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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

del 12 maggio 2016 (1)

Causa C-593/14

Masco Denmark ApS

Damixa ApS

contro

Skatteministeriet

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Vestre Landsret (giudice di appello della Regione occidentale, Danimarca)]

«Normativa tributaria – Libertà di stabilimento (articolo 43 CE) – Imposta nazionale sulle società – Interessi attivi – Prestito erogato ad una società controllata – Esenzione fiscale in caso di divieto di deduzione degli oneri finanziari versati da parte di una società controllata sottocapitalizzata – Società controllanti con società controllate non residenti – Divieto di deduzione degli oneri finanziari imposto da un altro Stato membro»





I –    Introduzione

1.        Lo spostamento globale di oneri tributari attraverso gruppi societari internazionali ha molto impegnato la comunità degli Stati negli anni scorsi. Una tipica possibilità di trasferimento di utili da uno Stato all’altro è il finanziamento di società controllate aventi sede all’estero ricorrendo allo strumento del prestito anziché al capitale proprio. In tal modo, si può ottenere il risultato di sottrarre parzialmente l’utile generato da una società controllata alla tassazione del suo Stato di residenza e di assoggettarlo, invece, ad imposta nello Stato ove ha sede la società controllante a condizioni eventualmente più vantaggiose.

2.        Tale possibilità di trasferimento di utili è alla base della presente domanda danese di pronuncia pregiudiziale. L’erario danese cerca di contrastarla imponendo il divieto di deduzione degli oneri finanziari, che colpisce le cosiddette società controllate sottocapitalizzate, riguardo alle quali si ritiene, dunqu,e che la loro società controllante debba dotarle, in realtà, di maggior capitale proprio. Il divieto di deduzione produce l’effetto che l’utile delle società controllate danesi debba essere assoggettato in toto ad imposta in Danimarca, senza le riduzioni relative agli interessi versati. Al fine di prevenire peraltro una doppia imposizione degli oneri finanziari assolti all’interno della Danimarca, gli interessi attivi della società controllante danese sono, in tal caso, esenti da imposta.

3.        Tale esenzione viene tuttavia negata alle società controllanti danesi qualora la loro società controllata sia residente in un altro Stato membro e sia ivi soggetta, del pari, al divieto di deduzione degli oneri finanziari. La Corte dovrà ora chiarire se una normativa come quella in questione volta ad impedire il trasferimento di oneri tributari possa essere compatibile con la libertà di stabilimento. A tal riguardo, si tratterà, in particolare, del rispetto della coerenza della nostra giurisprudenza nel settore delle imposte dirette.

II – Contesto normativo

Diritto dell’Unione

4.        Nel periodo cui si riferisce la controversia principale, l’articolo 43 CE (2) (attualmente: articolo 49 TFUE (3)) disciplina il diritto di stabilimento nei termini seguenti:

«Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di uno Stato membro.

La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 48, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali».

5.        L’articolo 48 CE (attualmente articolo 54 TFUE) amplia la sfera di applicazione della libertà di stabilimento nei termini seguenti:

«Le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno della Comunità, sono equiparate, ai fini dell’applicazione delle disposizioni del presente capo, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri.

[...]».

Normativa nazionale

6.        Nel Regno di Danimarca si applica un’imposta sulle società ai redditi di società danesi, tra cui anche gli interessi attivi.

7.        Una società danese, che sia membro di un gruppo, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, del Selskabsskattelov (legge sull’imposta sulle società; in prosieguo: la «legge danese»), non può dedurre, in linea di principio, come spese amministrative gli oneri finanziari relativi a debiti intragruppo, ove sia sottocapitalizzata. Ciò presuppone un rapporto superiore a 4:1 dei debiti rispetto al capitale proprio della società.

8.        Qualora si applicasse il divieto di deduzione degli oneri finanziari di cui all’articolo 11, paragrafo 1, della legge danese, sarebbero conseguentemente esentati dall’imposta, ai sensi del paragrafo 6 della disposizione, i corrispondenti interessi percepiti dal creditore degli interessi.

III – Controversia principale

9.        La controversia principale riguarda la determinazione dell’imposta danese sulle società relativa alla società danese Damixa ApS (in prosieguo: la «Damixa») per il 2005 e il 2006, in particolare la rilevanza, sotto il profilo fiscale, di specifici interessi percepiti. La Damixa era, nel periodo menzionato, una società controllata della Masco Denmark ApS, con la quale era sottoposta a tassazione congiunta del gruppo societario e che è, pertanto, parimenti ricorrente nel procedimento principale.

10.      La Damixa aveva concesso un prestito alla Damixa Armaturen GmbH, sua società controllata al 100%, con sede in Germania. Nel 2005 e nel 2006 essa percepiva interessi per un importo complessivo di 9 584 745 corone danesi. Alla sua società controllata tedesca gli interessi non venivano riconosciuti come spese amministrative, in quanto essa era considerata sottocapitalizzata ai sensi della legge tedesca (rapporto superiore a 1,5 dei debiti rispetto al capitale proprio).

11.      L’amministrazione finanziaria danese non ravvisa, nella specie, alcuna possibilità di applicare l’esenzione fiscale degli interessi percepiti ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 6, della legge danese. Infatti, l’esenzione presupporrebbe l’assoggettamento degli oneri finanziari assolti da parte del debitore al divieto di deduzione ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, della stessa legge. Tale divieto si applicherebbe peraltro solo alle società assoggettate all’imposta danese, dunque, di norma, solo alle società residenti in Danimarca.

12.      La Damixa considera, invece, la propria libertà di stabilimento lesa dalla normativa. Infatti, in sostanza, le verrebbe preclusa l’esenzione fiscale per il solo motivo che la sua società controllata, da cui aveva percepito gli interessi, sia residente in un altro Stato membro.

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

13.      In data 19 dicembre 2014, il Vestre Landsret (giudice di appello della Regione occidentale, Danimarca), medio tempore investito della controversia, ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, la seguente questione pregiudiziale:

Se l’articolo 43 del Trattato CE, in combinato disposto con l’articolo 48 CE, osti a che uno Stato membro non conceda a una società residente un’esenzione fiscale per interessi attivi qualora ad una società appartenente allo stesso gruppo, residente in un altro Stato membro, non sia consentito dedurre fiscalmente i corrispondenti interessi passivi, per effetto di una normativa (come nella specie) dello Stato membro interessato sulla restrizione della deduzione degli interessi attivi in caso di sottocapitalizzazione, laddove il primo Stato membro concede a una società residente l’esenzione fiscale per gli interessi attivi nel caso in cui a una società appartenente allo stesso gruppo, residente nello stesso Stato membro, non sia consentito dedurre fiscalmente i corrispondenti interessi passivi, in conseguenza della normativa nazionale (come nel presente caso) sulla restrizione della deduzione degli interessi in caso di sottocapitalizzazione.

14.      Le ricorrenti nella controversia principale, il Regno di Danimarca e la Commissione europea hanno presentato alla Corte osservazioni scritte e anche orali all’udienza del 3 marzo 2016.

V –    Analisi giuridica

15.      Con la questione pregiudiziale il giudice chiede, in sostanza, se sia compatibile con la libertà di stabilimento il fatto che uno Stato membro consideri esenti da imposta gli interessi che una società controllante percepisca dalla propria società controllata, qualora i corrispondenti oneri finanziari assolti da parte della società controllante siano assoggettati, nella normativa tributaria di tale Stato membro, ad un divieto di deduzione in ragione della sottocapitalizzazione della società stessa, ma non nel caso in cui la società controllata sia residente in un altro Stato membro e gli oneri finanziari assolti non siano deducibili nell’ambito della tassazione ivi applicata ugualmente per motivi di sottocapitalizzazione.

A –    Restrizione alla libertà di stabilimento

16.      Ai sensi dell’articolo 43 CE, in combinato disposto con l’articolo 48 CE, le restrizioni alla libertà di stabilimento di società di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro sono vietate. Tale divieto non si applica solo allo Stato di stabilimento, ma anche a quello di provenienza della società (4). Una restrizione, in linea di principio, vietata alla libertà di stabilimento sussiste, dunque, quando lo Stato di provenienza discrimina una società controllante nazionale con una società controllata estera rispetto ad una controllante con una controllata nazionale (5).

17.      Nella specie, risulta, prima facie, che la Damixa sia stata così pregiudicata. Mentre le veniva preclusa l’esenzione fiscale per gli oneri finanziari assolti da parte della propria società controllata estera, sebbene quest’ultima non potesse dedurre gli interessi quali spese amministrative nell’ambito dell’imposizione dei propri redditi, nel caso di una società controllata nazionale, cui del pari sia preclusa la deduzione degli interessi, la controllante avrebbe goduto di un’esenzione fiscale.

18.      Tuttavia, una normativa come quella danese non restringe, in definitiva, la libertà di stabilimento della Damixa, in quanto lo svantaggio che sorge a suo carico non è imputabile esclusivamente al Regno di Danimarca. Tale interpretazione deriva dal principio di autonomia consolidato nella giurisprudenza (a tal riguardo v. sub 1) e non viene posto in questione, nella sostanza, dall’orientamento giurisprudenziale Manninen (a tal riguardo v. sub 2).

1.      Il principio di autonomia

19.      La Corte ha avuto più volte occasione di affermare che uno Stato membro non può essere tenuto, in forza delle libertà fondamentali, a prendere in considerazione, ai fini dell’applicazione della propria normativa fiscale, delle specificità eventualmente sfavorevoli della normativa di un altro Stato membro (6). Infatti, secondo costante giurisprudenza, in particolare la libertà di stabilimento non obbliga uno Stato membro a determinare le proprie norme tributarie in funzione di quelle di un altro Stato membro, al fine di garantire, in ogni situazione, una tassazione che elimini qualsivoglia disparità derivante dalle normative tributarie nazionali (7).

20.      Tale «principio di autonomia» (8) sancisce, in ultima analisi, che uno Stato membro non viola le libertà fondamentali in una situazione in cui un trattamento sfavorevole di fattispecie transfrontaliere risulta unicamente dalla presa in considerazione delle disposizioni normative tributarie di un altro Stato membro. Infatti, i singoli sistemi tributari degli Stati membri devono essere considerati di volta in volta autonomamente (9).

21.      In tal senso, ad esempio, la Corte ha affermato, sulla base di tale principio, che uno Stato membro non deve subordinare la propria imposizione al fatto che un altro Stato membro applichi ugualmente un’imposta sulla medesima operazione (10).

22.      Ugualmente sulla base del principio di autonomia, nell’ambito della cosiddetta imposizione all’uscita, la Corte ha dichiarato che uno Stato membro non deve tener conto delle minusvalenze relative agli elementi dell’attivo di un’impresa, derivanti a seguito del trasferimento della propria sede in un altro Stato membro, in ragione del fatto che lo Stato membro ospitante contempli nella sua normativa tributaria una presa in considerazione di tali minusvalenze (11).

23.      Anche la rilevanza transfrontaliera delle perdite, ai sensi del principio di autonomia, non può dipendenre dal fatto che l’altro Stato membro disponga, nella propria normativa tributaria, che la società controllata non residente non possa riportare le perdite (12) oppure che non si tenga conto, in via generale, della perdita derivante dalla vendita di un immobile ivi situato (13).

24.      In tutti i menzionati casi, il trattamento sfavorevole della fattispecie transfrontaliera è imputabile almeno nella stessa misura all’altro Stato membro e, pertanto, costituisce l’effetto della ripartizione delle competenze fiscali tra gli Stati membri (14) ovvero del suo parallelo esercizio (15). Un trattamento sfavorevole, il quale deriva esclusivamente dalla combinazione delle legislazioni di due Stati membri, non può però essere imputata a nessuno dei due Stati a titolo di restrizione di una libertà fondamentale (16).

25.      A tal proposito, la doppia imposizione di fattispecie transfrontaliere da parte di due Stati membri è un esempio particolarmente chiaro che, secondo giurisprudenza costante della Corte, non costituisce violazione delle libertà fondamentali (17), per quanto gli effetti negativi per il mercato interno siano evidenti. Pregiudizi di tal genere per il mercato interno, dipendenti dall’azione autonoma di due Stati membri, non possono però essere impediti sulla base delle libertà fondamentali, ma solo attraverso adeguati atti giuridici a livello dell’Unione (18) oppure – come seconda opzione, attualmente predominante – attraverso convenzioni bilaterali o multilaterali tra gli Stati membri (19).

26.      Nel presente caso, una conditio sine qua non del trattamento sfavorevole dello stabilimento transfrontaliero della Damixa consiste allora nel fatto che nella normativa tributaria tedesca applicabile agli stranieri, cui è assoggettata la sua società controllata, è previsto un divieto di dedurre gli interessi. In assenza di tale normativa, che è attuata da un altro Stato membro, non si può invece ravvisare alcun trattamento sfavorevole della fattispecie transfrontaliera rispetto a quella nazionale. Infatti, la Damixa, senza il divieto di dedurre gli interessi vigente per gli stranieri, avrebbe lo stesso trattamento di una società controllante, la cui controllata nazionale non sia, del pari, soggetta ad alcun divieto siffatto. Entrambe le società controllanti non potrebbero giovarsi di un’esenzione fiscale degli interessi percepiti.

27.      Tuttavia, qualora si riconoscesse, nella specie, la sussistenza di una restrizione alla libertà di stabilimento per effetto della normativa danese, allora un’esenzione per le fattispecie transfrontaliere dipenderebbe, di volta in volta – fatta salva una giustificazione di detta restrizione – dal fatto che un altro Stato membro preveda un divieto di deduzione degli interessi per i propri soggetti passivi. Ciò sarebbe chiaramente in contrasto con il principio di autonomia.

2.      La sentenza Manninen

28.      Con il principio di autonomia può essere compatibile anche la sentenza Manninen (20), la cui importanza per la soluzione della questione pregiudiziale è stata ampiamente discussa dalle parti del procedimento, sebbene essa sia stata già pronunciata nel 2004, prima dell’elaborazione del principio di autonomia nella nostra giurisprudenza.

29.      Nella sentenza Manninen, la Corte aveva rilevato una violazione della libera circolazione dei capitali nell’ambito della tassazione di redditi da dividendi percepiti da azionisti residenti. La normativa tributaria nazionale de qua prevedeva, infatti, in linea di principio, che gli azionisti ottenessero un credito d’imposta pari all’imposta sulle società che la società di cui detenevano le azioni aveva già pagato per gli utili distribuiti. Gli azionisti di società estere restavano peraltro esclusi da tale misura volta ad evitare la doppia imposizione economica degli utili societari. Un’imputazione dell’imposta sulle società, assolta dalle società estere in un altro Stato membro, non era in tal caso possibile. La Corte ha accertato, a tal riguardo, una restrizione degli investimenti transfrontalieri, per i quali anch’essa non poteva trovare alcuna giustificazione.

30.      Estendendo il principio al caso in esame, si potrebbe allora ritenere che anche l’aumento dell’imposizione fiscale di una società controllata conseguente ad un divieto di dedurre gli interessi costituisca un’imposta che, nel caso dell’azionista residente, segnatamente la società controllante, possa essere «dedotta», non essendo tassati gli interessi attivi in capo all’azionista. Da tale comparazione risulterebbe che anche nel presente caso – proprio come nella sentenza Manninen – dovrebbe riconoscersi la sussistenza di una restrizione alla libertà di stabilimento, in quanto la «deduzione» non è possibile per le partecipazioni estere. La validità del principio di autonomia verrebbe così messa in discussione.

31.      Occorre peraltro sottolineare che, nella motivazione di quella sentenza, la Corte ha interpretato esplicitamente la normativa nazionale in questione nel senso che la deduzione dell’imposta dovuta dalla società dall’imposta sui redditi del suo azionista comporterebbe, in definitiva, che i redditi da dividendi vengano esentati dall’imposta in capo all’azionista (21). Lo Stato membro interessato era pertanto l’unico responsabile per il trattamento sfavorevole delle partecipazioni estere, in ordine alle quali non era prevista, in definitiva, nessuna esenzione per i redditi da dividendi. Nell’accogliere tale interpretazione, la sentenza Manninen differisce in maniera significativa dal caso di specie. Infatti, l’esenzione danese delle società controllanti non si applica in via generale, ma solo quando le rispettive società controllate siano soggette ad un divieto di dedurre gli intressi, il che, tuttavia, nel caso di controllate non residenti, dipende dalla normativa tributaria di un altro Stato membro.

32.      Con detta intepretazione contenuta nella sentenza Manninen potrebbe però essere in constrasto il fatto che la Corte non considera lo Stato membro in questione tenuto ugualmente ad esentare in toto dall’imposta i dividendi distribuiti da una società non residente, in relazione al suo azionista. Piuttosto, per giurisprudenza costante, soltanto l’imposta sulle società effettivamente riscossa nello Stato membro in cui ha sede la società può essere dedotta dall’imposta gravante sull’azionista (22). A tal proposito potrebbe intravedersi una contraddizione con il principio di autonomia, poiché la portata di tale deduzione dipende dall’importo dell’imposta estera e pertanto dalla normativa tributaria di un altro Stato membro.

33.      Tuttavia, l’asserita contraddizione si risolve allorché ci si renda conto che la Corte ha assecondato, in tal modo, lo Stato membro solo in ordine alla scelta del mezzo con il quale deve essere rimossa la violazione accertata. Lo Stato membro in questione non è altresì tenuto a disporre un’esenzione per le partecipazioni estere al fine di evitare una violazione della libera circolazione dei capitali, ma è sufficiente che provveda a dedurre solo la specifica imposta estera sulle società (23). La circostanza che, per contro, la deduzione dell’imposta estera come tale – e pertanto la dipendenza dal sistema tributario di un altro Stato membro – non venga prescritta dalle libertà fondamentali, sulla base dell’orientamento giurisprudenziale Manninen, emerge in particolare dal fatto che, di conseguenza, l’azionista debba essere esentato, nella fattispecie transfrontaliera, al massimo dall’imposta sui suoi redditi da dividendi, ma che non sia titolare di alcun diritto al rimborso della differenza in eccesso dell’imposta estera sulle società (24).

3.      Conclusione

34.      Una normativa come quella danese sull’esenzione degli interessi attivi, dipendente da un divieto di dedurre gli oneri finanziari, non rappresenta una restrizione alla libertà di stabilimento e non viola conseguentemente gli articoli 43 e 48 CE.

B –    In via subordinata: giustificazione di un’eventuale restrizione

35.      Tuttavia, qualora la Corte dovesse nondimeno ritenere sussistente, nel caso di specie, una restrizione alla libertà di stabilimento della Damixa, occorrerebbe peraltro verificare se tale trattamento sfavorevole sia giustificato.

36.      Una giustificazione del trattamento sfavorevole della Damixa potrebbe essere rinvenuta nel fatto che, nel suo caso, il divieto di deduzione degli oneri finanziari da parte della sua controllata si applica nell’ambito della tassazione estera dei redditi e non all’interno del sistema dell’imposta danese sulle società.

1.      Ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri

37.      In primo luogo, occorre qui rammentare la causa di giustificazione consistente nel rispetto della ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri riconosciuto dalla Corte in giurisprudenza costante (25). In base ad essa, gli Stati membri hanno il diritto di esercitare e di salvaguardare tale potere ad essi attribuito (26). Le misure adottate su tale base vanno oltre il mero interesse di uno Stato membro di evitare una riduzione delle proprie entrate tributarie – la quale, di per sé, non costituisce un motivo imperativo di interesse generale (27) – in quanto esse mirano ad impedire un trasferimento ingiustificato della base impositiva da uno Stato membro ad un altro.

38.      Il caso di specie presenta la peculiarità che il potere impositivo non è stato determinato, come di regola, dagli Stati membri per mezzo di una convenzione overo unilateralmente (28), ma da un atto giuridico dell’Unione. Infatti, gli interessi che la Damixa ha percepito dalla propria controllata tedesca sembrano collocarsi nella sfera di applicazione della direttiva 2003/49/CE (29). L’articolo 1, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva attribuisce il diritto di assoggettare ad imposizione detti interessi allo Stato membro del creditore degli interessi, essendo questi ultimi esentati dall’imposta nello Stato di origine.

39.      Sebbene la direttiva 2003/49/CE non impedisca allo Stato di origine, ai sensi del suo articolo 4, paragrafo 1, lettera a), di assoggettare ad impostag li oneri finanziari assolti, in via eccezionale, a titolo di distribuzioni di utili, come può farsi ricorrendo ad un divieto di deduzione degli oneri finanziari, tuttavia, la direttiva afferma in maniera inequivoca che il potere impositivo relativo ai pagamenti degli interessi transfrontalieri deve spettare allo Stato membro del creditore di detti interessi (30).

40.      Tale potere impositivo del Regno di Danimarca, sussistente nel caso di specie, non sarebbe però garantito nel caso in cui l’assoggettamento ad imposta del pagamento degli interessi da parte dello Stato di origine come la Repubblica federale di Germania con il ricorso ad un divieto di deduzione degli oneri finanziari implichi necessariamente la rinuncia della Danimarca al proprio potere impositivo, avendo quest’ultima potuto prevedere anche in casi siffati un’esenzione fiscale. Per quanto anche gli atti giuridici dell’Unione in materia fiscale come la direttiva 2003/49 siano soggetti ai vincoli delle libertà fondamentali (31), tuttavia, qualora la giustificazione di una lesione delle libertà fondamentali nella normativa tributaria debba consistere nella ripartizione del potere impositivo da parte degli Stati membri (32), ciò deve valere a maggior ragione per una ripartizione a livello di Unione.

41.      Dato che, al fine di impedire un trasferimento del potere impositivo verso lo Stato di origine in contrasto con la ripartizione effettuata con la direttiva 2003/49, non è ravvisabile un mezzo meno restrittivo rispetto alla limitazione dell’esenzione in questione ai pagamenti di interessi da parte di controllate residenti, tale misura sarebbe, in ultima analisi, giustificata dalla finalità del rispetto della ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri.

2.      Coerenza fiscale

42.      Inoltre, l’esclusione di controllate non residenti dall’esenzione fiscale potrebbe risultare giustificata anche dal rispetto della coerenza fiscale (33).

43.      A tal fine, occorre che sussista un nesso diretto tra la concessione di un vantaggio fiscale e la compensazione di tale vantaggio con un determinato prelievo fiscale (34). Al riguardo, il carattere diretto del nesso tra il vantaggio e il prelievo deve essere valutato rispetto all’obiettivo perseguito dalla normativa fiscale (35). Qualora tali condizioni siano soddisfatte, è possibile negare ad un soggetto passivo il vantaggio fiscale nel caso in cui questi non sia soggetto anche all’onere fiscale che il regime tributario di uno Stato membro collega indissolubilmente con il vantaggio fiscale desiderato.

44.      Nel presente caso, va accertata la sussistenza di un siffatto nesso diretto tra l’esenzione fiscale danese degli interessi percepiti dalla società controllante e il divieto danese di deduzione degli oneri finanziari da parte della società controllata. La Damixa chiede pertanto il vantaggio dell’esenzione fiscale degli interessi dalla stessa percepiti senza che la sua controllata sia soggetta all’onere che vi è direttamente connesso sotto forma del divieto danese di deduzione degli oneri finanziari assolti.

45.      A ciò non osta il fatto che la Corte abbia affermato in diverse occasioni che un nesso diretto nel senso della coerenza fiscale non sussisterebbe, inter alia, quando siano interessati soggetti passivi diversi (36). Infatti – come ho già esposto più dettagliatamente in altra sede (37) – può esistere in casi di tal genere, in via eccezionale, un nesso diretto, qualora, come nel presente caso, un’identica operazione economica produca effetti speculari in capo a due soggetti passivi. In particolare, nella sentenza Papillon, la Corte ha riconosciuto tale interpretazione pertinente anche implicitamente per il caso di specie. In quella sede, infatti, è stata accertata la sussistenza un nesso diretto tra il vantaggio del consolidamento dei risultati di tutte le società facenti parte del gruppo e l’onere fiscale della neutralizzazione di determinate operazioni tra dette società (38). In tal caso, dunque, sia i vantaggi sia gli oneri concernevano rispettivamente diverse società all’interno di un gruppo.

46.      L’esclusione dell’esenzione fiscale nel caso di società controllate non residenti, soggette ad un divieto estero di deduzione degli oneri finanziari è, inoltre, anche proporzionale, conformemente alla più recente giurisprudenza. Infatti, a tal riguardo, la Corte ha affermato che la rilevanza anche di fatti avvenuti in altri Stati, non soggetti alla loro imposizione, contrasterebbe con l’obiettivo di una normativa, la quale – come pure nella specie – sia volta ad impedire una doppia imposizione all’interno del sistema fiscale di uno Stato membro (39).

47.      Pertanto, anche la prospettiva del rispetto della coerenza fiscale giustificherebbe la limitazione della presente esenzione fiscale agli interessi attivi di società controllate residenti.

VI – Conclusione

48.      Tutto ciò considerato, propongo di rispondere alla domanda del Vestre Landsret (giudice di appello della Regione occidentale, Danimarca) nei termini seguenti:

L’articolo 43 CE, in combinato disposto con l’articolo 48 CE, non osta alla normativa di uno Stato membro che preclude ad una società residente un’esenzione fiscale per interessi attivi qualora ad una società appartenente allo stesso gruppo, residente in un altro Stato membro, non sia consentito dedurre fiscalmente i corrispondenti interessi passivi in conseguenza di una normativa dello Stato membro interessato sulla limitazione della deduzione degli interessi attivi in caso di sottocapitalizzazione, laddove conceda ad una società residente l’esenzione per gli interessi attivi nel caso in cui a una società appartenente allo stesso gruppo, residente nel territorio nazionale, non sia consentito dedurre fiscalmente i corrispondenti interessi passivi in conseguenza della normativa nazionale sulla restrizione della deduzione degli oneri finanziari in caso di sottocapitalizzazione.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – Trattato che istituisce la Comunità europea nella versione del trattato di Amsterdam (GU C 340 del 10 novembre 1997, pag. 173).


3 – Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (GU C 326 del 26 ottobre 2012, pag. 47).


4–      V. inter alia sentenze Daily Mail e General Trust (81/87, EU:C:1988:456, punto 16), National Grid Indus (C-371/10, EU:C:2011:785, punto 35), Nordea Bank Danmark (C-48/13, EU:C:2014:2087, punto 18) e Sparkasse Allgäu (C-522/14, EU:C:2016:253, punto 20).


5–      V. inter alia sentenze X und Y (C-200/98, EU:C:1999:566, punti 27 e 28), Papillon (C-418/07, EU:C:2008:659, punti 31 e 32), SCA Group Holding u. a. (C-39/13, C-40/13, C-41/13, EU:C:2014:1758, punti da 23 a 27), Nordea Bank Danmark (C-48/13, EU:C:2014:2087, punto 19) e Groupe Steria (C-386/14, EU:C:2015:524, punto 15).


6–      Sentenze Krankenheim Ruhesitz am Wannsee-Seniorenheimstatt (C-157/07, EU:C:2008:588, punto 49) e K (C-322/11, EU:C:2013:716, punto 79).


7–      Sentenze Deutsche Shell (C-293/06, EU:C:2008:129, punto 43), Krankenheim Ruhesitz am Wannsee-Seniorenheimstatt (C-157/07, EU:C:2008:588, punto 50) e National Grid Indus (C-371/10, EU:C:2011:785, punto 62); v., in tal senso, anche sentenze Columbus Container Services (C-298/05, EU:C:2007:754, punto 51) e X (C-686/13, EU:C:2015:375, punto 33) con riguardo alla scelta tra diversi Stati membri di stabilimento; v., specificamente sulla doppia imposizione, sentenze CIBA (C-96/08, EU:C:2010:185, punto 28), Commissione/Ungheria (C-253/09, EU:C:2011:795, punto 83) e X (C-302/12, EU:C:2013:756, punto 29); v., inoltre, sugli obblighi di notifica tributari, sentenza Sparkasse Allgäu (C-522/14, EU:C:2016:253, punto 31); v. ancora in merito alla libera circolazione dei capitali, sentenze Block (C-67/08, EU:C:2009:92, punto 31) e Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (C-157/10, EU:C:2011:813, punto 39).


8–      La Corte ha parlato più volte, in connessione con i principi menzionati, della «certa autonomia» degli Stati membri nel settore della normativa sulle imposte dirette: v. sentenze Columbus Container Services (C-298/05, EU:C:2007:754, punto 51), Block (C-67/08, EU:C:2009:92, punto 31) e Commissione/Ungheria (C-253/09, EU:C:2011:795, punto 83).


9–      Ciò vale anche al contrario: la normativa di uno Stato membro viola le libertà fondamentali anche laddove un trattamento sfavorevole provocato dallo stesso venga bilanciato dalla normativa di un altro Stato membro; v., a tal riguardo, le mie conclusioni presentate nelle cause riunite SCA Group Holding e a. (C-39/13, C-40/13 e, EU:C:2014:104, paragrafo 50 e la giurisprudenza ivi citata); v., in tal senso, anche sentenza Amurta (C-379/05, EU:C:2007:655, punto 78).


10–       Sentenze Block (C-67/08, EU:C:2009:92, punti da 28 a 31) e CIBA (C-96/08, EU:C:2010:185, punto 28).


11–       Sentenza National Grid Indus (C-371/10, EU:C:2011:785, punti 61 e 62).


12–       Sentenza Commissione/Regno Unito (C-172/13, EU:C:2015:50, punto 33 e la giurisprudenza ivi citata).


13–       Sentenza K (C-322/11, EU:C:2013:716, punti da 79 a 81).


14–      V., in tal senso, sentenza Krankenheim Ruhesitz am Wannsee-Seniorenheimstatt (C-157/07, EU:C:2008:588, punti 51 e 52).


15–      V., in tal senso, sentenze Kerckhaert e Morres (C-513/04, EU:C:2006:713, punto 20), nonché CIBA (C-96/08, EU:C:2010:185, punto 25).


16–      Gli effetti del principio di autonomia sono considerati come un’esclusione della restrizione di una libertà fondamentale nelle sentenze Columbus Container Services (C-298/05, EU:C:2007:754, punti da 50 a 54), Block (C-67/08, EU:C:2009:92, punti da 23 a 31), X (C-686/13, EU:C:2015:375, punti da 33 a 35) e Sparkasse Allgäu (C-522/14, EU:C:2016:253, punti da 24 a 32); nell’ambito della giustificazione di una restrizione viene invece impiegato il principio di autonomia nelle sentenze Deutsche Shell (C-293/06, EU:C:2008:129, punti da 41 a 44), National Grid Indus (C-371/10, EU:C:2011:785, punti da 50 a 64), Commissione/Ungheria (C-253/09, EU:C:2011:795, punti da 81 a 83) e K (C-322/11, EU:C:2013:716, punti da 74 a 82).


17–      V., e multis, sentenze Damseaux (C-128/08, EU:C:2009:471, punto 34), CIBA (C-96/08, EU:C:2010:185, punto 28), Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (C-436/08 e C-437/08, EU:C:2011:61, punto 170), nonché X (C-302/12, EU:C:2013:756, punto 29).


18–      V. almeno sentenze Kerckhaert und Morres (C-513/04, EU:C:2006:713, punto 22), Columbus Container Services (C-298/05, EU:C:2007:754, punto 45), Block (C-67/08, EU:C:2009:92, punto 30) e CIBA (C-96/08, EU:C:2010:185, punto 27).


19–      V., inter alia, sentenze Deutsche Shell (C-293/06, EU:C:2008:129, punti 41 e 42), nonché Krankenheim Ruhesitz am Wannsee-Seniorenheimstatt (C-157/07, EU:C:2008:588, punti 48 e 49).


20–      Sentenza Manninen (C-319/02, EU:C:2004:484).


21–      Sentenza Manninen (C-319/02, EU:C:2004:484, punti 20 e 44).


22–      Sentenza Manninen (C-319/02, EU:C:2004:484, punto 54); v., del pari, inter alia, le sentenze Test Claimants in the FII Group Litigation (C-446/04, EU:C:2006:774, punto 70), Meilicke e a. (C-292/04, EU:C:2007:132, punto 15), Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (C-436/08 e, EU:C:2011:61, punto 61) e Meilicke e a. (C-262/09, EU:C:2011:438).


23–       Sentenza Manninen (C-319/02, EU:C:2004:484, punto 46).


24–       Sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation (C-446/04, EU:C:2006:774, punto 52).


25–      V., inter alia, sentenze Marks & Spencer (C-446/03, EU:C:2005:763, punto 45), National Grid Indus (C-371/10, EU:C:2011:785, punto 45) e Finanzamt Linz (C-66/14, EU:C:2015:661, punto 41).


26–      V., in particolare, le mie conclusioni presentate nella causa Nordea Bank Danmark (C-48/13, EU:C:2014:153, paragrafi da 38 a 41 e la giurisprudenza ivi citata).


27–      V., inter alia, sentenze ICI (C-264/96, EU:C:1998:370, punto 28), Manninen (C-319/02, EU:C:2004:484, punto 49) e Commissione/Austria (C-10/10, EU:C:2011:399, punto 40).


28–      V., e multis, sentenze Aberdeen Property Fininvest Alpha (C-303/07, EU:C:2009:377, punto 25), National Grid Indus (C-371/10, EU:C:2011:785, punto 45) e Finanzamt Linz (C-66/14, EU:C:2015:661, punto 41).


29–      Direttiva 2003/49/CE del Consiglio, del 3 giugno 2003, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi (GU L 157 del 26 giugno 2003, pag. 49).


30–      V. altresì il considerando 4 della direttiva 2003/49.


31–      V., in tal senso, sulla direttiva 90/435/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati Membri diversi (GU L 225 del 20 agosto 1990, pag. 6), sentenza Groupe Steria (C-386/14, EU:C:2015:524, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata).


32–      V., in particolare, le mie conclusioni presentate nella causa Nordea Bank Danmark (C-48/13, EU:C:2014:153, paragrafi 35, 36 e 37, nonché la giurisprudenza ivi citata).


33–      V., e multis, sentenze Bachmann (C-204/90, EU:C:1992:35, punto 28), Manninen (C-319/02, EU:C:2004:484, punto 42), Papillon (C-418/07, EU:C:2008:659, punto 43), SCA Group Holding e a. (C-39/13, C-40/13 e C-41/13, EU:C:2014:1758, punto 33) e Timac Agro Deutschland (C-388/14, EU:C:2015:829, punto 39).


34 – V., e multis, sentenze Svensson e Gustavsson (C-484/93, EU:C:1995:379, punto 18); ICI (C-264/96, EU:C:1998:370, punto 29); Rewe Zentralfinanz (C-347/04, EU:C:2007:194, punto 62); Test Claimants in the FII Group Litigation (C-35/11, EU:C:2012:707, punto 58), e Timac Agro Deutschland (C-388/14, EU:C:2015:829, punto 39).


35 – V., e multis, sentenze Deutsche Shell (C-293/06, EU:C:2008:129, punto 39), Presidente del Consiglio dei Ministri (C-169/08, EU:C:2009:709, punto 47) e Timac Agro Deutschland (C-388/14, EU:C:2015:829, punto 39); v. già, in senso analogo, sentenza Manninen (C-319/02, EU:C:2004:484, punto 43).


36 – V. per tutte sentenza F. E. Familienprivatstiftung Eisenstadt (C-589/13, EU:C:2015:612, punto 83 e la giurisprudenza ivi citata).


37 – V. le mie conclusioni presentate nella causa Manninen (C-319/02, EU:C:2004:164, paragrafi da 50 a 65).


38–       Sentenza Papillon (C-418/07, EU:C:2008:659, punti da 45 a 50).


39–       Sentenza Commissione/Ungheria (C-253/09, EU:C:2011:795, punti 81 e 82).