi, a differenza di quanto accade nella situazione equiparabile di una società controllante stabilita nel primo Stato membro che percepisca dividendi versati da una controllata parimenti stabilita in tale Stato.

B –    Sulla seconda questione

53.      Con la seconda questione il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se, qualora l’amministrazione fiscale sia tenuta in via di principio a rimborsare le somme versate dalla società controllante in violazione del diritto dell’Unione, tale amministrazione possa tuttavia opporvisi in ragione del fatto che tale restituzione comporterebbe un arricchimento senza causa di detta società, anche nel caso in cui il regime controverso non si traduca nella ripercussione di un’imposta su un terzo da parte del debitore, o, in caso negativo, in ragione del fatto che le somme versate non costituirebbero un onere contabile o fiscale per la società controllante, bensì verrebbero imputate all’insieme dei dividendi che possono essere distribuiti ai suoi azionisti.

54.      Tenuto conto della soluzione proposta per la prima questione, si deve ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, i singoli hanno, in linea di principio, il diritto di ottenere il rimborso dei tributi riscossi in uno Stato membro in violazione delle disposizioni di diritto dell’Unione. Tale diritto è infatti la conseguenza e il corollario dei diritti conferiti ai singoli da dette disposizioni quali sono state interpretate dalla Corte. Ne consegue che lo Stato membro di cui trattasi è tenuto, in via di principio, a rimborsare i tributi riscossi in violazione del diritto dell’Unione (24).

55.      Per tale obbligo di rimborso vi è, secondo la medesima giurisprudenza, soltanto un’eccezione, ossia se è provato dalle autorità nazionali che l’onere dell’imposta è stato sostenuto, in tutto o in parte, da una persona diversa dal soggetto passivo e il rimborso, totale o parziale, dell’imposta comporterebbe per quest’ultimo un arricchimento senza causa (25). Tale situazione può verificarsi in particolare in materia di imposte indirette, laddove un soggetto passivo abbia riversato sul consumatore, in tutto o in parte, l’imposta sul valore aggiunto indebitamente pagata.

56.      La Corte ha inoltre dichiarato che, anche quando è provato che l’onere dell’imposta indebitamente riscossa dalle autorità nazionali è stato parzialmente o totalmente ripercosso sui terzi, il rimborso di questa all’operatore non gli procura necessariamente un arricchimento senza causa (26). Infatti, anche in questo caso il soggetto passivo potrebbe aver subito un danno dal pagamento dell’imposta in violazione del diritto dell’Unione, ad esempio a causa di una diminuzione del volume delle sue vendite o dell’assenza di traslazione completa nei suoi prezzi di vendita dell’importo totale dell’imposta (27).

57.      Per quanto riguarda la dimostrazione di un eventuale arricchimento senza causa del debitore provocato dalla ripercussione su terzi dell’imposta versata, la Corte ha dichiarato che gli elementi di prova devono essere valutati liberamente dal giudice nazionale (28) alla luce di tutte le circostanze pertinenti (29), restando inteso che le modalità procedurali applicabili, in mancanza di disciplina dell’Unione, sono stabilite dall’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività (30).

58.      La Corte ha inoltre precisato che quest’ultimo principio osta a tutte le modalità di prova il cui effetto sia di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’ottenimento del rimborso di tributi riscossi in violazione del diritto comunitario. Tale è il caso, in particolare, di presunzioni o di discipline di prova dirette a far gravare sul contribuente l’onere di dimostrare che i tributi indebitamente pagati non sono stati trasferiti su altri soggetti, o di limitazioni particolari per quanto riguarda la forma delle prove da apportare (31). Così, anche laddove era in discussione la ripetizione di imposte indirette che per legge dovevano essere trasferite su un terzo, la Corte ha respinto la tesi secondo cui esisterebbe la presunzione che vi sia stata traslazione e che spetterebbe al contribuente fornire la prova negativa del contrario (32).

59.      Pertanto, come riconosciuto dalle parti che hanno presentato osservazioni scritte nel presente procedimento, spetta alle autorità fiscali che intendono opporsi alla restituzione di tributi indebitamente versati da un contribuente in violazione del diritto dell’Unione dimostrare che tale restituzione determinerebbe un arricchimento senza causa di detto soggetto passivo (33) e il giudice nazionale deve valutare la fondatezza di tali affermazioni, vale a dire l’esistenza e la misura dell’arricchimento senza causa, procedendo ad un’analisi economica che tenga conto di tutti gli elementi pertinenti ad esso sottoposti (34).

60.      Tale richiamo giurisprudenziale consente già, a mio parere, di rispondere in parte al secondo capo della questione in esame. Infatti, scegliendo di formulare tale capo in via alternativa e subordinata al primo capo, che riguarda l’eccezione dell’arricchimento senza causa, il giudice del rinvio sembra voler negare i limiti del diritto alla restituzione di imposte versate in violazione del diritto dell’Unione. Orbene, come si è appena detto, il diritto dell’Unione tollera una sola eccezione alla restituzione di imposte riscosse in violazione dello stesso, vale a dire quella dell’arricchimento senza causa.

61.      Il secondo capo della questione potrebbe nondimeno essere utilmente interpretato nel contesto della problematica connessa all’arricchimento senza causa. Infatti, rilevando che le somme versate non costituirebbero un onere contabile o fiscale per la società controllante, ma verrebbero imputate all’insieme dei dividendi che possono essere distribuiti ai suoi azionisti, il giudice del rinvio evidenzia, in definitiva, il fatto che non è stata la società controllante a sostenere l’onere reale del pagamento dell’anticipo di imposta e che, pertanto, la restituzione a suo vantaggio delle somme corrispondenti a quelle pagate a titolo di tale imposta potrebbe determinare per essa un indebito arricchimento.

62.      Ritengo quindi che i due capi della questione possano essere esaminati congiuntamente.

63.      Si deve ricordare che, nella causa principale, il giudice del rinvio parte anche dalla premessa che il regime controverso non si traduce nella ripercussione di un’imposta su un terzo da parte del debitore e non rientra quindi nell’ipotesi «classica» dell’arricchimento senza causa derivante dalla giurisprudenza della Corte sopra ricordata. Tale premessa può sembrare sorprendente e a prima vista potrebbe giustificare l’esclusione dell’esistenza stessa di un arricchimento senza causa alla luce di detta giurisprudenza.

64.      Occorre tuttavia evitare una tale lettura un po’ semplicistica della questione sottoposta alla Corte. La premessa sulla quale si fonda la questione sembra spiegarsi con la qualificazione giuridica dell’anticipo di imposta adottata nel diritto amministrativo francese. Infatti, il Conseil d’État ha dichiarato che l’anticipo di imposta non costituisce un onere deducibile dall’utile netto della società, in quanto tale prelievo sarebbe stato istituito per evitare che le società che distribuiscono, in circostanze che danno diritto al credito fiscale, utili che non sono stati assoggettati all’imposta sulle società all’aliquota normale, beneficino per tale motivo di un indebito vantaggio fiscale (35). Pertanto, essendo imputato unicamente all’insieme degli utili che possono essere distribuiti, l’anticipo di imposta non interesserebbe la società controllante che effettua la distribuzione, bensì verrebbe riscosso sul patrimonio degli azionisti. In quest’ottica, peraltro difesa dal governo francese, la questione se l’anticipo di imposta sia stato traslato su un terzo, in applicazione del criterio adottato dalla giurisprudenza della Corte, sarebbe dunque irrilevante, in quanto il versamento dell’anticipo di imposta inciderebbe direttamente sul patrimonio degli azionisti della società controllante.

65.      Ricollocata in tale contesto, la questione sollevata dal giudice del rinvio induce alle seguenti osservazioni.

66.      In generale, mi sembra che nulla osti, in via di principio, a che uno Stato membro possa opporsi al rimborso di somme versate in violazione del diritto dell’Unione che, qualora fossero restituite, comporterebbero l’arricchimento senza causa di un operatore economico o di un soggetto passivo, anche al di fuori dei casi (in sostanza, restituzione di diritti all’importazione o di imposte indirette) esaminati dalla Corte. Tale ipotesi ricorrerebbe, a mio parere, qualora l’interessato non avesse sopportato interamente egli stesso l’onere economico delle somme che ha dovuto versare. Conformemente alla giurisprudenza, spetterebbe ai giudici nazionali verificare se ricorra tale ipotesi alla luce delle circostanze di ogni singolo caso.

67.      Pertanto, e riguardo alla controversia principale, ritengo che non si possa escludere immediatamente, come tentano di fare la Accor e la Commissione europea, l’esistenza stessa di un eventuale arricchimento senza causa della società controllante che deriverebbe dalla restituzione delle somme versate in violazione dell’art. 56 CE per la sola ragione che, giuridicamente, essa è la debitrice dell’anticipo di imposta. Infatti, come ho evidenziato, la giurisprudenza della Corte privilegia un approccio economico piuttosto che strettamente giuridico all’eventuale arricchimento senza causa che deriverebbe dal rimborso di somme indebitamente versate da un operatore economico.

68.      Tuttavia, non mi convince l’argomento, di carattere generale, del governo francese secondo cui la restituzione alla società controllante di un importo equivalente a quello versato a titolo dell’anticipo di imposta determinerebbe un arricchimento di detta società a detrimento dei suoi azionisti.

69.      Infatti, la restituzione di tale somma mantenuta nella società costituirebbe in realtà un profitto differito per gli azionisti atto ad accrescere il valore patrimoniale della loro partecipazione nel capitale di detta società e in nessun caso un impoverimento di tali azionisti.

70.      Peraltro, è perfettamente plausibile, come ha fatto valere il rapporteur public dinanzi al Conseil d’État e come ha sostenuto la Accor dinanzi alla Corte, che il pagamento dell’anticipo di imposta da parte della società controllante non abbia pregiudicato, in definitiva, la distribuzione dei dividendi agli azionisti, dato che tale società ha preso interamente a suo carico l’onere di tale prelievo attingendo alle proprie riserve, al fine di non perturbare la sua politica di distribuzione e di non alterare il corso delle sue azioni sul mercato borsistico.

71.      Orbene, come confermato dal governo francese all’udienza dinanzi alla Corte, in una situazione puramente interna, una società controllante che avesse erroneamente versato, per diversi motivi, un anticipo di imposta in eccesso beneficiava essa stessa della restituzione dell’eccedenza percepita dalle autorità fiscali francesi, allorché ciò non pregiudicava la ridistribuzione dei dividendi ai suoi azionisti. L’applicazione del principio dell’equivalenza imporrebbe quindi, a mio parere, che una società controllante che abbia pagato un anticipo di imposta non dovuto, senza che tale importo abbia inciso sull’insieme dei dividendi che possono essere distribuiti ai suoi azionisti, in ragione, segnatamente, della volontà di detti azionisti di mantenere una politica di distribuzione attraente di tale società, ottenga la restituzione del suddetto importo.

72.      Tuttavia, nella situazione sopra descritta, il rimborso dell’anticipo di imposta nell’ambito di un’azione di ripetizione come quella esercitata dalla Accor dinanzi ai giudici amministrativi francesi sembra in contrasto con la giurisprudenza della Corte.

73.      Si deve infatti rilevare che, nella citata sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, la Corte, senza fondarsi esplicitamente sulla teoria dell’arricchimento senza causa, ha escluso che le perdite finanziarie subite da società costrette ad aumentare l’importo dei loro dividendi per compensare la perdita di un credito d’imposta in capo ai loro azionisti possano essere restituite, sulla base del diritto dell’Unione, attraverso un’azione di rimborso.

74.      Così, la Corte ha respinto l’argomento delle società ricorrenti nella controversia principale che le opponeva alle autorità fiscali britanniche, secondo cui esse avrebbero avuto il diritto di reclamare, per mezzo di un’azione di ripetizione, il danno che avrebbero subito tali società residenti derivante dal fatto che esse si vedevano obbligate ad aumentare l’ammontare dei loro dividendi al fine di compensare la perdita del credito d’imposta in capo ai loro azionisti.

75.      Secondo la Corte, tale danno non poteva essere compensato, in base al diritto dell’Unione, attraverso un’azione diretta al rimborso dell’imposta indebitamente riscossa o degli importi pagati allo Stato membro in questione o da questo trattenuti in diretta connessione con tale imposta. Infatti, «siffatti aumenti dell’ammontare dei dividendi deriverebbero da decisioni prese da queste società e non costituirebbero, per le stesse, una conseguenza inevitabile del diniego del Regno Unito di concedere ai detti azionisti un trattamento equivalente a quello di cui godono gli azionisti beneficiari di una distribuzione di dividendi di origine nazionale» (36).

76.      Nella prospettiva di assicurare l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, e alla luce delle questioni sottoposte alla Corte, quest’ultima ha tuttavia invitato il giudice nazionale ad accertare se gli aumenti dell’ammontare dei dividendi in questione costituissero, per le società interessate, una perdita finanziaria subita a causa di una violazione del diritto dell’Unione imputabile allo Stato membro interessato (37), vale a dire un danno che poteva eventualmente essere constatato e risarcito nell’ambito di un’azione di responsabilità contro detto Stato.

77.      Se tale soluzione dovesse essere trasposta alla presente causa, e in funzione della politica di ridistribuzione della Accor menzionata al paragrafo 70 delle presenti conclusioni, detta società non potrebbe reclamare, nell’ambito della sua azione di ripetizione dell’anticipo di imposta dinanzi al giudice del rinvio, le eventuali perdite subite, in ragione della decisione dell’assemblea dei suoi azionisti di ridistribuire integralmente i dividendi provenienti dalle controllate della Accor non residenti in Francia e quindi di non imputare l’anticipo di imposta ai dividendi distribuiti agli azionisti. Infatti, tali perdite non sarebbero la conseguenza inevitabile del rifiuto della Repubblica francese di versare il credito di imposta in condizioni analoghe alla situazione di una società controllante francese che percepisca dividendi da controllate francesi. Le si dovrebbe comunque riconoscere, in tali circostanze, il diritto di esercitare un’azione di responsabilità contro lo Stato per violazione del diritto dell’Unione, nel rispetto delle condizioni per il sorgere di siffatta responsabilità, nonché dei principi di equivalenza e di effettività.

78.      Per contro, l’applicazione del regime fiscale controverso aveva, a mio parere, l’effetto di imporre ad una società controllante francese, quale l’Accor, il prelievo dell’anticipo di imposta dai dividendi ridistribuiti ai propri azionisti, il che conduceva ineluttabilmente alla riduzione dell’ammontare di tali dividendi.

79.      In tal caso, erano principalmente gli azionisti a subire una perdita finanziaria, consistente nel versamento di un dividendo ridotto. La società controllante poteva tuttavia subire a sua volta un danno finanziario che si concretizzava nella riduzione del valore del corso delle sue azioni dovuto ad una politica di distribuzione che poteva essere ritenuta meno attraente dal mercato.

80.      In tale contesto, la misura della restituzione alla società controllante dell’anticipo di imposta dovrebbe essere limitata alle sue stesse perdite, oppure includere anche quelle subite dagli azionisti a causa della ridistribuzione di un dividendo ridotto?

81.      Sono incline ad optare per la seconda alternativa.

82.      Infatti, da un lato, come ho già accennato, non mi sembra che il principio della restituzione di tale importo alla società controllante determini un impoverimento degli azionisti di tale società, dato che essi traggono vantaggio dal valore accumulato nella società.

83.      D’altro canto, limitare la portata della restituzione alle perdite della società controllante implicherebbe, dal punto di vista procedurale, che gli azionisti lesi possano esercitare un’azione per la ripetizione dell’anticipo di imposta dinanzi ai giudici francesi competenti. Orbene, come evidenziato dal rapporteur public dinanzi al Conseil d’État, senza che tale constatazione sia stata smentita dal governo francese, secondo il diritto interno francese un azionista che si trovi in tale situazione non dispone di alcuna azione fiscale personale che gli consenta di ottenere il rimborso a proprio vantaggio di detto anticipo di imposta, ma può tutt’al più esercitare un’azione di responsabilità contro lo Stato.

84.      È vero che, in sostanza, il governo francese ha rilevato nelle sue osservazioni dinanzi alla Corte che tale principio sarebbe temperato dalla possibilità offerta dalle convenzioni dirette a prevenire la doppia imposizione concluse dalla Repubblica francese ad un azionista non residente di una società controllante francese di beneficiare del rimborso dell’anticipo di imposta qualora non sia stato accordato alcun credito fiscale al momento della distribuzione dei dividendi a detta società (38).

85.      Se, come riconosce anche la Commissione, l’esercizio di tale facoltà da parte degli eventuali azionisti non residenti di una società controllante quale la Accor dovesse essere preso in considerazione dal giudice del rinvio nell’ambito della valutazione dell’importo effettivo dell’anticipo di imposta che deve essere restituito alla società controllante, ciò tuttavia non può giustificare il rifiuto categorico di rimborsare quanto è stato indebitamente percepito dallo Stato e che, in pratica, può essere restituito solo alla società controllante che abbia versato il prelievo imposto in violazione del diritto dell’Unione.

86.      Una diversa conclusione condurrebbe a due conseguenze che, a mio parere, il diritto dell’Unione non potrebbe tollerare. Da un lato, si renderebbe praticamente impossibile l’esercizio di un’azione diretta alla restituzione di un prelievo riscosso in violazione del diritto dell’Unione. Dall’altro, la tesi sostenuta sostanzialmente dal governo francese equivarrebbe ad ammettere l’arricchimento senza causa dello Stato, dato che esso percepirebbe la somma corrispondente all’anticipo di imposta indebitamente versato, senza doverla restituire al debitore.

87.      In sintesi, ritengo che la seconda questione debba essere risolta nel senso che uno Stato membro può opporsi alla restituzione di un prelievo riscosso in violazione del diritto dell’Unione per l’intero onere economico che il debitore non ha sostenuto direttamente e che, in tale misura, determinerebbe un arricchimento indebito di detto debitore. Tale arricchimento potrebbe verificarsi qualora lo Stato membro dovesse rimborsare le spese sostenute dal debitore che non fossero la conseguenza inevitabile del rifiuto di uno Stato membro di assicurare il rispetto delle disposizioni del Trattato CE. Nella causa principale spetta al giudice del rinvio verificare, alla luce dell’insieme degli elementi di cui dispone e in funzione della politica di distribuzione dei dividendi adottata da una società controllante, quale la convenuta nel procedimento nazionale, a vantaggio dei propri azionisti, se l’anticipo di imposta controverso sia stato imputato, in tutto o in parte, ai dividendi ridistribuiti a detti azionisti, di modo che la società controllante abbia eventualmente subito perdite che rappresentano la conseguenza inevitabile del rifiuto dello Stato membro di concederle la parità di trattamento richiesta. In tal caso, la misura della restituzione del prelievo controverso alla società controllante dovrà essere stabilita in base all’onere economico da essa sopportato sulla base di tutti gli elementi pertinenti di cui dispone il giudice del rinvio.

C –    Sulla terza questione

88.      Esaminerò ora la terza questione sottoposta dal giudice del rinvio, che ha dato luogo ad un animato dibattito tra le parti interessate e la cui soluzione sarà utile solo qualora il giudice del rinvio, alla luce delle indicazioni fornitegli dalla Corte, escluda, anche solo parzialmente, l’arricchimento senza causa della società controllante.

89.      Con tale questione il Conseil d’État chiede se, tenuto conto della soluzione data alle prime due questioni, i principi di equivalenza e di effettività ostino a che la restituzione delle somme indebitamente versate dalla società controllante sia subordinata, fatte salve, eventualmente, le disposizioni di convenzioni in materia di scambio di informazioni, alla condizione che detta società fornisca gli elementi da cui risulti, per ognuno dei dividendi versati dalle sue controllate non stabilite in Francia, l’aliquota effettivamente applicata e l’ammontare dell’imposta effettivamente versata per gli utili realizzati da tali controllate, mentre per le controllate stabilite in Francia questi documenti giustificativi, noti all’amministrazione, non sono richiesti.

90.      Come giustamente fatto valere dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, tale questione sembra porsi unicamente nel caso in cui il giudice del rinvio, per ristabilire la parità di trattamento, opti non per il rimborso dell’anticipo di imposta – il che equivarrebbe, in un certo senso, a liberare la società controllante da tale anticipo senza che essa abbia precedentemente beneficiato del credito d’imposta –, bensì per il riconoscimento del beneficio del credito fiscale (dopo che la società controllante abbia versato l’anticipo di imposta), quale sarebbe stato concesso in una situazione puramente interna. Infatti, come indicato dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte in riferimento ai punti 50-52 della citata sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, in questa seconda ipotesi la società controllante dovrebbe ottenere un credito fiscale che rispecchia l’aliquota dell’imposta sulle società versata dalla controllata nello Stato membro in cui essa è stabilita (39).

91.      Benché spetti al giudice del rinvio scegliere le modalità che consentono di ripristinare la parità di trattamento tra la situazione puramente interna e quella in cui è stata collocata una società controllante quale l’Accor, tale scelta deve essere operata ed attuata nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività.

92.      A tal riguardo, la Accor è dell’avviso, da un lato, che le autorità fiscali francesi non possano subordinare la restituzione dell’anticipo di imposta alla circostanza che la società controllante fornisca la prova relativa all’aliquota e all’importo dell’imposta effettivamente versata dalle controllate estere sugli utili che sono alla base del versamento di ogni dividendo distribuito, mentre tale condizione non era imposta nelle situazioni puramente interne. Dall’altro, la Accor sostiene che sarebbe contrario al principio di effettività esigere che essa fornisca tale prova non solo per le sue controllate ma anche per tutte le subcontrollate stabilite negli altri Stati membri, a maggior ragione in quanto tale richiesta viene formulata oltre dieci anni dopo i fatti e, pertanto, al di là degli obblighi legali di conservazione dei documenti amministrativi in Francia. Peraltro, la Accor evoca l’importanza della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1977, 77/799/CEE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette (40).

93.      I governi francese e del Regno Unito sostengono il contrario. Essi ricordano che lo scopo del regime fiscale controverso consiste nell’attenuare la doppia imposizione economica e che, pertanto, le autorità fiscali francesi hanno il diritto di chiedere i documenti giustificativi per verificare se le controllate estere abbiano effettivamente versato nello Stato membro in cui sono stabilite l’imposta sugli utili che sono alla base della distribuzione dei dividendi alla società controllante. A tal riguardo, il governo francese insiste sul fatto che il diritto interno rispetta i principi di equivalenza e di effettività. Tale governo ricorda, in particolare, che l’aliquota d’imposta in una situazione puramente interna era anche l’aliquota effettivamente versata dalle controllate sugli utili che sono alla base della distribuzione dei dividendi a vantaggio della loro controllante e che il diritto interno prende in considerazione solo le distribuzioni effettuate dalle società direttamente controllate dalle capogruppo francesi. Poiché le informazioni richieste erano note solo al contribuente stesso, non sarebbe affatto eccessivo, secondo i governi francese e del Regno Unito, esigere che la società controllante fornisca i principali elementi precisi relativi all’imposizione e alla natura delle distribuzioni e delle controllate interessate, e successivamente l’amministrazione fiscale potrebbe, se del caso, fare appello all’assistenza amministrativa delle autorità dello Stato membro in cui sono stabilite le controllate nell’ambito delle disposizioni della direttiva 77/799 o di quelle delle convenzioni fiscali bilaterali. In ogni caso, il governo francese ritiene che, se la Corte dovesse dichiarare che l’attribuzione dell’onere della prova alla società controllante comportava una violazione dei principi di equivalenza e/o di effettività, tale violazione sarebbe giustificata dalla necessità di contrastare l’evasione fiscale.

94.      La Commissione, dal canto suo, sviluppa un’argomentazione intermedia. In sostanza, essa ritiene che il diritto dell’Unione non osti, in via di principio, a che, nell’ambito del rimborso di un anticipo di imposta come quello di cui alla causa principale, uno Stato membro esiga di tenere conto dell’imposta assolta dalla controllata nello Stato membro in cui è stabilita. Tuttavia, nella specie, essa è del parere che, essendo il credito di imposta garantito alle società controllanti in funzione dell’aliquota legale (normale) di imposta, senza tenere conto dell’aliquota effettivamente applicata agli utili che sono alla base della distribuzione realizzati dalle controllate francesi e della prova dell’imposta effettivamente versata da tali società, il principio di equivalenza imporrebbe di applicare lo stesso trattamento in una situazione transfrontaliera.

95.      Tali posizioni contrapposte si spiegano, in parte, con interpretazioni diverse del diritto interno.

96.      Infatti, le parti interessate discutono, in primo luogo, esigenze del diritto interno relative all’aliquota dell’imposta sulle società applicabile agli utili soggiacenti di controllate francesi il cui pagamento doveva essere dimostrato dalle società controllanti che ricevevano dividendi da dette controllate; la Accor e la Commissione ritengono che fosse richiesta solo la prova dell’assoggettamento all’aliquota normale, mentre il governo francese ha spiegato diffusamente che si trattava dell’aliquota effettiva applicata.

97.      In secondo luogo, per replicare alle critiche della Accor relative ad esigenze di prova eccessive riguardo all’imposizione delle subcontrollate di società del gruppo Accor che verrebbero richieste dalle autorità fiscali francesi, il governo francese ha sottolineato in udienza che il diritto interno teneva conto, nel calcolo del credito d’imposta, solo dei dividendi distribuiti a livello della controllata diretta della società controllante, e non a livello delle subcontrollate. In applicazione del principio di equivalenza, tale governo ritiene che non possa essere altrimenti in una situazione transfrontaliera, salvo introdurre discriminazioni a rovescio.

98.      Non spetta alla Corte risolvere la questione se il diritto nazionale esigesse, in una situazione puramente interna, la prova dell’aliquota normale o dell’aliquota effettiva versata dalle controllate sugli utili soggiacenti alla distribuzione dei dividendi alla loro controllante, né stabilire se tale diritto prendesse in considerazione, a questo scopo, solo i rapporti di detta società con la sua controllata diretta, e non con tutte le subcontrollate del gruppo. Tali aspetti, infatti, fanno parte delle verifiche cui dovrà procedere il giudice del rinvio.

99.      Occorre quindi ragionare sulla base di ipotesi.

100. La prima ipotesi da considerare è quella formulata dal governo francese, vale a dire quella secondo cui il diritto interno subordinava il versamento del credito d’imposta, in una situazione puramente interna, al pagamento dell’aliquota effettiva dell’imposta sulle società sugli utili soggiacenti realizzati dalla controllata diretta della società capogruppo.

101. In questo caso, l’estensione alle situazioni transfrontaliere del trattamento applicato alle situazioni interne non lede affatto il principio di equivalenza.

102. Il diritto dell’Unione non osta neppure a che l’onere di fornire i documenti giustificativi pertinenti incomba anzitutto alla società controllante interessata. Le autorità fiscali possono infatti legittimamente chiedere al contribuente le prove che ritengano necessarie per valutare se sussistano le condizioni per il riconoscimento di un vantaggio fiscale previste dalla normativa nazionale (41).

103. Contrariamente a quanto sembra sostenere la Accor, se pure il ricorso al meccanismo di mutua assistenza previsto dalla direttiva 77/799 consente alle autorità fiscali di rivolgersi alle autorità di un altro Stato membro per ottenere tutte le informazioni che risultino necessarie ai fini del calcolo esatto dell’imposta dovuta da un contribuente (42), esso tuttavia non può né essere preliminare all’obbligo incombente al contribuente di produrre elementi di prova necessari ad ottenere un vantaggio fiscale né, del resto, costituire un obbligo per tali autorità (43).

104. Inoltre, il governo francese ha ribadito all’udienza dinanzi alla Corte che i documenti giustificativi richiesti non dovrebbero rivestire alcuna forma particolare. Che tali documenti non siano richiesti in una situazione puramente interna mi sembra inerente al fatto che l’amministrazione fiscale conosce, ovviamente, il diritto interno applicabile e dispone già delle informazioni sufficienti fornite all’atto del deposito delle dichiarazioni fiscali relative alla liquidazione dell’anticipo di imposta sulle distribuzioni cui era collegato il credito fiscale e alla liquidazione dell’anticipo di imposta dovuto da una società capogruppo, una copia della quale è stata allegata alle osservazioni scritte del governo francese. Pertanto, non mi sembra che esigere il deposito di questo tipo di documenti da una società controllante francese che percepisce dividendi da controllate stabilite in altri Stati membri possa costituire un onere amministrativo supplementare rispetto alle informazioni richieste in una situazione puramente interna, dato che, fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, in una situazione di quest’ultimo tipo le società controllanti erano parimenti assoggettate a formalità amministrative, segnatamente allo scopo di consentire alle autorità fiscali di verificare se fossero soddisfatte le condizioni di applicazione del regime fiscale controverso.

105. Due punti meritano tuttavia di essere presi in considerazione sotto il profilo del rispetto del principio di effettività.

106. Anzitutto, non si può escludere che, secondo la legislazione degli Stati membri in cui sono stabilite le controllate interessate, in particolare se tali Stati membri non evitavano essi stessi la doppia imposizione economica dei dividendi sul loro territorio all’epoca dei fatti della controversia principale, sia praticamente impossibile o irrealizzabile dimostrare l’imposta sulle società effettivamente assolta dalle controllate sugli utili che sono alla base della distribuzione dei dividendi alla società controllante francese. Infatti, non è impossibile che alcuni Stati membri esentino le società stabilite nel loro territorio dall’obbligo di effettuare una suddivisione dei loro capitali propri, in funzione dell’aliquota applicabile alle diverse fonti di reddito, e di registrare l’imposta sulle società pagata sugli utili soggiacenti alla distribuzione dei dividendi. Pertanto, sarebbe contrario al principio di effettività richiedere la prova dell’importo dell’imposta sulle società che riflette l’aliquota effettiva versata da tali società, controllate di una società controllante francese. Spetta, beninteso, al giudice del rinvio, alla luce di tutti gli elementi del fascicolo, verificare se la società controllante Accor si trovi dinanzi a una situazione del genere.

107. Merita una certa attenzione anche l’obiezione della Accor secondo cui non le si potrebbe chiedere di presentare documenti il cui termine di conservazione legale in Francia sia scaduto. Infatti, poiché gli esercizi controversi riguardano gli anni 1999, 2000 e 2001 e, conformemente al CGI, l’anticipo di imposta era esigibile entro cinque anni dal versamento dei dividendi, non si può escludere, come peraltro sostenuto dalla Accor in udienza, che la produzione dei documenti giustificativi richiesti possa riguardare anni (al massimo fino al 1994) per i quali gli interessati non erano più tenuti a conservarli.

108. A mio parere, occorre distinguere due ipotesi. Anzitutto, quella in cui le autorità fiscali francesi abbiano chiesto la produzione di documenti giustificativi nel periodo in cui essi devono essere conservati per legge in Francia: in tal caso la società controllante avrebbe dovuto raccogliere tali documenti ad ogni buon fine, e in particolare per premunirsi contro la conferma del carattere legittimo di una tale richiesta nell’ambito di un procedimento giurisdizionale. Nel caso opposto in cui le autorità fiscali non avessero richiesto tali documenti nel periodo di conservazione legale, essi non sarebbero, conseguentemente, a disposizione della società controllante. Mi sembra tuttavia che nella seconda ipotesi, contrariamente a quanto esposto dalla Accor, il termine di conservazione pertinente non sia tanto quello vigente in Francia, quanto quello applicabile negli Stati membri in cui sono stabilite le varie controllate interessate. Qualora tale termine fosse scaduto nel momento in cui il giudice deve statuire nella causa principale, sarebbe impossibile per la Accor produrre le prove richieste. In tali circostanze non sarebbe possibile negarle il vantaggio del credito fiscale per i dividendi in questione, salvo violare il principio di effettività.

109. La seconda ipotesi, diametralmente opposta e difesa, in sostanza, dalla Accor, è quella in cui l’aliquota normale applicata agli utili soggiacenti alla distribuzione di dividendi delle controllate e delle subcontrollate della società controllante francese sia stata presa in considerazione in una situazione puramente interna.

110. In un tale contesto si tratta di accertare se il fatto che uno Stato membro esiga dalla società controllante stabilita nel suo territorio la dimostrazione dell’aliquota e dell’importo dell’imposta sulle società effettivamente versate sugli utili che sono alla base della distribuzione di dividendi da parte delle controllate e delle subcontrollate straniere di tale società contrasti con i principi di equivalenza e di effettività.

111. Una risposta affermativa a tale questione non mi sembrerebbe particolarmente complessa se la giurisprudenza della Corte non esigesse, almeno a prima vista, che, per il calcolo dell’imputazione di un credito di imposta collegato al versamento di dividendi c.d. «entranti», venga presa in considerazione l’imposta effettivamente versata dalla società distributrice nello Stato membro in cui essa è stabilita.

112. Infatti, al punto 54 della citata sentenza Manninen, ripreso al punto 15 della parimenti citata sentenza Meilicke e a., la Corte ha indicato che, nel calcolo di un credito d’imposta concesso ad un azionista fiscalmente residente in Finlandia, che abbia ricevuto dividendi da una società avente sede in Svezia, si deve tenere conto dell’imposta effettivamente pagata dalla società avente sede in tale altro Stato membro, come determinata in base alle norme generali applicabili al calcolo della base imponibile nonché dell’aliquota dell’imposta sulle società in quest’ultimo Stato membro.

113. Analogamente, nel dispositivo della citata sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, la Corte ha dichiarato che «[g]li artt. 43 CE e 56 CE non ostano ad una legislazione di uno Stato membro che esoneri dall’imposta sulle società i dividendi che una società residente percepisce da un’altra società residente, quando invece essa assoggetti a tale imposta i dividendi che una società residente percepisce da una società non residente e nella quale la società residente detiene almeno il 10% dei diritti di voto, accordando nel contempo, in quest’ultimo caso, un credito d’imposta a titolo dell’imposta effettivamente versata dalla società distributrice nel suo Stato membro di residenza, purché l’aliquota d’imposizione sui dividendi di origine estera non sia superiore all’aliquota d’imposizione applicata ai dividendi di origine nazionale e il credito d’imposta sia perlomeno pari all’importo versato nello Stato membro della società distributrice sino a concorrenza dell’imposta applicata nello Stato membro della società beneficiaria» (44).

114. Tuttavia, mi sembra che l’ostacolo costituito da tale giurisprudenza sia solo apparente.

115. Per quanto riguarda la citata sentenza Manninen, risulta infatti chiaramente dai suoi punti 40 e 53 che il credito d’imposta riconosciuto ai residenti finlandesi nelle situazioni puramente interne corrispondeva all’imposta sulle società effettivamente assolta dalla società distributrice (45). Il fatto che la Corte, al punto 54 della medesima sentenza, abbia esteso il beneficio di tale regime ai residenti finlandesi che hanno percepito dividendi versati da società stabilite in altri Stati membri è semplicemente la conseguenza dell’applicazione del principio di non discriminazione.

116. Quanto alla citata sentenza Test Claimants in the FII Group, se è vero che la Corte ha riconosciuto che uno Stato membro poteva applicare, nell’ambito della prevenzione della doppia imposizione economica, un sistema di esenzione dei dividendi versati in situazioni puramente interne ed un sistema di imputazione nell’ambito della distribuzione di dividendi entranti provenienti da società non residenti, la Corte ha esaminato solo in via accessoria il nesso tra l’esenzione applicabile ai dividendi di origine nazionale e l’imposizione a livello della società controllante. Le ricorrenti nella causa principale avevano sostenuto che l’esenzione di dividendi di origine nazionale si applicava indipendentemente dall’imposta (effettivamente) assolta dalla società distributrice. Orbene, la Corte ha rimesso al giudice nazionale il compito di verificare se l’aliquota d’imposta fosse identica e se i diversi livelli d’imposizione sussistessero soltanto in casi determinati a motivo di una modifica della base imponibile dovuta ad alcuni sgravi eccezionali (46).

117. Da tali sentenze, pertanto, non si può desumere che la Corte sia disposta ad accettare che, in generale, uno Stato membro che previene la doppia imposizione economica dei dividendi nel suo territorio conceda un credito di imposta ad una società controllante di tale Stato collegato alla distribuzione dei dividendi di una controllata stabilita nel medesimo Stato sulla base dell’aliquota normale dell’imposta sulle società cui quest’ultima è, in via di principio, assoggettata, mentre la concessione del beneficio di questo stesso credito fiscale ad una società controllante di tale Stato collegato alla distribuzione dei dividendi di controllate stabilite in altri Stati membri sarebbe subordinata alla dimostrazione dell’aliquota e dell’importo effettivi dell’imposta sulle società che queste ultime hanno versato in tali altri Stati membri.

118. Al contrario, siffatta disparità di trattamento violerebbe, a mio parere, i principi di non discriminazione e di equivalenza.

119. Una tale violazione non potrebbe essere giustificata dalla volontà, espressa in termini generali, di prevenire l’evasione fiscale, contrariamente a quanto sostenuto dal governo francese. Infatti, da un lato, si deve ricordare che gli Stati membri non possono fondare su una presunzione generale di evasione fiscale una misura fiscale che pregiudichi gli obiettivi del Trattato (47). Dall’altro, non mi sembra che siffatta disparità di trattamento si presenti come la misura meno lesiva dei suddetti principi per conseguire l’obiettivo della lotta all’evasione fiscale. Infatti, in una situazione come quella esaminata nell’ipotesi in questione, uno Stato membro potrebbe benissimo esigere dal contribuente la prova dell’aliquota normale dell’imposta sulle società applicabile alle controllate distributrici cui tali società sono assoggettate nel loro Stato membro di stabilimento e del versamento dell’importo dell’imposta corrispondente a detta aliquota, al fine di evitare – ciò che sembra costituire la principale preoccupazione del governo francese – che un credito fiscale venga collegato alla distribuzione di dividendi provenienti da tali controllate a vantaggio della società controllante francese, anche qualora le medesime controllate, in ragione di vari sgravi generali applicabili nello Stato membro in cui sono stabilite, siano state totalmente esonerate dal pagamento dell’imposta sulle società sugli utili che sono alla base della distribuzione dei dividendi.

120. Quanto all’obbligo di fornire tale prova a livello dell’intera catena delle controllate e delle subcontrollate della società controllante francese, siffatto obbligo non contrasta con i principi di non discriminazione e di equivalenza, a condizione che venga imposto anche nelle situazioni puramente interne all’atto delle dichiarazioni che devono essere presentate dalle società controllanti e dalle loro controllate francesi. Resta il fatto che rispondere a tale esigenza può risultare praticamente impossibile in situazioni transfrontaliere, a maggior ragione qualora le distribuzioni in questione riguardino utili realizzati in un periodo in relazione al quale sia scaduto l’obbligo di conservazione legale di documenti. Spetterà al giudice del rinvio, nel caso in cui tale ipotesi risulti pertinente, effettuare le necessarie verifiche.

121. Per tali motivi, propongo di rispondere come segue alla terza questione: i principi di equivalenza e di effettività non ostano a che la restituzione delle somme atta a garantire l’applicazione di uno stesso regime fiscale ai dividendi che danno luogo a ridistribuzione da parte della società controllante stabilita in uno Stato membro, a prescindere dalla circostanza che le somme da cui tali dividendi traggono origine siano state distribuite da controllate stabilite nello stesso Stato o da controllate stabilite in un altro Stato membro, sia subordinata, in via di principio, alla condizione che il debitore fornisca gli elementi da esso esclusivamente detenuti e relativi, per ogni dividendo controverso, segnatamente all’aliquota d’imposta effettivamente applicata e all’importo dell’imposta effettivamente versato in ragione degli utili realizzati da sue controllate stabilite negli Stati membri diversi dal primo Stato membro, mentre, per le controllate stabilite in detto Stato membro, i documenti giustificativi, noti all’amministrazione, non sono richiesti, sempreché l’aliquota e l’importo dell’imposta effettivamente pagati si applichino parimenti alla distribuzione di dividendi a vantaggio della società controllante versati da controllate stabilite nello stesso Stato membro e non risulti praticamente impossibile o eccessivamente difficile produrre la prova del pagamento dell’imposta da parte delle controllate stabilite negli altri Stati membri, tenuto conto in particolare delle disposizioni della legislazione di detti Stati membri concernenti la prevenzione della doppia imposizione e la registrazione dell’imposta sulle società che dev’essere assolta, nonché la conservazione dei documenti amministrativi. Spetta al giudice del rinvio verificare se tali condizioni siano soddisfatte nella causa principale.

III – Conclusione

122. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo di rispondere come segue alle questioni sollevate dal Conseil d’État:

«1)      L’art. 56 CE deve essere interpretato nel senso che osta ad un regime fiscale in base al quale una società controllante stabilita in uno Stato membro che percepisca dividendi versati da una controllata stabilita in un altro Stato membro non può imputare all’anticipo di imposta, di cui è debitrice all’atto della ridistribuzione ai propri azionisti di tali dividendi, il credito fiscale collegato alla distribuzione di tali dividendi, a differenza di quanto accade nella situazione equiparabile di una società controllante stabilita nel primo Stato membro che percepisca dividendi versati da una controllata parimenti stabilita in tale Stato.

2)      Uno Stato membro può opporsi alla restituzione di un prelievo riscosso in violazione del diritto dell’Unione per l’intero onere economico che il debitore non ha sostenuto direttamente e che, in tale misura, determinerebbe un arricchimento indebito di detto debitore. Tale arricchimento potrebbe verificarsi qualora lo Stato membro dovesse rimborsare le spese sostenute dal debitore che non fossero la conseguenza inevitabile del rifiuto di uno Stato membro di assicurare il rispetto delle disposizioni del Trattato CE. Nella causa principale spetta al giudice del rinvio verificare, alla luce dell’insieme degli elementi di cui dispone e in funzione della politica di distribuzione dei dividendi adottata da una società controllante, quale la convenuta nel procedimento nazionale, a vantaggio dei propri azionisti, se l’anticipo di imposta controverso sia stato imputato, in tutto o in parte, ai dividendi ridistribuiti a detti azionisti, di modo che la società controllante abbia eventualmente subito perdite che rappresentano la conseguenza inevitabile del rifiuto dello Stato membro di concederle la parità di trattamento richiesta. In tal caso, la misura della restituzione del prelievo controverso alla società controllante dovrà essere stabilita in base all’onere economico da essa sopportato sulla base di tutti gli elementi pertinenti di cui dispone il giudice del rinvio.

3)      I principi di equivalenza e di effettività non ostano a che la restituzione delle somme atta a garantire l’applicazione di uno stesso regime fiscale ai dividendi che danno luogo a ridistribuzione da parte della società controllante stabilita in uno Stato membro, a prescindere dalla circostanza che le somme da cui tali dividendi traggono origine siano state distribuite da controllate stabilite nello stesso Stato o da controllate stabilite in un altro Stato membro, sia subordinata, in via di principio, alla condizione che il debitore fornisca gli elementi da esso esclusivamente detenuti e relativi, per ogni dividendo controverso, segnatamente all’aliquota d’imposta effettivamente applicata e all’importo dell’imposta effettivamente versato in ragione degli utili realizzati da sue controllate stabilite negli Stati membri diversi dal primo Stato membro, mentre, per le controllate stabilite in detto Stato membro, i documenti giustificativi, noti all’amministrazione, non sono richiesti, sempreché l’aliquota e l’importo dell’imposta effettivamente pagati si applichino parimenti alla distribuzione di dividendi a vantaggio della società controllante versati da controllate stabilite nello stesso Stato membro e non risulti praticamente impossibile o eccessivamente difficile produrre la prova del pagamento dell’imposta da parte delle controllate stabilite negli altri Stati membri, tenuto conto in particolare delle disposizioni della legislazione di detti Stati membri concernenti la prevenzione della doppia imposizione e la registrazione dell’imposta sulle società che dev’essere assolta, nonché la conservazione dei documenti amministrativi. Spetta al giudice del rinvio verificare se tali condizioni siano soddisfatte nella causa principale».


1 – Lingua originale: il francese.


2 – Poiché la domanda di pronuncia pregiudiziale è anteriore all’entrata in vigore del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, si farà riferimento alle disposizioni del Trattato CE.


3 – JORF del 31 dicembre 2003, pag. 22530.


4 – A parte il versamento di una quota di spese e oneri, determinata conformemente all’art. 216 del CGI, non pertinente nella causa principale e che, nel periodo in discussione nella causa principale, era fissato al 2,5% dei proventi totali delle partecipazioni, ivi compresi i crediti di imposta, fino al 2000 e al 5% a decorrere dal 2001. La compatibilità del pagamento di tale quota di spese e di oneri è stata esaminata dalla Corte nell’ambito della causa che ha dato luogo alla sentenza 3 aprile 2008, causa C-27/07, Banque Fédérative du Crédit Mutuel (Racc. pag. I-2067).


5 – GU L 225, pag. 6. Tale direttiva è stata modificata dalla direttiva del Consiglio 22 dicembre 2003, 2003/123/CE (GU 2004, L 7, pag. 41). Le modifiche introdotte con quest’ultimo atto sono tuttavia successive ai fatti della causa principale e pertanto non sono pertinenti.


6 – V. sentenza 18 gennaio 2007, causa C-313/05, Brzeziński (Racc. pag. I-513, punti 58-60 e giurisprudenza ivi citata).


7 – Un altro motivo potrebbe risiedere nel fatto che la Corte ha già precisato in varie sentenze [v., tra le altre, sentenze 7 settembre 2004, causa C-319/02, Manninen (Racc. pag. I-7477); 12 dicembre 2006, causa C-446/04, Test Claimants in the FII Group Litigation (Racc. pag. I-11753), nonché 6 marzo 2007, C-292/04, Meilicke e a. (Racc. pag. I-1835)] le esigenze derivanti sia dalla libertà di stabilimento che dalla libera circolazione dei capitali per quanto riguarda la situazione delle persone, fisiche o giuridiche, residenti in uno Stato membro che percepiscano dividendi da società non residenti, e che la Corte non ha limitato nel tempo gli effetti di tali sentenze: v., a tal riguardo, sentenza Meilicke e a., cit. (punti 36-40 e giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, il governo francese fa valere che il suddetto orientamento giurisprudenziale non è necessariamente pertinente per risolvere la prima questione pregiudiziale.


8 – Sentenza 12 febbraio 2009, causa C-138/07 (Racc. pag. I-731, punti 29-31).


9 – Fatta salva la quota di oneri e spese menzionata supra, alla nota 4.


10 – Punto 110.


11 – V., in particolare, sentenze 13 aprile 2000, causa C-251/98, Baars (Racc. pag. I-2787, punto 22); 21 novembre 2002, causa C-436/00, X e Y (Racc. pag. I-10829, punto 37); 12 settembre 2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (Racc. pag. I-7995, punto 31), nonché 6 dicembre 2007, causa C-298/05, Columbus Container Services (Racc. pag. I-10451, punto 30).


12 – Conformemente alla modifica dell’art. 145 del CGI introdotta con ordinanza 18 settembre 2000, n. 2000-912 (JORF del 21 settembre 2000, pag. 14783).


13 – Ricordo che, come sottolineato al paragrafo 11 delle presenti conclusioni, il Conseil d’État è chiamato a statuire nel merito della causa principale.


14 – Al pari, ad esempio, della constatazione effettuata dalla Corte nella sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit. (punto 80).


15 – V., in tal senso, sentenze 16 marzo 1999, causa C-222/97, Trummer e Mayer (Racc. pag. I-1661, punto 21); 4 giugno 2002, causa C-483/99, Commissione/Francia (Racc. pag. I-4781, punti 36 e 37); 13 maggio 2003, causa C-98/01, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I-4641, punti 39 e 40); 28 settembre 2006, cause riunite C-282/04 e C-283/04, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I-9141, punto 19), e 17 settembre 2009, causa C-182/08, Glaxo Wellcome (Racc. pag. I-8591, punto 40).


16 – V., in particolare, citate sentenze Manninen (punto 22) e Meilicke e a. (punto 23).


17 – Il che discende da una giurisprudenza ormai consolidata: v., tra le altre, sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit. (punto 62).


18 – V., in particolare, punto 74 delle osservazioni scritte del governo francese.


19 – V. punto 82 delle medesime osservazioni.


20 – Sentenza 27 gennaio 2000, causa C-190/98 (Racc. pag. I-493, punti 24 e 25).


21 – Secondo il rapporteur public (pag. 14 delle sue conclusioni) «(…) la società (…) può quindi rimproverare solo sé stessa se non ha ridotto l’ammontare delle somme distribuite. In altre parole, non è la legge che crea l’onere di cui la società controllante chiede il rimborso, bensì la politica di detta società in materia di distribuzione dei dividendi». Questa valutazione è stata tuttavia sviluppata non nel contesto dell’esistenza di una restrizione ai movimenti di capitali, ma relativamente alla restituzione dell’importo dell’anticipo versato dalla Accor.


22 – V., in particolare, citate sentenze Manninen (punto 22) nonché Test Claimants in the FII Group Litigation (punti 64 e 166).


23 – V., per analogia, sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit. (punto 84 e giurisprudenza ivi citata).


24 – V., tra le altre, sentenze 2 ottobre 2003, causa C-147/01, Weber’s Wine World e a. (Racc. pag. I-11365, punto 93 e giurisprudenza ivi citata), e Test Claimants in the FII Group Litigation, cit. (punto 202).


25 – V., in tal senso, sentenza Weber’s Wine World e a., cit. (punto 94). In tale contesto, il ricorso alla nozione di arricchimento senza causa sembra avvicinarsi maggiormente a quella di ripetizione dell’indebito, che, in alcuni Stati membri, può essere considerata un caso particolare di arricchimento senza causa.


26 – Sentenza Weber’s Wine World e a., cit. (punto 98 e giurisprudenza ivi citata).


27 – V., in tal senso, sentenza 14 gennaio 1997, cause riunite da C-192/95 a C-218/95, Comateb e a. (Racc. pag. I-165, punti 29, 31 e 32), nonché Weber’s Wine World e a., cit. (punto 99).


28 – V. sentenza Weber’s Wine World e a., cit. (punto 96).


29 – V. sentenze 10 aprile 2008, causa C-309/06, Marks & Spencer (Racc. pag. I-2283, punto 41), e 18 giugno 2009, causa C-566/07, Stadeco (Racc. pag. I-5295, punto 49).


30 – Sentenza Weber’s Wine World e a., cit. (punto 103).


31 – V. sentenze 9 novembre 1983, causa 199/82, San Giorgio (Racc. pag. 3595, punto 14), nonché 21 settembre 2000, cause riunite C-441/98 e C-442/98, Michaïlidis (Racc. pag. I-7145, punto 36).


32 – Sentenza Comateb e a., cit. (punto 25).


33 – Il governo francese precisa, peraltro, che tale devoluzione dell’onere della prova alle autorità fiscali discende anche dalla giurisprudenza del Conseil d’État e della Cour de cassation francese in situazioni disciplinate unicamente dal diritto interno. Tale principio dovrebbe quindi valere, conformemente ai principi della parità di trattamento e di equivalenza, anche nelle controversie in cui l’amministrazione fiscale francese si oppone alla restituzione di imposte pagate in violazione del diritto dell’Unione.


34 – V. citate sentenze Weber’s Wine World e a. (punto 100) nonché Marks & Spencer (punto 43).


35 – Sentenza del Conseil d’État 30 giugno 2004, Sté Freudenberg.


36 – Sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit. (punto 207) (il corsivo è mio).


37 – Idem (punto 208).


38 – Tale questione era all’origine della causa che ha dato luogo alla sentenza 14 novembre 2006, causa C-513/04, Kerckhaert e Morres (Racc. pag. I-10967). L’abolizione del credito d’imposta a decorrere dal 1° gennaio 2005, e successivamente del suo rimborso agli azionisti non residenti, era alla base della causa che ha dato luogo alla sentenza 16 luglio 2008, causa C-128/08, Damseaux (Racc. pag. I-6823). Tuttavia, la questione sollevata riguardava unicamente gli obblighi incombenti allo Stato membro di residenza degli azionisti (nella specie il Regno del Belgio).


39 – Nella causa che ha dato luogo alla citata sentenza Test Claimants in the FII Group si poneva la questione se il diritto dell’Unione ostasse a che uno Stato membro esentasse i dividendi versati da una società residente ad un’altra società residente, evitando al contempo, attraverso un sistema di imputazione, l’imposizione a catena di tali dividendi quando essi venivano versati da una società non residente ad una controllante residente. La Corte ha confermato la compatibilità dell’applicazione di un sistema di imputazione in tali circostanze allorché, in primo luogo, i dividendi di origine estera non siano assoggettati, in questo Stato membro, ad un’aliquota d’imposta superiore a quella applicata ai dividendi di origine nazionale e, in secondo luogo, l’imposizione a catena dei dividendi di origine estera venga evitata imputando l’imposta versata dalla società distributrice non residente all’imposta applicabile alla società beneficiaria residente nei limiti di quest’ultima. Pertanto, la Corte indica ai punti 51 e 52 di detta sentenza che, quando gli utili sottostanti ai dividendi di origine estera sono assoggettati nello Stato membro della società distributrice ad un’imposta inferiore al prelievo effettuato dallo Stato membro della società beneficiaria, quest’ultimo deve concedere un credito d’imposta complessivo corrispondente all’imposta versata dalla società distributrice nel suo Stato membro di residenza. Per contro, se tali utili soggiacciono ad un’imposta superiore al prelievo effettuato dallo Stato membro della società beneficiaria, quest’ultimo deve concedere un credito d’imposta soltanto nei limiti dell’importo dell’imposta sulle società dovuta dalla società beneficiaria. Tale Stato non è quindi tenuto a rimborsare la quota che supera la differenza tra i due importi.


40 – GU L 336, pag. 15.


41 – V., in tal senso, sentenza 27 gennaio 2009, causa C-318/07, Persche (Racc. pag. I-359, punti 54 e 60, nonché giurisprudenza ivi citata).


42 – Idem (punto 61).


43 – Ibidem (punti 62, 64 e 65).


44 – Punto 1, secondo paragrafo, del dispositivo di tale sentenza (il corsivo è mio).


45 – Al punto 53 di tale sentenza la Corte rileva che «occorre (…) constatare che il credito d’imposta corrisponde sempre nel diritto finlandese all’importo dell’imposta effettivamente versata a titolo di imposta sulle società dalla società che distribuisce i dividendi».


46 – Sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit. (punti 53-56).


47 – V, in particolare, sentenza 28 ottobre 2010, causa C-72/09, Établissements Rimbaud (Racc. pag. I-10659, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).