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Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MICHAL BOBEK

presentate il 14 dicembre 2017(1)

Causa C-382/16

Hornbach-Baumarkt-AG

contro

Finanzamt Landau

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Finanzgericht Rheinland-Pfalz (Germania)]

«Domanda di pronuncia pregiudiziale – Libertà di stabilimento – Imposte dirette – Applicazione del valore del trasferimento in relazione ad operazioni tra società residenti e non residenti»






I.      Introduzione

1.        La Hornbach-Baumarkt AG (in prosieguo: la «Hornbach») rilasciava, nei confronti di creditori e banche, lettere di patronage per garantire che alcune delle proprie controllate estere avrebbero fatto fronte alle loro obbligazioni. Per tali lettere essa non riceveva dalle proprie controllate alcun corrispettivo. In seguito a un accertamento fiscale, il Finanzamt Landau (Ufficio delle imposte di Landau; in prosieguo: l’«Ufficio delle imposte») riteneva che le lettere di patronage non fossero state concesse alle normali condizioni di mercato. L’Ufficio delle imposte applicava quindi una maggiorazione dell’imposta sul reddito da attività produttive a carico della Hornbach. Tale maggiorazione era intesa a riflettere la remunerazione fittizia che secondo l’Ufficio sarebbe stata corrisposta, in condizioni normali, alla Hornbach da un terzo non collegato a titolo di corrispettivo per le lettere di patronage.

2.        La Hornbach impugnava l’accertamento dell’Ufficio delle imposte dinanzi al giudice del rinvio. Essa sostiene che la normativa tedesca che prevede l’accertamento in rettifica sulle operazioni tra società collegate per riflettere le normali condizioni di mercato contravviene alle disposizioni del Trattato FUE sulla libertà di stabilimento. In particolare, tale normativa prevede l’accertamento in rettifica solo nel caso in cui siano coinvolte società collegate straniere. Inoltre, essa non consente ai soggetti passivi di addurre giustificazioni per le operazioni non effettuate alle normali condizioni di mercato.

3.        In tale contesto, il Finanzgericht Rheinland-Pfalz (Tribunale tributario della Renania Palatinato, Germania), chiede se la pertinente disciplina nazionale tedesca sia compatibile con le disposizioni del Trattato FUE relative alla libertà di stabilimento.

II.    Contesto normativo

4.        Secondo il giudice del rinvio, laddove i proventi percepiti da un contribuente da rapporti commerciali con un soggetto ad esso collegato siano inferiori in ragione del fatto che, nell’ambito di rapporti commerciali di tal genere verso l’estero, siano state pattuite condizioni che si discostino da quelle che soggetti terzi tra loro indipendenti avrebbero concordato nell’ambito di rapporti identici o simili, trova applicazione l’articolo 1, paragrafo 1, dell’Außensteuergesetz (legge relativa ai rapporti con l’estero), come modificato dal Gesetz zum Abbau von Steuervergünstigungen und Ausnahmeregelungen (legge sull’eliminazione delle agevolazioni fiscali e delle disposizioni derogatorie) del 16 maggio 2003 (BGBl. I, 2003, pag. 660; in prosieguo: l’«AStG»). Tale disposizione prevede che redditi di tal genere devono essere determinati come se maturati sulla base di condizioni concordate tra soggetti terzi indipendenti.

5.        Un soggetto è considerato collegato ad un contribuente, in particolare, se quest’ultimo detiene in tale soggetto una partecipazione diretta o indiretta pari ad almeno un quarto del suo capitale.

III. Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

6.        La Hornbach (in prosieguo: la «ricorrente») è una società per azioni con sede in Germania, operante nel settore del commercio al dettaglio di prodotti «fai da te» sul territorio nazionale e all’estero.

7.        Nell’esercizio controverso (2003), la ricorrente deteneva partecipazioni in varie società in altri paesi dell’Unione europea e in Stati terzi per le quali aveva rilasciato, nei confronti di creditori e banche, rispettivamente, dichiarazioni di garanzia e lettere di patronage senza richiedere per esse alcun corrispettivo. In particolare, tramite la propria controllata Hornbach International GmbH e, a sua volta, la controllata di quest’ultima, la Hornbach Holding B.V., essa deteneva indirettamente, il 100% della Hornbach Real Estate Groningen B.V. e della Hornbach Real Estate Wateringen B.V. (in prosieguo: le «società straniere del gruppo»), entrambe con sede nei Paesi Bassi.

8.        In data 25 settembre 2002, la ricorrente aveva emesso, a titolo gratuito, per le società straniere del gruppo, delle lettere di patronage nei confronti della loro banca finanziatrice. Ciò era avvenuto in quanto le società straniere del gruppo presentavano un capitale sociale negativo e necessitavano, per il prosieguo dell’attività commerciale e per la prevista realizzazione di un negozio per prodotti per il fai da te e per il giardinaggio, di finanziamenti bancari per, rispettivamente, EUR 10 057 000 (Hornbach Real Estate Groningen B.V.) ed EUR 14 800 000 (Hornbach Real Estate Wateringen B.V.). La banca finanziatrice aveva subordinato la concessione dei crediti alla presentazione di lettere di patronage da parte della ricorrente.

9.        Nelle lettere di patronage del 25 settembre 2002 la ricorrente si impegnava nei confronti della banca finanziatrice a non cedere o modificare la propria partecipazione nella Hornbach Holding B.V. Essa si impegnava altresì a fare in modo che neppure la Hornbach Holding B.V. cedesse o modificasse la sua partecipazione nelle società straniere del gruppo senza che venisse inviata alla banca una comunicazione scritta in tal senso con almeno tre settimane di anticipo rispetto alla cessione o modifica. La ricorrente s’impegnava, inoltre, a garantire irrevocabilmente e incondizionatamente alle società straniere del gruppo la disponibilità di risorse finanziarie sufficienti a consentire loro di far fronte a tutte le obbligazioni su di esse gravanti. La ricorrente era così chiamata a fornire alle società straniere del gruppo, se del caso, le risorse finanziarie necessarie affinché esse fossero in grado di adempiere alle loro esposizioni nei confronti della banca, impegnandosi altresì a garantire che le risorse finanziarie de quibus fossero impiegate per far fronte agli obblighi nei confronti della banca.

10.      In occasione di un accertamento fiscale a carico della ricorrente, l’Ufficio delle imposte (in prosieguo anche: il «resistente») riteneva che le condizioni pattuite tra la ricorrente e le società straniere del gruppo si discostassero da quelle che soggetti terzi tra loro indipendenti avrebbero concordato nell’ambito di rapporti identici o simili. Partner commerciali tra loro indipendenti avrebbero concordato un corrispettivo per la presentazione di una lettera di patronage, visti i rischi di responsabilità ad essa collegati a carico dell’emittente. Posto che la ricorrente non aveva concordato con le società straniere del gruppo alcun compenso per l’emissione delle lettere di patronage, i suoi redditi derivanti da rapporti commerciali con soggetti ad essa collegati sarebbero risultati ridotti.

11.      L’Ufficio delle imposte procedeva conseguentemente, in particolare, a rettifiche sui redditi per EUR 15 253 ed EUR 22 447 sulla base del reddito fittizio che la ricorrente avrebbe percepito qualora avesse effettuato le pertinenti operazioni alle normali condizioni di mercato. La ricorrente proponeva reclami avverso gli avvisi di accertamento per l’esercizio 2003 con riferimento all’imposta sulle società e all’importo assunto a base per il calcolo dell’imposta sul reddito da attività produttive. I reclami venivano respinti dall’Ufficio in quanto infondati. Il procedimento di ricorso avviato contro detta decisione è attualmente pendente dinanzi al giudice del rinvio.

12.      Nel proprio ricorso, la ricorrente sostiene che la rettifica dei propri redditi imponibili compiuta dal resistente nella misura dei corrispettivi (fittizi) per le garanzie prestate è inammissibile per violazione del diritto dell’Unione. A suo avviso, l’articolo 1 dell’AStG comporta una disparità di trattamento tra fattispecie interne e straniere, poiché nel caso di fattispecie puramente interne non si procederebbe a una maggiorazione fittizia del reddito, mentre la concessione di garanzie a controllate straniere verrebbe «punita».

13.      A sostegno della propria tesi, la ricorrente richiama in particolare la sentenza della Corte nella causa SGI (2). Secondo l’interpretazione data dalla ricorrente a detta sentenza, una restrizione alla libertà di stabilimento operata da una disposizione che imponga una rettifica degli utili in ragione del riconoscimento di vantaggi a imprese collegate poste all’estero sarebbe proporzionata solo qualora al contribuente sia data la possibilità di fornire la prova delle ragioni commerciali alla base delle operazioni che, eventualmente, non rispondano al principio delle normali condizioni di mercato. L’articolo 1 dell’AStG non prevedrebbe nessuna disciplina esplicita quanto alla possibilità di provare le ragioni commerciali che giustifichino la conclusione di un’operazione a condizioni non di mercato. Pertanto, secondo la ricorrente, detta disposizione violerebbe il principio di proporzionalità. L’emissione a titolo gratuito delle lettere di patronage controverse non si fonderebbe su ragioni di carattere fiscale. Si tratterebbe, invece, di una misura di sostegno alternativa all’apporto di capitale proprio. Così, a norma del diritto dell’Unione, le remunerazioni per le garanzie prestate non dovrebbero essere conteggiate, laddove sussistano ragioni commerciali idonee a giustificare la gratuità della garanzia del credito.

14.      Nelle proprie difese, il resistente replica essenzialmente che nella causa SGI, vertente su una normativa tributaria belga che presentava alcune analogie con l’articolo 1 dell’AStG, la Corte ha dichiarato che gli articoli 43 CE e 48 CE non ostano, in linea di principio, all’adozione da parte di uno Stato membro di disposizioni di tal genere. Il resistente ammette che l’articolo 1 dell’AStG non contiene alcuna autonoma disciplina inerente alla deduzione di prove relative ad eventuali ragioni commerciali. A suo parere, tuttavia, il contribuente potrebbe, in ogni momento, fornire prova dell’adeguatezza. Ove sussistessero ragioni commerciali idonee a giustificare una deroga rispetto a quanto altrimenti adeguato, esse potrebbero essere prese in considerazione anche nell’ambito dell’articolo 1 dell’AStG. In base al diritto tedesco, inoltre, il contribuente potrebbe impugnare l’avviso di accertamento sia in sede stragiudiziale sia nell’ambito di un procedimento giudiziale.

15.      Alla luce dei suesposti rilievi, il Finanzgericht Rheinland-Pfalz (Tribunale tributario della Renania Palatinato) ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 49, in combinato disposto con l’articolo 54 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (in prosieguo: il “TFUE”) (già articolo 43 in combinato disposto con l’articolo 48 del Trattato che istituisce la Comunità europea; in prosieguo: il “Trattato CE”), osti alla normativa di uno Stato membro per effetto della quale i redditi di un contribuente residente, derivanti da rapporti commerciali con una società residente in un altro Stato membro di cui detenga, direttamente o indirettamente, una partecipazione pari ad almeno un quarto del capitale e con cui abbia pattuito condizioni che si discostino da quelle che soggetti terzi tra loro indipendenti avrebbero concordato nell’ambito di rapporti uguali o simili, debbano essere determinati come se realizzati in presenza di condizioni concordate tra soggetti terzi indipendenti, ove tale rettifica non venga invece operata rispetto ai redditi derivanti da rapporti commerciali con una società residente e la disciplina non consenta al contribuente residente di provare che le condizioni siano state concordate per ragioni commerciali riconducibili alla sua posizione di socio nella società residente nell’altro Stato membro».

16.      Hanno presentato osservazioni scritte la ricorrente, i governi tedesco e svedese nonché la Commissione europea. Le parti interessate che hanno partecipato alla fase scritta hanno altresì presentato conclusioni orali all’udienza tenutasi il 27 settembre 2017.

IV.    Analisi

17.      Può uno Stato membro impedire alle società di spostare la realizzazione di profitti al di fuori della propria giurisdizione imponendo che essi siano realizzati sulla base delle «normali condizioni di mercato»? Può detto Stato imporre tale condizione solo in relazione alle operazioni transfrontaliere e non a quelle interne (vale a dire tra due società residenti) senza violare le norme del Trattato in materia di libertà di stabilimento (3)? Tale è, in sostanza, la questione sollevata dal giudice del rinvio nel caso di specie.

18.      In sintesi, la mia risposta in questo caso è affermativa su entrambi i punti. Ritengo, infatti, che le norme nazionali controverse non determinino alcuna restrizione alla libertà di stabilimento. Tuttavia, ove ciò accadesse, sarebbe, a mio parere, giustificato.

19.      Inizierò esponendo nella sezione A alcune osservazioni generali in ordine al principio di territorialità fiscale e all’orientamento adottato dalla Corte all’applicazione delle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento. Nella sezione B ricorderò i punti principali della sentenza della Corte nella causa SGI, un precedente fondamentale per il caso di specie, e infine risponderò alla questione posta dal giudice del rinvio(4).

A.      Su territorialità, discriminazione, restrizioni e comparabilità

1.      Territorialità, trasferimento degli utili ed erosione della base imponibile

20.      Il principio di territorialità del potere impositivo degli Stati è ampiamente riconosciuto a livello internazionale, anche nella giurisprudenza della Corte (5). In base a tale principio, gli Stati membri possono tassare le società residenti sui profitti conseguiti a livello mondiale (imposizione basata sulla residenza) e le società non residenti sui profitti ricavati dalle loro attività in tale Stato (imposizione basata sulla fonte).

21.      Una delle conseguenze del principio di territorialità è che le società non sono libere di trasferire i profitti e le perdite a propria discrezione tra le giurisdizioni fiscali. Ciò è stato riconosciuto a più riprese nella giurisprudenza della Corte, segnatamente attraverso l’applicazione della nozione di «ripartizione equilibrata del potere impositivo» (6). Nell’applicare tale nozione, la Corte ha confermato che se uno Stato membro dovesse accettare il libero trasferimento al di fuori della propria giurisdizione dei profitti di società residenti, «sarebbe costretto a rinunciare al suo diritto di assoggettare ad imposta, in quanto Stato di residenza di tale società, i redditi di quest’ultima, a vantaggio, eventualmente, dello Stato membro in cui ha sede la società beneficiaria» (7).

22.      Discende ovviamente da tale osservazione che gli Stati membri possono legittimamente adottare misure intese ad impedire l’erosione della loro base imponibile conseguente al trasferimento di profitti al di fuori della loro giurisdizione. Essi possono prendere provvedimenti per assicurare che i profitti siano ripartiti correttamente (8).

23.      L’erosione della base imponibile di uno Stato può verificarsi, ad esempio, quando società residenti forniscono beni o servizi a società non residenti sottocosto o gratuitamente, riducendo in tal modo il loro reddito imponibile nello Stato di residenza. Tale fenomeno può essere contrastato dallo Stato membro rettificando la base imponibile della società residente affinché rifletta quanto essa avrebbe ottenuto se l’operazione fosse stata effettuata alle normali condizioni di mercato (applicazione del «valore di trasferimento»). Il principio delle normali condizioni di mercato è uno standard internazionale previsto dall’articolo 9 dei modelli di convenzione fiscale dell’OCSE e delle Nazioni Unite e viene utilizzato dalla maggior parte delle amministrazioni finanziarie di tutto il mondo (9).

24.      Per chiarezza, va rilevato che il valore di trasferimento determinato sulla base del principio delle normali condizioni di mercato può essere utilizzato non solo per rettificare la base imponibile di una società in caso di condizioni artificiose o abusive deliberatamente intese ad eludere la tassazione. Esso viene altresì impiegato in generale e legittimamente come strumento volto a garantire un base coerente ai fini della ripartizione degli utili (ed evitare la doppia imposizione). A mio avviso è importante ricordarlo nella causa qui in esame, poiché mi sembra di capire che alla ricorrente non venga contestata un’elusione o un abuso fiscale.

25.      Nel caso delle operazioni che non siano state effettuate alle normali condizioni di mercato tra due società collegate residenti nel medesimo Stato, non si presentano i problemi relativi all’erosione della base imponibile che si pongono nelle situazioni transfrontaliere. In questi casi, gli utili non «sfuggono» alla giurisdizione fiscale dello Stato per andare all’estero. Essi vengono semplicemente trasferiti all’interno della medesima giurisdizione fiscale e possono essere tassati altrove – l’imposta graverà su un altro contribuente, ma sempre nell’ambito della medesima giurisdizione. L’applicazione del valore di trasferimento non risulta quindi necessaria (o quanto meno, in linea di principio, non risponde agli stessi scopi) nel caso delle operazioni puramente interne (10).

26.      Nel procedimento principale, il governo tedesco afferma che è per tali motivi che esso applica la disciplina de qua sul valore di trasferimento esclusivamente alle situazioni transfrontaliere. La differenza tra le situazioni transfrontaliere e quelle interne e la limitazione delle norme relative al valore di trasferimento alle seconde si trova quindi al centro della questione posta dal giudice nazionale.

27.      Tale differenza solleva a sua volta questioni relative alla comparabilità tra le situazioni transfrontaliere e quelle interne, alla funzione della comparabilità nell’applicazione delle norme sulla libertà di stabilimento e, più in generale, al modo in cui tali norme vengono applicate nel settore della imposte dirette. Queste sono appunto le questioni che passo ora ad esaminare.

2.      Due approcci e una commistione

28.      Nella giurisprudenza della Corte si riscontrano due diversi orientamenti nella valutazione delle fattispecie concernenti asserite violazioni della libertà di stabilimento nel settore dell’imposizione diretta: quello basato sulla discriminazione e quello basato sulla restrizione. È ben noto nella letteratura accademica che la Corte ha oscillato fra questi due orientamenti nel corso degli anni (11).

a)      L’orientamento basato sulla discriminazione

29.      Secondo l’orientamento basato sulla discriminazione, affinché un provvedimento nazionale sia dichiarato contrario alla libertà di stabilimento, occorre che situazioni comparabili siano trattate diversamente a svantaggio delle società che esercitano la libertà di stabilimento. Ad esempio, le situazioni, da un lato, della società controllante residente con una controllata straniera e, dall’altro, della società controllante residente con una controllata residente devono essere comparabili e la prima dev’essere trattata in modo meno favorevole.

30.      Il confronto non risulta agevole quando si tratti di gruppi nazionali e multinazionali e di imposte dirette. Una delle principali complicazioni consiste nel fatto che sono coinvolti molteplici soggetti giuridici. Ciò può indurre a concentrare l’attenzione su elementi diversi ai fini del confronto.

31.      Ad esempio, una valutazione giuridica potrebbe iniziare con un confronto tra società controllanti, rilevando che esse sono trattate allo stesso modo ai fini dell’imposizione degli utili, e proseguire con un confronto tra le controllate (residente e non residente) da cui emerga che esse vengono trattate diversamente ai fini di un determinato vantaggio (ad esempio il diritto a un credito d’imposta) (12). Analogamente, il confronto può iniziare a livello delle controllate di una società residente e di una non residente e terminare con un confronto tra gruppi nazionali e multinazionali (13).

32.      Dal secondo punto traggo un’importante conclusione. Quando si tratta di questioni relative alla tassazione dei gruppi e alla libertà di stabilimento, i soggetti giuridici non vengono confrontati in modo perfettamente isolato. Essi non vengono posti a raffronto senza tenere minimamente conto delle circostanze e del trattamento fiscale dei soggetti collegati. Al contrario, le circostanze e il trattamento di tali soggetti collegati devono assumere rilevanza ed essere integrati nella valutazione giuridica.

33.      Tale osservazione è fondamentale nel caso di specie. Infatti, è pacifico fra tutte le parti che sussiste una disparità di trattamento a livello del singolo soggetto giuridico. Tuttavia, uno degli argomenti principali del governo tedesco è che, nel caso delle operazioni transfrontaliere, non esiste alcuno svantaggio a livello di gruppo – argomento «a somma zero» sul quale tornerò più avanti.

b)      L’orientamento basato sulla restrizione

34.      Rispetto all’orientamento basato sulla discriminazione, l’orientamento basato sulla restrizione ha una portata molto più ampia. Secondo la formula tradizionale, esso si applica ad ogni normativa «che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari» (14). Tale formula si è evoluta nel corso degli anni. In base alla sua nuova articolazione, una restrizione va intesa in generale come ogni provvedimento nazionale «che poss[a] ostacolare o scoraggiare l’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato» (15). È tuttavia evidente, che, secondo l’orientamento basato sulla restrizione, anche le restrizioni non discriminatorie devono essere giustificate (16).

35.      Così, ad esempio, nella causa SGI la Corte ha dichiarato che le disposizioni relative alla libertà di stabilimento, pur se «intendono assicurare il beneficio del trattamento nazionale nello Stato membro ospitante, esse ostano parimenti a che lo Stato membro d’origine ostacoli lo stabilimento in un altro Stato membro di uno dei suoi cittadini o di una società costituita conformemente alla propria legislazione» (il corsivo è mio) (17).

36.      Pertanto, l’orientamento basato sulla restrizione rende superflua, quanto meno in teoria, qualsiasi raffronto o l’individuazione del trattamento relativamente svantaggioso.

37.      Uno dei principali problemi inerenti all’applicazione dell’orientamento basato sulla restrizione all’imposizione diretta è dato dal fatto che gli Stati membri mantengono la loro sovranità in tale settore. Essi restano liberi di definire la base imponibile e di fissare le aliquote d’imposta. La coesistenza di sistemi nazionali definiti e disciplinati in tal modo conduce naturalmente a «restrizioni» alla libertà di stabilimento (18).

38.      Per citare un esempio estremo, una società residente nello Stato membro A, che applichi un’aliquota dell’imposta sulle società pari al 10%, potrebbe essere dissuasa dal costituire una controllata nello Stato membro B, che applichi un’aliquota del 20%. Se si seguisse l’orientamento basato sulla restrizione sino alla sua conclusione logica, tale differenza in termini di aliquota d’imposta costituirebbe una restrizione alla libertà di stabilimento e imporrebbe allo Stato membro B di giustificare tale aliquota più elevata.

c)      Orientamento misto

39.      In ragione, quanto meno in parte, delle difficoltà nell’applicazione di un orientamento basato sulla restrizione «puro» alle norme in materia di imposte dirette, detto orientamento è stato diluito con una certa dose di discriminazione. Il risultato costituisce a volte uno strano cocktail.

40.      Così, ad esempio, in numerose occasioni la Corte ha rilevato la sussistenza di una restrizione alla libera circolazione che «può essere ammessa solo se riguarda situazioni che non sono oggettivamente comparabili o se è giustificata da un motivo imperativo di interesse generale» (il corsivo è mio) (19). In questi casi, è stata utilizzata la terminologia propria delle restrizioni, ma l’orientamento in definitiva è quello basato sulla discriminazione: l’incomparabilità rende superfluo l’esame delle giustificazioni.

41.      In alternativa, è stata rilevata una disparità di trattamento ma senza svolgere un’analisi della comparabilità. In un secondo tempo è stata rilevata una «restrizione». Tale orientamento può far sorgere il dubbio se la valutazione sia basata sulla discriminazione o sulla restrizione (come ad esempio nella sentenza SGI (20), che sarà esaminata più dettagliatamente infra).

42.      In altre occasioni, è stata espressamente riconosciuta la non comparabilità e, nel contempo, è stato fatto riferimento alla disparità di trattamento, come nella già menzionata sentenza Thin Cap (21).

43.      Tale orientamento implica che la discriminazione non sia un requisito giuridico necessario per l’accertamento della violazione della libertà di stabilimento, ma, nondimeno, il fatto che due situazioni siano trattate in modo diverso assume un certo rilievo.

44.      Riassumendo, nel settore della libertà di stabilimento sorgono difficoltà specifiche, nell’applicazione alle imposte dirette, sia dell’orientamento basato sulla discriminazione, sia di quello basato sulla restrizione. Per quanto riguarda l’orientamento basato sulla discriminazione, la questione della comparabilità e, in particolare, quali soggetti e in quale fase debbano essere posti a raffronto, è oggetto di discussione. L’orientamento basato sulla restrizione incontra problemi anche maggiori: in particolare, portandolo alle sue estreme conseguenze, esso implica che ogni differenza nell’ambito delle imposte dirette possa dar luogo ad una restrizione alla libertà di stabilimento. Per definitionem, gli Stati membri sarebbero sempre obbligati a giustificare la loro politica fiscale. Tali difficoltà derivano, segnatamente, dal principio di territorialità, quale confermato dalla Corte e, più in generale, dal grado di sovranità di cui dispongono gli Stati membri in tale settore. Come si vedrà, tali difficoltà sorgono anche nel caso di specie.

B.      La questione posta dal giudice del rinvio

1.      La causa SGI

45.      L’ordinanza di rinvio richiama la causa SGI (22), come hanno fatto tutte le parti nelle rispettive osservazioni scritte e orali. Inizierò, quindi, ricordando i fatti e le principali conclusioni di detta causa.

46.      La SGI era una società con sede in Belgio. Essa aveva concesso un finanziamento senza interessi alla Recydem, società appartenente al medesimo gruppo. La SGI aveva ricevuto un avviso di accertamento in rettifica nel quale la sua base imponibile era stata aumentata per riflettere interessi fittizi del 5% sul finanziamento concesso alla Recydem. La rettifica era basata sull’articolo 26 del Code des impôts sur le revenu (Codice delle imposte sui redditi). Detta disposizione consente di aggiungere, a fini fiscali, ai profitti del concedente l’importo dei benefici straordinari o concessi a titolo gratuito, «a meno che i benefici siano considerati per determinare i redditi imponibili dei beneficiari». Essa prevede, inoltre, che i benefici siano sommati ai profitti del concedente in una serie di casi, compreso quello in cui il beneficiario sia una società straniera collegata (23).

47.      La Corte ha dichiarato che le società residenti in Belgio che concedono benefici straordinari o concessi a titolo gratuito a società straniere collegate si trovano in una situazione di svantaggio rispetto a quelle che concedono benefici a società collegate parimenti residenti in Belgio. Tale situazione è idonea ad indurre le società belghe a rinunciare «all’acquisizione, alla creazione o al mantenimento di una controllata in un altro Stato membro ovvero all’acquisizione o al mantenimento di una partecipazione sostanziale in una società stabilita in quest’ultimo Stato a causa dell’onere fiscale che, in una situazione transfrontaliera, grava sulla concessione dei benefici previsti dalla normativa di cui trattasi nella causa principale» (24). Inoltre, detta situazione può indurre le società a rinunciare all’acquisizione, alla creazione o al mantenimento di una partecipazione sostanziale in una società stabilita in Belgio a causa dell’onere fiscale che, in tale Stato, grava sulla concessione dei benefici. Ciò costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento.

48.      Tuttavia, detta restrizione può essere giustificata sulla base del legittimo obiettivo di tutela della ripartizione equilibrata del potere impositivo. Con riguardo agli obiettivi legittimi, la Corte ha fatto riferimento anche alla prevenzione dell’elusione fiscale. Poiché tale giustificazione non è stata fatta valere nella specie, non la esaminerò dettagliatamente in questa sede.

49.      Le società non sono libere di trasferire a propria discrezione i profitti e le perdite tra gli Stati membri per minimizzare i loro oneri fiscali. Consentire alle società residenti di concedere benefici straordinari o a titolo gratuito a società straniere collegate potrebbe compromettere la ripartizione equilibrata del potere impositivo costringendo lo Stato membro del «concedente» a rinunciare al suo diritto di tassare i redditi della società residente (25).

50.      La Corte ha inoltre rilevato che, fatta salva la decisione definitiva del giudice nazionale, la misura appariva proporzionata, in quanto le misure fiscali correttive rispecchiavano le normali condizioni di mercato e il contribuente era messo in grado di far valere ragioni commerciali che inizialmente non apparissero conformi al criterio delle normali condizioni di mercato.

2.      Il caso di specie: una restrizione alla libertà di stabilimento?

51.      Nella specie, la ricorrente ha rilasciato, a titolo gratuito, una lettera di patronage contenente una garanzia a favore di società straniere del proprio gruppo. Essa ha quindi concesso loro un beneficio a condizioni non corrispondenti alle normali condizioni di mercato.

52.      Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, dell’AStG, la base imponibile della ricorrente è stata adeguata verso l’alto per tenere conto dei profitti imponibili che essa avrebbe conseguito se l’operazione fosse stata effettuata alle normali condizioni di mercato.

53.      È pacifico che, ai sensi del diritto tedesco, adeguamenti di tal genere vengono applicati solo se la società beneficiaria ha sede in un altro Stato membro. Per contro, la base imponibile di una società residente in Germania non viene rettificata laddove essa conceda un beneficio a un soggetto collegato parimenti residente in Germania.

54.      Se si dovesse applicare il ragionamento seguito dalla Corte nella sentenza SGI (26), ne conseguirebbe che la situazione fiscale di una società residente in Germania la quale, al pari della ricorrente, conceda condizioni favorevoli non corrispondenti alle normali condizioni di mercato ad un soggetto collegato stabilito in un altro Stato membro, risulta meno favorevole di quanto non sarebbe se essa concedesse tale beneficio a un soggetto collegato residente in Germania.

55.      Tuttavia, ritengo che la trasposizione della soluzione adottata nella sentenza SGI non sia corretta, per due motivi: la causa qui in esame è caratterizzata a) dall’assenza di discriminazione, date l’incomparabilità e l’assenza di trattamento sfavorevole, e b) dall’inapplicabilità dell’orientamento basato sulla restrizione. Nel prosieguo esaminerò in quest’ordine ciascuno di tali elementi.

a)      Assenza di discriminazione

1)      Incomparabilità

56.      Un’importante differenza fra il caso qui in esame e la causa SGI consiste nel fatto che, in quest’ultima, apparentemente non è stata esaminata la questione della comparabilità delle situazioni. Nella causa SGI il trattamento differenziato è stato riconosciuto dalla sentenza, ma non è stato svolto alcun esame della comparabilità. Per contro, nel presente procedimento, la Germania sostiene espressamente che non sussiste comparabilità, il che imporrebbe alla Corte di affrontare la questione direttamente.

57.      Secondo costante giurisprudenza, la comparabilità di una situazione transfrontaliera con una situazione interna dev’essere esaminata in rapporto all’obiettivo perseguito dalle disposizioni nazionali in questione (27).

58.      Nella specie, mi sembra di comprendere, alla luce delle osservazioni scritte del governo tedesco, che lo scopo della pertinente disciplina nazionale consiste nel garantire che gli utili generati in Germania non vengano trasferiti, mediante operazioni non effettuate alle normali condizioni di mercato, al di fuori della giurisdizione fiscale di detto Stato senza essere assoggettati ad imposta.

59.      Ciò premesso, sembrerebbero sussistere solidi argomenti per affermare che nel caso di specie, in realtà, la situazione transfrontaliera e quella nazionale non sono comparabili. Nella situazione transfrontaliera, la mancata rettifica della base imponibile per riflettere le normali condizioni di mercato implicherebbe che la Germania rinunci ai propri diritti, in qualità di Stato di residenza dell’impresa, di tassare la totalità dei redditi di quest’ultima. Ciò contrasta con la situazione interna, in cui tali redditi rimangono nell’ambito della sua giurisdizione.

60.      Pertanto, viene sostenuto in sostanza che, al fine specifico di garantire che l’imposizione non sia sottratta alla giurisdizione di uno Stato membro, le controllate straniere e quelle nazionali non sono comparabili. La normativa in questione è stata adottata proprio perché tali società non sono considerate allo stesso modo. Il principio di territorialità e l’impossibilità di esercitare la propria competenza per tassare le controllate straniere rende tali due situazioni obiettivamente diverse. La disparità non consiste solo nel trattare diversamente le medesime situazioni, ma anche nel trattare allo stesso modo situazioni oggettivamente diverse (28).

61.      A tale proposito occorre sottolineare due aspetti. In primo luogo, il menzionato argomento dimostra chiaramente, in generale ma forse e anche in modo ancor più netto nel contesto specifico del caso in esame, quanto profondamente siano collegate la valutazione della comparabilità e quella della giustificazione. Sebbene vengano presentati come due fasi distinte del test, sotto il profilo pratico l’accertamento della comparabilità può tener conto della normativa nazionale sotto il suo profilo teleologico (nel definire il tertium comparationis). Lo stesso criterio viene utilizzato nella valutazione della giustificazione del comportamento degli Stati membri. In secondo luogo, tale «sintesi» della comparabilità e della giustificazione ricorre tipicamente nell’ambito del controllo delle misure nazionali alla luce del diritto dell’Unione. Sempreché la misura nazionale in questione non appaia indebitamente restrittiva o irragionevole, è probabile che il quadro di comparazione così definito dal diritto nazionale risulti di particolare importanza anche ai fini del quadro di comparazione basato sul diritto dell’Unione, a condizione che lo scopo perseguito dal diritto nazionale sia di per sé ammissibile nella prospettiva dell’Unione europea. In tal modo, il quadro normativo nazionale verrà probabilmente assunto come punto di partenza, sebbene non costituisca necessariamente l’argomento decisivo per stabilire la comparabilità ai sensi del diritto dell’Unione (29).

62.      Tale è precisamente la fattispecie in cui ricade il caso in esame. Accogliendo il principio di territorialità (fiscale) e l’obiettivo di «mantenere la ripartizione equilibrata del potere impositivo», che in realtà significano la stessa cosa, espressi sul piano della «giustificazione», allora la situazione delle controllate nazionali e quella delle controllate straniere diventano incomparabili.

63.      Pertanto, ritengo corretta la tesi della Germania secondo cui, semplicemente, la situazione transfrontaliera e quella nazionale sono semplicemente incomparabili. Lo scopo per il quale è stata introdotta tale differenziazione nel diritto nazionale è legittimo sotto il profilo del diritto dell’Unione e la distinzione effettuata nel diritto nazionale è ragionevole. Sarebbe davvero paradossale che la Corte prendesse solennemente atto del «principio di territorialità sancito dal diritto tributario internazionale e riconosciuto dal diritto comunitario» (30) e, allo stesso tempo, statuisse che è possibile assimilare completamente il trasferimento di redditi al di fuori della giurisdizione fiscale di uno Stato membro ai trasferimenti nell’ambito di detta giurisdizione.

64.      Infatti, la giurisprudenza della Corte non avvalora un’assimilazione di tal genere.

65.      È ben vero che invocare la prevenzione del trasferimento degli utili tra gli Stati membri non costituisce un assegno in bianco. Tale invocazione non esclude che le «norme adottate da uno Stato membro per disciplinare specificamente la situazione dei gruppi transfrontalieri possano, in taluni casi, rappresentare una restrizione alla libertà di stabilimento» (31). Tuttavia, devono realmente sussistere i presupposti per constatare una restrizione. La comparabilità e il trattamento sfavorevole devono essere effettivamente dimostrati (32).

66.      Nella specie, tenuto conto in particolare dello scopo della normativa nazionale controversa, non mi sembra che si sia in presenza di un caso di comparabilità. Infatti, il caso in esame è diverso dalle fattispecie affrontate dalla Corte per effetto dell’invocazione dell’argomento della territorialità nel contesto di una misura non specificamente diretta a risolvere un problema di perdita transfrontaliera di reddito imponibile (33).

67.      Inoltre, in vari casi la Corte ha dichiarato che un fattore chiave per accertare la comparabilità consiste nella circostanza che uno Stato membro intenda tassare allo stesso modo i residenti e i non residenti. Così, ad esempio, a partire dal momento in cui uno Stato membro «assoggetti all’imposta sul reddito non soltanto gli azionisti residenti, ma anche gli azionisti non residenti, per i dividendi che essi percepiscono da una società residente, la situazione dei detti azionisti non residenti si avvicina a quella degli azionisti residenti» (34).

68.      Nel caso in esame, come osservato dal governo tedesco, non sussiste alcun tentativo di tassare i non residenti. L’imposizione si basa sul principio delle normali condizioni di mercato e, pertanto, esclusivamente sugli utili generati in Germania. Su tale base, di nuovo, la situazione transfrontaliera e quella nazionale non sono comparabili.

69.      Alla luce delle suesposte considerazioni, ritengo che nella specie la situazione delle società residenti con controllate non residenti e quella delle società residenti con controllate residenti non siano comparabili al fine di individuare un’eventuale discriminazione idonea a ledere la libertà di stabilimento. Le situazioni sono obiettivamente diverse. Ciò significa che esse non possono essere trattate allo stesso modo, se occorre rispettare il principio di non discriminazione sotteso alle norme sulla libertà di stabilimento.

2)      Assenza di trattamento meno favorevole

70.      Tuttavia, nel caso in cui si dovesse ritenere che nella specie, in realtà, la situazione transfrontaliera e quella nazionale siano comparabili, ritengo che esista anche un solido argomento per affermare che non sussiste discriminazione, nel senso di un trattamento meno favorevole della prima.

71.      Tale osservazione si basa in primis su un argomento dedotto dal governo tedesco. Lo richiamerò come l’argomento della «somma zero». Secondo tale argomento, qualora una società controllante e una controllata, entrambe residenti in Germania, effettuino un’operazione non corrispondente alle normali condizioni di mercato, i profitti non vengono tassati presso la società controllante, bensì presso la controllata. Di conseguenza, a livello globale di gruppo, l’onere fiscale rimane il medesimo. Sarebbe inutile rettificare le basi imponibili della società controllante e della controllata (se hanno entrambe sede in Germania) per riflettere le normali condizioni di mercato, in quanto risulterebbe oneroso sul piano amministrativo e produrrebbe in pratica il medesimo risultato.

72.      In altri termini, il governo tedesco sostiene che non ricorre alcuna disparità di trattamento poiché, in entrambi i casi, gli utili generati sul territorio nazionale vengono tassati una volta, sempre una volta e solo una volta.

73.      Un argomento analogo era stato addotto nella causa SGI. Rispondendo ad esso, la Corte ha implicitamente riconosciuto che (in caso di controllo al 100%) l’argomento della somma zero poteva risultare corretto (35).

74.      Tuttavia, la Corte non ha esaminato tale argomento in modo approfondito, poiché esisteva in ogni caso un rischio di doppia imposizione. Ciò in quanto, nella causa SGI, alla maggiorazione della base imponibile della società concedente il beneficio in Belgio non poteva corrispondere una riduzione della base imponibile della società beneficiaria in Francia. Tale rischio non veniva eliminato dalla possibilità di applicare la Convenzione arbitrale 90/436/CEE per evitare la doppia imposizione, giacché l’applicazione di detto strumento avrebbe comportato spese e ritardi (36).Ciò premesso, era stata confermata l’esistenza della restrizione alla libertà di stabilimento.

75.      Per quanto riguarda il rischio di doppia imposizione, mi sembra che questo argomento sollevi grossi problemi nel caso di specie. Come detto, conformemente al principio di territorialità, gli Stati membri possono tassare le società residenti sui loro utili mondiali (imposizione basata sulla residenza) e le società non residenti sugli utili derivanti dalle loro attività in detto Stato (imposizione basata sulla fonte). Uno dei corollari di tale doppio criterio della residenza e della fonte per affermare diritti impositivi è il rischio di doppia imposizione. Un contribuente dello Stato membro B che ricevesse un dividendo dallo Stato membro A potrebbe essere tassato due volte. Potrebbe essere applicata una ritenuta fiscale nello Stato membro A (fonte) e gli utili potrebbero poi essere tassati nello Stato di residenza del beneficiario, lo Stato membro B (37).

76.      Ciononostante, secondo costante giurisprudenza della Corte, in tali casi non vige l’obbligo per lo Stato fonte di concedere lo sgravio fiscale (38). Pertanto, la doppia imposizione o il relativo rischio non escludono l’applicazione del principio di territorialità né impediscono agli Stati membri di tassare gli utili generati nell’ambito della loro giurisdizione.

77.      Tuttavia, il ragionamento seguito nella sentenza SGI, a mio avviso, implica il contrario. Tale sentenza verte su una fattispecie in cui uno Stato membro insiste nel tassare gli utili generati sul suo territorio e la trasforma in uno svantaggio menzionando il rischio di doppia imposizione.

78.      Portando tale ragionamento alle sue estreme conseguenze e applicandolo al caso in esame si possono evidenziare le sue intrinseche contraddizioni.

79.      Nella causa in esame (al pari della causa SGI), il problema principale che si presenta ricorrentemente è dato dal fatto che la valutazione a condizioni normali di mercato viene applicata alle situazioni transfrontaliere ma non a quelle interne. La difficoltà che ravviso nell’argomento relativo al rischio di doppia imposizione è che tale rischio persiste anche qualora venga eliminata la disparità di trattamento. Così, nel caso di specie, se il governo tedesco avesse scelto di applicare il valore di trasferimento alle operazioni transfrontaliere e nazionali, non vi sarebbe stata alcuna disparità di trattamento. Tuttavia, sarebbe ancora esistito un rischio teorico di doppia imposizione nel caso delle situazioni transfrontaliere, che, in linea di principio, semplicemente non sussiste in quello delle operazioni interne.

80.      A mio parere, la vera questione nel caso di specie è semmai la validità dell’argomento della «somma zero». Se si accoglie tale argomento, mi sembra che qualsiasi rischio di doppia imposizione derivi semplicemente dalla coesistenza di sistemi fiscali diversi e dal principio di territorialità. Detto rischio esisterebbe a prescindere dallo scenario.

81.      Nel caso in esame, e fatte salve le eventuali verifiche del giudice nazionale, l’argomento della somma zero sembra effettivamente sostenibile. A tale proposito rilevo quanto segue.

82.      Anzitutto, all’udienza dinanzi alla Corte, né la ricorrente né la Commissione hanno seriamente messo in discussione tale argomento. Non è mai stato contestato che l’applicazione del criterio delle normali condizioni di mercato nel caso delle operazioni interne comporterebbe un aggravio dell’onere fiscale complessivo a carico delle società residenti, o che la sua mancata applicazione allevi tale onere.

83.      In secondo luogo, l’argomento della somma zero implica chiaramente che venga presa in considerazione la tassazione del gruppo a livello globale. Per i motivi esposti supra ai paragrafi da 30 a 33, a mio avviso è giustificato non limitare l’analisi della discriminazione alla situazione specifica delle singole entità (e invero è prassi corrente nella giurisprudenza).

84.      In terzo luogo, nella causa SGI era implicito nella sentenza della Corte, ed è stato osservato nelle conclusioni dell’avvocato generale (39), che l’argomento della somma zero vale solo in caso di controllo al 100%. In tali casi risulterà indifferente quale società del gruppo venga tassata. Per contro, nei casi relativi a partecipazioni inferiori, la sua validità non è così scontata.

85.      In risposta a tale argomento, osserverei semplicemente che, nel presente procedimento, la ricorrente detiene, direttamente o indirettamente, il 100% delle società straniere del gruppo. Conformemente al ragionamento seguito dalla Corte nella sentenza SGI, si tratta quindi di una situazione nella quale, in linea di principio, l’argomento della somma zero «funziona».

86.      Alla luce dei suesposti rilievi, ritengo che nella specie non esistano situazioni comparabili o, in subordine, qualora sussista comparabilità, che in ogni caso non vi sia alcuno svantaggio. Di conseguenza, il regime nazionale controverso non darebbe luogo ad una discriminazione contraria alla libertà di stabilimento.

b)      Assenza di restrizioni

87.      Nella precedente sezione (a) è stato supposto che nel caso in esame trovi applicazione l’«orientamento basato sulla discriminazione». Tuttavia, qualora si ritenesse che debba applicarsi l’orientamento basato sulla restrizione, ciò, in linea di massima, renderebbe superflua ogni comparazione o qualsiasi ricerca di uno svantaggio relativo.

88.      Tale proposta solleva però una questione di principio piuttosto complessa: il fatto che le imprese debbano calcolare la loro base imponibile secondo le normali di condizioni di mercato può essere realmente considerato quale restrizione alla libertà di stabilimento (40)?

89.      Ritengo di no. Ciò non è altro che un’espressione del principio della territorialità fiscale, che rispecchia il diritto di uno Stato di tassare gli utili generati nell’ambito della sua giurisdizione (41). Infatti, se così non fosse e l’adeguamento della base imponibile per riflettere le normali condizioni di mercato costituisse una restrizione alla libertà di stabilimento, probabilmente l’applicazione da parte di uno Stato membro di una qualsiasi aliquota superiore allo zero potrebbe configurare una restrizione. In altri termini, si ripresenterebbero i problemi inerenti all’applicazione alle imposte dirette dell’orientamento basato sulla restrizione.

90.      In questa fase, ritengo che sia parimenti importante esaminare gli argomenti sollevati nella causa SGI in relazione alla «deterrenza». Ho parafrasato tali argomenti supra al paragrafo 47. In sostanza, il concetto è che l’applicazione delle normali condizioni di mercato costituisce in un certo senso un deterrente per le società (in questo caso) tedesche alla costituzione di controllate all’estero e per le società straniere alla costituzione di controllate in Germania.

91.      Tuttavia, trasposta al caso in esame, tale conclusione rappresenterebbe, a mio modo di vedere, poco più di un’ipotesi (piuttosto discutibile). In qual modo si produrrebbe un effetto deterrente? Tale ipotesi sembra dipendere fondamentalmente da una supposizione di fondo, ossia che una società sarebbe dissuasa dall’esercitare la propria libertà di stabilimento dalla prospettiva di vedersi tassare tutti i propri profitti, come rettificati per riflettere le normali condizioni di mercato (42). Se il principio di territorialità e la sovranità degli Stati membri nel settore delle imposte dirette devono mantenere un senso, non mi sembra che la suddetta circostanza costituisca un motivo legittimo per ravvisare una violazione della libertà di stabilimento.

92.      Per tali ragioni, e in mancanza di trattamento discriminatorio di situazioni comparabili, ritengo che l’adeguamento, da parte della Germania, della base imponibile di società residenti per riflettere le normali condizioni di mercato in operazioni transfrontaliere non costituisca, di per sé, una restrizione alla libertà di stabilimento.

93.      Tuttavia, qualora la Corte giungesse a una conclusione diversa, sono dell’avviso che la restrizione sarebbe giustificata.

3.      Giustificazione

94.      Le restrizioni alla libertà di stabilimento possono essere ammesse solo a condizione che perseguano uno scopo legittimo e siano giustificate da motivi imperativi di interesse generale. Anche in tale ipotesi, la loro applicazione dev’essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo in tal modo perseguito e non deve eccedere quanto risulti necessario (43).

a)      Obiettivo legittimo

1)      Ripartizione equilibrata del potere impositivo

95.      Nel presente procedimento, il governo tedesco ha dedotto un’unica giustificazione, vale a dire la ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri.

96.      La Corte ha più volte avuto modo di riconoscere che essa può costituire un obiettivo legittimo idoneo a giustificare le restrizioni alla libertà di stabilimento (44).

97.      La logica di fondo è, ancora una volta, che le società non sono completamente libere di trasferire a loro discrezione i propri utili da una giurisdizione all’altra, poiché ciò potrebbe comportare un’erosione delle basi imponibili di taluni Stati membri e quindi «compromettere (…) un’equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri, dato che la base imponibile risulterebbe aumentata in uno degli Stati interessati e ridotta nell’altro» (45).

98.      A mio avviso, tale logica è chiaramente trasponibile al caso in esame. La normativa nazionale controversa è specificamente intesa ad evitare «perdite» di reddito imponibile nella giurisdizione fiscale della Germania, a causa di operazioni tra società collegate di Stati esteri non effettuate alle normali condizioni di mercato (46).

2)      Concessione di vantaggi e trasferimento di utili

99.      È stato sostenuto, in particolare dalla Commissione, che la ripartizione equilibrata del potere impositivo non può essere addotta come giustificazione nel caso di specie (o che la sua applicazione sarebbe sproporzionata) in considerazione della natura dell’operazione de qua. In sostanza, è stato affermato che, a differenza, ad esempio, di un trasferimento diretto di contanti o di un finanziamento senza interessi, in questo caso il beneficio non è così evidente, o quanto meno risulta difficile da quantificare.

100. Ritengo che tale argomento sia discutibile sotto vari aspetti. In primo luogo, mi sembra impossibile negare che la concessione di una garanzia quale quella prestata dalla ricorrente con la sua lettera di patronage rivesta un valore economico molto concreto e che, qualora si trattasse di società non collegate, tale garanzia verrebbe remunerata. Tale circostanza è espressamente confermata dalle linee guida dell’OCSE sul valore di trasferimento (47) nonché, per quel che riguarda le garanzie fornite dallo Stato, dalla comunicazione della Commissione sulle garanzie statali (48).

101. In secondo luogo, per quanto concerne le asserite difficoltà ad attribuire un valore a garanzie di tal genere, è evidente che i modelli per la determinazione del prezzo servano a tale scopo. Detti modelli sono parimenti riscontrabili, in particolare, nelle linee guida dell’OCSE. Anche la menzionata comunicazione della Commissione espone in realtà metodi di determinazione del prezzo per le garanzie concesse dagli Stati membri.

102. Inoltre, all’udienza il governo tedesco ha affermato, senza essere contraddetto ex adverso, che nel caso di specie la controversia riguarda una questione di principio e non di valore. Le parti del procedimento principale concordano sul valore che andrebbe applicato se si ritenesse che l’applicazione del valore di trasferimento a casi del genere sia compatibile con il diritto dell’Unione.

103. Alla luce delle suesposte considerazioni ritengo che una normativa come quella oggetto del procedimento principale persegua obiettivi legittimi, che risultano compatibili con l’articolo 49 TFUE e costituiscono motivi imperativi di interesse generale, e che essa sia idonea a garantire il conseguimento di tali obiettivi.

b)      Proporzionalità

104. In linea di principio, affinché un provvedimento ritenuto quale restrizione alla libertà di stabilimento possa essere giustificato, esso deve non solo perseguire uno scopo legittimo, ma anche essere proporzionato. I mezzi non devono eccedere quanto necessario per raggiungere lo scopo.

105. Ciò solleva una questione spinosa nel settore delle imposte dirette. Un tributo è giustificato oppure non lo è. Non esiste una «via di mezzo». Se lo scopo è tassare, i mezzi devono servire ad imporre e riscuotere il tributo, l’intero tributo e null’altro che il tributo. Che senso avrebbe allora, in tale contesto, discutere di «mezzi meno restrittivi» per raggiungere il medesimo scopo? Tassare solo metà del reddito? Concedere uno sconto parziale ad esempio del 20%? È del tutto evidente che una simile discussione potrebbe rapidamente trasformarsi in una determinazione per via giurisdizionale delle aliquote d’imposta.

106. Ritornerò su tale questione concettuale più ampia infra, nella sezione conclusiva. Nel frattempo, rilevo che la ricorrente e la Commissione hanno sollevato nelle loro osservazioni scritte e orali tre argomenti relativi alla «proporzionalità», nessuno dei quali mi sembra realmente costituire una questione concernente la proporzionalità, ma che nondimeno esaminerò consecutivamente nel prosieguo.

1)      Applicazione del principio delle normali condizioni di mercato alle lettere di patronage

107. All’udienza di discussione, la Commissione ha sostenuto, in sostanza, che l’applicazione del principio delle normali condizioni di mercato era leggermente «eccessiva» (49), dal momento che riguardava una mera lettera di patronage. Implicitamente, quindi, la «proporzionalità» dovrebbe essere intesa da questo punto di vista come una «proporzionalità normativa» – presumibilmente, lo Stato membro dovrebbero legiferare solo sui trasferimenti diretti di denaro, senza intervenire sul resto.

108. Come già rilevato (50), simili lettere (quanto meno nella misura in cui sono giuridicamente vincolanti e forniscono garanzie finanziarie, come nel caso in esame) possiedono chiaramente un valore economico. Di fatto, ciò è stato ammesso in definitiva dalla Commissione.

109. Solo su tale base, non vedo motivi per considerare in qualche modo esagerata l’applicazione del principio delle normali condizioni di mercato a siffatte situazioni specifiche. Inoltre, e, di nuovo, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, non vi è assolutamente alcun motivo di affermare che l’applicazione delle normali condizioni di mercato sarebbe sproporzionata nei casi in cui tali condizioni siano difficili da valutare.

110. Più fondamentalmente, ritengo che queste non siano affatto questioni di proporzionalità. Il principio delle normali condizioni di mercato lo si accetta (con tutto ciò che comporta) oppure no. La questione è binaria. Si darebbe adito a un’estrema incertezza giuridica se pretese difficoltà pratiche inerenti all’applicazione di tale principio a casi molto particolari – casi che, vorrei aggiungere, sono espressamente previsti dalle linee guida internazionali in materia (51) – dovessero costituire validi motivi per respingerlo in quanto sproporzionato.

2)      Ragioni commerciali

111. Nel caso di specie, una delle questioni sollevate nelle osservazioni scritte della ricorrente e della Commissione in merito alla proporzionalità riguarda la possibilità di dedurre ragioni commerciali per giustificare le condizioni alle quali è stata conclusa un’operazione e quale tipo di giustificazioni commerciali possa essere considerato legittimo.

112. Il vero problema nella specie sembra essere più quale tipo di giustificazioni commerciali sia accettabile e accettato. A tal proposito, la ricorrente e la Commissione sostengono, in sostanza, che le società dovrebbero poter giustificare le condizioni delle loro operazioni sulla base del loro specifico rapporto con l’altra parte. In altri termini, si dovrebbe consentire alle società di evitare la rettifica della loro base imponibile giustificando la concessione di condizioni commerciali vantaggiose mediante richiamo all’importanza di garantire la redditività delle loro controllate.

113. A mio parere, tale argomento è chiaramente errato. Se così non fosse, la nozione di operazioni alle normali condizioni di mercato verrebbe svuotata di ogni significato. Detto argomento comporterebbe, di fatto, una netta e totale esclusione dall’ambito di applicazione del principio di qualsiasi operazione commerciale effettuata con società controllate, dato che una società controllante avrà sempre interesse a veder prosperare la propria controllata. Pertanto, vi sarebbe sempre, per definizione, una giustificazione.

114. In altre parole, esiste semplicemente una contraddizione irrisolvibile tra, da un lato, l’affermazione secondo cui gli Stati membri possono rettificare le operazioni per riflettere condizioni fittizie che sarebbero state concordate tra soggetti pienamente autonomi e, dall’altro, quella secondo cui le parti possono replicare sostenendo che le condizioni erano diverse e giustificate proprio perché i soggetti erano collegati, avendo interessi interdipendenti.

115. Infine, ritengo che, ancora una volta, queste non siano questioni di proporzionalità, bensì, semmai, di questioni concernenti a) il vero significato del principio (e come detto, a mio avviso, esso chiaramente non implica la presa in considerazione di interessi infragruppo), o b) il punto se il principio venga applicato correttamente in un caso specifico.

3)      Proporzionalità e disparità di trattamento

116. Torno ora alla questione della disparità di trattamento tra operazioni interne e operazioni transfrontaliere. Nel caso di specie, l’esistenza di siffatta disparità di trattamento è stata inizialmente invocata per sostenere la sussistenza di una restrizione.

117. All’udienza, essa è stata nuovamente fatta valere nell’analisi della proporzionalità: la normativa controversa sarebbe sproporzionata in quanto tratterebbe le operazioni in modo diverso.

118. Ritengo che questo argomento non sia convincente, per vari motivi.

119. Anzitutto, mi richiamo nuovamente alla causa SGI. In quel caso, la rettifica della base imponibile per riflettere le normali condizioni di mercato riguardava solo le operazioni transfrontaliere (52). La differenza di trattamento non impediva allo Stato membro di invocare, quale obiettivo legittimo, la ripartizione equilibrata del potere impositivo. Né impediva di constatare che la misura in questione era sproporzionata. In realtà, nella causa SGI, la Corte non ha neppure menzionato la disparità di trattamento nel proprio esame della proporzionalità.

120. In particolare, non è chiaro come la disparità di trattamento induca a ritenere che la misura considerata vada oltre quanto necessario per conseguire la ripartizione equilibrata del potere impositivo o quale altra misura meno restrittiva avrebbe potuto essere adottata. A tal proposito, non ravviso motivi per i quali il regime in questione diverrebbe meno restrittivo per la libertà di stabilimento qualora fosse estesa alle operazioni nazionali.

121. Almeno in teoria, l’imposizione del valore di trasferimento, che ha l’effetto di adeguare verso l’alto la base imponibile delle società tedesche con controllate straniere, potrebbe dissuadere dall’acquisire, costituire o mantenere tali controllate (53). Tuttavia, sembra che l’applicazione del valore di trasferimento anche nel caso delle operazioni tra società tedesche collegate non ridurrebbe né eliminerebbe in alcun modo tale effetto deterrente.

122. Si potrebbe replicare che si tratterebbe, piuttosto, di una questione di deterrenza «relativa» o di svantaggio provocato dalla disparità di trattamento. In altri termini, se una società tedesca potesse scegliere tra, da un lato, costituire una controllata all’estero (il che potrebbe dare luogo a una rettifica della sua base imponibile in relazione ad eventuali operazioni con detta controllata non effettuate alle normali condizioni di mercato, come nel caso in esame) e, dall’altro, costituire una controllata in Germania (dove non verrebbe applicata alcuna rettifica), sceglierebbe più probabilmente la seconda opzione.

123. Il problema fondamentale inerente a tale argomento è che esso concentra artificiosamente l’attenzione sulla tassazione della società controllante senza prendere in considerazione la controllata (54). Ovviamente,se la base imponibile della società controllante può essere maggiorata solo nel caso delle operazioni non effettuate alle normali condizioni di mercato con controllate straniere, teoricamente la società controllante con una controllata nazionale beneficia di un «vantaggio fiscale». Tuttavia, tale vantaggio fiscale derivante dalla minore base imponibile della società controllante risulterà controbilanciata, in linea di principio, dalla più elevata base imponibile della controllata. In altre parole, si ritorna all’argomento della «somma zero» dedotto nel presente procedimento dal governo tedesco (55).

124. È opportuno rammentare che l’argomento della «somma zero» era presente anche nella causa SGI (ancorché non sotto tale denominazione). Infatti, la normativa belga prevedeva in quel caso che «una società residente non è assoggettata a imposizione su un beneficio [straordinario o a titolo gratuito] qualora quest’ultimo venga concesso ad un’altra società residente [collegata] (…), purché detto beneficio sia considerato per determinare i redditi imponibili di quest’ultima»(56). In altri termini, la natura a somma zero del trasferimento sotto il profilo fiscale era espressamente prevista quale requisito dalla normativa in questione. Il Belgio era disposto a non tassare presso la società controllante l’«utile trasferito», purché esso fosse tassato in Belgio presso la controllata.

125. È vero che nella fattispecie, a quanto mi sembra di comprendere, non esiste una condizione equivalente nella legislazione tedesca. Infatti, la normativa tedesca in discussione nel procedimento principale non richiede formalmente che i «profitti trasferiti» alla controllata residente in Germania vengano tassati presso quest’ultima, come condizione per non adeguare la base imponibile della controllante. Tuttavia, non è stato neppure dedotto alcun argomento convincente secondo cui tali «profitti trasferiti» tra società tedesche mediante operazioni non effettuate alle normali condizioni di mercato non verrebbero tassati (o verrebbero tassati in misura minore o a un’aliquota inferiore) presso la beneficiaria (57).

4)      Entità della rettifica

126. Infine, mi sembra di capire che le misure fiscali correttive adottate dalla Germania in un caso come quello di specie sono limitate alla parte eccedente quanto sarebbe stato concordato se le società non avessero avuto un rapporto di interdipendenza. Non sussiste alcuna «rettifica eccessiva» tale da gonfiare artificiosamente la base imponibile della società residente tedesca (58). Tuttavia, ancora una volta, ritengo che ciò non costituisca una questione di proporzionalità e non formi parte di una giustificazione della misura nazionale, ma attenga piuttosto alla corretta applicazione del principio delle normali condizioni di mercato (59).

4.      Conclusione

127. Sulla base dei suesposti argomenti, una normativa come quella in esame nella specie non costituisce, a mio avviso, una restrizione alla libertà di stabilimento. Tuttavia, qualora costituisse una restrizione, questa risulterebbe giustificata dalla tutela della ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri e – subordinatamente, beninteso, alle valutazioni finali compiute dal giudice nazionale - non eccederebbe quanto necessario per raggiungere tale obiettivo.

5.      Postscriptum

128. Nelle presenti conclusioni sono state delineate due opzioni. In base alla prima, laddove si adotti la logica della discriminazione, non sussiste comparabilità e l’analisi può fermarsi qui. In base alla seconda, laddove si adotti l’orientamento basato sulla restrizione, allora, secondo un’interpretazione molto ampia (che avrebbe però conseguenze generali problematiche per il settore delle imposte dirette), potrebbe in teoria sussistere un ostacolo, che tuttavia sarebbe giustificato.

129. Entrambe le suddette opzioni sono fondate sul presupposto che si accolgano il principio di territorialità fiscale e la sua emanazione sotto forma di mantenimento della ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri. La giurisprudenza della Corte conferma chiaramente che gli Stati membri possono applicare imposte dirette e che possono farlo sugli utili generati nell’ambito della loro giurisdizione, conformemente al principio di territorialità. Inoltre, il principio delle normali condizioni di mercato è internazionalmente riconosciuto quale valido strumento per la ripartizione geografica degli utili.

130. Muovendo da tale presupposto comune, esiste una differenza fra le due opzioni per quanto riguarda il modo in cui il suddetto principio viene inserito nel test. Seguendo l’orientamento basato sulla discriminazione, tale inserimento avviene nella fase relativa alla comparabilità. Seguendo l’orientamento basato sulla restrizione, esso viene subito escluso, in quanto la comparabilità è irrilevante in tale contesto. Tuttavia, il medesimo principio di territorialità ritorna con piena forza nella fase della giustificazione (sotto forma di «ripartizione equilibrata del potere impositivo»).

131. L’esercizio argomentativo «sulle alternative» svolto intenzionalmente nelle presenti conclusioni evidenzia una serie di fondamentali problemi concettuali che la giurisprudenza della Corte si trova ad affrontare in questo settore. Ne spicca uno in particolare: data la mancanza di chiarezza da parte della Corte e le sue oscillazioni tra l’orientamento basato sulla discriminazione, quello basato sulla restrizione e quello misto, può ben accadere che le due opzioni vengano mescolate. In tal caso, lo stesso argomento e la stessa analisi ritornano a più riprese, in fasi diverse del test. Come si è visto in particolare nel presente caso, infatti, il medesimo argomento è stato invocato e la discussione si è svolta nella fase relativa alla comparabilità, in quella relativa alla giustificazione nonché, come fatto valere dalla Commissione e dalla ricorrente, nella fase relativa alla proporzionalità, aggiungendo un tocco di circolarità all’intera argomentazione.

132. Alla luce delle suesposte considerazioni, inviterei la Corte a fornire due precisazioni. In primo luogo, essa dovrebbe indicare chiaramente quale orientamento occorra adottare alla libertà di stabilimento nel settore delle imposte dirette. Per vari motivi illustrati nelle presenti conclusioni, dovrebbe trattarsi, a mio avviso, dell’orientamento basato sulla discriminazione.

133. In secondo luogo, qualora l’orientamento basato sulla discriminazione fosse accolto e applicato nel caso di specie, l’analisi si fermerebbe alla fase della comparabilità. Da un punto di vista sistematico, il fatto che gli Stati membri continuino a tassare le operazioni transfrontaliere conformemente al principio di territorialità fiscale e ai principi internazionalmente riconosciuti applicabili in questo settore non può essere considerato, a mio avviso, come qualcosa che richieda una giustificazione. La sola mancata ripartizione degli utili - per riflettere le normali condizioni di mercato - tra società residenti nel medesimo Stato membro anche non modifica tale conclusione.

134. La situazione potrebbe essere diversa solo se le operazioni tra società residenti beneficiassero di una minore imposizione globalmente. Se, per effetto dell’applicazione di norme diverse, sussistesse distorsione fiscale, si avrebbe una discriminazione fiscale. Tuttavia, anche in questo caso, sorgerebbe il problema dell’esatta individuazione della fonte del vantaggio fiscale. Nel caso in esame, non è stato ravvisato alcun vantaggio fiscale complessivo derivante dalla mancata applicazione del principio delle normali condizioni di mercato alle controllate residenti (60).

V.      Conclusione

135. Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di rispondere alla questione sollevata dal Finanzgericht Rheinland Pfalz (Tribunale tributario della Renania Palatinato, Germania) nei seguenti termini:

«L’articolo 49, in combinato disposto con l’articolo 54 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“TFUE”) (già articolo 43 in combinato disposto con l’articolo 48 del Trattato che istituisce la Comunità europea), non osta alla normativa di uno Stato membro per effetto della quale i redditi di un contribuente residente derivanti da rapporti commerciali con una società residente in un altro Stato membro, di cui detenga direttamente o indirettamente una partecipazione pari ad almeno un quarto del capitale e con cui abbia pattuito condizioni che si discostino da quelle che soggetti terzi tra loro indipendenti avrebbero concordato nell’ambito di rapporti identici o simili, devono essere determinati come se fossero conseguiti in presenza di condizioni concordate tra soggetti terzi indipendenti, anche nel caso in cui tale rettifica non sia compiuta rispetto ai redditi derivanti da rapporti commerciali con una società residente e la disciplina non consenta al contribuente residente di provare che le condizioni siano state concordate per ragioni commerciali riconducibili alla sua posizione di socio nella società residente nell’altro Stato membro».


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Sentenza del 21 gennaio 2010 (C-311/08, EU:C:2010:26).


3      La normativa nazionale controversa si applica alle partecipazioni comprese tra il 25% e 100%, comprendenti chiaramente le fattispecie di «sicura influenza» [v., ad esempio, sentenza del 13 novembre 2012, Test Claimants in the FII Group Litigation (C-35/11, EU:C:2012:707)]. Inoltre, nella specie, la ricorrente detiene una partecipazione pari al 100% nelle società straniere del gruppo. La questione posta dal giudice del rinvio verte esclusivamente sulla libertà di stabilimento. Di conseguenza, e senza escludere l’eventuale applicazione nel caso in esame delle norme sulla libera circolazione dei capitali, nella specie la disciplina nazionale sarà analizzata unicamente alla luce delle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento. Con riguardo a detta libertà, la questione posta dal giudice del rinvio fa riferimento sia agli articoli 43 CE e 48 CE, sia agli articoli 49 TFUE e 54 TFUE. I fatti di causa risalgono al 2003. Di conseguenza, le pertinenti disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento pertinenti sono, a rigore, gli articoli 43 CE e 48 CE, anche se ciò non comporta alcuna differenza sostanziale nel caso di specie.


4      Sentenza del 21 gennaio 2010 (C-311/08, EU:C:2010:26).


5      Sentenze del 15 maggio 1997, Futura Participations e Singer (C-250/95, EU:C:1997:239, punto 22), e del 13 dicembre 2005, Marks & Spencer (C-446/03, EU:C:2005:763, punto 39).


6      Sentenze del 13 dicembre 2005, Marks & Spencer (C-446/03, EU:C:2005:763, punto 46); del 29 novembre 2011, National Grid Indus (C-371/10, EU:C:2011:785, punto 45), e del 6 settembre 2012, Philips Electronics UK (C-18/11, EU:C:2012:532, punto 23).


7      Sentenza del 21 gennaio 2010, SGI(C-311/08, EU:C:2010:26, punto 63).


8      A tale proposito, l’OCSE costituisce un forum fondamentale per l’analisi e l’elaborazione delle norme relative al valore di trasferimento e al BEPS («base erosion and profit shifting», erosione della base fiscale e trasferimento degli utili). V. http://www.oecd.org/tax/beps/ e http://www.oecd.org/tax/transfer-pricing/.


9      V., ad esempio, OCSE (2012), «Dealing effectively with challenges of transfer pricing», pag. 14, disponibile all’indirizzo http://www.oecd.org/publications/dealing-effectively-with-the-challenges-of-transfer-pricing-9789264169463-en.htm.


10      V., ad esempio, Farmer, P., «Direct Taxation and the Fundamental Freedoms», The Oxford Handbook of European Union Law, Oxford University Press, Oxford, 2015, pag. 812 («Generalmente, tali regole si applicano solo alle situazioni transfrontaliere in quanto sarebbero superflue in quelle interne»).


11      V., ad esempio, Barnard, C., «The Substantive Law of the EU: The Four Freedoms», 5a ed., Oxford University Press, Oxford, 2016, pagg. 399 e segg.; Kingston, S., «The Boundaries of Sovereignty: The ECJ’s controversial role applying internal market law to direct tax measures», Cambridge Yearbook of European Legal Studies, Vol. 9, 2006.


12      Sentenza del 28 gennaio 1986, Commissione/Francia(270/83, EU:C:1986:37, punti 20 e 27).


13      Così, ad esempio, nella causa Thin Cap, la Corte ha dichiarato che «la disparità di trattamento cui sono soggette, nell’ambito di una normativa quale quella di cui alla causa principale, le controllate di società controllanti non residenti rispetto alle controllate di società controllanti residenti può restringere la libertà di stabilimento, anche se, sul piano fiscale, la situazione di un gruppo societario transfrontaliero non è comparabile a quella di un gruppo le cui società risiedono tutte nello stesso Stato membro». Sentenza del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation(C-524/04, EU:C:2007:161, punto 59). V. anche infra, paragrafo 42.


14      Sentenza dell’11 luglio 1974, Dassonville (C-8/74, EU:C:1974:82, punto 5).


15      Sentenza del 30 novembre 1995, Gebhard (C-55/94, EU:C:1995:411, punto 37). V., altresì, sentenza del 21 gennaio 2010, SGI(C-311/08, EU:C:2010:26, punto 56).


16      Sentenza del 15 maggio 1997, Futura Participations e Singer (C-250/95, EU:C:1997:239).


17      Sentenza del 21 gennaio 2010, SGI (C-311/08, EU:C:2010:26, punto 39 e giurisprudenza citata).


18      Farmer, P., e Lyal, R., EC Tax Law, Clarendon Press, Oxford, 1994, pag. 28: «Portato alle estreme conseguenze, un orientamento incentrato sull’applicazione di una restrizione anziché sulla discriminazione farebbe rientrare nell’ambito delle disposizioni del Trattato sulle libertà tutte le norme relative all’imputazione contenute nelle normative fiscali nazionali».


19      Sentenza del 17 dicembre 2015, Timac Agro Deutschland(C-388/14, EU:C:2015:829, punto 26).


20      Sentenza del 21 gennaio 2010 (C-311/08, EU:C:2010:26).


21      Citata supra alla nota 12.


22      Sentenza del 21 gennaio 2010, SGI(C-311/08, EU:C:2010:26).


23      In tale contesto, detta espressione si riferisce ai soggetti che hanno interessi comuni o sono legati da un vincolo di interdipendenza.


24      Sentenza del 21 gennaio 2010, SGI(C-311/08, EU:C:2010:26, punto 44).


25      Sentenza del 21 gennaio 2010, SGI(C-311/08, EU:C:2010:26, punto 63; per la citazione completa v. supra, paragrafo 47).


26      Sentenza del 21 gennaio 2010(C-311/08, EU:C:2010:26, punto 43).


27      V., ad esempio, sentenze del 18 luglio 2007, Oy AA(C-231/05, EU:C:2007:439, punto 38), e del 25 febbraio 2010, X Holding(C-337/08, EU:C:2010:89, punto 22).


28      Nel contesto dell’imposta annuale sugli organismi di investimento collettivo stranieri e nazionali, v. mie conclusioni nella causa NN (L) International (C-48/15, EU:C:2016:45, paragrafo 57).


29      Per considerazioni analoghe riguardo all’esame della selettività nel contesto degli aiuti di Stato, che include anche considerazioni relative alla comparabilità, v. mie conclusioni nella causa Belgio/Commissione (C-270/15 P, EU:C:2016:289, paragrafi da 40 a 46.)


30      Sentenza del 13 dicembre 2005, Marks & Spencer (C-446/03, EU:C:2005:763, punto 39).


31      Sentenza del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation(C-524/04, EU:C:2007:161, punto 60).


32      È vero che, se la Corte volesse ammettere espressamente un orientamento basato sulla restrizione «puro» nel settore della libertà di stabilimento e delle imposte dirette, tale sviluppo renderebbe superflua qualsiasi successiva valutazione della comparabilità e del trattamento sfavorevole. Tuttavia, ciò non solo comporterebbe tutti gli svantaggi sopra menzionati, ma risulterebbe parimenti in contrasto con l’orientamento opposto seguito dalla Corte negli ultimi anni. La sentenza del 5 luglio 2005, D (C-376/03, EU:C:2005:424), viene spesso richiamata come «punto di svolta» a tale riguardo (v., ad esempio, Kingston, S., «The Boundaries of Sovereignty: The ECJ’s controversial role applying internal market law to direct tax measures», Cambridge Yearbook of European Legal Studies, Vol. 9, 2006, pag. 303).


33      Sentenza del 18 luglio 2007, Oy AA(C-231/05, EU:C:2007:439).


34      V., ad esempio, sentenza del 12 dicembre 2006, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation (C-374/04, EU:C:2006:773, punto 68).


35      Sentenza del 21 gennaio 2010, SGI(C-311/08, EU:C:2010:26, punto 45).


36      La Convenzione relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate (GU 1990, L 225, pag. 10) prevede meccanismi di arbitrato diretti ad evitare le doppie imposizioni di questo tipo [v., in proposito, la sentenza del 21 gennaio 2010, SGI(C-311/08, EU:C:2010:26, punto 54)].


37      Farmer, P., «Direct Taxation and the Fundamental Freedoms», The Oxford Handbook of European Union Law, Oxford University Press, Oxford, 2015, pag. 812.


38      Sentenza del 14 novembre 2006, Kerckhaert e Morres (C-513/04, EU:C:2006:713, punti da 22 a 24).


39      Conclusioni dell’avvocato generale Kokott (C-311/08, EU:C:2009:545, paragrafo 45).


40      Rilevo, inoltre, che la posizione assunta al riguardo dalla Commissione nella specie mi sembra contrastare in un certo qual modo con il suo orientamento a questioni concernenti il valore di trasferimento nel settore degli aiuti di Stato. A tale proposito, essa ha di fatto attivamente promosso azioni contro vari Stati membri proprio perché riteneva che essi non avessero applicato correttamente il valore di trasferimento ad operazioni transfrontaliere, con la conseguenza che le società residenti erano state assoggettate ad un’imposizione troppo modesta. A mio parere, ciò rende ancor più sorprendente la tesi secondo cui la Germania potrebbe plausibilmente risolvere il problema applicando il valore di trasferimento a tutte le operazioni (transfrontaliere e nazionali) o a nessuna.


41      V. supra, paragrafi da 20 a 27.


42      Escludendo naturalmente la presa in considerazione della disparità di trattamento, poiché essa costituisce una questione rilevante nell’ambito dell’orientamento basato sulla discriminazione.


43      Sentenza del 21 gennaio, SGI(C-311/08, EU:C:2010:26, punto 56 e giurisprudenza citata).


44      Sentenza del 21 gennaio, SGI(C-311/08, EU:C:2010:26, punto 60 e giurisprudenza citata).


45      Sentenza del 21 gennaio, SGI (C 311/08, EU:C:2010:26, punto 62 e giurisprudenza citata).


46      Nella causa SGI, la Corte ha affermato che la ripartizione equilibrata del potere impositivo e l’esigenza di evitare le pratiche abusive costituivano, «congiuntamente considerat[e]», un obiettivo legittimo. Tuttavia, da altre pronunce risulta parimenti che la ripartizione equilibrata del potere impositivo può essere fatta valere anche quale giustificazione a sé stante [a tale proposito v., ad esempio, sentenza del 18 luglio 2007, Oy AA(C-231/05, EU:C:2007:439)]. Ciò è stato riconosciuto anche dalla Commissione all’udienza.


47      Linee guida dell’OCSE del 2017 sui valori di trasferimento per le imprese multinazionali e le amministrazioni finanziarie, punto 7.13. All’udienza è stata discussa l’esatta natura delle lettere di patronage o delle lettere di intenti. È stato confermato che, nella specie, la lettera conteneva una garanzia validamente opponibile alla ricorrente.


48      Comunicazione della Commissione sull’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato concessi sotto forma di garanzie (GU 2008, C 155, pag. 10).


49      La parafrasi è mia.


50      Paragrafo 100 supra.


51      V. supra, nota 47.


52      Come confermato al punto 42 della sentenza 21 gennaio 2010 (C-311/08, EU:C:2010:26): «i benefici (…) concessi da una società residente ad una società collegata (…) vengono aggiunti agli utili propri di questa prima società solo se la società beneficiaria è stabilita in un altro Stato membro» (il corsivo è mio).


53      Sentenza del 21 gennaio 2010, SGI(C-311/08, EU:C:2010:26, punto 44 e giurisprudenza citata).


54      A mio avviso, tale approccio è, inoltre, intrinsecamente contraddittorio. Le restrizioni alla libertà di stabilimento vengono esaminate sotto il profilo dei vantaggi e degli svantaggi di costituire un’entità distinta (filiale o controllata) all’estero. Tuttavia, per valutare la giustificazione delle restrizioni, si dovrebbe limitare l’analisi ai vantaggi e agli svantaggi per la società controllante stessa.


55      V. supra, paragrafi 71 e 72.


56      V. sentenza del 21 gennaio 2010 (C-311/08, EU:C:2010:26, punto 42). Il corsivo è mio.


57      La discussione si è svolta in parte sulla successiva tassazione delle distribuzioni effettuate dalla controllata. Tuttavia, si tratta, a mio parere, di una questione completamente diversa. La Commissione ha anche ventilato l’idea che la tassazione degli utili presso le controllanti anziché presso le controllate potrebbe dare luogo a un trasferimento di utili tra i Länder, nei quali si applicano aliquote d’imposta diverse. Ma, a prescindere dal fatto che non è stato fornito alcun esempio concreto, l’aliquota base dell’imposta federale sul reddito da attività produttive non è progressiva ed è identica in tutta la Germania.


58      Sentenza del 21 gennaio 2010, SGI(C-311/08, EU:C:2010:26, punto 72 e giurisprudenza citata).


59      A tale proposito v. supra, paragrafo 115.


60      L’esistenza di vantaggi fiscali «a valle», relativi ad operazioni distinte (ad esempio alla distribuzione di dividendi) costituisce una questione differente.