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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MELCHIOR WATHELET

presentate il 27 gennaio 2016 (1)

Causa C-464/14

SECIL - Companhia Geral de Cal e Cimento SA

contro

Fazenda Pública

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal Tributário de Lisboa (tribunale tributario di Lisbona, Portogallo)]

«Rinvio pregiudiziale – Accordo euromediterraneo di associazione – Accordo CE-Tunisia – Accordo CE-Libano – Libera circolazione dei capitali – Restrizioni»





I –    Introduzione

1.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 63 TFUE e 64 TFUE e degli articoli 31, 34 e 89 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica tunisina, dall’altra, firmato a Bruxelles il 17 luglio 1995 e approvato a nome della Comunità europea e della Comunità europea del carbone e dell’acciaio con la decisione 98/238/CE, CECA del Consiglio e della Commissione, del 26 gennaio 1998 (2) (in prosieguo: l’«accordo CE-Tunisia»), nonché degli articoli 31, 33 e 85 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica libanese, dall’altra, firmato a Lussemburgo il 17 giugno 2002 e approvato a nome della Comunità europea con la decisione 2006/356/CE del Consiglio, del 14 febbraio 2006 (3) (in prosieguo: l’«accordo CE-Libano»).

2.        Rispetto ai casi precedenti che sollevavano questioni relative all’interpretazione degli accordi euromediterranei, la presente causa solleva questioni concernenti la libera circolazione dei capitali e riguarda pertanto l’applicazione sia delle disposizioni del Trattato FUE sia di quelle dei suddetti accordi. La Corte dovrà quindi esaminare per la prima volta la questione dell’eventuale priorità di applicazione delle une rispetto alle altre.

II – Contesto normativo

A –    Diritto dell’Unione

1.      Trattato FUE

3.        L’articolo 63, paragrafo 1, TFUE dispone quanto segue:

«Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi».

4.        L’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, che introduce una clausola di salvaguardia, così recita:

«Le disposizioni di cui all’articolo 63 lasciano impregiudicata l’applicazione ai paesi terzi di qualunque restrizione in vigore alla data del 31 dicembre 1993 in virtù delle legislazioni nazionali o della legislazione dell’Unione per quanto concerne i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti, che implichino investimenti diretti, inclusi gli investimenti in proprietà immobiliari, lo stabilimento, la prestazione di servizi finanziari o l’ammissione di valori mobiliari nei mercati finanziari. (…)».

5.        L’articolo 65, paragrafi da 1 a 3, TFUE prevede quanto segue:

«1.      Le disposizioni dell’articolo 63 non pregiudicano il diritto degli Stati membri:

a)      di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale;

b)      di prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, o di stabilire procedure per la dichiarazione dei movimenti di capitali a scopo di informazione amministrativa o statistica, o di adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

2.      Le disposizioni del presente capo non pregiudicano l’applicabilità di restrizioni in materia di diritto di stabilimento compatibili con i trattati.

3.      Le misure e le procedure di cui ai paragrafi 1 e 2 non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti di cui all’articolo 63».

2.      Accordo CE-Tunisia

6.        L’articolo 31 dell’accordo CE-Tunisia, figurante nel titolo III, rubricato «Diritto di stabilimento e servizi», è così formulato:

«1.      Le parti convengono di estendere il campo di applicazione dell’accordo per comprendere il diritto di stabilimento delle società di una parte sul territorio dell’altra e la liberalizzazione della prestazione di servizi ad opera delle società di una parte a favore di destinatari dei servizi situati nell’altra parte.

2.      Il Consiglio di associazione formula le raccomandazioni necessarie per il conseguimento dell’obiettivo di cui al paragrafo 1.

Nel formulare dette raccomandazioni, il Consiglio di associazione tiene conto delle esperienze maturate applicando il reciproco riconoscimento del trattamento della nazione più favorita e i rispettivi obblighi delle parti conformemente all’Accordo generale sugli scambi di servizi allegato all’accordo che istituisce [l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC)], in appresso denominato GATS, in particolare quelle di cui all’articolo V di tale accordo.

3.      Il perseguimento di detto obiettivo costituirà oggetto di un primo esame da parte del Consiglio di associazione entro cinque anni a decorrere dall’entrata in vigore dell’accordo».

7.        L’articolo 34 di tale accordo, figurante nel capitolo I, intitolato «Pagamenti correnti e movimento di capitali», del titolo IV, rubricato «Pagamenti, capitali, concorrenza e altre disposizioni economiche», così prevede:

«1.      Per quanto riguarda le operazioni in conto capitale, a decorrere dall’entrata in vigore del presente accordo [l’Unione] e la Tunisia garantiscono la libera circolazione dei capitali relativi ad investimenti diretti in Tunisia effettuati da società costituite secondo la normativa in vigore, nonché la liquidazione e il rimpatrio dei profitti di detti investimenti e di qualsiasi beneficio che ne derivi.

2.      Le parti si consultano reciprocamente per facilitare il movimento dei capitali tra [l’Unione] e la Tunisia e per liberalizzarlo integralmente quando ricorreranno le necessarie condizioni».

8.        L’articolo 89 di detto accordo, figurante nel capitolo I del titolo VIII, rubricato «Disposizioni istituzionali, generali e finali», dispone quanto segue:

«Nessuna disposizione dell’accordo avrà come effetto:

–        di ampliare i benefici in campo fiscale concessi da una delle parti in qualsiasi accordo o intesa internazionale al cui rispetto detta parte sia tenuta;

–        di impedire l’adozione o l’applicazione, ad opera di una delle parti, di qualsiasi misura destinata a evitare la frode o l’evasione fiscale;

–        di ostacolare il diritto di una parte di applicare le disposizioni pertinenti della sua legislazione fiscale ai contribuenti che non si trovano in una situazione identica per quanto riguarda la loro residenza».

3.      Accordo CE-Libano

9.        L’articolo 31 dell’accordo CE-Libano, figurante nel capitolo 1, intitolato «Pagamenti correnti e movimenti di capitali», del titolo IV, rubricato «Pagamenti, capitali, concorrenza e altre disposizioni economiche», così dispone:

«Nel quadro del presente accordo, e fatti salvi gli articoli 33 e 34, [l’Unione], da una parte, e il Libano, dall’altra, evitano qualsiasi restrizione alla circolazione dei capitali tra di essi e qualsiasi discriminazione basata sulla nazionalità o sul luogo di residenza dei loro cittadini oppure sul luogo nel quale viene investito il capitale».

10.      L’articolo 33, che figura nel medesimo capitolo 1 di detto accordo, prevede quanto segue:

«1.      Nel rispetto delle altre disposizioni del presente accordo e degli altri obblighi internazionali [dell’Unione] e del Libano, le disposizioni degli articoli 31 e 32 lasciano impregiudicata l’applicazione di eventuali restrizioni esistenti tra le parti alla data di entrata in vigore del presente accordo, per quanto riguarda i movimenti di capitali legati agli investimenti diretti, anche in campo immobiliare, allo stabilimento, alla prestazione di servizi finanziari o all’ammissione dei titoli nei mercati finanziari.

2.      Tali restrizioni non riguardano tuttavia il trasferimento all’estero di investimenti effettuati in Libano da persone residenti [nell’Unione] o [nell’Unione] da persone residenti in Libano e degli utili derivanti da tali investimenti».

11.      L’articolo 85 di detto accordo, figurante nel titolo VIII, rubricato «Disposizioni istituzionali, generali e finali», così dispone:

«Per quanto riguarda le imposte dirette, nessuna disposizione del presente accordo avrà l’effetto:

a)      di ampliare i benefici in campo fiscale concessi da una delle parti in qualsiasi accordo o intesa internazionale al cui rispetto detta parte sia tenuta;

b)      di impedire l’adozione o l’applicazione, ad opera di una delle parti, di qualsiasi misura destinata a evitare la frode o l’evasione fiscale;

c)      di ostacolare il diritto di una parte di applicare le disposizioni pertinenti della sua legislazione fiscale ai contribuenti che non si trovano in una situazione identica, in particolare per quanto riguarda la loro residenza».

B –    Diritto internazionale pubblico

12.      Ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, del 23 maggio 1969 (Raccolta dei Trattati delle Nazioni Unite, vol. 1155, pag. 331; in prosieguo: la «Convenzione di Vienna»), rubricato «Sfera di applicazione della presente Convenzione», essa si applica ai trattati fra Stati.

13.      L’articolo 30 di tale convenzione, rubricato «Applicazione di trattati successivi aventi per oggetto la stessa materia», dispone quanto segue:

«1.      Salvo quanto disposto dall’articolo 103 della Carta delle Nazioni Unite, i diritti e gli obblighi di Stati parti a trattati successivi aventi per oggetto la stessa materia sono determinati in conformità a quanto stabilito nei paragrafi seguenti.

(…)

3.      Quando tutte le parti a un precedente trattato sono anche parti a un trattato posteriore, senza che il trattato anteriore si sia estinto o che la sua applicazione sia stata sospesa in virtù dell’articolo 59, il trattato anteriore si applica soltanto nella misura in cui le sue disposizioni sono compatibili con quelle del trattato posteriore.

4.      Quando le parti ad un trattato anteriore non sono tutte parti al trattato posteriore:

a)      nei rapporti fra gli Stati parti ai due trattati la regola applicabile è quella enunciata al paragrafo 3;

b)      nei rapporti fra uno Stato parte ai due trattati e uno Stato parte ad uno soltanto di essi, il trattato al quale i due Stati sono parti regola i loro diritti e obblighi reciproci».

C –    Diritto portoghese

14.      Nella versione vigente nel 2009, l’articolo 46 del codice dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche (Código do Imposto sobre o Rendimento das Pessoas Colectivas; in prosieguo: il «CIRC»), rubricato «Eliminazione della doppia imposizione economica degli utili distribuiti», disponeva quanto segue:

«1.      Nell’ambito della determinazione dell’utile imponibile delle società commerciali o civili di forma commerciale, delle cooperative e delle imprese pubbliche, aventi sede o direzione effettiva nel territorio portoghese, sono dedotti i redditi, inclusi nella base imponibile, corrispondenti a utili distribuiti, a condizione che siano soddisfatti i requisiti seguenti:

a)      che la società che distribuisce gli utili abbia sede o direzione effettiva nello stesso territorio e sia soggetta, e non esente, all’imposta sul reddito delle persone giuridiche ovvero sia soggetta all’imposta di cui all’articolo 7;

b)      che il soggetto beneficiario non rientri nel regime di trasparenza fiscale di cui all’articolo 6;

c)      che il soggetto beneficiario detenga una partecipazione diretta nel capitale della società che distribuisce gli utili non inferiore al 10% o dal valore di acquisizione non inferiore ad EUR 20 000 000 e che il medesimo soggetto ne sia rimasto titolare, in modo ininterrotto, nel corso dell’anno precedente alla data di messa a disposizione degli utili ovvero, se ne è rimasto titolare per un periodo inferiore, purché la partecipazione sia mantenuta per il tempo necessario a completare tale periodo.

(…)

5.      Quanto disposto al paragrafo 1 vale anche nell’ipotesi di un soggetto residente nel territorio portoghese che detenga una partecipazione, nei termini e alle condizioni previsti da tale disposizione, in un soggetto residente in un altro Stato membro dell’Unione europea, a condizione che entrambi i soggetti soddisfino i requisiti di cui all’articolo 2 della [direttiva 90/435/CEE, del 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (GU L 225, pag. 6)].

6.      Le disposizioni dei paragrafi da 1 a 5 si applicano del pari ai redditi compresi nella base imponibile corrispondenti a utili distribuiti imputabili a un’organizzazione stabile, situata nel territorio portoghese, di un soggetto residente in un altro Stato membro dell’Unione europea che detenga, nei termini e alle condizioni ivi previsti, una partecipazione in un soggetto residente in uno Stato membro, sempre che tali due soggetti soddisfino gli obblighi e le condizioni di cui all’articolo 2 della direttiva 90/435.

(…)

8.      La deduzione di cui al paragrafo 1 è limitata al 50% dei redditi inclusi nell’utile imponibile corrispondenti a:

a)      utili distribuiti, ove non sia soddisfatto alcun requisito tra quelli indicati alle lettere b) e c) dello stesso paragrafo, nonché i redditi che l’associato percepisce dall’associazione alla quota, a condizione che ricorra, in un caso o nell’altro, la condizione di cui alla lettera a) del paragrafo 1;

b)      utili distribuiti da un soggetto residente in un altro Stato membro dell’Unione europea ove esso soddisfi le condizioni di cui all’articolo 2 della direttiva 90/435 e non ricorra alcun requisito tra quelli previsti alla lettera c) del paragrafo 1.

(…)».

15.      Per quanto riguarda i benefici fiscali all’investimento, che risultano da un contratto concluso tra lo Stato portoghese e il contribuente, l’articolo 41, paragrafo 5, lettera b), della legge sui benefici fiscali (Estatuto dos Benefícios Fiscais; in prosieguo: l’«EBF»), nella versione vigente nel 2009, disponeva quanto segue:

«5.      Ai promotori dei progetti di investimento (…) possono essere concessi i seguenti benefici fiscali:

(...)

b)      eliminazione della doppia imposizione economica secondo i termini e alle condizioni previsti all’articolo 46 del CIRC, per la durata del contratto, qualora l’investimento sia effettuato sotto forma di costituzione o di acquisizione di società straniere».

16.      Nella versione in vigore nel 2009, l’articolo 42 dell’EBF, rubricato «Eliminazione della doppia imposizione economica degli utili distribuiti da società residenti negli Stati africani di lingua ufficiale portoghese e nella Repubblica democratica di Timor Est», dispone:

«1.      La deduzione prevista al paragrafo 1 dell’articolo 46 del [CIRC] si applica agli utili distribuiti a soggetti residenti da parte di società controllate residenti in paesi africani di lingua ufficiale portoghese e a Timor Est, purché ricorrano le seguenti condizioni:

a)      che la società beneficiaria degli utili sia soggetta, e non esente, all’IRC e che la società controllata sia soggetta, e non esente, ad un’imposta sul reddito simile all’IRC;

b)      che il soggetto beneficiario detenga, direttamente, una partecipazione che rappresenti almeno il 25% del capitale della società controllata per un periodo non inferiore a due anni;

c)      che gli utili distribuiti provengano da utili della società controllata che siano stati tassati con un’aliquota non inferiore al 10% e che non derivino da attività generatrici di redditi passivi, in particolare royalties, plusvalenze e altri redditi relativi a valori mobiliari, redditi derivanti da immobili situati fuori del paese di residenza della società, da attività assicurativa, principalmente da assicurazioni relative a beni situati fuori dal territorio di residenza della società o da assicurazioni riferibili a persone che non risiedono in tale territorio e redditi derivanti da operazioni bancarie non dirette principalmente al mercato di tale territorio».

17.      La Convenzione conclusa tra la Repubblica portoghese e la Repubblica tunisina volta ad impedire la doppia imposizione in materia di imposte sul reddito, conclusa a Lisbona il 24 febbraio 1999 (4), dispone, all’articolo 10, rubricato «Dividendi» e figurante nel capitolo III, intitolato «Imposizione dei dividendi»:

«1.      I dividendi pagati da una società residente di uno Stato contraente ad un residente di un altro Stato contraente possono essere tassati in quest’ultimo Stato.

2.      Detti dividendi possono essere, tuttavia, tassati anche nello Stato contraente di residenza della società che li paga, in conformità della legislazione di tale Stato, ma se il soggetto che li riceve ne è il beneficiario effettivo, l’imposta prevista non potrà eccedere il 15% dell’importo lordo di tali dividendi.

(…)».

18.      L’articolo 25 di detta convenzione, rubricato «Scambio di informazioni» e figurante nel capitolo V, intitolato «Disposizioni speciali», prevede quanto segue:

«1.      Le autorità competenti degli Stati contraenti si scambieranno le informazioni necessarie per applicare le disposizioni della presente convenzione e quelle delle leggi interne degli Stati contraenti riguardanti le imposte oggetto della convenzione, nella misura in cui la tassazione che tali leggi prevedono non è contraria alla convenzione. Lo scambio di informazioni non è soggetto a limitazioni ai sensi dell’articolo 1. Qualsiasi informazione ricevuta da una parte contraente viene trattata in maniera riservata e può essere comunicata solamente a persone o autorità (compresi tribunali e organi amministrativi) incaricate dell’accertamento o della riscossione delle imposte contemplate nella presente convenzione, delle procedure esecutive o dei procedimenti concernenti tali imposte, o delle decisioni di ricorsi presentati per tali imposte. Dette persone o autorità utilizzano tali informazioni solamente per questi fini. Esse possono servirsi di tali informazioni nel corso di udienze pubbliche di tribunali o nei giudizi.

2.      Le disposizioni del paragrafo 1 non possono in nessun caso essere interpretate nel senso di imporre ad uno Stato contraente l’obbligo:

a)      di adottare provvedimenti amministrativi in deroga alla propria legislazione o alla propria prassi amministrativa o a quella dell’altro Stato contraente;

b)      di fornire informazioni che non potrebbero essere ottenute in base alla propria legislazione o nel quadro della propria normale prassi amministrativa o di quella dell’altro Stato contraente;

c)      di fornire informazioni che potrebbero rivelare un segreto commerciale, industriale, professionale o un processo commerciale oppure informazioni la cui comunicazione sarebbe contraria all’ordine pubblico».

III – Controversia principale e questioni pregiudiziali

19.      La SECIL – Companhia Geral de Cal e Cimento SA (in prosieguo: la «SECIL») è una società per azioni di diritto portoghese avente sede a Outão (Portogallo). Ai fini fiscali essa è soggetta al regime speciale di tassazione dei gruppi di società.

20.      La SECIL è stata fondata nel 1930 ed è una produttrice di cemento. Nel 2009 essa deteneva il 98,72% del capitale sociale della Société des Ciments de Gabés SA (in prosieguo: la «Ciments de Gabés»), con sede a Tunisi (Tunisia), nonché il 51,05% del capitale sociale della società Ciments de Sibline, S.A.L. (in prosieguo: la «Ciments de Sibline»), con sede a Beirut (Libano).

21.      Nel 2009 la SECIL riceveva, a titolo di dividendi, EUR 6 288 683,39 dalla Ciments de Gabés e EUR 2 022 478,12 dalla Ciments de Sibline.

22.      Dopo che ciascuna delle sue controllate era stata tassata, l’una in Tunisia e l’altra in Libano, la SECIL dichiarava i dividendi in Portogallo, in cui i medesimi non erano oggetto di alcun meccanismo di eliminazione o attenuazione della doppia imposizione economica.

23.      La SECIL doveva quindi versare alla Fazenda pública (Erario pubblico) un totale di EUR 4 587 208,20 a titolo di imposta sulle società.

24.      Il 29 maggio 2012 la SECIL proponeva ricorso amministrativo dinanzi al direttore delle finanze di Setúbal (Diretor de Finanças de Setúbal) adducendo che la tassazione dei dividendi distribuiti dalla Ciments de Gabés e dalla Ciments de Sibline era illegittima, in quanto la legge portoghese, escludendo l’applicazione delle norme relative all’eliminazione della doppia imposizione economica, violava gli accordi CE-Tunisia e CE-Libano nonché il Trattato FUE.

25.      Tale ricorso veniva respinto con decisione del 10 ottobre 2012, comunicato alla SECIL con lettera del 17 ottobre 2012.

26.      La SECIL impugnava detta decisione dinanzi al Tribunal Tributário de Lisboa (tribunale tributario di Lisbona), sostenendo, in sostanza, che il rifiuto delle autorità fiscali portoghesi di applicare il regime di eliminazione della doppia imposizione economica vigente in Portogallo per l’esercizio 2009, previsto dall’articolo 46, paragrafi 1 e 8, del CIRC nonché dagli articoli 41, paragrafo 5, lettera b), e 45 dell’EBF, non era conforme né al diritto internazionale pubblico né al diritto dell’Unione, in quanto il suddetto regime si applicava solo agli utili distribuiti da società aventi residenza fiscale in Portogallo, in uno Stato membro dell’Unione o dello Spazio economico europeo (SEE), in uno dei paesi africani la cui lingua ufficiale è il portoghese o a Timor Est. Secondo la SECIL, tale disparità di trattamento nei confronti degli utili provenienti dalla Tunisia e dal Libano violerebbe gli accordi CE-Tunisia e CE-Libano nonché gli articoli 49 TFUE e 63 TFUE.

27.      Il Tribunal Tributário de Lisboa ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

1)      Se l’articolo 31 dell’accordo [CE-Tunisia] sia configurabile come una norma chiara, precisa e incondizionata, e quindi immediatamente applicabile, che comporta l’applicazione nel caso di specie del diritto di stabilimento.

2)      In caso affermativo, se il diritto di stabilimento ivi previsto comporti, come ritenuto dalla [SECIL], pena la violazione di detto diritto, l’applicazione del meccanismo di deduzione integrale di cui al paragrafo 1 dell’articolo 46 del CIRC ai dividendi percepiti da parte della [SECIL] dalla sua filiale in Tunisia.

3)      Se l’articolo 34 dell’accordo [CE-Tunisia] sia configurabile come una norma chiara, precisa e incondizionata, e quindi immediatamente applicabile, che comporta l’applicazione nel caso di specie della libera circolazione dei capitali e che pertanto debba ritenersi che l’investimento effettuato dalla [SECIL] rientri nel suo ambito di applicazione.

4)      In caso affermativo, se la libera circolazione dei capitali ivi prevista comporti, come ritenuto dalla ricorrente, l’applicazione del meccanismo di deduzione integrale di cui al paragrafo 1 dell’articolo 46 del CIRC ai dividendi percepiti da parte della [SECIL] dalla sua filiale in Tunisia.

5)      Se quanto disposto all’articolo 89 dell’accordo [CE-Tunisia] condizioni la risposta affermativa alle questioni precedenti.

6)      Se sia giustificabile un trattamento restrittivo dei dividendi distribuiti dalla [Ciments de Gabés], tenuto conto che non esiste con la Repubblica tunisina il quadro di cooperazione previsto dalla direttiva 77/799/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1977, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette [GU 1977, L 336, pag. 15].

7)      Se il combinato disposto degli articoli 31 e 33, paragrafo 2, dell’accordo [CE-Libano] sia configurabile come una norma chiara, precisa e incondizionata, e quindi immediatamente applicabile, che comporta l’applicazione nel caso di specie della libera circolazione dei capitali.

8)      In caso affermativo, se la libera circolazione dei capitali ivi prevista comporti, come ritenuto dalla [SECIL], l’applicazione del meccanismo di deduzione integrale di cui al paragrafo 1 dell’articolo 46 del CIRC ai dividendi percepiti da parte della [SECIL] dalla sua filiale in Libano.

9)      Se quanto disposto all’articolo 85 dell’accordo [CE-Libano] condizioni la risposta affermativa alle questioni precedenti.

10)      Se sia giustificabile un trattamento restrittivo dei dividendi distribuiti dalla [Ciments de Sibline], tenuto conto che non esiste con la Repubblica libanese il quadro di cooperazione previsto dalla direttiva 77/799.

11)      Se sia applicabile al caso di specie l’articolo 56 CE (divenuto articolo 63 TFUE) e, in caso affermativo, se dalla libera circolazione dei capitali ivi sancita derivi l’obbligo di applicazione ai dividendi distribuiti nell’esercizio 2009 dalla [Ciments de Gabés] e dalla [Ciments de Sibline] alla [SECIL] del meccanismo di deduzione integrale di cui al paragrafo 1 dell’articolo 46 del CIRC o, in alternativa, del meccanismo di deduzione parziale di cui al paragrafo 8 della stessa disposizione.

12)      Se, ammesso che la libera circolazione dei capitali sia applicabile al caso di specie, la mancata applicazione ai dividendi in questione dei meccanismi di eliminazione o attenuazione della doppia imposizione economica previsti dalla normativa portoghese allora vigente sia giustificata alla luce del fatto che non esiste con la Repubblica tunisina e con la Repubblica libanese il quadro di cooperazione previsto dalla direttiva 77/799.

13)      Se la clausola di salvaguardia di cui all’articolo 57, paragrafo 1, CE (divenuto articolo 64 TFUE) osti all’applicazione della libera circolazione dei capitali, con le conseguenze invocate dalla [SECIL].

14)      Se la clausola di salvaguardia di cui all’articolo 57, paragrafo 1, CE (divenuto articolo 64 TFUE) non debba essere applicata in ragione dell’introduzione, frattanto, del regime dei benefici fiscali all’investimento di natura contrattuale di cui all’articolo 41, paragrafo 5, lettera b), dell’EBF e del regime di cui all’articolo 42 dell’EBF per i dividendi che hanno origine nei paesi africani di lingua ufficiale portoghese e in Timor Est».

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

28.      La presente domanda di pronuncia pregiudiziale è stata depositata dinanzi alla Corte l’8 ottobre 2014. Hanno presentato osservazioni scritte la SECIL, i governi portoghese, ellenico e svedese nonché la Commissione europea.

29.      In applicazione dell’articolo 61, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, le parti sono state invitate a rispondere ai quesiti della Corte relativi al rapporto tra il Trattato FUE e gli accordi euromediterranei e hanno ottemperato a tale invito.

30.      All’udienza tenutasi il 18 novembre 2015 la SECIL, il governo portoghese e la Commissione hanno presentato le proprie osservazioni orali.

V –    Analisi

A –    Osservazioni preliminari

31.      La presente domanda di pronuncia pregiudiziale presenta una particolarità piuttosto rara nella giurisprudenza della Corte, in quanto solleva il problema dell’applicazione concorrente delle disposizioni del Trattato FUE e degli accordi euromediterranei, vale a dire gli articoli 49 TFUE, 63 TFUE e 64 TFUE nonché gli articoli 31, 34 e 89 dell’accordo CE-Tunisia e 31, 33 e 85 dell’accordo CE-Libano.

32.      A tale proposito, è d’uopo rammentare che, secondo costante giurisprudenza, un accordo concluso dall’Unione e uno o più Stati terzi costituisce, per quanto riguarda l’Unione, un atto compiuto da una delle sue istituzioni ai sensi dell’articolo 267, primo comma, lettera b), TFUE, che le disposizioni di un siffatto accordo formano, dal momento della sua entrata in vigore, parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione e che, nell’ambito di questo ordinamento, la Corte è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione dell’accordo stesso (5).

33.      Su tale base, la Corte ha avuto spesso occasione di rispondere a questioni pregiudiziali relative all’interpretazione delle disposizioni degli accordi euromediterranei, ossia gli accordi CEE-Algeria (6), CE-Marocco (7), CE-Israele e CE-OLP (8), CE-Libano (9), CE-Egitto (10) e CE-Tunisia (11).

34.      Tuttavia, in nessuna di tali occasioni era stata sollevata la questione dell’applicabilità concorrente delle disposizioni del Trattato FUE e degli accordi euromediterranei.

35.      Lo stesso vale per i casi in cui erano state poste questioni di interpretazione degli accordi di associazione CEE-Grecia (12), CEE-Turchia (13) e CE-Ungheria (14) nonché dell’accordo di partenariato e di cooperazione CE-Russia (15).

36.      Per contro, la questione dell’applicabilità concorrente delle disposizioni del Trattato FUE sulla libera circolazione dei capitali e di quelle dell’accordo SEE concernenti la medesima libertà è stata oggetto di varie domande di pronuncia pregiudiziale (16) e di ricorsi diretti (17).

37.      Tuttavia, tale giurisprudenza non è utile nella presente causa, poiché la Corte ha spesso affermato che «le norme che vietano le restrizioni ai movimenti di capitali e la discriminazione che esse enunciano, per quanto riguarda i rapporti tra gli Stati parti dell’accordo SEE, siano essi membri dell’Unione o membri dell’AELS, sono identiche a quelle che il diritto dell’Unione impone nei rapporti tra gli Stati membri» (18).

38.      Atteso che il livello di protezione giuridica accordato in tale materia dal Trattato FUE e dall’accordo SEE è il medesimo, è irrilevante che le disposizioni applicabili siano quelle del Trattato FUE o quelle dell’accordo SEE. Pertanto, la questione dell’esistenza o meno di una gerarchia o di una priorità fra tali disposizioni non si poneva nei casi in cui erano applicabili tanto il Trattato FUE quanto l’accordo SEE.

39.      Così non è nel caso di specie, dato che le disposizioni applicabili degli accordi CE-Tunisia e CE-Libano non sono identiche a quelle del Trattato FUE. Da un lato, ammesso che le disposizioni di tali accordi relative alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali abbiano effetto diretto, la loro portata è limitata dagli articoli 89 dell’accordo CE-Tunisia e 85 dell’accordo CE-Libano, che limitano la portata di detti accordi nel settore della fiscalità diretta. Dall’altro, diversamente dal Trattato FUE, l’accordo CE-Tunisia non contiene clausole di salvaguardia restrittive della libera circolazione dei capitali, mentre la clausola di salvaguardia prevista all’articolo 33 dell’accordo CE-Libano esclude dal suo ambito di applicazione il trasferimento all’estero di investimenti effettuati in Libano da persone fisiche o giuridiche residenti nell’Unione.

40.      Può quindi porsi la questione se l’applicazione delle disposizioni degli accordi CE-Tunisia e CE-Libano escluda l’applicazione delle disposizioni del Trattato FUE o viceversa.

41.      Secondo costante giurisprudenza, «[gli accordi conclusi dall’Unione] prevalgono sugli atti di diritto [dell’Unione] derivato» (19) e la Corte ha aggiunto che «tale prevalenza sul piano del diritto [dell’Unione] non si estende[rebbe] al diritto primario» (20).

42.      Tuttavia, il diritto internazionale pubblico non prevede una gerarchia tra i diversi trattati conclusi dagli Stati. Infatti, come ha rilevato il professor Charles Rousseau, «[e]ssendo concepita per l’ordinamento nazionale, basato sulla gerarchia di organi e norme, [la dottrina kelseniana secondo cui la contrarietà di una norma di rango inferiore a una norma di rango superiore comporta la sua nullità o annullabilità o una sanzione nei confronti dell’organo responsabile] non è idonea a risolvere i conflitti di norme internazionali, in quanto la maggior parte delle regole del diritto internazionale sono norme convenzionali emanate da organi distinti e non gerarchizzati» (21), ad eccezione dell’articolo 103 della Carta delle Nazioni Unite (22) e delle norme dello ius cogens (23) che prevalgono su ogni altra norma contraria del diritto internazionale (24).

43.      Orbene, poiché l’ordinamento giuridico dell’Unione si inscrive nel solco della dottrina kelseniana e stabilisce una gerarchia di norme in base alla quale il Trattato FUE prevale sul diritto internazionale pubblico, si può ricorrere a tale gerarchia di norme solo in caso di antinomia tra le disposizioni dei diversi trattati applicabili, a meno che si tratti di un conflitto apparente che può essere risolto per via interpretativa (25).

44.      A mio avviso, vari elementi escludono che si possa concludere nel senso dell’esistenza di una tale antinomia tra le disposizioni del Trattato FUE e gli accordi CE-Tunisia e CE-Libano. Al contrario, al pari delle disposizioni del Trattato FUE sulle grandi libertà di circolazione, e come indicato dall’articolo 1, paragrafo 2, secondo trattino, dell’accordo CE-Tunisia e dall’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), dell’accordo CE-Libano, detti accordi si prefiggono l’obiettivo di «stabilire le condizioni per la progressiva liberalizzazione degli scambi di beni, di servizi e di capitali».

45.      Come la Corte ha dichiarato a più riprese, gli accordi euromediterranei perseguono «l’obiettivo di promuovere una cooperazione globale tra le parti contraenti, al fine di contribuire allo sviluppo economico e sociale del [paese terzo interessato] e di favorire il consolidamento delle loro relazioni» (26).

46.      Pertanto, introducendo disposizioni che prevedono la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei capitali, gli accordi CE-Tunisia e CE-Libano si mantengono nel solco dei principi ispiratori del Trattato FUE, senza perseguire obiettivi contrastanti con quelli di tale Trattato.

47.      La suddetta antinomia non può risultare nemmeno dalla presenza degli articoli 89 dell’accordo CE-Tunisia e 85 dell’accordo CE-Libano.

48.      Infatti, tali disposizioni sono semplicemente intese a non estendere ai cittadini delle altre parti i vantaggi accordati dalle convenzioni per la prevenzione della doppia imposizione conclusi da una delle parti dell’accordo euromediterraneo, a non impedire l’adozione e l’applicazione di qualsiasi misura di contrasto alla frode e all’evasione fiscale e a non ostacolare l’applicazione delle disposizioni del diritto tributario delle parti contraenti che accordano un trattamento differenziato ai contribuenti in funzione della loro residenza.

49.      L’articolo 65, paragrafo 1, TFUE riprende i medesimi obiettivi e, sebbene non parli di convenzioni volte a prevenire la doppia imposizione, nulla nel Trattato FUE consente a un cittadino tunisino o libanese di ottenere un vantaggio accordato da una convenzione per prevenire la doppia imposizione conclusa tra la Repubblica portoghese e un altro Stato (27).

50.      Del pari, il fatto che l’accordo CE-Tunisia non contenga clausole di salvaguardia restrittive della libera circolazione dei capitali e che la clausola di salvaguardia prevista all’articolo 33 dell’accordo CE-Libano escluda dal suo ambito di applicazione il trasferimento all’estero degli utili derivanti da investimenti effettuati in Libano da persone residenti nell’Unione non si pone in contrasto con l’articolo 64 TFUE.

51.      Infatti, la clausola di salvaguardia, prevista da tale disposizione a favore delle restrizioni alla libera circolazione dei capitali già in vigore al 31 dicembre 1993, non impone alcun obbligo di mantenere tali restrizioni e vieta di ampliarne la portata.

52.      Pertanto, come sostenuto dal governo svedese nella sua risposta scritta ai quesiti della Corte, non è possibile fare ricorso alla gerarchia delle norme. Occorre dunque esaminare se le disposizioni dei suddetti accordi siano applicabili in via esclusiva conformemente al principio lex posterior derogat legi priori.

53.      Non si tratta soltanto di un principio generale del diritto la cui esistenza nell’ordinamento dell’Unione è stata riconosciuta da vari avvocati generali della Corte (28), ma altresì di un principio del diritto internazionale, codificato nell’articolo 30, paragrafi 1, 3 e 4, della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, conclusa a Vienna il 23 maggio 1969 (29).

54.      A mio avviso, nella presente causa è applicabile la norma codificata all’articolo 30, paragrafo 3, della Convenzione di Vienna (30), sicché occorre stabilire quale dei due trattati sia anteriore all’altro.

55.      Gli accordi CE-Tunisia e CE-Libano devono essere considerati, per le disposizioni qui rilevanti, posteriori al Trattato FUE, anche se sono stati conclusi prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Infatti, per quanto riguarda la libera circolazione dei capitali, il TFUE si è limitato a riprendere il trattato precedente. Più specificamente, il divieto di «tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi» (31) quale lo conosciamo oggi, risale al 1992 (32), data anteriore alla conclusione degli accordi CE-Tunisia e CE-Libano.

56.      Da quanto precede deriva che, ai sensi dell’articolo 30, paragrafo 3, della Convenzione di Vienna, poiché tutte le parti del trattato anteriore, ossia il Trattato FUE, sono anche parti del trattato successivo, ossia gli accordi CE-Tunisia e CE-Libano, le disposizioni del Trattato FUE sono applicabili solo se non sono state sostituite da quelle dei suddetti accordi.

57.      Tale interpretazione è coerente con la posizione assunta dall’avvocato generale Jääskinen al paragrafo 28 delle conclusioni nella causa Établissements Rimbaud (C-72/09, EU:C:2010:235), secondo cui, in un caso rientrante, come quello in esame, nell’ambito della libera circolazione dei capitali, «i principi lex posterior derogat legi priori e lex specialis derogat legi generali sembrano escludere qualsiasi applicazione dell’[articolo 64, paragrafo 1, TFUE] ai rapporti tra gli Stati membri e il Principato del Liechtenstein». Pertanto, l’applicazione dell’articolo 40 dell’Accordo SEE che, al pari dell’accordo CE-Tunisia, non conteneva una clausola di salvaguardia, escludeva l’applicazione della clausola di salvaguardia prevista dal Trattato FUE (33).

B –    Sulle questioni pregiudiziali dalla prima alla terza e settima

58.      Con le questioni dalla prima alla terza e settima, il giudice del rinvio si interroga sulla questione se gli articoli 31 dell’accordo CE-Tunisia e 30 dell’accordo CE-Libano (34) (che prevedono il diritto di stabilimento e la libera prestazione dei servizi), da un lato, e gli articoli 34 dell’accordo CE-Tunisia e 31 dell’accordo CE-Libano (che prevedono la libera circolazione dei capitali), dall’altro, abbiano effetto diretto.

1.      Sulla libertà in discussione nel procedimento principale

59.      Prima di rispondere a tali questioni occorre esaminare se la presente causa rientri nell’ambito del diritto di stabilimento o in quello della libera circolazione dei capitali.

60.      Sebbene tale questione preliminare non sia stata sollevata, finora, in relazione agli accordi euromediterranei, esiste, per quanto riguarda gli articoli 49 TFUE (libertà di stabilimento) e 63 TFUE (libera circolazione dei capitali), una costante giurisprudenza della Corte che può essere trasposta al caso di specie.

61.      Secondo detta giurisprudenza, «il trattamento fiscale dei dividendi può ricadere nella sfera di applicazione dell’articolo 49 TFUE, riguardante la libertà di stabilimento, e in quella dell’articolo 63 TFUE, relativo alla libera circolazione dei capitali» (35).

62.      A parere del governo portoghese, la presente causa rientrerebbe esclusivamente nell’ambito del diritto di stabilimento previsto agli articoli 31 dell’accordo CE-Tunisia e 30 dell’accordo CE-Libano, in quanto la SECIL esercita un’influenza decisiva sulle sue controllate Ciments de Gabés e Ciments de Sibline.

63.      Tuttavia, come rileva la Commissione, la normativa portoghese in discussione nel procedimento principale non distingue tra i dividendi percepiti da una società residente per effetto di una partecipazione attributiva di sicura influenza sulle decisioni della società distributrice di detti dividendi e tale da poterne determinare l’attività, e i dividendi percepiti per effetto di una partecipazione non attributiva di siffatta influenza.

64.      Orbene, «una normativa nazionale relativa al trattamento fiscale di dividendi originari di un paese terzo, la quale non si applichi esclusivamente alle situazioni nelle quali la società madre esercita un’influenza determinante sulla società che distribuisce i dividendi, deve essere valutata alla luce dell’articolo 63 TFUE. Una società residente di uno Stato membro può dunque, indipendentemente dall’entità della partecipazione da essa detenuta nella società distributrice di dividendi stabilita in un paese terzo, invocare la suddetta disposizione al fine di contestare la legittimità di una normativa siffatta (v., in tal senso, sentenza A, C-101/05, EU:C:2007:804, punti 11 e 27)» (36).

65.      Di conseguenza, per quanto riguarda il Trattato FUE, la presente causa rientrerebbe nell’ambito della libera circolazione dei capitali.

66.      Tale giurisprudenza mi sembra trasponibile agli accordi euromediterranei che contengono, al pari del Trattato FUE, disposizioni sul diritto di stabilimento e sulla libera circolazione dei capitali.

67.      Ritengo, al pari della Commissione, che la presente causa non rientri nell’ambito del diritto di stabilimento previsto dagli articoli 31 dell’accordo CE-Tunisia e 30 dell’accordo CE-Libano, bensì in quello della libera circolazione dei capitali prevista rispettivamente dagli articoli 34 e 31 dei medesimi accordi. Pertanto, non è necessario rispondere alla prima e alla seconda questione né alla settima questione, nella misura in cui riguardano il diritto di stabilimento.

2.      Sull’ambito di applicazione degli articoli 34 dell’accordo CE-Tunisia e 31 dell’accordo CE-Libano

68.      Occorre accertare se il procedimento principale, vertente sul trattamento fiscale dei dividendi pagati dalla Ciments de Gabés e dalla Ciments de Sibline alla sua azionista SECIL, rientri nel campo di applicazione degli articoli 34 dell’accordo CE-Tunisia e 31 dell’accordo CE-Libano.

69.      A tal riguardo, rilevo che, mentre l’articolo 31 dell’accordo CE-Libano vieta in generale le «restrizion[i] alla circolazione dei capitali», l’articolo 34 dell’accordo CE-Tunisia limita tale libertà agli «investimenti diretti in Tunisia effettuati da società costituite secondo la normativa in vigore, nonché la liquidazione e il rimpatrio dei profitti di detti investimenti e di qualsiasi beneficio che ne derivi».

70.      Interpretando la nozione di «investimenti diretti» figurante all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, la Corte ha dichiarato che «[tale] nozione (…) riguarda gli investimenti di qualsiasi tipo effettuati da persone fisiche o giuridiche aventi lo scopo di stabilire o mantenere legami durevoli e diretti fra il finanziatore e l’impresa cui tali fondi sono destinati per l’esercizio di un’attività economica» (37).

71.      Poiché «l’obiettivo di creare o mantenere legami economici durevoli presuppone che le azioni detenute dall’azionista conferiscano a quest’ultimo, sia a norma delle disposizioni di legge nazionali sulle società per azioni sia altrimenti, la possibilità di partecipare effettivamente alla gestione di tale società o al suo controllo» (38), mi sembra incontestabile che un investimento quale quello effettuato dalla SECIL nel capitale sociale della Ciments de Gabés a partire dal 2000 e che, nel 2009, ammontava al 98,72% di detto capitale, soddisfi ampiamente tali criteri.

72.      Inoltre, nel diritto internazionale si riscontra un’analoga definizione della nozione di «investimento» nella Convenzione per la risoluzione delle controversie relative agli investimenti: «[g]eneralmente la dottrina considera che l’investimento presuppone degli apporti, una certa durata dell’esecuzione del contratto e la partecipazione ai rischi dell’operazione (…). Leggendo il preambolo della [Convenzione per la risoluzione delle controversie relative agli investimenti], si potrebbe aggiungere il criterio del contributo allo sviluppo economico dello Stato che ospita l’investimento» (39).

73.      Pertanto, la presente causa rientra nell’ambito di applicazione degli articoli 34 dell’accordo CE-Tunisia e 31 dell’accordo CE-Libano.

3.      Sull’effetto diretto degli articoli 34 dell’accordo CE-Tunisia e 31 dell’accordo CE-Libano

74.      Occorre rilevare che, come dichiarato dalla Corte al punto 25 della sentenza Gattoussi (C-97/05, EU:C:2006:780) in relazione all’articolo 64, paragrafo 1, dell’accordo CE-Tunisia, «[s]econdo una costante giurisprudenza, una disposizione di un accordo concluso dalle Comunità con Stati terzi dev’essere considerata dotata di effetto diretto quando, avuto riguardo al suo tenore, nonché all’oggetto e alla natura dell’accordo, stabilisce un obbligo chiaro e preciso che non è subordinato, per quanto riguarda la sua attuazione o i suoi effetti, all’intervento di alcun atto ulteriore» (40).

75.      Per quanto riguarda, in primo luogo, l’articolo 34, paragrafo 1, dell’accordo CE-Tunisia, esso prevede che «[l’Unione] e la Tunisia garantiscono la libera circolazione dei capitali relativi ad investimenti diretti in Tunisia effettuati da società costituite secondo la normativa in vigore, nonché la liquidazione e il rimpatrio dei profitti di detti investimenti e di qualsiasi beneficio che ne derivi» (41).

76.      L’articolo 31 dell’accordo CE-Libano dispone invece che «[l’Unione], da una parte, e il Libano, dall’altra, evitano qualsiasi restrizione alla circolazione dei capitali tra di essi e qualsiasi discriminazione basata sulla nazionalità o sul luogo di residenza dei loro cittadini oppure sul luogo nel quale viene investito il capitale» (42).

77.      Ritengo che, come rilevato dalla SECIL e dalla Commissione, si tratti nella fattispecie di disposizioni chiare, precise e incondizionate, in quanto stabiliscono un obbligo molto concreto quanto al risultato da raggiungere senza che debba intervenire alcun atto ulteriore per la loro attuazione.

78.      Come dimostra il governo portoghese nelle sue osservazioni scritte, la chiarezza, la precisione e l’incondizionalità di tali disposizioni risultano ancora più evidenti se le si confronta con le disposizioni degli accordi in questione relative al diritto di stabilimento, il cui carattere programmatico è incontestabile.

79.      Infatti, gli articoli 31 dell’accordo CE-Tunisia e 30 dell’accordo CE-Libano contengono solo un accordo ad accordarsi («an agreement to agree») sulla portata della protezione da garantire ai cittadini dell’Unione, della Repubblica libanese e della Repubblica tunisina. In tal senso, dette disposizioni si limitano a fissare l’obiettivo che le parti si impegnano a perseguire e stabiliscono la procedura attraverso la quale esso può essere realizzato.

80.      Tale conclusione non è rimessa in discussione dall’articolo 34, paragrafo 2, dell’accordo CE-Tunisia, secondo cui «[l]e parti si consultano reciprocamente per facilitare il movimento dei capitali tra [l’Unione] e la Tunisia e per liberalizzarlo integralmente quando ricorreranno le necessarie condizioni» (43).

81.      Infatti, come sostiene la Commissione, detta disposizione riguarda solo i movimenti di capitali diversi dagli investimenti diretti disciplinati dal paragrafo 1 di tale articolo, quale ad esempio la prestazione di servizi finanziari e l’ammissione di valori mobiliari nei mercati finanziari. Poiché la presente causa verte su un investimento diretto previsto dal paragrafo 1 di detto articolo, il suo paragrafo 2 non influisce sull’effetto diretto del paragrafo 1 del medesimo articolo.

82.      Per quanto concerne, in secondo luogo, l’oggetto e la natura degli accordi CE-Tunisia e CE-Libano, che traspongono al loro articolo 1, paragrafo 1, quanto dichiarato dalla Corte al punto 27 della sentenza Gattoussi (C-97/05, EU:C:2006:780), ritengo che l’istituzione, mediante tali disposizioni, di un’associazione tra l’Unione e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica tunisina e la Repubblica libanese, dall’altra, sia un’ulteriore ragione per riconoscere che il suo oggetto e la sua natura sono compatibili con l’effetto diretto degli articoli 34 dell’accordo CE-Tunisia e 31 dell’accordo CE-Libano.

83.      Per tali motivi, al pari della SECIL, del governo svedese e della Commissione, sono dell’avviso che gli articoli 34 dell’accordo CE-Tunisia e 31 dell’accordo CE-Libano producano un effetto diretto che può essere invocato dalla SECIL dinanzi al giudice del rinvio.

C –    Sulla quinta e la nona questione pregiudiziale

84.      Con la quinta e la nona questione, il giudice del rinvio intende delimitare la portata degli articoli 89 dell’accordo CE-Tunisia e 85 dell’accordo CE-Libano al fine di stabilire se rientri nel loro ambito di applicazione una normativa nazionale come quella in discussione nel procedimento principale, che non consente la deduzione integrale o parziale, a seconda dei casi, dei dividendi provenienti da società aventi sede o direzione effettiva al di fuori dell’Unione o del SEE.

85.      Gli articoli 89, primo trattino, dell’accordo CE-Tunisia e 85, lettera a), dell’accordo CE-Libano prevedono che tali accordi non hanno l’effetto di ampliare i benefici in campo fiscale concessi da uno Stato membro attraverso una convenzione diretta a prevenire la doppia imposizione.

86.      Diversamente dal governo portoghese, il quale, a proposito dell’articolo 89, primo trattino, dell’accordo CE-Tunisia, risponde alla questione basandosi sulla convenzione diretta a prevenire la doppia imposizione da esso conclusa con la Repubblica tunisina, ritengo, al pari della Commissione, che lo scopo di tale disposizione sia quello di evitare che una norma prevista da una convenzione diretta a prevenire la doppia imposizione conclusa dalla Repubblica portoghese con uno Stato diverso dalla Repubblica tunisina venga estesa a un cittadino tunisino il cui Stato di residenza non è parte di tale convenzione.

87.      Orbene, la SECIL non mira ad ottenere un beneficio accordato da una convenzione sulla doppia imposizione conclusa dalla Repubblica portoghese con uno Stato diverso dalla Repubblica tunisina.

88.      Lo stesso vale per l’articolo 85, lettera a), dell’accordo CE-Libano.

89.      Gli articoli 89, secondo trattino, dell’accordo CE-Tunisia e 85, lettera b), dell’accordo CE-Libano consentono alle parti di detti accordi di adottare o applicare qualsiasi misura destinata ad evitare la frode o l’evasione fiscale.

90.      Tuttavia, dal momento che nella presente causa non è stata fatta valere alcuna frode o evasione fiscale, dette disposizioni non sono applicabili.

91.      Infine, gli articoli 89, terzo trattino, dell’accordo CE-Tunisia e 85, lettera c), dell’accordo CE-Libano consentono alle autorità fiscali portoghesi di applicare le pertinenti disposizioni della loro normativa tributaria ai contribuenti che non si trovano nella stessa situazione per quanto riguarda il luogo di residenza.

92.      Secondo il governo portoghese, tali disposizioni gli consentirebbero di distinguere i contribuenti in funzione della loro residenza e del luogo in cui è investito il loro capitale.

93.      Non condivido siffatta interpretazione delle suddette disposizioni, che aggiunge alle stesse un criterio atto a giustificare una disparità di trattamento, vale a dire il luogo in cui è investito il capitale.

94.      Peraltro, la SECIL è una società residente in Portogallo e le disposizioni in parola non consentono che in tale qualità essa possa essere vittima di una discriminazione fondata sulla residenza delle sue controllate.

95.      A tale proposito, ricordo la costante giurisprudenza della Corte secondo cui «la situazione di una società azionista che percepisce dividendi di origine estera è paragonabile a quella di una società azionista che percepisce dividendi di origine nazionale, dal momento che, in entrambi i casi, gli utili realizzati possono, in linea di principio, essere oggetto di un’imposizione a catena» (44).

96.      Di conseguenza, propongo alla Corte di rispondere alla quinta e alla nona questione affermando che una normativa nazionale come quella in discussione nel procedimento principale, che non consente la deduzione integrale o parziale, a seconda dei casi, dei dividendi provenienti da società aventi sede o direzione effettiva fuori dall’Unione o dal SEE, non può essere fondata né sull’articolo 89 dell’accordo CE-Tunisia né sull’articolo 85 dell’accordo CE-Libano.

D –    Sulle questioni pregiudiziali quarta, sesta, ottava e decima

97.      Con le questioni quarta, sesta, ottava e decima, il giudice del rinvio si chiede se gli articoli 34 dell’accordo CE-Tunisia e 31 dell’accordo CE-Libano debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa di uno Stato membro come quella in discussione nel procedimento principale, che riserva il diritto all’eliminazione della doppia imposizione economica degli utili distribuiti al caso in cui la società distributrice abbia sede o direzione effettiva nel territorio portoghese o sia residente in un altro Stato membro dell’Unione o del SEE e, in caso di risposta affermativa, sulle conseguenze che se ne devono trarre.

1.      Sull’esistenza, nella normativa portoghese controversa, di una restrizione alla libera circolazione dei capitali come quella garantita dagli articoli 34 dell’accordo CE-Tunisia e 31 dell’accordo CE-Libano

98.      Come ho rilevato recentemente al paragrafo 27 delle mie conclusioni nella causa Timac Agro Deutschland (C-388/14, EU:C:2015:533), nel settore della fiscalità diretta e delle libertà fondamentali, la Corte verifica l’esistenza di una discriminazione sotto forma di restrizione, ossia un ostacolo alle libertà fondamentali risultante da una disparità di trattamento tra i contribuenti che si trovano in situazioni obiettivamente comparabili o dal trattamento identico di contribuenti che si trovano in situazioni diverse.

99.      Ciò consente agli Stati membri di giustificare la misura in questione basandosi su uno o più dei motivi imperativi di interesse generale definiti dalla giurisprudenza e sulla cui base normalmente non è possibile giustificare una discriminazione, potendo quest’ultima essere giustificata solo per uno dei motivi espressamente menzionati nel Trattato FUE, vale a dire l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza e la sanità pubblica, poco utilizzati in materia fiscale.

100. A tal riguardo, secondo costante giurisprudenza della Corte, ostacolano la libera circolazione dei capitali le misure nazionali «che sono idonee a dissuadere i non residenti dal fare investimenti in uno Stato membro e a dissuadere i residenti di questo Stato membro dal farne in altri Stati» (45).

101. Come la Corte ha dichiarato al punto 46 della sentenza Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation (C-374/04, EU:C:2006:773), «[p]er determinare se una disparità di trattamento fiscale sia discriminatoria, occorre (…) verificare se, in considerazione della misura nazionale di cui trattasi, le società interessate si trovino in una situazione obiettivamente comparabile. Infatti, secondo una giurisprudenza costante, la discriminazione consiste nell’applicazione di norme diverse a situazioni analoghe ovvero nell’applicazione della stessa norma a situazioni diverse».

102. Quanto alla prevenzione della doppia imposizione economica, la Corte ha dichiarato a più riprese che l’articolo 63 TFUE impone «ad uno Stato membro, che applichi un sistema per prevenire la doppia imposizione economica nel caso di dividendi versati a soggetti residenti da società residenti, l’obbligo di concedere un trattamento equivalente ai dividendi versati a soggetti residenti da società non residenti» (46).

103. Nel caso di specie, come esposto dal giudice del rinvio, l’articolo 46 del CIRC riserva il diritto all’eliminazione della doppia imposizione economica dei dividendi alle società portoghesi che soddisfino determinati requisiti minimi relativi alla quota di partecipazione nella società distributrice, nonché al valore e alla durata della partecipazione (47). Tale eliminazione assume la forma di una deduzione integrale dei dividendi in questione dalla base imponibile delle società portoghesi. La suddetta disposizione prevede una deduzione parziale del 50% nel caso in cui non sia soddisfatto uno di detti requisiti minimi.

104. Tuttavia, tale diritto alla deduzione integrale o parziale è esercitabile solo se la società distributrice ha sede o direzione effettiva nel territorio portoghese o è residente in un altro Stato membro dell’Unione o del SEE.

105. Per contro, le società che percepiscono dividendi da una società che, come la Ciments de Gabés e la Ciments de Sibline, hanno sede o direzione effettiva in un paese terzo, quali la Tunisia e il Libano, sono soggette all’imposta sulle società all’aliquota del 23%, salvo che sia applicabile un’aliquota ridotta in forza di una convenzione diretta ad evitare la doppia imposizione.

106. Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale emerge che la Repubblica portoghese non ha concluso una simile convenzione con la Repubblica libanese e che l’articolo 10, paragrafo 2, della convenzione con la Repubblica tunisina prevede un’aliquota massima del 15%.

107. Da quanto precede risulta che l’aliquota di imposta effettiva sui dividendi è fissata all’aliquota massima del 15% per i dividendi di origine tunisina e del 23% per i dividendi di origine libanese, mentre l’aliquota applicabile ai dividendi di origine portoghese, UE o SEE, è pari allo 0% (deduzione integrale) o all’11,5% (deduzione parziale del 50%).

108. Sussiste quindi una disparità di trattamento tra i contribuenti portoghesi in funzione dell’origine dei dividendi percepiti.

109. Inoltre, non vi è alcun dubbio che la SECIL si trovi in una situazione obiettivamente comparabile a quella di un contribuente portoghese che percepisce dividendi di origine portoghese o provenienti da uno Stato membro dell’Unione o del SEE (48).

110. Di conseguenza, una disparità di trattamento come quella risultante dalla normativa portoghese in discussione nel procedimento principale costituisce una restrizione vietata dagli articoli 34 dell’accordo CE-Tunisia e 31 dell’accordo CE-Libano.

2.      Sull’applicabilità della clausola di salvaguardia prevista all’articolo 33 dell’accordo CE-Libano

111. Come rilevato dal governo svedese, l’accordo CE-Libano, diversamente dall’accordo CE-Tunisia, contiene all’articolo 33 una clausola di salvaguardia analoga a quella dell’articolo 64, paragrafo 1, TFUE.

112. Infatti, l’articolo 31 dell’accordo CE-Libano garantisce la libera circolazione dei capitali solo «fatt[o] salv[o l’articolo] 33 (…)», il cui paragrafo 1 prevede che «le disposizioni [dell’articolo] 31 (…) lasciano impregiudicata l’applicazione di eventuali restrizioni esistenti tra le parti alla data di entrata in vigore del presente accordo, per quanto riguarda i movimenti di capitali legati agli investimenti diretti, anche in campo immobiliare, allo stabilimento, alla prestazione di servizi finanziari o all’ammissione dei titoli nei mercati finanziari».

113. Il paragrafo 2 del medesimo articolo aggiunge che «[t]ali restrizioni non riguardano tuttavia il trasferimento all’estero di investimenti effettuati in Libano da persone residenti [nell’Unione] o [nell’Unione] da persone residenti in Libano e degli utili derivanti da tali investimenti».

114. Poiché la presente causa verte sul trattamento di dividendi pagati dalla Ciments de Sibline al suo azionista portoghese, dividendi che provengono da investimenti effettuati in Libano da una persona residente nell’Unione, ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, dell’accordo CE-Libano, ritengo che la clausola di salvaguardia non sia applicabile nel caso di specie.

115. Occorre infine esaminare se la restrizione in parola possa essere giustificata.

3.      Sulla giustificazione della restrizione

116. Con la sesta e la decima questione, il giudice del rinvio chiede se sia giustificabile la restrizione imposta alla libera circolazione dei capitali, garantita dagli accordi CE-Tunisia e CE-Libano, tenuto conto che non esiste un quadro di cooperazione equivalente a quello previsto dalla direttiva 77/799 (49).

117. Curiosamente, ad eccezione degli articoli 28 dell’accordo CE-Tunisia e 27 dell’accordo CE-Libano, che prevedono la possibilità di giustificare una restrizione alla libera circolazione delle merci in termini pressoché identici a quelli dell’articolo 36 TFUE, detti accordi non prevedono alcuna giustificazione equivalente a quelle degli articoli 45, paragrafo 3, 52, paragrafo 1, 62 e 65, paragrafi 1, lettera b), e 2, TFUE, vale a dire l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza e la sanità pubblica.

118. Tuttavia, anche in questo caso, la giurisprudenza della Corte relativa ai rapporti tra la fiscalità diretta nazionale e le disposizioni del Trattato FUE sulle grandi libertà di circolazione (e più precisamente la libertà di stabilimento, la libera prestazione dei servizi e la libera circolazione dei capitali) (50) è trasponibile alla problematica sollevata nella presente causa.

119. Ho già rilevato che difficilmente le restrizioni apportate alle suddette libertà di circolazione dalle misure nazionali di fiscalità diretta possono essere giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica. Ne è prova il fatto che nessuna delle circa 250 sentenze della Corte relative alla compatibilità delle misure fiscali nazionali con il Trattato FUE sia stata fondata sulla presenza o assenza di siffatte giustificazioni.

120. Tutte le altre giustificazioni (o ragioni imperative di interesse generale) che erano al centro di tali procedimenti sono state progressivamente introdotte nel diritto dell’Unione (dapprima a livello teorico e successivamente in casi concreti) solo dalla giurisprudenza della Corte, che si tratti della coerenza fiscale, della necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali e di lottare contro la frode e l’evasione fiscale o di assicurare una ripartizione equilibrata del potere impositivo.

121. A tale proposito, il richiamo operato dal giudice del rinvio alla direttiva 77/799 (che esso definisce «quadro di cooperazione») rinvia direttamente alle giustificazioni delle restrizioni alle libertà di circolazione basate sulla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali e di contrastare l’evasione e la frode fiscale, sulle quali il Trattato FUE è parimenti silente. La giurisprudenza della Corte sull’interpretazione del Trattato FUE è trasponibile a fortiori al caso di specie, nel quale è in discussione la libera circolazione dei capitali che il Trattato FUE rende applicabile nei rapporti con i paesi terzi.

122. È proprio a proposito dei rapporti con i paesi terzi che la Corte ha accolto giustificazioni delle restrizioni ai movimenti di capitali che essa respingeva per le restrizioni ai movimenti tra gli Stati membri. Infatti, in numerose sentenze la Corte ha dichiarato che la direttiva 77/799 consentiva agli Stati membri di garantire l’efficace riscossione delle imposte senza che occorresse ricorrere a restrizioni ai movimenti di capitali. L’inapplicabilità della direttiva ai paesi terzi modificava evidentemente la situazione, salvo, come ha dichiarato la Corte, in presenza di una convenzione diretta a prevenire la doppia imposizione contenente disposizioni sulla cooperazione amministrativa tra lo Stato terzo e lo Stato membro della misura fiscale contestata (51).

123. Come rilevano i governi portoghese e svedese, basarsi sul silenzio degli accordi CE-Tunisia e CE-Libano per escludere qualsiasi giustificazione di una restrizione alla libera circolazione dei capitali avrebbe l’effetto di istituire, per i movimenti di capitali verso la Tunisia e il Libano o in provenienza da tali paesi, un regime più liberalizzato di quello esistente per i movimenti di capitali tra gli Stati membri e tra gli Stati membri e i paesi terzi per i quali i motivi imperativi di interesse generale possono giustificare determinate restrizioni stabilite dagli Stati membri.

124. Come dichiarato dalla Corte internazionale di giustizia nella sentenza del 25 settembre 1997 relativa alla causa Projet Gabčikovo-Nagymaros (Ungheria/Slovacchia), concernente l’obbligo delle parti di attuare i trattati «in buona fede» conformemente a quanto disposto dall’articolo 26 della Convenzione di Vienna (52), «quest’ultimo elemento implica che, nel caso di specie, lo scopo del Trattato e l’intenzione con cui le parti l’hanno concluso devono prevalere sulla sua applicazione letterale. Il principio di buona fede impone alle Parti di applicarlo ragionevolmente e in modo che il suo scopo possa essere raggiunto» (53).

125. Poiché mi sembra alquanto improbabile che gli autori degli accordi CE-Tunisia e CE-Libano intendessero accordare una totale libertà ai movimenti di capitali tra l’Unione e questi due paesi, laddove possono invece essere imposte restrizioni ai movimenti di capitali tra gli Stati membri o tra gli Stati membri e i paesi terzi, ritengo che una restrizione alla libera circolazione dei capitali non violerebbe gli accordi CE-Tunisia e CE-Libano qualora fosse giustificata da motivi imperativi di interesse generale (54), e più precisamente da quelli cui fa riferimento il giudice del rinvio.

126. In tale prospettiva, il governo portoghese, sostenuto dal governo svedese, invoca l’efficacia dei controlli fiscali e la lotta alla frode e all’evasione fiscale per giustificare una restrizione come quella in discussione nel procedimento principale, in quanto non esistono strumenti di cooperazione amministrativa analoghi alla direttiva 77/799 né con la Repubblica tunisina, né con la Repubblica libanese.

127. Il governo portoghese precisa che non esiste una convenzione per prevenire la doppia imposizione tra la Repubblica portoghese e la Repubblica libanese e che il meccanismo di scambio di informazioni, previsto all’articolo 25 della convenzione tra la Repubblica portoghese e la Repubblica tunisina, non è vincolante per gli Stati, come avviene nel caso di detta direttiva.

128. Poiché gli articoli 89, secondo trattino, dell’accordo CE-Tunisia e 85, lettera b), dell’accordo CE-Libano consentono alle parti di adottare ed applicare qualsiasi misura destinata a evitare la frode e l’evasione fiscale, ritengo, per il motivo esposto supra al paragrafo 90, che qualsiasi giustificazione fondata su tale base debba essere senz’altro respinta nel presente procedimento.

129. Aggiungo che la giurisprudenza della Corte ammette tale giustificazione solo per le disposizioni specificamente dirette ad escludere da un vantaggio le costruzioni puramente artificiose il cui scopo sia quello di eludere la legge fiscale, il che è fuori discussione nella presente causa (55). Peraltro, la giustificazione in parola non è mai stata ammessa in caso di presunzione generale di frode fiscale.

130. Quanto alla giustificazione basata sull’efficacia dei controlli fiscali nel contesto dei movimenti di capitali tra gli Stati membri e gli Stati terzi, la Corte ha già dichiarato che tale giustificazione «è ammissibile unicamente qualora la normativa di uno Stato membro subordini il beneficio di un vantaggio fiscale al rispetto di requisiti la cui osservanza possa essere verificata unicamente ottenendo informazioni dalle competenti autorità di uno Stato terzo e qualora, in considerazione dell’assenza di un obbligo convenzionale, a carico di detto Stato terzo, di fornire informazioni, risulti impossibile ottenere chiarimenti dal medesimo» (56).

131. Come esposto dal giudice del rinvio, l’articolo 46 del CIRC riserva il diritto all’eliminazione della doppia imposizione economica degli utili distribuiti alle società portoghesi che soddisfano taluni requisiti minimi concernenti la quota di partecipazione nella società distributrice nonché il valore e la durata di tale partecipazione (57).

132. Nel caso di specie, né il governo portoghese né il giudice del rinvio hanno affermato che la concessione del beneficio in questione sia subordinata «al rispetto di requisiti la cui osservanza possa essere verificata unicamente ottenendo informazioni dalle competenti autorità di uno Stato terzo» (58).

133. Qualora il giudice del rinvio dovesse giungere su questo punto alla conclusione opposta, il governo portoghese potrebbe invocare l’efficacia dei controlli fiscali, ma solo in relazione ai dividendi distribuiti dalla Ciments de Sibline, dato che non esiste «un obbligo convenzionale, a carico [del Libano], di fornire informazioni» (59).

134. Diverso sarebbe il caso dei dividendi distribuiti dalla Ciments de Gabés, giacché l’articolo 25 della convenzione diretta ad evitare la doppia imposizione tra la Repubblica portoghese e la Repubblica tunisina prevede un meccanismo di scambio di informazioni (60).

135. Tuttavia, occorre precisare che se il beneficio in questione fosse subordinato al rispetto di condizioni che le autorità fiscali del paese terzo in questione non sono in grado di confermare, in quanto non si tratta, ad esempio, di informazioni la cui raccolta rientri nella loro competenza, non si potrebbe negare la concessione di tale beneficio senza dare al contribuente la possibilità di fornire le necessarie informazioni.

136. In conclusione, la negazione dell’eliminazione o dell’attenuazione della doppia imposizione economica da parte di una normativa come quella in discussione nel procedimento principale non può essere giustificata da un motivo imperativo di interesse generale.

4.      Sulle conseguenze di una violazione degli articoli 34 dell’accordo CE-Tunisia e 31 dell’accordo CE-Libano

137. Nel caso in cui la Corte dichiarasse che una normativa nazionale come quella in discussione nel procedimento principale contravviene agli articoli 34 dell’accordo CE-Tunisia e 31 dell’accordo CE-Libano, il giudice del rinvio chiede inoltre se sia tenuto ad applicare il meccanismo di deduzione integrale, previsto all’articolo 46, paragrafo 1, del CIRC, ai dividendi pagati alla SECIL dalla Ciments de Gabés e dalla Ciments de Sibline.

138. Occorre rammentare anzitutto che, «[s]econdo costante giurisprudenza, il diritto di ottenere il rimborso delle tasse riscosse da uno Stato membro in violazione del diritto dell’Unione costituisce la conseguenza e il complemento dei diritti attribuiti ai singoli dalle disposizioni del diritto dell’Unione che vietano tali tasse, così come tali diritti sono stati interpretati dalla Corte. Lo Stato membro è quindi tenuto, in linea di principio, a rimborsare i tributi riscossi in violazione del diritto dell’Unione» (61).

139. Peraltro, la Corte ha già dichiarato che, «qualora uno Stato membro abbia prelevato tributi in violazione delle disposizioni del diritto dell’Unione, i singoli hanno diritto al rimborso non solo del tributo indebitamente riscosso, ma altresì degli importi pagati allo Stato o da esso trattenuti in rapporto diretto con tale tributo» (62).

140. Tale regola conosce una sola eccezione, ossia la traslazione della tassa su altri soggetti (63) e, in assenza di una normativa a livello dell’Unione, è soggetta alle norme procedurali nazionali, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività (64).

141. Lo stesso vale per le imposte riscosse in violazione degli accordi euromediterranei che «formano (…) parte integrante dell’ordinamento giuridico [dell’Unione]» (65).

142. Pertanto, le autorità fiscali portoghesi sono tenute a rimborsare alla SECIL, con gli interessi, gli importi riscossi in violazione degli articoli 34 dell’accordo CE-Tunisia e 31 dell’accordo CE-Libano.

143. Tali importi corrispondono alla differenza tra l’importo pagato dalla SECIL e quello che essa avrebbe pagato se i dividendi distribuiti dalla Ciments de Gabés e dalla Ciments de Sibline fossero stati considerati dividendi pagati da società aventi sede o direzione effettiva nel territorio dell’Unione o del SEE.

144. In conclusione, propongo alla Corte di rispondere alle questioni quarta, sesta, ottava e decima dichiarando che gli articoli 34 dell’accordo CE-Tunisia e 31 dell’accordo CE-Libano devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che riserva il diritto all’eliminazione (totale o parziale) della doppia imposizione economica degli utili distribuiti al caso in cui la società distributrice abbia sede o direzione effettiva nel territorio portoghese o sia residente in un altro Stato membro dell’Unione o del SEE. Gli importi riscossi in violazione di tali disposizioni devono essere rimborsati, con gli interessi, al contribuente.

E –    Sulle questioni pregiudiziali undicesima e dodicesima

145. Con l’undicesima e la dodicesima questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 63 TFUE debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che non consente la deduzione dalla base imponibile di dividendi distribuiti da società la cui sede o direzione effettiva si trovi fuori dall’Unione o dal SEE, mentre la consente se le società distributrici dei dividendi hanno sede o direzione effettiva in uno Stato membro dell’Unione o del SEE.

146. Come ho chiarito supra, ai paragrafi da 40 a 57, le disposizioni del Trattato FUE si applicano solo nella misura in cui siano compatibili con quelle degli accordi CE-Tunisia e CE-Libano, come mi sembra sia il caso dell’articolo 63, paragrafo 1, TFUE.

147. Per gli stessi motivi esposti supra, ai paragrafi da 98 a 110 e da 116 a 144, ritengo che una normativa come quella portoghese in discussione nel presente procedimento costituisca una restrizione alla libera circolazione dei capitali che non può essere giustificata.

F –    Sulla tredicesima questione pregiudiziale

148. Con la tredicesima questione, il giudice del rinvio si interroga sull’applicabilità nel procedimento principale della clausola di salvaguardia prevista all’articolo 64 TFUE.

149. Ricordo che l’accordo CE-Tunisia non contiene una clausola di salvaguardia comparabile a quella prevista all’articolo 64 TFUE e che la clausola di salvaguardia di cui all’articolo 33 dell’accordo CE-Libano è meno ampia di quella prevista all’articolo 64 TFUE.

150. Il principio del primato del Trattato FUE sarebbe applicabile solo in caso di conflitto con le disposizioni del diritto internazionale e del diritto dell’Unione costituite dagli accordi CE-Tunisia e CE-Libano, circostanza che a mio avviso non ricorre.

151. Infatti, l’articolo 64 TFUE consente ma non impone di applicare restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri e paesi terzi in vigore al 31 dicembre 1993. Di conseguenza, nulla impedisce agli Stati membri di rinunciarvi unilateralmente o, come sostengono nel caso di specie il governo svedese e la Commissione, con un accordo internazionale, del tutto (come nell’accordo CE-Tunisia) o in parte (come nell’accordo CE-Libano).

152. Pertanto non occorre rispondere a tale questione.

153. Qualora la Corte fosse di diverso avviso, occorrerebbe esaminare se ricorrano le condizioni di cui all’articolo 64 TFUE.

154. Ai sensi del paragrafo 1 di detto articolo, «[l]e disposizioni di cui all’articolo 63 lasciano impregiudicata l’applicazione ai paesi terzi di qualunque restrizione in vigore alla data del 31 dicembre 1993 in virtù delle legislazioni nazionali o della legislazione dell’Unione per quanto concerne i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti, che implichino investimenti diretti, inclusi gli investimenti in proprietà immobiliari, lo stabilimento, la prestazione di servizi finanziari o l’ammissione di valori mobiliari nei mercati finanziari».

155. A tal riguardo, il governo portoghese sostiene che, sebbene la presente causa verta sull’articolo 46 del CIRC, nella versione in vigore nel 2009, esisteva già una disposizione equivalente al 31 dicembre 1993.

156. Come la Corte ha dichiarato al punto 47 della sentenza Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C-190/12, EU:C:2014:249), «[p]er quanto attiene al criterio temporaneo stabilito dall’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, da consolidata giurisprudenza della Corte risulta che, se spetta, in linea di principio, al giudice nazionale determinare il contenuto della normativa esistente ad una data fissata da un atto dell’Unione, spetta alla Corte fornire gli elementi interpretativi della nozione di diritto dell’Unione che costituisce il riferimento per l’applicazione di un regime derogatorio, previsto dal diritto medesimo, ad una legislazione nazionale “esistente” ad una data determinata».

157. In forza di una giurisprudenza costante, «ogni disposizione nazionale adottata posteriormente ad una data così stabilita non è, per questo solo fatto, automaticamente esclusa dal regime derogatorio istituito dall’atto dell’Unione di cui trattasi. Infatti, una disposizione che sia sostanzialmente identica alla legislazione anteriore, o che si limiti a ridurre o ad eliminare ostacoli all’esercizio dei diritti e delle libertà previsti dal diritto dell’Unione esistenti nella legislazione precedente, beneficerà della deroga. Per contro, una normativa che si basi su una logica diversa da quella del diritto precedente e istituisca nuove procedure non può essere equiparata alla normativa esistente alla data indicata dall’atto dell’Unione de quo» (66).

158. Qualora la Corte dovesse concludere nel senso dell’applicabilità dell’articolo 64 TFUE, spetterebbe al giudice del rinvio accertare se una disposizione sostanzialmente identica a quella dell’articolo 46 del CIRC, nel senso che essa negava l’eliminazione della doppia imposizione economica per i dividendi provenienti da paesi terzi, fosse in vigore al 31 dicembre 1993. Solo in caso affermativo la restrizione introdotta dall’articolo 46 del CIRC beneficerebbe della clausola di salvaguardia prevista all’articolo 64 TFUE.

G –    Sulla quattordicesima questione pregiudiziale

159. Con la quattordicesima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio si interroga sulla questione se la clausola di salvaguardia prevista all’articolo 64 TFUE non sia applicabile in quanto la Repubblica portoghese ha introdotto il regime dei benefici fiscali all’investimento di natura contrattuale previsto all’articolo 41, paragrafo 5, lettera b), dell’EBF e il regime previsto all’articolo 42 dell’EBF per i dividendi che hanno origine nei paesi africani di lingua ufficiale portoghese e in Timor Est.

160. Tale questione trae origine dalla tesi della SECIL secondo cui la Repubblica portoghese non poteva rinunciare alla clausola di salvaguardia solo per i casi in cui si applicano i regimi fiscali speciali previsti agli articoli 41, paragrafo 5, lettera b), e 42 dell’EBF.

161. In considerazione della mia risposta alle questioni precedenti, ritengo che non occorra rispondere alla quattordicesima questione.

162. Ciò vale a maggior ragione in quanto, come sostenuto dalla Commissione, l’esistenza di un regime di benefici fiscali di natura contrattuale per gli investimenti e i dividendi che hanno origine nei paesi africani di lingua ufficiale portoghese e in Timor Est non è un elemento pertinente nel caso di specie.

163. Tali regimi implicano che la Repubblica portoghese non possa più applicare ai dividendi provenienti dai paesi africani di lingua ufficiale portoghese e da Timor Est il suo regime generale relativo ai dividendi con origine in paesi terzi, ma debba applicare il suddetto regime specifico. Pertanto, non si può concludere che, adottando tali regimi specifici, la Repubblica portoghese abbia deciso di rinunciare alla possibilità di invocare la clausola di salvaguardia prevista all’articolo 64 TFUE, di cui è possibile limitare la portata.

164. Se si ponesse una questione di parità di trattamento, essa rientrerebbe unicamente nell’ambito del diritto nazionale e sarebbe di competenza dei giudici portoghesi.

VI – Conclusione

165. Propongo quindi alla Corte di rispondere come segue alle questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunal Tributário de Lisboa:

1)      L’articolo 31 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica tunisina, dall’altra, firmato a Bruxelles il 17 luglio 1995 e approvato a nome della Comunità europea e della Comunità europea del carbone e dell’acciaio con la decisione 98/238/CE, CECA del Consiglio e della Commissione, del 26 gennaio 1998, nonché l’articolo 30 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da un parte, e la Repubblica libanese, dall’altra, firmato a Lussemburgo il 17 giugno 2002 e approvato a nome della Comunità europea con la decisione 2006/356/CE del Consiglio, del 14 febbraio 2006, non sono applicabili nel procedimento principale, che riguarda esclusivamente la libera circolazione dei capitali.

2)      L’articolo 34 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica tunisina, dall’altra, firmato a Bruxelles il 17 luglio 1995 e approvato a nome della Comunità europea e della Comunità europea del carbone e dell’acciaio con la decisione 98/238/CE, CECA del Consiglio e della Commissione, del 26 gennaio 1998, nonché gli articoli 31 e 33 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da un parte, e la Repubblica libanese, dall’altra, firmato a Lussemburgo il 17 giugno 2002 e approvato a nome della Comunità europea con la decisione 2006/356/CE del Consiglio, del 14 febbraio 2006, sono disposizioni chiare, precise e incondizionate dotate di effetto diretto.

3)      L’articolo 34 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica tunisina, dall’altra, firmato a Bruxelles il 17 luglio 1995 e approvato a nome della Comunità europea e della Comunità europea del carbone e dell’acciaio con la decisione 98/238/CE, CECA del Consiglio e della Commissione, del 26 gennaio 1998, nonché gli articoli 31 e 33 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da un parte, e la Repubblica libanese, dall’altra, firmato a Lussemburgo il 17 giugno 2002 e approvato a nome della Comunità europea con la decisione 2006/356/CE del Consiglio, del 14 febbraio 2006, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che riserva il diritto all’eliminazione (totale o parziale) della doppia imposizione economica degli utili distribuiti al caso in cui la società distributrice abbia sede o direzione effettiva nel territorio portoghese o sia residente in un altro Stato membro dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo. Gli importi riscossi in violazione di tali disposizioni devono essere rimborsati, con gli interessi, al contribuente.

4)      Una normativa come quella in discussione nel procedimento principale, che non consente la deduzione integrale o parziale, a seconda dei casi, dei dividendi provenienti da società aventi sede o direzione effettiva fuori dall’Unione europea o dallo Spazio economico europeo, non può fondarsi né sull’articolo 89 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica tunisina, dall’altra, firmato a Bruxelles il 17 luglio 1995 e approvato a nome della Comunità europea e della Comunità europea del carbone e dell’acciaio con la decisione 98/238/CE, CECA del Consiglio e della Commissione, del 26 gennaio 1998, né sull’articolo 85 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da un parte, e la Repubblica libanese, dall’altra, firmato a Lussemburgo il 17 giugno 2002 e approvato a nome della Comunità europea con la decisione 2006/356/CE del Consiglio, del 14 febbraio 2006.

5)      L’articolo 63 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che riserva il diritto all’eliminazione (totale o parziale) della doppia imposizione economica degli utili distribuiti al caso in cui la società distributrice abbia sede o direzione effettiva nel territorio portoghese o sia residente in un altro Stato membro dell’Unione o dello Spazio economico europeo. Gli importi riscossi in violazione di tali disposizioni devono essere rimborsati, con gli interessi, al contribuente.


1 –      Lingua originale: il francese.


2 –      GU L 97, pag. 1.


3 –      GU L 143, pag. 1.


4 –      Diário da República I, serie A, n. 77, del 31 marzo 2000, pag. 1411.


5 –      V. sentenze Haegeman (181/73, EU:C:1974:41, punti da 3 a 6), concernente l’accordo di associazione tra la Comunità economica europea e la Grecia, firmato ad Atene il 9 luglio 1961, concluso a nome della Comunità con la decisione 63/106/CEE del Consiglio, del 25 settembre 1961 (GU L 26, pag. 293; in prosieguo: l’«accordo di associazione CEE-Grecia»); Demirel (12/86, EU:C:1987:400, punto 7), concernente l’accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, firmato ad Ankara il 12 settembre 1963, concluso a nome della Comunità con la decisione 64/732/CEE del Consiglio, del 23 dicembre 1963 (GU 1964, L 217, pag. 3685; in prosieguo: l’«accordo di associazione CEE-Turchia»); Andersson e Wåkerås-Andersson (C-321/97, EU:C:1999:307, punti 26 e 27); Ospelt e Schlössle Weissenberg (C-452/01, EU:C:2003:493, punto 27), e Établissements Rimbaud (C-72/09, EU:C:2010:645, punto 19) concernenti l’accordo sullo Spazio economico europeo, firmato il 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3; in prosieguo: l’«accordo SEE») e approvato con la decisione 94/1/CECA, CE del Consiglio e della Commissione, del 13 dicembre 1993, relativa alla conclusione dell’accordo sullo Spazio economico europeo tra le Comunità europee, i loro Stati membri e la Repubblica d’Austria, la Repubblica di Finlandia, la Repubblica d’Islanda, il Principato del Liechtenstein, il Regno di Norvegia, il Regno di Svezia e la Confederazione elvetica (GU 1994, L 1, pag. 1).


6 –      V. accordo di cooperazione tra la Comunità economica europea e la Repubblica democratica e popolare di Algeria, firmata ad Algeri il 26 aprile 1976 e approvato a nome della Comunità con il regolamento (CEE) n. 2210/78 del Consiglio, del 26 settembre 1978 (GU L 263, pag. 1), che è stato esaminato dalla Corte nelle cause sfociate nelle sentenze Krid (C-103/94, EU:C:1995:97), e Babahenini (C-113/97, EU:C:1998:13).


7 –      V. accordo di cooperazione tra la Comunità economica europea ed il Regno del Marocco, firmato a Rabat il 27 aprile 1976 e approvato a nome della Comunità con il regolamento (CEE) n. 2211/78 del Consiglio, del 26 settembre 1978 (GU L 264, pag. 1), sostituito dall’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall’altra, firmato a Bruxelles il 26 febbraio 1996 e approvato a nome della Comunità con la decisione 2000/24/CE, CECA del Consiglio e della Commissione, del 24 gennaio 2000 (GU L 70, pag. 1). Tali accordi sono stati oggetto di domande di pronuncia pregiudiziale nelle cause che hanno dato luogo alle sentenze Eddline El-Yassini (C-416/96, EU:C:1999:107), e Mesbah (C-179/98, EU:C:1999:549), nonché alle ordinanze Echouikh (C-336/05, EU:C:2006:394), e El Youssfi (C-276/06, EU:C:2007:215).


8 –      V. accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e lo Stato di Israele, dall’altra, firmato a Bruxelles il 20 novembre 1995 (GU 2000, L 147, pag. 3), nonché accordo euromediterraneo interinale di associazione sugli scambi e la cooperazione tra la Comunità europea, da una parte, e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) a beneficio dell’Autorità palestinese della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, firmato a Bruxelles il 24 febbraio 1997 (GU 1997, L 187, pag. 3). Tali accordi sono stati oggetto di una domanda di pronuncia pregiudiziale nella causa che ha dato luogo alla sentenza Brita (C-386/08, EU:C:2010:91).


9 –      L’accordo CE-Libano è già stato esaminato dalla Corte nella causa che ha dato luogo all’ordinanza Mugraby/Consiglio e Commissione (C-581/11 P, EU:C:2012:466), nonché dal Tribunale nella causa che ha dato luogo all’ordinanza Mugraby/Consiglio e Commissione (T-292/09, EU:T:2011:418).


10 –      V. accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica araba d’Egitto, dall’altra, firmato a Lussemburgo il 25 giugno 2001, approvato con la decisione 2004/635/CE del Consiglio, del 21 aprile 2004 (GU L 304, pag. 38). Tale accordo è stato oggetto di una domanda di pronuncia pregiudiziale nella causa che ha dato luogo alla sentenza Helm Düngemittel (C-613/12, EU:C:2014:52).


11 –      L’accordo CE-Tunisia è già stato oggetto di una domanda di pronuncia pregiudiziale nella causa che ha dato luogo alla sentenza Gattoussi (C-97/05, EU:C:2006:780) ed è stato esaminato dal Tribunale nella causa che ha dato luogo alle sentenze Pigasos Alieftiki Naftiki Etaireia/Consiglio e Commissione (T-162/07, EU:T:2009:333), e ICF/Commissione (T-406/08, EU:T:2013:322, punti da 208 a 214).


12 –      L’accordo di associazione CEE-Grecia è stato oggetto della domanda di pronuncia pregiudiziale nella causa che ha dato luogo alla sentenza Haegeman (181/73, EU:C:1974:41).


13 –      L’accordo di associazione CEE-Turchia è stato oggetto di domande di pronuncia pregiudiziale nelle cause che hanno dato luogo a varie sentenze, in particolare alla sentenza Demirel (12/86, EU:C:1987:400).


14 –      V. accordo europeo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica d’Ungheria, dall’altra, concluso ed approvato a nome della Comunità con la decisione 93/742/Euratom, CECA, CE del Consiglio e della Commissione, del 13 dicembre 1993 (GU L 347, pag. 1). Tale accordo è stato esaminato dalla Corte nelle cause che hanno dato luogo alle sentenze Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e ERSA (C-347/03, EU:C:2005:285); Sfakianakis (da C-23/04 a C-25/04, EU:C:2006:92); Agrover (C-173/06, EU:C:2007:612), nonché all’ordinanza Agenzia Dogane Circoscrizione Doganale di Genova (C-505/06, EU:C:2007:768).


15 –      V. accordo di partenariato e di cooperazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Federazione russa, dall’altra, firmato a Corfù il 24 giugno 1994 e approvato a nome delle Comunità con la decisione 97/800/CECA, CE, Euratom del Consiglio e della Commissione, del 30 ottobre 1997 (GU L 327, pag. 1). Tale accordo è stato esaminato dalla Corte nella causa che ha dato luogo alla sentenza Simutenkov (C-265/03, EU:C:2005:213).


16 –      V., in particolare, sentenze Andersson e Wåkerås-Andersson (C-321/97, EU:C:1999:307); Salzmann (C-300/01, EU:C:2003:283); Ospelt e Schlössle Weissenberg (C-452/01, EU:C:2003:493); Krankenheim Ruhesitz am Wannsee-Seniorenheimstatt (C-157/07, EU:C:2008:588); Établissements Rimbaud (C-72/09, EU:C:2010:645), nonché ordinanza projektart e a. (C-476/10, EU:C:2011:422).


17 –      V., in particolare, sentenze Commissione/Belgio (C-522/04, EU:C:2007:405); Commissione/Paesi Bassi (C-521/07, EU:C:2009:360); Commissione/Portogallo (C-267/09, EU:C:2011:273), e Commissione/Germania (C-284/09, EU:C:2011:670).


18 –      Sentenza Établissements Rimbaud (C-72/09, EU:C:2010:645, punto 21). V. altresì, in tal senso, sentenze Ospelt e Schlössle Weissenberg (C-452/01, EU:C:2003:493, punti 28 e 32); Commissione/Belgio (C-522/04, EU:C:2007:405, punto 44); Commissione/Paesi Bassi (C-521/07, EU:C:2009:360, punto 33), nonché ordinanza projektart e a. (C-476/10, EU:C:2011:422, punti 34 e 35).


19 –      Sentenza Intertanko e a. (C-308/06, EU:C:2008:312, punto 42). V. altresì, in tal senso, sentenze Commissione/Germania (C-61/94, EU:C:1996:313, punto 52); Algemene Scheeps Agentuur Dordrecht (C-311/04, EU:C:2006:23, punto 25), nonché IATA e ELFAA (C-344/04, EU:C:2006:10, punto 35).


20 –      Sentenza Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C-402/05 P e C-415/05 P, EU:C:2008:461, punti 285 e 308).


21 –      Rousseau, C., «De la compatibilité des normes juridiques contradictoires dans l’ordre international»,Revue générale de droit international public, 1932, vol. 39, pagg. da 133 a 136.


22 –      «In caso di contrasto tra gli obblighi contratti dai membri delle Nazioni Unite con il presente statuto e gli obblighi da essi assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale, prevarranno gli obblighi derivati dal presente Statuto».


23 –      Ai sensi dell’articolo 53 della Convenzione di Vienna, «[è] nullo qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, è in conflitto con una norma imperativa del diritto internazionale generale». V. altresì, in tal senso, articolo 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati tra Stati e organizzazioni internazionali o tra organizzazioni internazionali, conclusa a Vienna il 21 marzo 1986.


24 –      V., in tal senso, Crawford, J., Brownlie’s Principles of Public International Law, 8a edizione, Oxford University Press, 2012, pagg. 22 e 23; Matz-Lück, N., «Conflicts between treaties», pubblicato in Berhardt, R., e Macalister-Smith, P., (ed.), Max Planck Encyclopedia of Public International Law, 2010, punti 4, 9 e 10, disponibile al seguente indirizzo: http://opil.ouplaw.com/view/10.1093/law:epil/9780199231690/law-9780199231690-e1485?rskey=uOhZpi&result= 5&prd=EPIL.


25 –      V. Kelsen, H., «Les rapports de système entre le droit interne et le droit international public», 1926, vol. IV, Recueil des cours de l’Académie de droit international, pagg. 231 e da 267 a 274.


26 –      Sentenza Eddline El-Yassini (C-416/96, EU:C:1999:107, punto 29). V. altresì, in tal senso, sentenze Kziber (C-18/90, EU:C:1991:36, punto 21), e Gattoussi (C-97/05, EU:C:2006:780, punto 27).


27 –      V., in tal senso, sentenza D. (C-376/03, EU:C:2005:424, punti da 58 a 63), in cui la Corte ha dichiarato che «gli [articoli 63 TFUE] e [65 TFUE] non ostano a che una norma stabilita da una convenzione bilaterale volta a prevenire la doppia imposizione (…) non sia estesa (…) a un residente di uno Stato membro non parte di detta convenzione» (punto 63). È vero che, come la Corte ha dichiarato al punto 55 di detta sentenza, richiamando il punto 59 della sentenza Saint-Gobain ZN (C-307/97, EU:C:1999:438), «vi sono situazioni in cui le agevolazioni di una convenzione bilaterale possono essere estese a un residente di uno Stato membro che non è parte della detta convenzione». Infatti, «trattandosi di una convenzione volta a prevenire la doppia imposizione stipulata fra uno Stato membro e un paese terzo, il principio del trattamento nazionale impone allo Stato membro parte contraente della suddetta convenzione di concedere alle sedi stabili di società non residenti le agevolazioni previste dalla convenzione alle stesse condizioni applicate dalle società residenti» (punto 56). Tuttavia, tale ipotesi non ricorre nel caso oggetto del procedimento principale.


28 –      V. conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa Commissione/Consiglio (C-110/02, EU:C:2003:667, paragrafo 33); dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer nella causa St. Paul Dairy (C-104/03, EU:C:2004:509, paragrafo 61); dell’avvocato generale Jääskinen nella causa Établissements Rimbaud (C-72/09, EU:C:2010:235, paragrafo 28); dell’avvocato generale Mazák nella causa Commissione/Italia (C-565/08, EU:C:2010:403, paragrafo 30); presa di posizione dell’avvocato generale Kokott Riesame Commissione/Strack (C-579/12 RX-II, EU:C:2013:573, paragrafo 48); conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa Ascendi Beiras Litoral e Alta, Auto Estradas das Beiras Litoral e Alta (C-377/13, EU:C:2014:246, paragrafo 59) e dell’avvocato generale Jääskinen nella causa Regno Unito/Parlamento e Consiglio (C-507/13, EU:C:2014:2394, paragrafo 59).


29 –      V. altresì, in tal senso, articolo 30, paragrafi 3 e 4, della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati tra Stati e organizzazioni internazionali o tra organizzazioni internazionali, conclusa a Vienna il 21 marzo 1986. Come la Corte ha dichiarato al punto 37 della sentenza Helm Düngemittel (C-613/12, EU:C:2014:52), «il diritto internazionale dei trattati è stato codificato, in sostanza, dalla Convenzione di Vienna e (…) le regole contenute in tale Convenzione si applicano ad un accordo concluso tra uno Stato ed un’organizzazione internazionale, quale l’accordo euromediterraneo con l’Egitto, nella misura in cui esse costituiscono espressione del diritto internazionale generale di natura consuetudinaria». V. altresì, in tal senso, sentenza Brita (C-386/08, EU:C:2010:91, punti 40 e 41). Pertanto, tali regole «vincolano le istituzioni [dell’Unione] e fanno parte dell’ordinamento giuridico [dell’Unione]» (sentenza Brita, C-386/08, EU:C:2010:91, punto 42).


30 –      La regola enunciata all’articolo 30, paragrafo 3, della Convenzione di Vienna non implica che le parti dei due trattati debbano essere le stesse. Al contrario, come spiegato dalla Commissione per il diritto internazionale nei commentari ai progetti di articoli sul diritto dei trattati (Yearbook of the International Law Commission, 1966, vol. II, pag. 216), «[i]l paragrafo 3 enuncia la regola generale applicabile quando tutte le parti di un trattato (con o senza la partecipazione di altri Stati) concludono successivamente un trattato sulla stessa materia» (il corsivo è mio). V. altresì, in tal senso, Pauwelyn, J., Conflict of Norms in Public International Law: How WTO Law Relates to other Rules of International Law, 1a edizione, Cambridge University Press, 2003, pag. 381; Sadat-Akhavi, S.A., Methods of Resolving Conflicts Between Treaties, Martinus Nijhoff Publishers, Leiden/Boston, 2003, pagg. 62 e 63, e Mus, J.B., «Conflicts between treaties in international law», 1998, vol. XLV, Netherlands International Law Review, pag. 208, in particolare pag. 219.


31 –      Articolo 63, paragrafo 1, TFUE.


32 –      V. articolo 73 B CE, introdotto nel 1992 dall’articolo G.15 TUE e applicabile a decorrere dal 1° gennaio 1994.


33 –      V. punto 31 della sentenza Ospelt e Schlössle Weissenberg (C-452/01, EU:C:2003:493), in cui la Corte ha dichiarato che «dal 1° maggio 1995, data dell’entrata in vigore dell’accordo SEE nei confronti del principato di Lichtenstein, e nei settori che esso copre, gli Stati membri non possono più far valere [l’articolo 64 TFUE] nei confronti del principato del Lichtenstein. Di conseguenza e contrariamente a quanto sostiene il governo austriaco, la Corte non deve esaminare, sulla base di questa disposizione, se le restrizioni ai movimenti di capitali tra l’Austria e il Lichtenstein che risultano dal VGVG fossero già sostanzialmente in vigore il 31 dicembre 1993 e se, per tale motivo, esse potessero essere mantenute, in applicazione dello stesso articolo». V. altresì, in tal senso, sentenza Établissements Rimbaud (C-72/09, EU:C:2010:645, punti da 19 a 22), in cui la Corte ha applicato solo le disposizioni dell’accordo SEE.


34 –      Nessuna delle questioni poste dal giudice del rinvio riguarda l’articolo 30 dell’accordo CE-Libano. Poiché le parti vi hanno fatto riferimento, lo aggiungo a fini di completezza dell’analisi.


35 –      Sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation (C-35/11, EU:C:2012:707, punto 89). V. altresì, in tal senso, sentenze Test Claimants in the FII Group Litigation (C-446/04, EU:C:2006:774, punto 36); Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (C-436/08 e C-437/08, EU:C:2011:61, punto 33), e Accor (C-310/09, EU:C:2011:581, punto 30).


36 –      Sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation (C-35/11, EU:C:2012:707, punto 99). V. altresì, in tal senso, sentenza Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C-190/12, EU:C:2014:249, punti da 27 a 30).


37 – Sentenza Holböck (C-157/05, EU:C:2007:297, punto 34). V. altresì, in tal senso, sentenze Test Claimants in the FII Group Litigation (C-446/04, EU:C:2006:774, punti 180 e 181), e Orange European Smallcap Fund (C-194/06, EU:C:2008:289, punto 102).


38 –      Sentenza Holböck (C-157/05, EU:C:2007:297, punto 35).


39 –      Salini Costruttori S.p.A. & Italstrade S.p.A. c. Royaume de Maroc (ICSID Case n. ARB/00/4), decisione sulla competenza resa il 23 luglio 2001, 2002 vol. 129 Journal du droit international, pag. 196, punto 52. Vari tribunali arbitrali hanno adottato tale definizione della nozione di «investimento». V., in proposito, la giurisprudenza arbitrale citata da Gaillard, E., «Identify or Define? Reflections on the Evolution of the Concept of Investment in ICSID Practice» in Binder, C., Kriebaum, U., Reinisch, A., e Wittich, S., (ed.), International Investment Law for the 21st Century: Essays in Honour of Christoph Schreuer, Oxford University Press, Oxford, 2009, pag. 403, in particolare pag. 411.


40 –      V. altresì, in tal senso, sentenze Gloszczuk (C-63/99, EU:C:2001:488, punto 30); Wählergruppe Gemeinsam (C-171/01, EU:C:2003:260, punto 53), e Simutenkov (C-265/03, EU:C:2005:213, punto 21).


41 –      Il corsivo è mio.


42 –      Il corsivo è mio.


43 –      Il corsivo è mio.


44 –      Sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation (C-35/11, EU:C:2012:707, punto 37). V. altresì, in tal senso, sentenze Test Claimants in the FII Group Litigation (C-446/04, EU:C:2006:774, punto 62), nonché Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (C-436/08 e C-437/08, EU:C:2011:61, punto 59).


45 –      Sentenza Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C-190/12, EU:C:2014:249, punto 39). V. altresì, in tal senso, sentenze A (C-101/05, EU:C:2007:804, punto 40); Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (C-436/08 e C-437/08, EU:C:2011:61, punto 50), nonché Santander Asset Management SGIIC e a. (da C-338/11 a C-347/11, EU:C:2012:286, punto 15).


46 –      Sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation (C-35/11, EU:C:2012:707, punto 38). V. altresì, in tal senso, sentenze Test Claimants in the FII Group Litigation (C-446/04, EU:C:2006:774, punto 72), nonché Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (C-436/08 et C-437/08, EU:C:2011:61, punto 60).


47 –      Occorre che la società beneficiaria detenga direttamente una partecipazione nella società distributrice pari ad almeno il 10% del suo capitale o del valore di almeno EUR 20 000 000, e che ne sia stata titolare per almeno un anno.


48 –      V. supra, paragrafo 95.


49 –            Tale direttiva è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2011/16/UE del Consiglio, del 15 febbraio 2011, relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale (GU L 64, pag. 1).


50 –      In quanto la libera circolazione delle merci non è interessata dalla fiscalità diretta.


51 –      V., in particolare, sentenze ELISA (C-451/05, EU:C:2007:594, punti da 91 a 100), e Établissements Rimbaud (C-72/09, EU:C:2010:645, punti da 33 a 51).


52 –      V. altresì, in tal senso, articolo 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati tra Stati e organizzazioni internazionali o tra organizzazioni internazionali, conclusa a Vienna il 21 marzo 1986, nonché sentenze Eddline El-Yassini (C-416/96, EU:C:1999:107, punto 47), e Brita (C-386/08, EU:C:2010:91, punto 43).


53 –      CIJ 1997, pag. 7, punto 142.


54 –      La Corte ha già ammesso che una restrizione possa essere giustificata in base a un motivo imperativo di interesse generale nel conteso dell’accordo di associazione CEE-Turchia. V., ad esempio, sentenze Demir (C-225/12, EU:C:2013:725, punto 40), e Dogan (C-138/13, EU:C:2014:2066, punto 37).


55 –      V. sentenza ICI (C-264/96, EU:C:1998:370, punto 26).


56 –      Sentenza Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C-190/12, EU:C:2014:249, punto 84). V. altresì, in tal senso, sentenza Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (C-436/08 e C-437/08, EU:C:2011:61, punto 67).


57 – V. supra, paragrafo 103 e nota 47.


58 –      Sentenza Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C-190/12, EU:C:2014:249, punto 84).


59 –      Sentenza Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C-190/12, EU:C:2014:249, punto 84).


60 –      V. supra, paragrafi da 85 a 87.


61 –      Sentenza Nicula (C-331/13, EU:C:2014:2285, punto 27). V. altresì, in tal senso, sentenze San Giorgio (199/82, EU:C:1983:318, punto 12); Metallgesellschaft e a. (C-397/98 e C-410/98, EU:C:2001:134, punto 84); Test Claimants in the FII Group Litigation (C-446/04, EU:C:2006:774, punto 202); Littlewoods Retail e a. (C-591/10, EU:C:2012:478, punto 24), e Test Claimants in the Franked Investment Income Group Litigation (C-362/12, EU:C:2013:834, punto 30).


62 –      Sentenza Nicula (C-331/13, EU:C:2014:2285, punto 28). V. altresì, in tal senso, sentenze Littlewoods Retail e a. (C-591/10, EU:C:2012:478, punto 25), e Irimie (C-565/11, EU:C:2013:250, punto 21).


63 –      V. sentenza Lady & Kid e a. (C-398/09, EU:C:2011:540, punto 20).


64 –      V. sentenza Irimie (C-565/11, EU:C:2013:250, punto 23).


65 –      Sentenza Demirel (12/86, EU:C:1987:400, punto 7).


66 –      Sentenza Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C-190/12, EU:C:2014:249, punto 48). V. altresì, in tal senso, sentenze Test Claimants in the FII Group Litigation (C-446/04, EU:C:2006:774, punto 192); Holböck (C-157/05, EU:C:2007:297, punto 41), e A (C-101/05, EU:C:2007:804, punto 49).