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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NIILO JÄÄSKINEN

presentate il 10 luglio 2012 (1)

Causa C-207/11

3D I Srl

contro

Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Cremona

(domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta dalla Commissione Tributaria Regionale di Milano,
sez. distaccata di Brescia)

«Regime fiscale applicabile ai conferimenti d’attivo intra-Unione – Direttiva 90/434/CEE – Direttiva 78/660/CEE – Neutralità fiscale – Compatibilità con la direttiva 90/434 di un obbligo contabile imposto dalla normativa nazionale – Doppia imposizione economica – Ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale»





I –    Introduzione

1.        La presente causa verte sull’interpretazione della direttiva 90/434/CEE, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi (in prosieguo: la «direttiva 90/434») (2) e, più in particolare, sulle disposizioni concernenti il riporto dell’imposizione delle plusvalenze derivanti da conferimenti d’attivo intra-Unione.

2.        Il giudice nazionale ha sollevato dubbi sulla compatibilità di una disposizione italiana con la direttiva 90/434 a motivo di un’asserita violazione del principio della neutralità fiscale garantito da tale direttiva. La disposizione italiana in questione impone alla società conferente di iscrivere a bilancio un apposito fondo di riserva nel caso in cui essa attribuisca alle azioni ricevute un valore contabile superiore a quello dell’attivo conferito al momento dell’operazione. Tuttavia, nutro seri dubbi sulla ricevibilità della questione sollevata, che, alla luce del contesto di fatto e di diritto, appare di natura ipotetica.

II – Contesto normativo

A –    Diritto dell’Unione europea

3.        Il quarto e il sesto considerando della direttiva 90/434/CEE enunciano quanto segue:

«considerando che il regime fiscale comune deve evitare un’imposizione all’atto di una fusione, di una scissione, di un conferimento d’attivo o di uno scambio di azioni, pur tutelando gli interessi finanziari dello Stato cui appartiene la società conferente o acquisita;

(…)

considerando che il sistema del riporto dell’imposizione delle plusvalenze inerenti ai beni conferiti, fino alla loro effettiva realizzazione, applicato ai beni inerenti a detto stabilimento permanente, consente di evitare un’imposizione delle plusvalenze corrispondenti, pur garantendo la loro successiva imposizione da parte dello Stato membro della società conferente, all’atto della loro realizzazione».

4.        L’articolo 2 della direttiva 90/434 così recita:

«Ai fini dell’applicazione della presente direttiva, si deve intendere per:

(…)

c) conferimento d’attivo: l’operazione mediante la quale una società conferisce, senza essere sciolta, la totalità o uno o più rami della sua attività a un’altra società, mediante consegna di titoli rappresentativi del capitale sociale della società beneficiaria del conferimento;

(…)

e) società conferente: la società che trasferisce il suo patrimonio, attivamente e passivamente, o che conferisce la totalità o uno o più rami della sua attività;

f) società beneficiaria: la società che riceve il patrimonio, attivamente e passivamente, o la totalità o uno o più rami di attività della società conferente;

(…)».

5.        L’articolo 4 della direttiva 90/434 prevede quanto segue:

«1. La fusione o la scissione non comporta alcuna imposizione delle plusvalenze risultanti dalla differenza tra il valore reale degli elementi d’attivo e di passivo conferiti ed il loro valore fiscale.

(…)

2. Gli Stati membri subordinano l’applicazione del paragrafo 1 alla condizione che la società beneficiaria calcoli i nuovi ammortamenti e le plusvalenze o minusvalenze inerenti agli elementi d’attivo e di passivo trasferiti alle stesse condizioni in cui sarebbero state calcolate dalla o dalle società conferenti, se la fusione o la scissione non avesse avuto luogo.

3. Nel caso in cui, in base alla legislazione dello Stato membro della società conferente, la società beneficiaria può calcolare i nuovi ammortamenti e le plusvalenze o minusvalenze inerenti agli elementi d’attivo e di passivo conferiti in maniera diversa da quella prevista al paragrafo 2, il paragrafo 1 non si applica agli elementi d’attivo e di passivo per i quali la società beneficiaria abbia fatto uso di tale facoltà».

6.        Ai sensi dell’articolo 9 della direttiva 90/434, gli articoli 4, 5 e 6 si applicano ai conferimenti d’attivo.

7.        L’articolo 33, paragrafo 2, lettere a) e d), della quarta direttiva 78/660/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1978, basata sull’articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del Trattato e relativa ai conti annuali di taluni tipi di società (3), così recita:

«a) In caso di applicazione del paragrafo 1, l’importo delle differenze tra la valutazione compiuta sulla base del metodo seguito e la valutazione effettuata secondo la regola generale dell’articolo 32 deve essere iscritto al passivo nella voce “Riserva di rivalutazione”. Il trattamento fiscale di tale voce deve essere spiegato nello stato patrimoniale o nell’allegato.

Per l’applicazione del paragrafo 1, ultimo comma, le società pubblicano in allegato segnatamente una tabella da cui risulti, ogniqualvolta la riserva sia stata modificata durante l’esercizio:

-      l’importo della riserva di rivalutazione all’inizio dell’esercizio;

-      le differenze di rivalutazione trasferite nella riserva di rivalutazione durante l’esercizio;

-      gli importi convertiti in capitale o altrimenti trasferiti dalla riserva di rivalutazione durante l’esercizio, nonché l’indicazione della natura di tale trasferimento;

-      l’importo della riserva di rivalutazione alla fine dell’esercizio;

(…)

d) Fatti salvi i casi previsti alle lettere b) e c) la riserva di rivalutazione non può essere liquidata».

B –    Diritto nazionale

8.        L’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 544 (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 544/1992»), che traspone la direttiva 90/434, così recita: «I conferimenti [di aziende o di rami di azienda] di cui alla lettera c) [dell’articolo 1] non costituiscono realizzo di plusvalenze o di minusvalenze ma l’ultimo costo dell’azienda o del ramo aziendale conferito fiscalmente riconosciuto costituisce costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione ricevuta. La differenza tra il valore delle azioni o quote ricevute e l’ultimo valore dei beni conferiti riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi non concorre a formare il reddito imponibile dell’impresa o società apportante fino a quando non sia stata realizzata o distribuita ai soci. Se le partecipazioni ricevute sono iscritte in bilancio ad un valore superiore a quello contabile dell’azienda conferita la differenza deve essere iscritta in apposito fondo e concorre alla formazione del reddito imponibile in caso di distribuzione (…)» (4).

9.        L’articolo 1 del decreto legislativo 8 ottobre 1997, n. 358 (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 358/1997»), dispone quanto segue:

«1.      Le plusvalenze realizzate mediante la cessione di aziende possedute per un periodo non inferiore a tre anni e determinate secondo i criteri previsti dall’articolo 54 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, possono essere assoggettate ad un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, con l’aliquota del 19 per cento. (…)

2.      L’opzione per l’applicazione dell’imposta sostitutiva va esercitata nella dichiarazione dei redditi del periodo di imposta nel quale le plusvalenze sono realizzate».

10.      L’articolo 4, comma 2, del decreto legislativo n. 358/1997 così recita:

«In luogo dell’applicazione delle disposizioni del comma 1 [dell’articolo 4 del decreto legislativo n. 358/1997], i soggetti ivi indicati possono optare, nell’atto di conferimento, per l’applicazione delle disposizioni del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e dell’articolo 1 del presente decreto. L’opzione può essere esercitata anche per i conferimenti di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 544, recante disposizioni per l’adeguamento alle direttive comunitarie relative al regime fiscale di fusioni, scissioni, conferimenti d’attivo e scambi di azioni».

III – Fatti e questione pregiudiziale

11.      La 3D I, la società conferente, è una società di capitali con sede in Crema. Il 12 ottobre 2000 essa conferiva un ramo della propria azienda sita in Italia in una società con sede in Lussemburgo, la società beneficiaria, ricevendo in contropartita azioni di tale società. A seguito di tale operazione, il ramo di azienda conferito diveniva parte della società lussemburghese in quanto stabile organizzazione della medesima in Italia.

12.      La 3D I sceglieva di attribuire alle proprie azioni della società beneficiaria un valore superiore al valore fiscale del ramo di azienda conferito.

13.      Il 9 maggio 2001 la 3D I decideva di pagare l’imposta sostitutiva italiana sulla plusvalenza risultante dall’operazione all’aliquota del 19%, come previsto dagli articoli 1, comma 1, e 4, comma 2, del decreto legislativo n. 358/1997, anziché la normale imposta al 33% applicabile in base alle pertinenti norme tributarie italiane. In tal modo, la 3D I rinunciava al regime di neutralità fiscale di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 544/1992. Quest’ultima disposizione avrebbe esentato la 3D I dall’imposta sulla plusvalenza da conferimento, come stabilito dall’articolo 2, in combinato disposto con l’articolo 4, della direttiva 90/434. L’imposta sostitutiva pagata dalla 3D I alle autorità fiscali italiane ammontava a LIT 5 732 298 000, pari ad EUR 2 960 484, 85.

14.      Dopo il pagamento di detta imposta le plusvalenze da conferimento potevano essere distribuite. Ciò comportava il riconoscimento a fini fiscali della differenza tra il valore fiscale del ramo di attività ceduto e il valore contabile attribuito dalla 3D I alle azioni ricevute in contropartita.

15.      La 3D I afferma che l’8 gennaio 2004, dopo aver preso conoscenza della giurisprudenza della Corte, e in particolare della sentenza nella causa X e Y (5), ha deciso di chiedere alle autorità fiscali italiane il rimborso dell’imposta sostitutiva pagata. La 3D I sostiene che l’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 544/1992 era incompatibile con la direttiva 90/434, in quanto subordinava la neutralità del conferimento, sotto il profilo dell’obbligo di pagare l’imposta sulle plusvalenze, a condizioni non previste da tale direttiva. In particolare, la 3D I ha contestato la disposizione dell’articolo 2, secondo comma, del decreto legislativo n. 544/1992 che le avrebbe imposto di iscrivere la differenza tra il valore contabile del ramo di attività conferito e le azioni ricevute in una riserva indisponibile che, se distribuita, avrebbe costituito reddito imponibile.

16.      La 3D I ha quindi sostenuto che tale condizione contabile, quale prevista dall’articolo 2, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo n. 544/1992, era illegittima. Ha inoltre affermato che, a causa di tale condizione illegittima, aveva optato per l’imposta sostitutiva anziché per il regime di neutralità fiscale introdotto dall’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 544/1992 in attuazione della direttiva 90/434.

17.      Tale domanda di rimborso veniva implicitamente respinta dalla Agenzia delle Entrate nell’aprile 2004 e la 3D I adiva quindi la Commissione tributaria provinciale di Cremona. Il suo ricorso veniva respinto nell’ottobre 2006, segnatamente in ragione del fatto che la 3D I aveva liberamente optato per il regime dell’imposta sostitutiva e aveva beneficiato di un’aliquota d’imposta più favorevole rispetto alla normale imposta che avrebbe dovuto pagare in caso di realizzo della plusvalenza.

18.      Il 5 marzo 2011 la 3D I impugnava tale decisione di rigetto dinanzi alla Commissione tributaria regionale di Milano. Quest’ultima considerava che l’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 544/1992 era in contrasto con la direttiva 90/434 e con la costante giurisprudenza della Corte, che aveva dichiarato illegittime le misure restrittive della libera circolazione dei capitali e della libertà di stabilimento.

19.      Infatti, detta disposizione obbligava la 3D I, in quanto società conferente, ad iscrivere a bilancio un fondo di riserva, a pena di tassazione della plusvalenza da conferimento. La Commissione tributaria ha ritenuto che, per evitare l’apparente incompatibilità con il diritto dell’Unione, gli Stati membri debbano differire la tassazione delle plusvalenze fino al momento del loro realizzo e che tale riporto dell’imposizione non possa essere subordinato a condizioni eccessivamente restrittive delle libertà fondamentali.

20.      Ciò premesso, il giudice nazionale ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se la normativa di uno Stato membro, come quello italiano, di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 544, in forza del quale un conferimento o uno scambio di azioni dia luogo ad imposizione, nei confronti della società conferente, delle plusvalenze da conferimento corrispondenti alla differenza tra i costi iniziali di acquisto delle azioni o quote conferite ed il loro valore corrente, a meno che la società conferente iscriva nel proprio bilancio un apposito fondo di riserva in misura corrispondente al plusvalore emerso in sede di conferimento, in un caso come quello oggetto del presente procedimento contrasti con gli articoli 2, 4 e 8, paragrafi 1 e 2, della direttiva 90/434/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, scissioni, conferimenti d’attivo e scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi».

IV – Analisi

A –    Sulla ricevibilità della questione pregiudiziale

21.      Nell’ordinanza di rinvio si chiedono chiarimenti sull’interpretazione degli articoli 2, 4 e 8, paragrafi 1 e 2, della direttiva 90/434. Tuttavia, sono propenso a ritenere che la questione sottoposta alla Corte dal giudice nazionale sia irricevibile.

22.      Risulta da una giurisprudenza costante che le informazioni fornite nell’ambito di una domanda di pronuncia pregiudiziale non servono solo a consentire alla Corte di dare soluzioni utili, ma devono anche conferire ai governi degli Stati membri nonché alle altre parti interessate la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia.

23.      A tal fine è in primo luogo necessario che il giudice nazionale definisca il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o che spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate. In secondo luogo, la decisione di rinvio deve indicare i motivi precisi che hanno indotto il giudice nazionale ad interrogarsi sull’interpretazione delle pertinenti disposizioni di diritto dell’Unione e a ritenere necessaria la formulazione di questioni pregiudiziali alla Corte.

24.      Pertanto, è indispensabile che il giudice nazionale fornisca un minimo di spiegazioni sui motivi della scelta delle disposizioni dell’Unione di cui chiede l’interpretazione e sul nesso che individua tra quelle disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia di cui alla causa principale (6).

25.      D’altro canto, le questioni pregiudiziali godono di una presunzione di rilevanza. Il rifiuto, da parte della Corte, di pronunciarsi su una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con l’effettività o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (7).

26.      Inizierei con l’osservare che la questione sollevata dal giudice nazionale include una domanda di interpretazione dell’articolo 8, paragrafi 1 e 2, della direttiva 90/434. Tuttavia, ai sensi dell’articolo 9 della medesima direttiva, l’articolo 8 non si applica ai conferimenti di attivo. Nell’ordinanza di rinvio non è spiegato perché l’articolo 8 sarebbe pertinente nel procedimento principale.

27.      In secondo luogo, dall’ordinanza di rinvio risulta che la società conferente è assoggettata all’imposta sulla plusvalenza da conferimento di attivi e che tale plusvalenza è considerata equivalente alla differenza tra i costi iniziali di acquisto delle azioni cedute ed il loro valore corrente. La società conferente può evitare di pagare l’imposta sulla plusvalenza iscrivendo nel proprio bilancio un apposito fondo di riserva corrispondente alla plusvalenza emersa in sede di conferimento.

28.      Tuttavia, tale descrizione della disposizione nazionale pertinente non corrisponde al testo normativo. L’interpretazione del diritto nazionale fornita nell’ordinanza di rinvio è inoltre contestata dal governo italiano e dalla Commissione.

29.      Infatti, l’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 544/1992, l’unica disposizione nazionale menzionata nella questione pregiudiziale, prevede:

–        che il conferimento di beni non costituisce realizzo di plusvalenze o minusvalenze,

–        che la differenza tra il valore delle azioni ricevute e l’ultimo valore dei beni conferiti riconosciuto ai fini fiscali non concorre a formare il reddito imponibile della società apportante fino a quando non sia stata realizzata o distribuita, e

–        che se le partecipazioni ricevute sono iscritte in bilancio ad un valore superiore a quello contabile dei beni conferiti, la differenza deve essere iscritta in apposito fondo e concorre alla formazione del reddito imponibile in caso di distribuzione.

30.      Pertanto, la disposizione nazionale pertinente non ricollega l’imposizione al conferimento d’attivo. Apparentemente, inoltre, la 3D I non sostiene che il conferimento in questione abbia fatto sorgere di per sé un debito fiscale. Se ho compreso esattamente il suo argomento, essa ha scelto di pagare l’imposta sostitutiva in quanto ha ritenuto che la legge italiana prevedesse un obbligo contabile non allettante.

31.      Secondo costante giurisprudenza, nell’ambito di un rinvio pregiudiziale, non spetta alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione delle disposizioni nazionali, né giudicare se l’interpretazione che ne dà il giudice del rinvio sia corretta (8). La Corte è tenuta a prendere in considerazione, nell’ambito della ripartizione delle competenze tra i giudici dell’Unione e i giudici nazionali, il contesto fattuale e normativo nel quale si inseriscono le questioni pregiudiziali, come definito dal provvedimento di rinvio (9).

32.      Tuttavia, nella presente causa sono propenso a ritenere che la discrepanza tra il testo della questione pregiudiziale, da una parte, e il testo della disposizione nazionale, nonché le osservazioni delle parti, dall’altra, rendano detta questione ipotetica, sia in fatto sia in diritto. Naturalmente, la Corte, dopo aver fornito una risposta alle questioni sollevate, potrebbe semplicemente lasciare alla Commissione Tributaria Regionale di Milano il compito di verificare l’esattezza della sua prima interpretazione del diritto nazionale (10). Tuttavia, ciò potrebbe non essere sufficiente per rimediare al carattere ipotetico della questione.

33.      In terzo luogo, sebbene con la questione pregiudiziale si chiedano chiarimenti in ordine alla compatibilità del diritto italiano con il divieto, sancito dal diritto dell’Unione, di trattamento fiscale discriminatorio in base al luogo della sede della società, la questione formulata dal giudice nazionale non contiene alcun riferimento esplicito a tale elemento. Tuttavia, la parte dell’ordinanza di rinvio in cui è esposta la motivazione del rinvio pregiudiziale pone in evidenza che una disparità di trattamento «risulterebbe (...) incostituzionale». Ciò sarebbe dovuto al fatto che il sistema controverso riguarda solo i conferimenti intra-Unione, con esclusione dei conferimenti puramente interni. Il giudice del rinvio fa riferimento ad una serie di sentenze della Corte di giustizia, compresa la sentenza nella causa X e Y, sulla quale è basata gran parte degli argomenti della 3D I (11).

34.      Nella fattispecie i miei dubbi riguardano l’insufficiente esposizione del contesto normativo e, più in particolare, la mancanza di nesso tra le disposizioni pertinenti di diritto nazionale e i principi di parità di trattamento e di non discriminazione propri del diritto del mercato interno dell’Unione. Sebbene nell’ordinanza di rinvio si affermi che la 3D I era soggetta ad un sistema inapplicabile ai conferimenti circoscritti al territorio italiano, anche a tale proposito vi sono state discussioni in udienza sull’interpretazione corretta del diritto nazionale. La 3D I ha asserito che il diritto italiano la assoggettava ad un trattamento sfavorevole rispetto a quello riservato ai conferimenti d’attivo puramente interni, mentre il governo italiano e la Commissione hanno sostenuto una diversa interpretazione del diritto nazionale affermando che non esistevano situazioni nelle quali il conferimento interno di beni fosse trattato in modo più favorevole rispetto ai conferimenti intra-Unione (restando inteso che il principio della neutralità fiscale è stato introdotto per i primi più tardi che non per i secondi) (12).

35.      È evidente che la Corte non possa pronunciarsi su tale questione. Inoltre, in ogni controversia vertente su un’asserita violazione del divieto di trattamento discriminatorio, il giudice nazionale deve fornire alla Corte una descrizione chiara del contesto normativo nazionale. Quando questa sia mancante, è impossibile per la Corte stabilire se le norme nazionali siano incompatibili con il diritto dell’Unione. Ciò mi induce anche a dubitare che l’ordinanza di rinvio contenga gli elementi necessari per consentire alla Corte di fornire un’interpretazione del diritto dell’Unione nel settore della non discriminazione che possa risultare utile al giudice nazionale (13).

36.      In subordine, nell’ipotesi in cui la Corte considerasse ricevibile la questione pregiudiziale, ritengo che quest’ultima debba essere riformulata, in modo che riguardi solo la compatibilità dell’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 544/1992 con gli articoli 2, 4 e 9 della direttiva 90/434. Come ho già rilevato, l’articolo 8 della direttiva 90/434 non è pertinente nel procedimento principale.

B –    Ambito di applicazione e finalità della direttiva 90/434

37.      Inizierei ricordando gli obiettivi limitati della direttiva 90/434. Come hanno osservato la Commissione e il governo italiano, la direttiva 90/434 non istituisce un sistema di esenzione fiscale delle plusvalenze risultanti da fusioni, scissioni, conferimenti d’attivo e scambi di azioni intra-Unione. Il suo scopo è piuttosto conseguire la neutralità fiscale creando un sistema comune di riporto dell’imposizione delle plusvalenze inerenti a fusioni, scissioni, conferimenti d’attivo e scambi di azioni transfrontalieri. L’imposizione non deve avere luogo prima della data dell’effettiva cessione delle azioni o dei beni (14).

38.      L’idea soggiacente alla direttiva 90/434 è evitare di collegare l’imposizione di plusvalenze non realizzate e di riserve (altrimenti) non tassate alla mera circostanza che abbia avuto luogo un’operazione intra-Unione del tipo menzionato dalla medesima direttiva. La questione è stata illustrata efficacemente nel contesto della causa A.T. dall’avvocato generale Sharpston, che ha osservato quanto segue:

«Quando vengono realizzati conferimenti d’attivo da una società ad un’altra nel corso di un’operazione di ristrutturazione aziendale, ne può derivare un evento imponibile. Il conferimento rappresenta una cessione ai fini dell’imposta sulle plusvalenze e, ove gli attivi conferiti siano aumentati di valore da quando il cedente li aveva originariamente acquistati, ne può derivare una plusvalenza imponibile. Alcuni Stati membri prevedono uno sgravio fiscale consentendo di differire qualsiasi imposizione immediata, dal momento che gli attivi non sono ancora concretamente realizzati. Tuttavia, siffatto sgravio viene raramente concesso nel caso in cui il conferimento sia effettuato verso una società non residente, per timore che il pagamento dell’imposta possa essere del tutto evitato, anziché semplicemente differito» (15).

39.      Ciò si riflette nel quarto considerando della direttiva 90/434, secondo cui «il regime fiscale comune deve evitare un’imposizione all’atto di una fusione» (il corsivo è mio), mentre il sesto considerando fa riferimento al «sistema del riporto dell’imposizione delle plusvalenze inerenti ai beni conferiti, fino alla loro effettiva realizzazione (…) pur garantendo la loro successiva imposizione da parte dello Stato della società conferente, all’atto della loro realizzazione». Tale cosiddetto principio della neutralità fiscale riguarda solo il trattamento fiscale al momento della fusione, della scissione, del conferimento d’attivo o dello scambio di azioni transfrontalieri, e non ad uno stadio diverso. La neutralità fiscale si applica ai conferimenti di attivo come quello in discussione nel procedimento principale in forza dell’articolo 4, in combinato disposto con l’articolo 9, della direttiva 90/434.

40.      È quindi indubbio che la 3D I non possa invocare la direttiva 90/434 per opporsi alla riscossione dell’imposta da parte dell’Italia al momento del realizzo di una plusvalenza. Il diritto degli Stati membri di tassare le plusvalenze realizzate è espressamene riconosciuto dal sesto considerando della direttiva 90/434. La natura intra-Unione dell’operazione che dà luogo alla plusvalenza è irrilevante ai fini dell’imposta applicabile al momento del realizzo dei beni o delle partecipazioni, a seconda dei casi.

41.      Inoltre, gli obiettivi della direttiva 90/434, e in particolare del suo articolo 4, presentano limiti che assumono rilevanza ai fini delle questioni giuridiche emerse nel procedimento principale. Infatti, l’articolo 4 riguarda principalmente il modo in cui la società beneficiaria, nella fattispecie la società lussemburghese, valuta i beni conferiti. L’esclusione della tassazione delle plusvalenze al momento del conferimento, prevista dall’articolo 4, paragrafo 1, è espressamente subordinata dal paragrafo 2 del medesimo articolo alla condizione che «la società beneficiaria calcoli i nuovi ammortamenti e le plusvalenze o minusvalenze inerenti agli elementi d’attivo e di passivo trasferiti alle stesse condizioni in cui sarebbero state calcolate dalla o dalle società conferenti, se la fusione o la scissione non avesse avuto luogo».

42.      Tuttavia, la direttiva 90/434 nulla dice in ordine alla valutazione ai fini fiscali, da parte dello Stato membro in cui ha sede la società conferente, in questo caso l’Italia, delle azioni ricevute a fronte del conferimento di attivo. In altre parole, gli Stati membri possono lasciare alle società conferenti un margine di discrezionalità nella valutazione delle azioni ricevute e da iscrivere nei loro bilanci, ma non possono attribuire la medesima discrezionalità alle società beneficiarie, se esse intendono fruire della neutralità fiscale. Quest’ultima situazione è disciplinata dall’articolo 4, paragrafi 2 e 3, della direttiva 90/434.

43.      La Commissione ha tentato, in due occasioni, di fare in modo che la direttiva 90/434 si applicasse alla valutazione delle azioni ricevute dalle società conferenti, al fine di evitare la doppia imposizione economica della «medesima» plusvalenza. Lo ha fatto nel 1969, allorché ha proposto quella che molto più tardi è divenuta la direttiva 90/434. Tale proposta includeva una disposizione secondo cui le azioni della società beneficiaria potevano essere stimate dalla società conferente nel suo bilancio fiscale al valore reale dei beni conferiti senza che tale valutazione desse luogo ad imposizione (16). Nel 2003 la Commissione ha proposto un’analoga modifica della direttiva 90/434 (17), che non è stata adottata (18).

44.      Ritengo pertanto che l’argomento della 3D I non sia persuasivo nella parte in cui sostiene che tale tassazione della sua eventuale plusvalenza dovrebbe essere collegata e differita fino al momento in cui la società beneficiaria ceda gli attivi conferiti. Il legislatore non mirava, con la direttiva 90/434, né ad evitare un’eventuale doppia imposizione economica nel contesto del conferimento di attivi, né a consentire alla società conferente di distribuire ai soci plusvalenze esenti da imposta.

45.      In conclusione, la direttiva 90/434 impone agli Stati membri obblighi limitati in relazione alle società che conferiscono attivi a società aventi sede in un altro Stato membro e ricevono azioni in contropartita. In altri termini, sia le società conferenti sia le società beneficiarie devono poter optare per la neutralità fiscale garantita dall’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva. Ma qui finiscono gli obblighi dello Stato membro. Inoltre, le società conferenti non sono tenute a valutare in un determinato modo le azioni ricevute, e le proposte in questo senso sono state respinte, mentre a tale proposito l’articolo 4, paragrafi 2 e 3, impone regole chiare alle società beneficiarie.

C –    Sulla compatibilità dell’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 544/1992 con la direttiva 90/434

46.      La garanzia di neutralità fiscale di cui all’articolo 4 della direttiva 90/434 non è assoluta. Come hanno osservato nelle rispettive osservazioni scritte la Commissione ed il governo italiano, essa è subordinata alla circostanza che l’operazione rispetti il principio della continuità dei valori fiscali.

47.      Come rilevato dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 90/434 impone tale obbligo alla società beneficiaria per validi motivi. Lo scopo è evitare che la neutralità fiscale possa comportare un’esenzione dall’imposta sulle plusvalenze, mentre detta direttiva mira soltanto a differire l’imposizione fino a quando la plusvalenza non sia realizzata. Come ho già spiegato, l’articolo 4, paragrafi 2 e 3, della direttiva 90/434 impone alla società beneficiaria il rispetto del principio della continuità nella valutazione dell’attivo conferito ai fini del calcolo di eventuali nuovi ammortamenti e plusvalenze o minusvalenze inerenti agli elementi d’attivo e di passivo. Si tratta di una precondizione della neutralità fiscale.

48.      Ciò non si verifica invece per le società conferenti come la 3D I, la quale ha ricevuto azioni in cambio di beni. Come ho già spiegato, la direttiva 90/434 non riguarda la questione della valutazione delle azioni della società beneficiaria da parte della società conferente a fini fiscali e/o contabili.

49.      Tuttavia, il principio della neutralità fiscale di cui all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 90/434 si applica parimenti alla società conferente. A mio parere ciò esclude la tassazione delle plusvalenze della società conferente solo in ragione del conferimento d’attivo. Ciò premesso, il legislatore nazionale conserva un margine di discrezionalità per stabilire se la società conferente sia vincolata dal principio della continuità tra i valori fiscali e/o contabili degli attivi conferiti e il valore da essa attribuito alle azioni che ha ricevuto in contropartita, oppure possa scegliere di utilizzare valori diversi. Il legislatore italiano ha optato per la seconda alternativa.

50.      Come ho già rilevato, la 3D I ha scelto di iscrivere a bilancio le azioni ricevute in contropartita per il conferimento del proprio ramo di azienda ad un valore superiore a quello fiscalmente riconosciuto per tale attivo e di esercitare l’opzione prevista dalla legge italiana pagando l’imposta sostitutiva. La società in parola ha scelto questa opzione in quanto iscrivere nel proprio bilancio la differenza tra il valore (superiore) da essa attribuito alle azioni e il valore contabile (inferiore) del ramo di azienda, come fondo di riserva, era per essa poco interessante. Tale linea di condotta avrebbe generato un reddito imponibile in caso di distribuzione.

51.      Come hanno esposto in udienza il governo italiano e la Commissione, e come ha ammesso la 3D I, l’obbligo per essa scaturente dall’articolo 2, comma 2, di iscrivere a bilancio la differenza tra il valore dell’attivo conferito e quello delle azioni ricevute è meramente funzionale agli obblighi contabili necessariamente connessi alla valutazione delle azioni.

52.      Aggiungerei, inoltre, che l’obbligo di creare un apposito fondo di riserva nella colonna «Passività» del bilancio, in caso di rivalutazione di un bene, corrisponde alla disposizione sulla riserva di rivalutazione di cui all’articolo 33, paragrafo 2, lettere a) e d), della quarta direttiva del Consiglio 78/660. In altre parole, l’obbligo contabile contestato dalla 3D I e scaturente dall’articolo 2, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo n. 544/1992, sembra essere conforme ai requisiti della direttiva 78/660.

53.      Pertanto, è stata la stessa 3D I a scegliere di valutare le azioni nel modo sopra descritto. L’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 544/1992 non impone affatto di valutare le azioni nel modo seguito dalla società in parola. Né alcuna delle opzioni di valutazione conduce di per sé alla tassazione del conferimento di attivo. Secondo l’articolo 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo n. 544/1992, l’imposizione consegue solo al realizzo o alla distribuzione della differenza tra i valori fiscali.

54.      Come osservato dalla Commissione, la direttiva 90/434 si limita ad imporre allo Stato membro della società conferente l’obbligo di concedere la scelta della neutralità fiscale dei conferimenti d’attivo. La 3D I ha scelto di non avvalersi del sistema compatibile con la direttiva 90/434 offerto dalla legge italiana, e traendone un vantaggio. Così facendo, essa ha potuto pagare l’imposta sostitutiva, all’aliquota del 19%, anziché l’imposta al 33% che sarebbe stata altrimenti dovuta al momento del realizzo o della distribuzione (19) della plusvalenza.

55.      Pertanto, come ha rilevato la Commissione nelle sue osservazioni scritte, i fatti della presente controversia sono del tutto diversi da quelli esaminati dalla Corte nella sentenza A.T., che riguardava uno scambio di azioni. In quel caso, la legge tedesca in discussione aveva l’effetto di privare le società conferenti con sede in Germania della possibilità di realizzare uno scambio di azioni in maniera fiscalmente neutra. Infatti, secondo la normativa tedesca in questione, la società conferente poteva continuare ad utilizzare il valore contabile delle azioni ad essa cedute solo se anche la società acquirente di un altro Stato membro utilizzava il valore contabile per la partecipazione ricevuta. Nella causa A.T., la società acquirente (francese) aveva valutato la partecipazione non al suo valore contabile, ma al suo valore corrente. In tali circostanze la neutralità fiscale in Germania era chiaramente subordinata a «presupposti supplementari» (20) di reciprocità non previsti dalla direttiva 90/434. Per i motivi sopra esposti, gli obblighi contabili imposti dal diritto italiano e dal diritto dell’Unione non presentano alcuna analogia con la normativa tedesca impugnata nella causa A.T.

56.      Nel caso di specie, la 3D I non ha dovuto scegliere tra una tassazione incompatibile con il diritto dell’Unione e un’altra linea di condotta, meno favorevole. Ritengo, pertanto, che detta società non possa invocare la direttiva 90/434 a sostegno delle proprie pretese nei confronti dello Stato italiano (21).

V –    Conclusione

57.      Propongo quindi alla Corte di dichiarare irricevibile la questione pregiudiziale sottopostale dalla Commissione Tributaria Regionale di Milano.

In subordine, alla questione pregiudiziale si deve rispondere come segue:

«Gli articoli 4 e 9 della direttiva 90/434/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi, non ostano a disposizioni di diritto nazionale quali la normativa italiana di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 544».


1 –      Lingua originale: l’inglese.


2 –      GU L 225, pag. 1.


3 –      GU L 222, pag. 11.


4 –      Va rilevato che tale disposizione non è più in vigore, essendo stata abrogata nel contesto della riforma dell’imposta italiana sulle società del 2003.


5 –      Sentenza del 21 novembre 2002 (C-436/00, Racc. pag. I-10829).


6 –      V. sentenza dell’8 settembre 2009, Liga Portuguesa de Futebol Profissional e Bwin International (C-42/07, Racc. pag. I-7633, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).


7 –      V., in tal senso, sentenza del 1° luglio 2010, Sbarigia (C-393/08, Racc. pag. I-6337, punto 20 e giurisprudenza ivi citata).


8 –      V., in tal senso, sentenze del 29 aprile 2004, Orfanopoulos e Oliveri (C-482/01 e C-493/01, Racc. pag. I-5257, punto 42), e del 3 ottobre 2000, Corsten (C-58/98, Racc. pag. I-7919, punto 24).


9 –      Sentenze del 25 ottobre 2001, Ambulanz Glöckner (C-475/99, Racc. pag. I-8089, punto 10), e del 13 novembre 2003, Neri (C-153/02, Racc. pag. I-13555, punto 35).


10 –      V. sentenza Ofranopoulos e Olivieri, cit., punto 45.


11 –      Gli altri precedenti citati dal giudice nazionale sono le sentenze del 12 dicembre 2002, De Groot (C-385/00, Racc. pag. I-11819); del 18 settembre 2003, Bosal (C-168/01, Racc. pag. I-9409); del 15 luglio 2004, Wiedert e Paulus (C-242/03, Racc. pag. I-7379); del 15 luglio 2004, Lenz (C-315/02, Racc. pag. I-7063); del 7 settembre 2004, Manninen (C-319/02, Racc. pag. I-7477), e del 5 novembre 2002, Überseering (C-208/00, Racc. pag. I-9919).


12 –      L’evoluzione del diritto italiano sotto questo aspetto è stata parimenti oggetto di un lungo ed inconcludente dibattito in udienza.


13 –      Sentenza del 28 giugno 2000, Laguillaumie (C-116/00, Racc. pag. I-4979, punto 13).


14 –      Terra, B.J.M., e Wattel, P.J., European Tax Law, Kluwer International, 2012, pag. 669.


15 –      Sentenza dell’11 dicembre 2008 (C-285/07, Racc. pag. I-9329, paragrafo 1 delle conclusioni).


16 –      Proposta di direttiva del Consiglio riguardante il regime fiscale comune da applicarsi alle fusioni, alle scissioni ed ai conferimenti d’attivo che hanno luogo fra società di Stati membri diversi, articolo 10, paragrafo 3 (GU 1969, C 39, pag. 1).


17 –      Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 90/434/CEE, del 23 luglio 1990, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi [COM(2003) 613 def.]. V. la proposta di nuovo articolo 9, paragrafo 2.


18 –      V. direttiva 2005/19/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005, che modifica la direttiva 90/434/CEE relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi (GU L 58, pag. 19).


19 –      In udienza è stato discusso il rapporto tra i concetti di realizzo della plusvalenza e di distribuzione ai soci. A mio parere la direttiva 90/434 non mira ad impedire agli Stati membri di tassare le riserve dichiarate o tacite corrispondenti alla differenza tra il valore fiscale dei beni conferiti e l’effettivo valore delle azioni ricevute in contropartita, nel caso in cui tale riserva venga distribuita ai soci in un modo o nell’altro, se detta distribuzione è consentita dalle norme di diritto societario applicabili.


20 –      Sentenza A.T., cit., punto 26.


21 –      Quand’anche potesse farlo, la 3D I, secondo la giurisprudenza, non potrebbe chiedere il rimborso dell’imposta illegittimamente riscossa, ma solo il risarcimento dei danni conformemente alla giurisprudenza Francovich (C-479/93, Racc. pag. I-3843). V. sentenza del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation (C-446/04, Racc. pag. I-11753, punto 207).