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Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 12 settembre 2019 (1)

Causa C-482/18

Google Ireland Limited

contro

Nemzeti Adó- és Vámhivatal Kiemelt Adó- és Vámigazgatósága

(domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság [Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest-Capitale, Ungheria])

«Domanda di pronuncia pregiudiziale – Libertà fondamentali – Libera circolazione dei servizi – Restrizioni e discriminazioni – Diritto tributario sostanziale e procedurale – Imposta sulla pubblicità basata sul fatturato – Tassazione di attività straniere svolte in lingua ungherese – Principio di territorialità nel diritto dell’Unione – Obbligo di registrazione a fini fiscali – Diversità delle procedure di registrazione per residenti e stranieri – Sanzioni in caso di mancata registrazione»






I.      Introduzione

1.        Nel presente procedimento, la Corte si occupa principalmente di questioni di diritto tributario procedurale, in particolare della sanzione prevista per la violazione degli obblighi di registrazione a fini fiscali, miranti all’accertamento e all’attuazione di un obbligo fiscale. In Ungheria, tali sanzioni possono raggiungere un livello significativo (fino a 1 miliardo di fiorini ungheresi [HUF] in totale, ossia circa 3 milioni di EUR) per costringere soggetti passivi non ancora registrati in Ungheria a presentare una dichiarazione dei redditi. Nell’ambito di tale attività sanzionatoria sono presenti alcuni ostacoli procedurali che rendono più difficile a un soggetto passivo sottrarsi alla sanzione pecuniaria o sottoporla al controllo giurisdizionale. Entrambi colpiscono, in particolare, i soggetti passivi residenti all’estero, i quali non percepiscono ancora entrate imponibili in Ungheria. Si pongono quindi questioni collegate alle libertà fondamentali.

2.        Inoltre, la Corte può anche chiedersi se il diritto dell’Unione non impedisca per se all’Ungheria di riscuotere un’imposta dalle imprese straniere (europee), sebbene tali imprese non abbiano la sede in Ungheria. L’imposta in questione colpisce, infatti, le imprese che forniscono esclusivamente servizi in lingua ungherese via Internet, i quali però non sono necessariamente «consumati» in Ungheria. È infatti altresì ipotizzabile che beneficino di siffatti servizi persone che parlano ungherese e vivono al di fuori dell’Ungheria, come, ad esempio, la minoranza ungherese che vive in Romania. Occorre pertanto chiarire se il diritto dell’Unione richieda un nesso territoriale per un’imposta nazionale e, in caso affermativo, se siffatto nesso sia garantito attraverso il riferimento alla lingua ungherese.

3.        Quest’ultima è una nuova questione, la cui risposta può avere un impatto significativo sulle competenze fiscali degli Stati membri. Essa si pone, secondo modalità simili, ad esempio, anche con riguardo ad un’imposta italiana sulle transazioni finanziarie gravante su operazioni estere con derivati basati sull’emissione di titoli da parte di una società con sede in Italia (2).

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

4.        Le pertinenti norme di diritto dell’Unione derivano dal TFUE e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

B.      Normativa nazionale

5.        Il contesto della controversia è dato dalla A reklámadóról szólóló 2014. évi XXII. törvény (legge n. XXII del 2014 in materia di imposta sulla pubblicità; in prosieguo: la «legge relativa all’imposta sulla pubblicità») nella versione in vigore nel 2016.

6.        Tale imposta sulla pubblicità – quale imposta basata sul fatturato – è stata istituita nell’ordinamento giuridico nazionale allo scopo di attuare il principio di un’adeguata ripartizione degli oneri.

7.        Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera e), della legge relativa all’imposta sulla pubblicità, la pubblicazione a titolo oneroso di annunci pubblicitari in Internet, principalmente in lingua ungherese oppure su siti Internet prevalentemente di lingua ungherese, è soggetta all’imposta sulla pubblicità. Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 3, della legge medesima, tale imposta si applica nell’anno controverso solo alle imprese con un corrispondente fatturato soggetto all’imposta sulla pubblicità superiore a 100 milioni di HUF all’anno e ha quindi una struttura tariffaria progressiva.

8.        Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della legge relativa all’imposta sulla pubblicità, qualsiasi incarico di pubblicazione di annunci pubblicitari è soggetto all’imposta sulla pubblicità, a meno che il committente della pubblicazione

ba)       abbia chiesto al soggetto passivo di cui all’articolo 3, paragrafo 1, di effettuare la dichiarazione di cui all’articolo 3, paragrafo 3, e possa dimostrare validamente tale fatto; e

bb)       non abbia ricevuto la dichiarazione richiesta a norma della lettera ba) entro un termine di 10 giorni lavorativi decorrenti dalla ricezione della fattura o documento contabile relativi alla pubblicazione dell’annuncio pubblicitario, e

bc)      abbia presentato una dichiarazione all’amministrazione tributaria statale relativa al fatto di cui alla lettera ba), alla persona che ha pubblicato l’annuncio pubblicitario e alla controprestazione della pubblicazione.

9.        Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della legge relativa all’imposta sulla pubblicità, chiunque pubblichi a titolo oneroso annunci pubblicitari in Internet, principalmente in lingua ungherese o su siti Internet prevalentemente di lingua ungherese, è un «soggetto passivo, indipendentemente dal luogo in cui è residente».

10.      Ai sensi dell’articolo 7/B, paragrafo 1, di tale legge, il soggetto passivo in forza dell’articolo 3, paragrafo 1, il quale non sia registrato dall’amministrazione tributaria statale in qualità di soggetto passivo ai fini di una qualsiasi imposta dovrà registrarsi presentando il formulario predisposto a tal fine dall’amministrazione tributaria statale entro il termine di 15 giorni decorrenti dall’inizio di un’attività che sia soggetta all’imposta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1.

11.      Ai sensi dell’articolo 7/B, paragrafo 2, della legge medesima, qualora il soggetto passivo non adempia al suo obbligo di registrazione in conformità al paragrafo 1, l’amministrazione tributaria statale, oltre a richiedergli di adempiere a detto obbligo, dispone nei suoi confronti una prima sanzione pecuniaria per omissione pari a 10 milioni di HUF.

12.      L’articolo 7/B, paragrafo 3 della legge relativa all’imposta sulla pubblicità consente all’amministrazione tributaria statale, qualora si constati reiteratamente l’inadempimento, di disporre una sanzione pecuniaria per omissione pari al triplo della sanzione pecuniaria applicata anteriormente.

13.      L’articolo 7/B, paragrafo 4 della legge relativa all’imposta sulla pubblicità prevede che l’amministrazione tributaria statale accerti mediante decisione su base giornaliera l’inadempimento dell’obbligo di registrazione in conformità al paragrafo 1. Le decisioni sono definitive ed esecutive dal momento della loro notifica e soggette a controllo giurisdizionale. Nel procedimento giurisdizionale è ammessa unicamente la prova documentale e l’organo giurisdizionale decide senza tenere un’udienza.

14.      L’articolo 7/B, paragrafo 5 della legge relativa all’imposta sulla pubblicità dispone infine che la sanzione pecuniaria per omissione può essere ridotta senza limiti qualora il soggetto passivo adempia all’obbligo di registrazione alla prima richiesta dell’amministrazione tributaria.

15.      L’articolo 7/D della legge relativa all’imposta sulla pubblicità stabilisce che l’amministrazione tributaria statale può imporre ad un medesimo soggetto passivo, in base all’articolo 7/B, una sanzione pecuniaria per omissione per un importo complessivo massimo pari a 1 miliardo di HUF.

16.      Nel caso di società con sede legale in Ungheria, l’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della legge sulla procedura tributaria generale dispone che, tramite la presentazione dinanzi al tribunale incaricato del Registro delle imprese della domanda di registrazione (formulario compilato) unitamente agli allegati e alla richiesta di attribuzione di un numero di identificazione fiscale, il soggetto passivo adempie automaticamente al proprio obbligo di registrazione presso l’amministrazione statale delle finanze e dogane.

17.      In conformità all’articolo 172 della legge sulla procedura tributaria generale, qualora il soggetto passivo non adempia ai propri obblighi dichiarativi (di registrazione o di comunicazione di modifiche), di trasmissione di dati o di apertura di un conto di pagamento, oppure al suo obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi, nei confronti del medesimo potrà essere disposta una sanzione pecuniaria per un importo pari a HUF 500 000,00 o, a seconda dei casi, pari a HUF 1 000 000,00.

18.      L’articolo 172, paragrafo 7, della legge sulla procedura tributaria generale stabilisce che, in caso di inadempimento dell’obbligo di registrarsi, trasmettere comunicazioni, comunicare modifiche, presentare la dichiarazione dei redditi, trasmettere dati o aprire un conto di pagamento, nonché nell’ipotesi di cui al paragrafo 1, lettera f), l’amministrazione tributaria, allorché impone la sanzione pecuniaria per omissione, ingiungerà al contempo al soggetto passivo — oppure, in caso di inadempimento dell’obbligo di emissione di documentazione giustificativa, potrà ingiungere al medesimo — di ottemperarvi entro il termine impartito a tal fine. Salvo che nell’ipotesi di sanzione pecuniaria per omissione prevista al paragrafo 1, lettera f), se il soggetto passivo non adempisse al proprio obbligo entro il termine a tal fine impartito nella decisione anteriore, verrà raddoppiata la sanzione pecuniaria disposta ed impartito un nuovo termine.

III. Procedimento principale

19.      La ricorrente è una società di capitali registrata in Irlanda con la denominazione «Google Ireland Limited» (in prosieguo: la «Google»). La sede legale e l’amministrazione centrale si trovano a Dublino. Nel 2016 essa ha svolto un’attività soggetta all’imposta sulla pubblicità senza aver finora adempiuto all’obbligo di registrazione connesso all’inizio di un’attività soggetta a imposta, ai sensi dell’articolo 7/B, paragrafo 1, della legge relativa all’imposta sulla pubblicità.

20.      Con decisione del 16 gennaio 2017, l’amministrazione tributaria ha imposto a Google una sanzione pecuniaria per omissione pari a HUF 10 000 000,00 (attualmente pari a circa EUR 30 600,00) a causa dell’inadempimento dell’obbligo di registrazione ai fini dell’imposta sulla pubblicità stabilito agli articoli da 7/B a 7/D della legge relativa all’imposta sulla pubblicità, e, in seguito, le ha imposto su base giornaliera una sanzione pecuniaria pari al triplo della sanzione pecuniaria anteriore di 1 miliardo di HUF (attualmente pari a circa 3,06 milioni di EUR).

21.      La resistente afferma che la ricorrente, avendo deliberatamente disatteso i suoi obblighi fiscali, è giunta ad ottenere in Ungheria un vantaggio competitivo rispetto ai soggetti stabiliti in detto Stato che svolgono attività di pubblicazione di annunci pubblicitari adempiendo ai propri obblighi fiscali in conformità alle disposizioni legali. Il fatto che dal 1º gennaio 2015 la ricorrente risultasse inadempiente ai propri obblighi di pagamento dell’imposta in Ungheria costituirebbe una violazione di una gravità tale da giustificare in modo sufficiente l’applicazione di una sanzione pecuniaria di importo considerevole mirante ad incentivare l’adempimento degli obblighi fiscali.

22.      La Google ha proposto un ricorso contro le decisioni dell’amministrazione tributaria, chiedendone l’annullamento, contestando anzitutto l’importo della sanzione pecuniaria, la quale sarebbe significativamente superiore (fino a 2000 volte) a quella applicabile alle imprese nazionali che sono soggette non ad un siffatto obbligo speciale di registrazione, ma solo a un obbligo generale. Vi si aggiungerebbe il fatto che la registrazione, nel caso delle imprese stabilite in Ungheria avverrebbe ipso iure a seguito dell’iscrizione nel registro delle imprese, cosicché soltanto le imprese straniere sarebbero colpite dalla sanzione. Inoltre, la ricorrente lamenta anche la violazione del proprio diritto ad un ricorso effettivo, poiché le decisioni di imposizione della sanzione pecuniaria sarebbero definitive ed esecutive dal momento della loro notifica, la possibilità di addurre prove sarebbe limitata e l’impresa non stabilita disporrebbe di un lasso di tempo molto breve per prepararsi in maniera adeguata al procedimento nonché all’esercizio dei propri diritti.

23.      Il giudice del rinvio deve ora pronunciarsi sul ricorso di annullamento proposto contro la decisione con la quale è stata imposta la sanzione pecuniaria.

IV.    Domanda di pronuncia pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

24.      Con decisione del 13 luglio 2018, il giudice del rinvio ha deciso di avviare un procedimento pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE, sottoponendo alla Corte le seguenti questioni:

1.      Se gli articoli 18 e 56 TFUE e il divieto di discriminazione debbano essere interpretati nel senso che ostano alla normativa tributaria di uno Stato membro il cui regime sanzionatorio prevede, per l’inadempimento dell’obbligo di registrazione ai fini dell’imposta sulla pubblicità, l’imposizione di una sanzione pecuniaria per omissione la quale, nel caso delle società non stabilite in Ungheria, può essere complessivamente fino a 2 000 volte superiore a quella applicabile alle società stabilite in Ungheria.

2.      Se occorra considerare che la sanzione descritta nella questione precedente, di importo considerevolmente elevato e a carattere punitivo, possa essere tale da dissuadere i fornitori di servizi non stabiliti in Ungheria dal prestare servizi in detto Stato.

3.      Se l’articolo 56 TFUE e il divieto di discriminazione debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa in base alla quale, nel caso delle imprese stabilite in Ungheria, l’obbligo di registrarsi viene adempiuto automaticamente, senza richiesta espressa, con l’attribuzione di un numero di identificazione fiscale ungherese all’atto dell’iscrizione nel Registro delle imprese, indipendentemente dalla circostanza che l’impresa svolga attività di pubblicazione di annunci pubblicitari, laddove, nel caso delle imprese non stabilite in Ungheria e che invece svolgono attività di pubblicazione di annunci pubblicitari in detto Stato, ciò non avviene automaticamente, dovendo queste ultime per contro adempiere espressamente all’obbligo di registrazione e, qualora non lo facessero, possono subire una sanzione specifica.

4.      In caso di risposta affermativa alla prima questione, se l’articolo 56 TFUE e il divieto di discriminazione debbano essere interpretati nel senso che ostano ad una sanzione come quella in discussione nel procedimento principale, applicata per inadempimento dell’obbligo di registrazione ai fini dell’imposta sulla pubblicità, nella misura in cui detta norma risulti contraria al citato articolo.

5.      Se l’articolo 56 TFUE e il divieto di discriminazione debbano essere interpretati nel senso che ostano a una disposizione in base alla quale, nel caso delle imprese stabilite all’estero, la decisione giudiziaria con cui alle medesime si impone una sanzione pecuniaria è definitiva ed esecutiva dal momento della sua notifica e può essere impugnata unicamente attraverso un procedimento giudiziario nel quale l’organo giurisdizionale non può procedere ad udienza e nel quale è ammessa unicamente la prova documentale, mentre, nel caso delle imprese stabilite in Ungheria, è possibile proporre ricorso in via amministrativa contro le sanzioni pecuniarie imposte e, in aggiunta, non sussistono restrizioni sotto il profilo della procedura.

6.      Se l’articolo 56 TFUE, alla luce del diritto a un procedimento equo di cui all’articolo 41, paragrafo 1, della Carta, debba essere interpretato nel senso che tale requisito non è soddisfatto quando la sanzione pecuniaria per omissione si impone su base giornaliera triplicandone l’importo senza che il fornitore di servizi abbia ancora preso conoscenza della decisione giudiziaria anteriore, cosicché gli risulta impossibile sanare la propria omissione prima che gli venga imposta la successiva sanzione pecuniaria.

7.      Se l’articolo 56 TFUE, in relazione al diritto un procedimento equo di cui all’articolo 41, paragrafo 1, della Carta, al diritto ad essere ascoltato stabilito all’articolo 41, paragrafo 2, lettera a), della Carta e al diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale stabilito all’articolo 47 della Carta, debba essere interpretato nel senso che tali requisiti non possono essere soddisfatti quando la decisione giudiziaria non è impugnabile in via amministrativa e, nel procedimento in via contenzioso-amministrativa, è ammessa unicamente la prova documentale e l’organo giurisdizionale non può procedere ad udienza nella controversia di cui si tratti.

25.      Nel corso del procedimento dinanzi alla Corte la Google, l’Ungheria, la Repubblica ceca e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte sulle suddette questioni, partecipando altresì all’udienza del 4 giugno 2019.

V.      Valutazione giuridica

26.      Nel procedimento principale, Google contesta una decisione con la quale si impone una sanzione pecuniaria. L’oggetto principale della domanda di pronuncia pregiudiziale è pertanto la compatibilità delle disposizioni ungheresi sulle sanzioni pecuniarie previste per la mancata registrazione di un soggetto passivo ai sensi della legge relativa all’imposta sulla pubblicità. Ciò è a sua volta dovuto al fatto che tale legge indica come soggetto passivo ogni persona che pubblichi a titolo oneroso annunci pubblicitari in Internet principalmente in lingua ungherese o su siti web prevalentemente di lingua ungherese. La sede del soggetto passivo è irrilevante al riguardo, cosicché anche le imprese straniere svolgono un’attività soggetta ad imposta in Ungheria non appena iniziano a guadagnare con la pubblicità ungherese in Internet.

27.      Le questioni poste dal giudice del rinvio possono dunque essere classificate in vari gruppi. Una questione verte sui diversi sistemi di registrazione per i soggetti passivi nazionali e stranieri ai sensi della legge relativa all’imposta sulla pubblicità (terza questione – al riguardo sub B.), una parte delle questioni concerne l’importo della sanzione (prima e seconda questione, nonché quarta e sesta – al riguardo sub C.) e un’altra parte riguarda la tutela contro una siffatta imposizione della sanzione pecuniaria (quinta e settima questione – al riguardo sub D.).

28.      Sebbene il procedimento nazionale non abbia ad oggetto alcun avviso di accertamento e il giudice del rinvio non nutra dubbi circa l’ammissibilità dell’imposta ai sensi del diritto dell’Unione, all’udienza è stata discussa altresì la portata extraterritoriale della attività in concreto assoggettata ad imposta (pubblicità in lingua ungherese via Internet). È pur vero che la Corte, in materia di normativa tributaria non armonizzata, solitamente non si pronuncia sulla scelta dell’attività soggetta ad imposta ad opera del legislatore nazionale, ma nella fattispecie in questione appare giustificato l’esame dell’ammissibilità dell’imposta sulla pubblicità alla luce del diritto dell’Unione (al riguardo sub A.). Qualora infatti l’imposta applicata fosse contraria al diritto dell’Unione, la decisione con la quale si impone la sanzione pecuniaria basata su di essa potrebbe, per questo solo motivo, condividerne la sorte.

A.      Ammissibilità dell’imposta sulla pubblicità in base al diritto dell’Unione

29.      In linea di principio, il settore del diritto tributario è di competenza degli Stati membri. Ai sensi dell’articolo 113 TFUE, l’imposta sul fatturato, le imposte sul consumo ed altre imposte indirette costituiscono eccezioni. Per tale motivo, le disposizioni della legislazione dell’Unione europea in materia di imposte dirette sono poco numerose. In particolare, l’articolo 114, paragrafo 2, TFUE esclude le disposizioni fiscali e l’articolo 115 TFUE consente solo le norme di diritto dell’Unione che abbiano un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato interno.

30.      Benché la Commissione europea abbia nondimeno proposto un’imposta sui servizi digitali basata sul fatturato (3), è però irrilevante stabilire se una siffatta imposta osti all’imposta ungherese sulla pubblicità, dato che la proposta della Commissione è ancora oggetto di discussione da parte del legislatore dell’Unione.

31.      Tuttavia, l’inammissibilità dell’imposta sulla pubblicità ai sensi del diritto dell’Unione potrebbe risultare da due ulteriori aspetti. Nel settore delle imposte indirette armonizzate, ciò potrebbe derivare dall’articolo 401 della direttiva IVA (4). Inoltre, nell’esercizio delle loro competenze fiscali originarie gli Stati membri sono nondimeno vincolati dal diritto primario, in particolare, nel caso di specie, dalle libertà fondamentali (5).

1.      Possibile violazione dellarticolo 401 della direttiva IVA

32.      L’articolo 401 della direttiva IVA precisa che gli Stati membri non possono introdurre nuove imposte, che abbiano il carattere di imposta sul fatturato. Anche se fosse corretta la tesi del giudice del rinvio (6) secondo la quale l’imposta sulla pubblicità è un’imposta sul consumo basata sul fatturato, l’articolo 401 della direttiva IVA non osterebbe neppure a tale imposta, come ho già affermato in relazione ad altre imposte sul reddito basate sul fatturato (7). L’imposta sulla pubblicità non è nemmeno un’imposta (generale) sul fatturato e non è destinata ad essere trasferita al consumatore.

33.      A tal riguardo, non risulta convincente la qualificazione dell’imposta sulla pubblicità come imposta sul consumo basata sul fatturato. Al contrario, per come l’imposta ungherese sulla pubblicità è concepita, risulta che i fornitori di servizi dovrebbero essere tassati direttamente. Pertanto dovrebbe essere presa in considerazione la capacità finanziaria di dette imprese e non quella dei loro clienti. Ciò emerge chiaramente dal fatto, in particolare, che i clienti possono essere esonerati dal loro obbligo fiscale indicando la società che pubblica gli annunci pubblicitari ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della legge relativa all’imposta sulla pubblicità. L’imposta speciale per le imprese pubblicitarie è dunque analoga, per il suo carattere, ad un’imposta speciale diretta sul reddito, nella quale viene utilizzato come base imponibile «solo» il fatturato realizzato entro un certo periodo di tempo anziché gli utili. Essa ha quindi il carattere di un’imposta diretta sul reddito e non deve quindi essere valutata alla luce dell’articolo 401 della direttiva IVA.

2.      Possibile violazione delle libertà fondamentali

34.      Pertanto va considerata, in ogni caso, l’ipotesi di una violazione delle libertà fondamentali. Nel caso di specie potrebbe sussistere una violazione della libera prestazione di servizi di cui all’articolo 56 TFUE, in quanto l’imposta sulla pubblicità basata sul fatturato è collegata alla prestazione di servizi pubblicitari nella rispettiva lingua ed è applicata indipendentemente dal luogo di stabilimento dell’impresa.

a)      Criterio di valutazione relativo alla libera prestazione di servizi

35.      Secondo una giurisprudenza costante, le restrizioni alla libertà di stabilimento e/o alla libera prestazione dei servizi sono tutte le misure che vietino, ostacolino o rendano meno attraente l’esercizio delle libertà garantite dall’articolo 56 TFUE (8). In linea di principio, ciò comprende discriminazioni, ma anche restrizioni non discriminatorie.

36.      Tuttavia, va tenuto presente che le imposte e le tasse costituiscono di per sé un onere e quindi riducono sempre l’attrattiva di un servizio. Un esame delle imposte effettuato sotto il profilo delle restrizioni non discriminatorie assoggetterebbe pertanto tutti i fatti generatori dell’imposta nazionale al diritto dell’Unione e metterebbe dunque in discussione in maniera sostanziale la sovranità degli Stati membri in materia tributaria (9). Ciò sarebbe contrario alla giurisprudenza consolidata, secondo la quale, in assenza di armonizzazione all’interno dell’Unione, gli Stati membri sono liberi di esercitare la loro competenza fiscale in tale ambito (10).

37.      Affinché la competenza fiscale degli Stati membri riconosciuta dalla Corte e i poteri dei Parlamenti in materia di bilancio non siano indebitamente limitati, le misure fiscali nazionali devono quindi, in linea di principio, essere valutate solo alla luce del divieto di discriminazione sancito dalle libertà fondamentali (11).

38.      La Corte ha pertanto dichiarato a più riprese che le disposizioni degli Stati membri relative ai presupposti e al livello di imposizione sono coperte dall’autonomia fiscale degli Stati membri, sempreché il trattamento della fattispecie transfrontaliera non risulti discriminatorio rispetto a quello della fattispecie nazionale (12).

39.      Ad un esame più attento, la ritrazione dell’intensità del controllo nella normativa tributaria corrisponde all’idea che ha indotto la Corte, nella sua cosiddetta giurisprudenza Keck (13), ad astenersi da un esame generale delle restrizioni. Di conseguenza, le leggi fiscali non discriminatorie non possono costituire ostacolo diretto o indiretto, in atto o in potenza, agli scambi commerciali tra gli Stati membri, e quindi al mercato interno. Ciò vale sempreché tali disposizioni si applichino a tutti gli operatori interessati che svolgano la propria attività sul territorio nazionale e incidano in egual misura sotto il profilo sostanziale.

b)      Sussistenza di una discriminazione?

40.      Una restrizione della libera prestazione di servizi presuppone quindi nel caso di specie – vale a dire nell’ambito di applicazione della competenza fiscale autonoma degli Stati membri – anzitutto che due o più gruppi di riferimento siano trattati in modo diverso. In tal caso, la domanda successiva da porsi è se una siffatta disparità di trattamento delle fattispecie transfrontaliere rispetto a quelle puramente nazionali vada a svantaggio delle prime.

41.      Tale ipotesi non ricorre nel presente caso. La fattispecie transfrontaliera e quella puramente nazionale sono trattate allo stesso modo con riguardo all’imposta sulla pubblicità, poiché è del tutto irrilevante il luogo in cui abbia sede il prestatore del servizio. Qualora Google fosse stabilita in Ungheria e vi svolgesse un’attività pubblicitaria con annunci pubblicitari ungheresi in Internet, essa sarebbe soggetta a tale imposta come se svolgesse le medesime operazioni dalla sua sede in Irlanda. In assenza di discriminazione derivante dalla legge relativa all’imposta sulla pubblicità, non sarebbe possibile invocare le libertà fondamentali.

c)      Sui limiti della competenza fiscale autonoma

42.      Tuttavia, il fatto che, nel caso di specie, alcuni dei servizi tassati non siano fruiti in Ungheria (pubblicità ungherese destinata alla popolazione di lingua ungherese, ad esempio in Romania) e che il soggetto passivo non abbia la sede in Ungheria (come Google) potrebbe essere problematico sotto il profilo del diritto dell’Unione. In tale ipotesi si potrebbe dubitare che l’Ungheria operi davvero ancora nell’ambito della sua competenza fiscale (autonoma) riconosciuta dalla Corte (v. al riguardo supra paragrafi 36 e seguenti).

43.      È pertanto necessario chiarire se il diritto dell’Unione esiga, ai fini dell’esercizio della competenza fiscale autonoma, che l’attività tassata venga esercitata o fruita in Ungheria o se il soggetto passivo debba essere stabilito in Ungheria. Non sono a conoscenza di un siffatto obbligo imposto dal diritto dell’Unione. Ancora nel 2016 la Corte non si è pronunciata in alcun modo sull’eccezione di carenza del requisito di territorialità sollevata contro un’imposta belga applicata a tipi societari non residenti (14).

44.      Un collegamento territoriale inteso in maniera così restrittiva non può fondarsi neanche sul diritto internazionale. Ad esempio, anche la tassazione sulla base della nazionalità – come praticata negli Stati Uniti – è un sistema fiscale riconosciuto dal diritto internazionale, per quanto il cittadino non sia residente negli Stati Uniti né vi abbia mai prestato alcun servizio. Come già deciso dalla Corte Permanente di Giustizia Internazionale nel 1927, il diritto internazionale lascia agli Stati un ampio margine di manovra, limitato solo in alcuni casi, nella disciplina di atti che hanno avuto luogo al di fuori del proprio territorio (15). Un siffatto limite per la presa in considerazione di un «potere normativo esterno» è stato successivamente – in una fattispecie di riconoscimento della cittadinanza di un altro Stato ai fini dell’esercizio della protezione diplomatica (16) – individuato dalla Corte di Giustizia Internazionale in un nesso sufficientemente stretto (il cosiddetto genuine link).

45.      Alla luce di tali principi, è quindi discutibile ai sensi del diritto internazionale solo l’ipotesi in cui uno Stato eserciti il suo potere impositivo globale su persone o operazioni rispetto alle quali non presenti però alcun nesso. A tal riguardo, è necessario un qualsiasi collegamento ragionevole per far rientrare nella legislazione fiscale nazionale anche le fattispecie straniere, in particolare al fine di recuperare le imposte dai non residenti (17). Di norma, uno Stato sottopone a tassazione i propri residenti illimitatamente e i non residenti limitatamente al reddito generato sul proprio territorio (principio della residenza e principio della fonte). Entrambi sono, in definitiva, espressione del principio di territorialità, il quale si applica anche al luogo di attività e al consumo (vale a dire al luogo del consumo).

46.      La circostanza che il servizio tassato eventualmente non venga «consumato» in Ungheria è pertanto indifferente, purché sussista un altro collegamento. La prima condizione non è richiesta dal diritto dell’Unione, né si tratta al riguardo di un requisito generale di diritto internazionale ai fini dell’esercizio della propria competenza fiscale. Al contrario, nella normativa in materia di imposte sui redditi, molti servizi forniti in territori stranieri sono tassati (o possono essere tassati) solo perché il soggetto passivo è residente nel proprio territorio. Anche in base all’articolo 7, paragrafo 1 del modello OCSE di Convenzione del 2017 (18), in linea di principio, per quanto attiene agli utili delle imprese, è determinante il luogo di residenza e non il luogo di fornitura dei servizi.

47.      È del pari irrilevante la circostanza che il soggetto passivo non debba essere residente in Ungheria per essere assoggettato all’imposta sulla pubblicità. Alcuni redditi collegati ad un determinato luogo sono tassati nello Stato in cui si trova tale luogo e non nello Stato di residenza, conformemente al diritto internazionale. Analogamente, ad esempio, l’articolo 13 del modello OCSE di Convenzione del 2017, con riguardo al ricavo derivante dalla cessione di beni patrimoniali attribuisce del pari una competenza fiscale allo Stato in cui essi si trovano.

d)      Lingua come sufficiente collegamento al territorio

48.      È quindi dubbio soltanto se il collegamento di un’imposta alla lingua in cui è fornito il servizio possa essere considerato anche come un sufficiente collegamento territoriale (il cosiddetto genuine link) (19). A mio avviso, si può dare una risposta affermativa al quesito nel caso in esame.

49.      Come confermato anche dall’Ungheria all’udienza, l’idea alla base dell’imposta ungherese sulla pubblicità è evidentemente che la pubblicità ungherese in Internet sia rivolta principalmente agli utenti di lingua ungherese, la maggior parte dei quali si trova sul territorio ungherese. Google, grazie all’«apporto» della popolazione ungherese, genera quindi redditi che non sono però tassati in Ungheria. Senza l’invenzione di Internet, gran parte di tali redditi si sarebbe potuta conseguire solo con una sede in Ungheria, cosicché l’Ungheria avrebbe potuto agevolmente riscuotere la corrispondente imposta sul reddito. Ci si chiede se tale competenza debba venir meno per il solo fatto che il progresso tecnico crea nuove opportunità di generare redditi senza la necessità di una presenza nel rispettivo Stato membro.

50.      Sono portata ad escluderlo. Il collegamento all’uso della lingua ufficiale del proprio paese presenta, in linea di massima, un ragionevole («reasonable») e sufficiente nesso territoriale. È incontestabile che la lingua costituisca una parte importante dell’identità di una nazione e abbia quindi un forte nesso con uno Stato e il suo territorio. Non è necessario stabilire ora quanto tale considerazione valga anche per la lingua inglese, lingua «universale».

51.      Inoltre, ad esempio, lo stesso diritto dell’Unione, all’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), del regolamento (CE) n. 44/2001, fa riferimento inter alia alla lingua utilizzata ai fini della determinazione del foro competente. In tale contesto, la Corte si è già pronunciata nel senso che l’uso di una lingua diversa da quella abitualmente utilizzata nello Stato membro in cui il commerciante è stabilito consente di ritenere che l’attività del commerciante sia diretta verso lo Stato membro di domicilio del consumatore (20). A tal proposito, l’uso della lingua ungherese costituisce un indizio che l’attività di Google è diretta verso il territorio ungherese.

52.      La circostanza che tale nesso territoriale non sia sempre presente in concreto perché la stessa lingua può essere usata in Stati diversi (come, nel caso di specie, dalla minoranza ungherese in Romania) non è rilevante e attiene al potere di tipizzazione attribuito al legislatore, segnatamente nel diritto tributario (21). Ciò vale, ad ogni modo, nel caso di specie, ogniqualvolta l’uso della propria lingua ufficiale in altri paesi non abbia un ruolo di primaria importanza. È del pari irrilevante il fatto che l’utente ungherese del servizio pubblicitario risieda al di fuori del territorio. Il «genuine link» esiste anche in tale ipotesi in ragione della nazionalità.

53.      Anche il fatto che il riferimento agli specifici consumatori della pubblicità ungherese attraverso gli indirizzi IP degli utenti di Internet possa evidenziare un nesso territoriale più evidente non modifica le conclusioni suesposte. Né il diritto dell’Unione, né il diritto internazionale impongono la scelta del criterio di collegamento più preciso, ove esistente. Inoltre, anche il riferimento all’indirizzo IP costituirebbe solo un criterio ausiliario, poiché tale indirizzo può essere offuscato dall’utente pressoché a suo piacimento (ad esempio tramite client VPN). Ciò significa che il riferimento a un indirizzo IP si basa solo sul presupposto che, nella maggior parte dei casi, l’utente si trovi proprio nel paese in questione. La disciplina ungherese si fonda – in linea con il punto di vista espresso dalla Commissione all’udienza – su una generalizzazione analoga, anche se forse un po’ più grossolana, secondo la quale la pubblicità ungherese in Internet è generalmente fruita da cittadini ungheresi o da persone che vivono in Ungheria.

54.      Anche se la stessa Romania assoggettasse a imposta i servizi pubblicitari destinati alla popolazione di lingua ungherese residente nel suo territorio, rispetto alla quale sussisterebbe dunque anche un «genuine link», ciò solleverebbe anzitutto questioni di doppia imposizione. Tali problemi di doppia imposizione, tuttavia, sorgono anche nel caso di collegamenti tradizionali (residenza, attività, nazionalità) e non mettono in discussione il potere impositivo di uno Stato (nel caso di specie, dell’Ungheria).

55.      Invero, la Corte ha ripetutamente dichiarato che, in mancanza di un’armonizzazione a livello dell’Unione, le conseguenze svantaggiose che possono derivare dall’esercizio parallelo delle competenze fiscali dei vari Stati membri, purché tale esercizio non sia discriminatorio, non costituiscono restrizioni alle libertà di circolazione (22). Gli Stati membri non hanno l’obbligo di adattare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine, in particolare, di eliminare la doppia imposizione (23).

3.      Conclusione

56.      Il diritto dell’Unione non ostava quindi all’introduzione, da parte dell’Ungheria dell’imposta sulla pubblicità di cui trattasi.

B.      Terza questione: obblighi di registrazione del soggetto passivo

57.      Con la sua terza questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la libera prestazione di servizi di Google ai sensi dell’articolo 56 TFUE, in combinato disposto con gli articoli 62 e 54 TFUE, sia violata dall’obbligo speciale di registrazione di cui all’articolo 7/B della legge relativa all’imposta sulla pubblicità. Ciò deriva dal fatto che una preesistente registrazione conforme ad altre leggi tributarie (ossia una diversa imposizione fiscale) esonera dall’obbligo speciale di registrazione di cui all’articolo 7/B della legge sull’imposta sulla pubblicità.

58.      Anche sotto questo aspetto si applica il criterio di valutazione delle libertà fondamentali nel diritto tributario sopra esposto (paragrafi 35 e seguenti), che si limita all’esame di una discriminazione. Le norme miranti all’effettiva applicazione di un’imposta non possono essere separate dalla disciplina sostanziale dell’imposta e, come quest’ultima, rientrano nella sovranità fiscale degli Stati membri.

59.      Ne consegue che la questione decisiva volta a stabilire se, a causa dell’obbligo speciale di registrazione, si realizzi una disparità di trattamento tra la fattispecie puramente nazionale e quella transfrontaliera, ossia se le imprese stabilite in Ungheria e quelle non stabilite siano trattate in modo diverso.

60.      Come è stato ancora confermato in risposta alle domande formulate all’udienza, anche le imprese residenti sono soggette all’obbligo speciale di registrazione purché non siano ancora state registrate a fini fiscali in Ungheria. Pertanto, la differenziazione nel diritto ungherese non dipende dal fatto che il soggetto passivo sia residente o meno. Essa si basa unicamente sul criterio dell’effettuazione o meno di una registrazione a fini fiscali. Pertanto, non vi è alcuna disparità di trattamento della fattispecie nazionale rispetto a quella straniera, ma esclusivamente tra il soggetto passivo già registrato e quello non ancora registrato.

61.      Si può quindi lasciare irrisolta la questione se già in tale disparità possa eventualmente ravvisarsi una discriminazione indiretta nei confronti delle imprese non stabilite (per maggiori dettagli, v. infra paragrafi 70 e seguenti). La Corte ha già avuto modo di pronunciarsi nel senso che l’obbligo di registrazione fiscale, quale condizione per l’esercizio della sovranità fiscale, può di per sé giustificare una restrizione alla libera prestazione di servizi (24). Una registrazione da effettuarsi entro 15 giorni a decorrere dall’inizio dell’attività – in linea con il parere della Commissione – non ha neppure un carattere sproporzionato in quanto tale, segnatamente perché gli obblighi di comunicazione e di registrazione prima dell’inizio di un’attività sono alquanto comuni e non sono neppure inadeguati.

62.      Di conseguenza, un obbligo speciale di registrazione nell’ambito di un’imposta speciale per i soggetti passivi non ancora registrati è di per sé in ogni caso giustificato sotto il profilo del diritto dell’Unione.

C.      Prima, seconda, quarta e sesta questione: natura e importo delle sanzioni specifiche

63.      Risulta pertanto essenziale stabilire se le sanzioni specifiche associate a tale obbligo speciale di registrazione in conformità all’articolo 7/B della legge relativa all’imposta sulla pubblicità siano in contrasto con la libera prestazione di servizi ai sensi dell’articolo 56 TFUE.

1.      Restrizione alla libera prestazione di servizi

a)      Discriminazione diretta

64.      Anche a tal riguardo, non si ravvisa, sotto il profilo formale, una disparità di trattamento tra la fattispecie puramente nazionale e quella transfrontaliera. Tutti i soggetti passivi non ancora registrati a fini fiscali, i quali rientrano nel campo di applicazione dell’imposta sulla pubblicità, sono tenuti a registrarsi allo stesso modo e sono del pari sanzionati se violano un siffatto obbligo. Tutti i soggetti passivi già registrati a fini fiscali in Ungheria sono esenti da tale obbligo di registrazione e non devono temere di incorrere nelle relative sanzioni. Tale principio si applica sia ai cittadini sia agli stranieri.

65.      Il fatto che per molte società ungheresi non vi sia di per sé alcuna sanzione conseguente alla mancata registrazione, in quanto esse sono automaticamente registrate ai fini fiscali per effetto dell’iscrizione nel registro delle imprese, non cambia tale conclusione. Ciò vale, infatti, per entrambi i meccanismi sanzionatori (quelli di cui all’articolo 7/B della legge relativa all’imposta sulla pubblicità e all’articolo 127 della legge sulla procedura tributaria). A tal riguardo, non sono comparabili le società costituite in Ungheria e al di fuori dell’Ungheria. Possono essere comparati i soli soggetti passivi non ancora registrati, i quali svolgono attività a titolo oneroso ai sensi della legge relativa all’imposta sulla pubblicità.

66.      Sotto tale aspetto, la legge relativa all’imposta sulla pubblicità tratta ugualmente, sotto il profilo formale, tutti i soggetti passivi. Anche tutti i soggetti passivi già registrati sono trattati allo stesso modo. L’unico problema è costituito dal fatto che la violazione dell’obbligo di registrazione relativo ad altre imposte comporta una sanzione diversa rispetto alla violazione dell’obbligo speciale di registrazione ai sensi della legge relativa all’imposta sulla pubblicità.

67.      Tuttavia, il diritto dell’Unione non esige che ogni violazione dell’obbligo di registrazione relativo ad ogni imposta debba essere trattata allo stesso modo. Pertanto, sul piano del diritto dell’Unione, possono essere imposte sanzioni diverse per l’omessa registrazione da parte di un soggetto passivo IVA ovvero da parte di una persona soggetta all’imposta sui redditi. Il diritto dell’Unione vieta, attraverso le libertà fondamentali, solo di riservare un trattamento meno favorevole (discriminazione) alla fattispecie transfrontaliera.

68.      Tuttavia, non si ravvisa una siffatta disparità ove siano trattati allo stesso modo un residente e un non residente, entrambi i quali percepiscano proventi dalla pubblicità e non siano registrati.

69.      Dato che dalla domanda di pronuncia pregiudiziale non emerge chiaramente se un residente, il quale violi nel contempo il suo obbligo di registrazione ai fini dell’imposta sul reddito, debba essere sanzionato più severamente ai sensi dell’articolo 7/B della legge relativa all’imposta sul reddito oppure in base alle sanzioni meno rigide di cui all’articolo 172 della legge sulla procedura tributaria generale, spetta al giudice del rinvio valutare tale aspetto.

b)      Discriminazione indiretta

70.      Le libertà fondamentali vietano, tuttavia, anche qualsiasi forma dissimulata o indiretta di discriminazione che, in applicazione di altri criteri di distinzione, conduca allo stesso risultato (25). Determinante ai fini del carattere discriminatorio è pertanto la questione se la disparità di trattamento delle violazioni dei diversi obblighi di registrazione equivalga ad una disparità di trattamento basata sull’origine o sulla sede dell’impresa.

71.      Come ho già esposto nelle mie conclusioni nelle cause Vodafone e Tesco (26), ai fini del riconoscimento di una discriminazione dissimulata devono essere fissati criteri restrittivi. La discriminazione dissimulata, infatti, non deve determinare un ampliamento della fattispecie di discriminazione ma soltanto ricomprendere anche quei casi che, da un punto di vista meramente formale, non integrino nessuna discriminazione, pur producendone gli effetti (27).

72.      In nessun caso può pertanto essere sufficiente una mera prevalenza sotto il profilo quantitativo, nel senso che risulta colpito oltre il 50% delle imprese; al contrario, la correlazione tra il criterio di distinzione applicato e la sede di un’impresa dovrebbe poter essere riscontrata nella maggior parte dei casi (28).

73.      Più importante dell’elemento meramente quantitativo mi sembra essere però il criterio qualitativo, impiegato nel frattempo anche più spesso dalla Corte, secondo il quale il criterio di distinzione deve riguardare per la sua stessa natura ovvero di consueto società straniere (29). Un nesso meramente casuale, per quanto forte possa essere sotto il profilo quantitativo, non può pertanto essere sufficiente, in linea di principio, a fondare una discriminazione indiretta.

74.      Rileva, piuttosto, un nesso immanente al criterio di distinzione, il quale consenta di presumere in maniera univoca già astrattamente la probabilità di una correlazione nella stragrande maggioranza dei casi.

75.      Ove tali principi vengano applicati al presente caso, la questione determinante è se la mancata registrazione di un’impresa a fini fiscali in Ungheria – solo tale ipotesi comporta l’applicazione delle pertinenti sanzioni ai sensi della legge relativa all’imposta sulla pubblicità – sia correlata per sua natura alla sede legale (estera) di un’impresa. Un siffatto nesso può essere riconosciuto nel caso di specie, in linea con quanto ritiene la Commissione.

76.      L’articolo 7/B, paragrafo 1, si basa sul fatto che non occorre essere registrati in qualità di soggetto passivo ai fini di un qualsiasi altro tipo di imposta. In Ungheria, si considerano come soggetti passivi ai fini di qualsiasi altro tipo di imposta tutte le società private costituite secondo il diritto ungherese, le quale sono fiscalmente registrate a seguito della loro costituzione, come pure tutti i soggetti passivi che effettuano operazioni o svolgono attività in Ungheria. Per entrambi i casi, la residenza in Ungheria costituisce un fattore determinante, cosicché il regime è per sua natura rivolto principalmente ai soggetti passivi residenti.

77.      Pertanto, in linea di principio, solo i soggetti passivi non residenti corrono il rischio di essere sanzionati ai sensi dell’articolo 7/B, paragrafi 2 e 3, della legge relativa all’imposta sulla pubblicità. Vi rientrerebbero solo i casi nazionali atipici, ad esempio una persona fisica residente in Ungheria che inizia a fornire servizi pubblicitari in ungherese in Internet senza aver percepito redditi anteriormente oppure una persona giuridica di diritto pubblico stabilita in Ungheria che svolge per la prima volta la sua attività economica fornendo servizi pubblicitari. A tal riguardo, in linea con quanto affermato da Google e dalla Commissione, non si può ritenere casuale il fatto che siano soprattutto le imprese straniere ad essere assoggettate alla suddetta sanzione pecuniaria specifica in forza dell’articolo 7/B, paragrafi 2 e 3, della legge relativa all’imposta sulla pubblicità.

78.      In ragione della struttura e della disciplina dell’articolo 7/B, paragrafo 1, della legge relativa all’imposta sulla pubblicità, è possibile riconoscere, nel caso di specie, una discriminazione indiretta attraverso l’imposizione di sanzioni specifiche relative alle violazioni dell’obbligo di registrazione connesso all’imposta sulla pubblicità e pertanto una restrizione della libera prestazione di servizi.

2.      Giustificazione della discriminazione indiretta

79.      Una restrizione delle libertà fondamentali può tuttavia essere giustificata da motivi imperativi di interesse generale, a condizione che sia atta a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vada oltre quanto necessario al raggiungimento dello stesso (30).

a)      Motivi imperativi di interesse generale

80.      La Corte ha ripetutamente dichiarato che la necessità di garantire l’efficacia della riscossione dell’imposta costituisce una ragione imperativa di interesse generale tale da giustificare una restrizione alla libera prestazione dei servizi (31).

81.      In materia fiscale, in assenza di un’armonizzazione del diritto dell’Unione, il legislatore nazionale dispone dunque di una certa discrezionalità nell’effettiva applicazione delle imposte. Tale giustificazione consente quindi di distinguere tra i vari tipi di imposte quando, ad avviso dello Stato membro, l’applicazione della rispettiva imposta presenta diversi livelli di difficoltà.

82.      Nel caso di un’imposta indipendente dalla residenza del soggetto passivo nazionale sul territorio nazionale, l’attuazione di un obbligo fiscale – come si evince chiaramente dall’esempio di Google – è più difficile che nel caso dell’applicazione di un’imposta sul reddito di un soggetto passivo residente nel territorio nazionale. Pertanto è comprensibile la diversità delle sanzioni a seconda del tipo di imposta, la quale risulta pertanto oggettivamente giustificata.

83.      La questione che si pone è semplicemente se la struttura specificamente assunta dall’imposizione sia giustificata. A tal riguardo, la Corte ha sempre rammentato che l’imposizione di sanzioni può considerarsi necessaria al fine di garantire il rispetto effettivo di una normativa nazionale, a condizione tuttavia che la natura e l’importo della sanzione imposta siano in ogni caso di specie proporzionati alla gravità dell’infrazione che essa intende sanzionare (32).

b)      Proporzionalità della restrizione

84.      La sanzione in quanto tale deve pertanto essere proporzionata. Ciò avviene solo qualora essa sia idonea a garantire il conseguimento dello scopo da essa perseguito e non ecceda quanto necessario per raggiungerlo (33).

85.      Secondo la giurisprudenza della Corte, la normativa nazionale dovrebbe essere idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo fatto valere solo qualora risponda effettivamente all’intento di realizzarlo in modo coerente e sistematico (34).

86.      Da un lato, si potrebbe dubitare che le sanzioni di 10 milioni di HUF (pari a circa EUR 30 600,00) per la prima infrazione e quindi triplicate per ogni giorno ulteriore sulla base della precedente sanzione pecuniaria, ma limitate a un totale di 1 miliardo di HUF (pari a circa 3,06 milioni di EUR), siano effettivamente adeguate ai fini dell’applicazione dell’imposta. Una siffatta sanzione pecuniaria non ha indotto Google a registrarsi in Ungheria. Come la stessa Google ha ammesso all’udienza, essa non ha ancora adempiuto all’obbligo di registrazione di cui all’articolo 7/B della legge relativa all’imposta sulla pubblicità.

87.      D’altro canto, dalla persistente inosservanza della legge da parte di una singola impresa non può essere desunta l’inadeguatezza della medesima. Nel caso di specie, la possibilità di imporre una sanzione alle imprese con sede all’estero, le quali non siano ancora registrate a fini fiscali nel territorio nazionale e non rispettino l’obbligo di dichiarazione dei redditi, non sembra tuttavia manifestamente inadeguata ai fini del conseguimento dell’obiettivo di un’effettiva riscossione dell’imposta sulla pubblicità.

88.      Rispetto alle sanzioni summenzionate (paragrafo 86), non esiste uno strumento più mite e altrettanto idoneo. La determinazione di importi minori costituirebbe invero uno strumento più mite, ma non sarebbe altrettanto idoneo in quanto allenterebbe la pressione finanziaria.

89.      Inoltre, le sanzioni devono anche essere proporzionate all’obiettivo legittimo di garantire una tassazione effettiva e omogenea. Tale garanzia rappresenta un bene meritevole di un livello elevato di tutela in uno Stato di diritto che si finanzia esclusivamente attraverso il gettito fiscale e pertanto incide sempre nei diritti fondamentali dei suoi cittadini. Ai fini dell’accettabilità e della giustificazione di un’imposta, il principio della tassazione omogenea (35) di tutti i soggetti passivi è quindi di fondamentale importanza.

90.      Come ha già spiegato quasi 100 anni fa Albert Hensel – un noto professore tedesco di diritto tributario della Repubblica di Weimar – la tassazione personale pressoché incondizionata è tollerabile solo laddove ci sia la certezza che anche il vicino (vale a dire ogni altro soggetto passivo) nella stessa situazione debba sostenere il medesimo onere fiscale (36).

91.      Nella ponderazione da effettuarsi nel contesto della verifica dell’adeguatezza, ad un siffatto modello di tassazione omogenea ed effettiva per tutti i soggetti passivi si contrappongono le libertà e i diritti fondamentali dei singoli, nel caso di specie di Google.

92.      Prima facie una sanzione pecuniaria per l’inosservanza di un obbligo di registrazione a fini fiscali, pari complessivamente a circa 3 milioni di EUR, non sembra essere di per sé adeguata. Tuttavia, nonostante l’importo alquanto cospicuo, occorre anche considerare che tanto l’applicazione della sanzione quanto la sua entità dipendevano da Google e che, alla luce del fatturato e dei profitti di Google, tale misura deve essere relativizzata. Qualora Google avesse adempiuto al suo obbligo di registrazione, non sarebbe stata imposta alcuna sanzione pecuniaria per omissione. Ove Google si fosse registrato il più presto possibile dopo la prima ingiunzione, non ci sarebbe stata una sanzione pecuniaria per omissione di tale entità. Ai sensi dell’articolo 7/B, paragrafo 5, della legge relativa all’imposta sulla pubblicità, in determinate circostanze si sarebbe potuto addirittura ridurla a zero.

93.      Tuttavia, ad un esame più dettagliato della legge, diversi aspetti deporrebbero in senso favorevole al carattere sproporzionato delle sanzioni previste dall’Ungheria in detta legge.

94.      Da un lato, non vi è alcun collegamento con l’ammontare dell’imposta, la cui applicazione deve essere garantita dalle sanzioni. A un soggetto passivo non residente con un fatturato che supera di soltanto 1 HUF la soglia di 100 milioni di HUF relativa all’anno in questione ottenuto attraverso la «pubblicità ungherese» verrebbe inflitta il primo giorno una sanzione pecuniaria per omissione di 10 milioni di HUF. Il secondo giorno tale sanzione sarebbe già pari a circa 30 milioni di HUF e il terzo giorno a circa 90 milioni di HUF. Dopo soli tre giorni, la sanzione pecuniaria supererebbe il fatturato che costituisce la base imponibile. Nel caso di un margine di profitto inferiore al 10%, già il primo giorno la sanzione pecuniaria risulterebbe superiore all’utile, propriamente sottoposto a tassazione. La proporzione rispetto all’imposta effettivamente dovuta è ancora peggiore in tale esemplificazione.

95.      La legge non tiene affatto conto dei motivi della mancata registrazione. L’importo deve essere sempre fissato nella stessa misura. Tuttavia, in vista della garanzia dell’effettiva riscossione delle imposte, vi è una notevole differenza tra il caso in cui la domanda di registrazione sia stata presentata in ritardo a causa di circostanze impreviste e quello in cui il soggetto passivo, come nel caso di Google, si ostini a non voler effettuare la registrazione.

96.      Inoltre, l’incremento esponenziale della sanzione pecuniaria per omissione per ogni giorno ulteriore e la contestuale limitazione a circa EUR 3,06 milioni, risultano sproporzionati rispetto alla garanzia di una tassazione omogenea, come sottolineano sia la Commissione sia la Repubblica ceca. Tale meccanismo normativo esclude persino la possibilità di realizzare l’obiettivo della penalità.

97.      Infatti, l’obiettivo della penalità consiste nell’indurre il soggetto passivo a compiere un determinato atto. Tuttavia, tale obiettivo esige che il soggetto passivo abbia almeno la possibilità di sottomettersi alla misura coercitiva, il che richiede un certo tempo di azione. Tali elementi non ricorrono nel caso di specie. Ancor prima che il soggetto passivo potesse essere informato a mezzo posta dell’imposizione della prima sanzione pecuniaria per omissione, l’autorità ungherese aveva fissato nel triplo l’importo della successiva sanzione. Anche se il soggetto passivo agisse senza indugio, difficilmente potrebbe sottrarsi alle ulteriori sanzioni pecuniarie per omissione, aumentate in modo esponenziale.

98.      Una siffatta maniera di imporre misure coercitive è inadeguata. Essa è sproporzionata rispetto all’obiettivo di una tassazione omogenea con esse perseguito.

99.      Il carattere sproporzionato della sanzione pecuniaria non è eliminato dall’eventualità che – come sostiene l’Ungheria contrariamente al giudice del rinvio – in un secondo momento l’autorità possa ridurre, persino integralmente, la sanzione pecuniaria imposta. Infatti, una sanzione pecuniaria eccessiva non diviene proporzionata in quanto è possibile successivamente ridurla ad un importo proporzionato, laddove tale riduzione abbia luogo solo a discrezione dell’amministrazione. A tal riguardo, la Corte ha già avuto modo di dichiarare che un successivo controllo giudiziale di una sanzione non ne impedisce il carattere sproporzionato, nel caso in cui la legge non preveda altra possibilità che infliggere una sanzione meno restrittiva, in funzione della gravità dell’infrazione commessa (37). Tuttavia, lo stesso deve valere anche per un successivo riesame in via amministrativa di una sanzione già imposta.

100. In conclusione, la maniera nella quale vengono imposte le misure coercitive ha carattere sproporzionato e la restrizione indiretta alla libera prestazione di servizi non è quindi giustificata.

D.      Quinta e settima questione: tutela giurisdizionale specifica contro le sanzioni

101. Con la quinta e la settima questione, il giudice del rinvio chiede se sussista una restrizione ingiustificata alla libera prestazione di servizi, alla luce degli articoli 41, paragrafo 1, e 47, paragrafo 2, della Carta, nel caso in cui sia disponibile solo una limitata tutela avverso la specifica sanzione pecuniaria per omissione ai sensi dell’articolo 7/B della legge relativa all’imposta sulla pubblicità. Tali restrizioni consistono nella mancata previsione di una procedura di opposizione in via amministrativa avverso la specifica sanzione pecuniaria per omissione, e nella disponibilità di una mera tutela giurisdizionale, la quale si concretizza in un procedimento scritto e in prove documentali.

102. Il parametro di valutazione di una violazione della libera prestazione di servizi conseguente ad un procedimento di ricorso appositamente concepito avverso una sanzione maggiorata per omissione consiste, nuovamente, nella disparità di trattamento della fattispecie straniera, che nel caso di specie non ricorre sotto il profilo formale. Chiunque agisca in giudizio avverso la specifica sanzione pecuniaria per omissione ai sensi dell’articolo 7/B della legge relativa all’imposta sulla pubblicità è sottoposto al medesimo procedimento. Del resto, in linea di principio, il diritto dell’Unione non prescrive che la tutela contro qualsiasi tipo di maggiorazione di una sanzione per omissione debba essere strutturata in maniera identica.

103. Tuttavia, il meccanismo normativo dell’articolo 7/B della legge relativa all’imposta sulla pubblicità – come ho illustrato supra ai paragrafi 75 e seguenti – comporta una discriminazione indiretta nei confronti delle imprese non residenti. Può dirsi lo stesso anche per la limitata tutela disponibile avverso l’imposizione di una siffatta sanzione pecuniaria per omissione. Anche nel caso di specie, occorre esaminare se tale restrizione alla libera prestazione di servizi sia giustificata, il che presuppone l’esistenza di un motivo imperativo di interesse generale (38).

104. Dal procedimento pregiudiziale non emerge quali siano i motivi legislativi alla base delle menzionate restrizioni del procedimento pregiudiziale. Anche tenendo conto del margine di manovra degli Stati membri nell’adottare norme generali (39), non è chiaro il motivo per il quale uno Stato membro dell’Unione, e dunque uno Stato di diritto, sanzione pecuniaria per omissione soggetta ad un aumento particolarmente rapido e considerevole la quale colpisce anzitutto le imprese non residenti, riduca la tutela avverso l’eventuale illegittima imposizione della medesima,.

105. Laddove si trattasse di maggiorazioni per omissione relative a controversie di modesta entità, risulterebbe comprensibile accelerare il riesame e pertanto eliminare il preliminare procedimento amministrativo, l’udienza e l’esperimento di ulteriori mezzi di prova. In tal caso, l’idea della semplificazione amministrativa menzionata dall’Ungheria all’udienza potrebbe costituire una valida giustificazione. Tuttavia, non può dirsi lo stesso di una maggiorazione per omissione che può raggiungere l’importo massimo di circa EUR 3,06 milioni entro pochi giorni (secondo Google nel giro di 5 giorni) di ritardo poiché essa può essere inflitta in modo esponenziale, indipendentemente dall’ammontare dell’obbligo fiscale.

106. Non vi è quindi alcun motivo imperativo di interesse generale che imponga tale distinzione, la quale per sua stessa natura riguarda solo le imprese non residenti. Di conseguenza, una siffatta restrizione non è giustificata.

107. Non è quindi necessario – come giustamente sottolineato dalla Commissione – che la Corte si pronunci in questa sede sull’ulteriore quesito se siano altresì coinvolti nello specifico i diritti fondamentali menzionati dal giudice del rinvio.

VI.    Conclusione

108. Per tali motivi, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest-Capitale, Ungheria) nei seguenti termini:

1.      Il diritto dell’Unione non osta all’istituzione, nel caso di specie, di un’imposta sui redditi legata alla lingua ufficiale dello Stato membro interessato.

2.      Un obbligo speciale di registrazione ai fini dell’applicazione e della riscossione di una specifica imposta (nel presente caso, l’imposta sulla pubblicità) non è di per sé in contrasto con la libera prestazione di servizi.

3.      Le modalità concrete con cui sono imposte misure coercitive nei confronti di imprese aventi sede al di fuori dell’Ungheria in conformità alla legge ungherese relativa all’imposta sulla pubblicità costituiscono una restrizione indiretta alla libera prestazione di servizi, la quale non è giustificata in ragione del suo carattere sproporzionato.

4.      Anche le limitazioni delle possibilità di tutela per quanto riguarda le penalità particolarmente elevate relative all’imposta ungherese sulla pubblicità costituiscono una restrizione ingiustificata alla libera prestazione di servizi.


1      Lingua originale: il tedesco.


2      V. la causa pendente C-565/18 – Société Générale S.A.


3      Proposta di direttiva del Consiglio relativa al sistema comune d’imposta sui servizi digitali applicabile ai ricavi derivanti dalla fornitura di taluni servizi digitali del 21 marzo 2018 COM(2018) 148 final.


4      Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1).


5      V. e multis: sentenze del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C-196/04, EU:C:2006:544, punto 40), dell’11 agosto 1995, Wielockx (C-80/94, EU:C:1995:271, punto 16), e del 14 febbraio 1995, Schumacker (C-279/93, EU:C:1995:31, punto 21).


6      V. le dichiarazioni contenute nella domanda di pronuncia pregiudiziale a pagina 7 (versione francese).


7      V. ampiamente le mie conclusioni nella causa Tesco-Global Áruházak (C-323/18, EU:C:2019:567) e nella causa Vodafone Magyarország (C-75/18, EU:C:2019:492).


8      Sentenze del 20 dicembre 2017, Global Starnet (C-322/16, EU:C:2017:985, punto 35), del 22 gennaio 2015, Stanley International Betting e Stanleybet Malta (C-463/13, EU:C:2015:25, punto 45) e del 10 maggio 2012, Duomo Gpa e a. (cause riunite da C-357/10 a C-359/10, EU:C:2012:283, punti 35 e 36).


      V. analogamente sulla libertà di stabilimento anche sentenze del 21 maggio 2015, Verder LabTec (C-657/13, EU:C:2015:331, punto 34), del 16 aprile 2015, Commissione/Germania (C-591/13, EU:C:2015:230, punto 56 e la giurisprudenza ivi citata), e del 29 novembre 2011, National Grid Indus (C-371/10, EU:C:2011:785, punto 36).


9      Al riguardo, v. le mie conclusioni nelle cause X (C-498/10, EU:C:2011:870, paragrafo 28), Hervis Sport- és Divatkereskedelmi (C-385/12, EU:C:2013:531, paragrafi 82 e segg.), X (C-686/13, EU:C:2015:31, paragrafo 40), C (C-122/15, EU:C:2016:65, paragrafo 66), e ANGED (C-233/16, EU:C:2017:852, paragrafo 28).


10      Ancora di recente: sentenza del 18 giugno 2019, Austria/Germania (C-591/17, EU:C:2019:504, punto 54), v. anche sentenze del 19 settembre 2017, Commissione/Irlanda (tassa di immatricolazione) (C-552/15, EU:C:2017:698, punto 71), e del 21 novembre 2013, X (C-302/12, EU:C:2013:756, punto 23).


11      In tal senso Kokott, J., Das Steuerrecht der Europäischen Union, München 2018, paragrafo 3, punti 117 e segg., Szudoczky, R., The Sources of EU Law and Their Relationships: Lessons for the field of Taxation, IBFD, Doctoral Series (Vol. 32), Amsterdam, 2014, pagg. 334 e segg., 343, 358 e segg.


      Con riguardo alla libertà di stabilimento, analogamente, Müller-Graff, P.-C., in: Streinz, EUV/AEUV, München, III edizione 2018, articolo 49, punto 70.


12      V., in tal senso, sentenze del 26 maggio 2016, NN (L) International (C-48/15, EU:C:2016:356, punto 47), del 14 aprile 2016, Sparkasse Allgäu (C-522/14, EU:C:2016:253, punto 29), ordinanza del 4 giugno 2009, KBC-bank (C-439/07 e C-499/07, EU:C:2009:339, punto 80), sentenza del 6 dicembre 2007, Columbus Container Services (C-298/05, EU:C:2007:754, punti 51 e 53).


      Specificamente sulla libera circolazione dei servizi v. solamente: sentenze del 18 ottobre 2012, X (C-498/10, EU:C:2012:635, punto 20) e dell’11 giugno 2009, X e Passenheim-van Schoot (C-155/08 e C-157/08, EU:C:2009:368, punto 32 e la giurisprudenza ivi citata).


13      Sentenza del 24 novembre 1993, Keck e Mithouard (C-267/91 e C-268/91, EU:C:1993:905, punto 16).


14      Sentenza del 26 maggio 2016, NN (L) International (C-48/15, EU:C:2016:356, punti 45 e segg.).


15      Permanent Court of International Justice, sentenza n. 9 del 7 settembre 1927, Lotus, pag. 19.


16      Court of International Justice, Nottebohm Case, sentenza del 6 aprile 1955, pagg. 23 e 24.


17      Kokott, J., The «Genuine Link» Requirement for Source Taxation in Public International Law, in Haslehner/Kofler/Rust, Tax and the Digital Economy, 2019, capitolo 2 (pagg. 9 e segg.).


18      Modello di Convenzione dell’OCSE 2017 contro la doppia imposizione nonché l’evasione e l’elusione fiscale nel settore delle imposte sul reddito e sul patrimonio, nella versione dell’aggiornamento OCSE 2017 del 21 novembre 2017 (in prosieguo: la «Convenzione OCSE 2017»).


19      V. al riguardo, più in dettaglio, Kokott, J., Das Steuerrecht der Europäischen Union, München 2018, paragrafo 2, punti 142 e segg.


20      Sentenza del 7 dicembre 2010, Pammer e Hotel Alpenhof (C-585/08 e C-144/09, EU:C:2010:740, punto 2 del dispositivo).


21      Sul potere di tipizzazione del legislatore v. sentenze del 24 febbraio 2015, Sopora (C-512/13, EU:C:2015:108, punti 33 e 34) e del 26 settembre 2013, Dansk Jurist- og Økonomforbund (C-546/11, EU:C:2013:603, punto 70), v. anche le mie conclusioni nella causa Sopora (C-512/13, EU:C:2014:2375, paragrafi 51 e segg.).


22            Sentenze del 26 maggio 2016, NN (L) International (C 48/15, EU:C:2016:356, punto 47), del 21 novembre 2013, X (C 302/12, EU:C:2013:756, punto 28), e dell’8 dicembre 2011, Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (C 157/10, EU:C:2011:813, punto 38 e la giurisprudenza ivi citata).


23      Sentenze del 26 maggio 2016, NN (L) International (C 48/15, EU:C:2016:356, punto 47), e del 12 febbraio 2009, Block (C 67/08, EU:C:2009:92, punto 31).


24      Sentenze del 26 maggio 2016, NN (L) International (C-48/15, EU:C:2016:356, punto 59), del 18 ottobre 2012, X (C-498/10, EU:C:2012:635, punto 39), e del 19 giugno 2014, Strojírny Prostějov e ACO Industries Tábor (cause riunite C-53/13 e C-80/13, EU:C:2014:2011, punto 46).


25      Sentenze del 26 aprile 2018, ANGED (C-233/16, EU:C:2018:280, punto 30), del 5 febbraio 2014, Hervis Sport- és Divatkereskedelmi (C-385/12, EU:C:2014:47, punto 30), dell’8 luglio 1999, Baxter e a. (C-254/97, EU:C:1999:368, punto 13), e del 14 febbraio 1995, Schumacker (C-279/93, EU:C:1995:31, punto 26).


26      V. le mie conclusioni nella causa Tesco-Global Áruházak (C-323/18, EU:C:2019:567) e nella causa Vodafone Magyarország (C-75/18, EU:C:2019:492).


27      V. le mie conclusioni nella causa Hervis Sport- és Divatkereskedelmi (C-385/12, EU:C:2013:531, paragrafo 40), nella causa ANGED (C-233/16, EU:C:2017:852, paragrafo 38) e nella causa Memira Holding (C-607/17, EU:C:2019:8, paragrafo 36).


28      V. le mie conclusioni nella causa Hervis Sport- és Divatkereskedelmi (C-385/12, EU:C:2013:531, paragrafo 41).


29      V. sentenze del 2 marzo 2017, Eschenbrenner (C-496/15, EU:C:2017:152, punto 36) sulla libera circolazione dei lavoratori, del 5 dicembre 2013, Zentralbetriebsrat der gemeinnützigen Salzburger Landeskliniken Betriebs (C-514/12, EU:C:2013:799, punto 26), del 28 giugno 2012, Erny (C-172/11, EU:C:2012:399, punto 41), del 1° giugno 2010, Blanco Pérez e Chao Gómez (cause riunite C-570/07 e C-571/07, EU:C:2010:300, punto 119) sulla libertà di stabilimento, del 10 settembre 2009, Commissione/Germania (C-269/07, EU:C:2009:527), e dell’8 luglio 1999, Baxter e a. (C-254/97, EU:C:1999:368, punto 13).


      V. inoltre le mie conclusioni nella causa ANGED (C-233/16, EU:C:2017:852, paragrafo 38) e nella causa Memira Holding (C-607/17, EU:C:2019:8, paragrafo 36); in senso diverso ancora le mie conclusioni nella causa Hervis Sport- és Divatkereskedelmi (C-385/12, EU:C:2013:531, paragrafi 42 e segg.).


30      Sentenze del 5 febbraio 2014, Hervis Sport- és Divatkereskedelmi (C-385/12, EU:C:2014:47, punto 42), del 24 marzo 2011, Commissione/Spagna (C-400/08, EU:C:2011:172, punto 73), e del 5 ottobre 2004, Caixa Bank France (C-442/02, EU:C:2004:586, punto 17).


31      Sentenze del 26 maggio 2016, NN (L) International (C-48/15, EU:C:2016:356, punto 59), del 19 giugno 2014, Strojírny Prostějov e ACO Industries Tábor (cause riunite C-53/13 e C-80/13, EU:C:2014:2011, punto 46), e del 18 ottobre 2012, X (C-498/10, EU:C:2012:635, punto 39).


32      Sentenze del 26 maggio 2016, NN (L) International (C-48/15, EU:C:2016:356, punto 59), del 3 dicembre 2014, De Clercq e a. (C-315/13, EU:C:2014:2408, punto 73 e la giurisprudenza ivi citata).


33      V. e multis sentenze del 17 luglio 2014, Nordea Bank (C-48/13, EU:C:2014:2087, punto 25), del 29 novembre 2011, National Grid Indus (C-371/10, EU:C:2011:785, punto 42), del 15 maggio 2008, Lidl Belgium (C-414/06, EU:C:2008:278, punto 27), del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C-196/04, EU:C:2006:544, punto 47), del 13 dicembre 2005, SEVIC Systems (C-411/03, EU:C:2005:762, punto 23), e del 13 dicembre 2005, Marks & Spencer (C-446/03, EU:C:2005:763, punto 35).


34      Sentenze dell’11 giugno 2015, Berlington Hungary e a. (C-98/14, EU:C:2015:386, punto 64), del 12 luglio 2012, HIT e HIT LARIX (C-176/11, EU:C:2012:454, punto 22 e la giurisprudenza ivi citata), e del 17 novembre 2009, Presidente del Consiglio dei Ministri (C-169/08, EU:C:2009:709, punto 42).


35      Tale principio è già stato riconosciuto dalla stessa Corte nel diritto dell’Unione (segnatamente nella normativa in materia di IVA) – v. solo sentenza del 25 gennaio 2001, Commissione/Francia (C-429/97, EU:C:2001:54, punto 40). Esso si applica però anche ad ogni altro settore della normativa tributaria nazionale o dell’Unione.


36      Hensel, A., Die Abänderung des Steuertatbestandes durch freies Ermessen e der Grundsatz der Gleichheit vor dem Gesetz, Vierteljahresschrift für Steuer- e Finanzrecht 1927, pagina 62: Ogni soggetto passivo avrebbe il diritto di affermare: Io pretendo che il mio vicino venga colpito dall’onere fiscale con la stessa gravità con la quale lo subisco io stesso. Albert Hansel designava già allora la «generalità e l’omogeneità della tassazione» come il «principio supremo di un sistema tributario di uno Stato di diritto».


37      V. sentenza del 26 maggio 2016, NN (L) International (C-48/15, EU:C:2016:356, punto 61).


38      Sentenze del 5 febbraio 2014, Hervis Sport- és Divatkereskedelmi (C-385/12, EU:C:2014:47, punto 42), del 24 marzo 2011, Commissione/Spagna (C-400/08, EU:C:2011:172, punto 73), e del 5 ottobre 2004, CaixaBank France (C-442/02, EU:C:2004:586, punto 17).


39      V. sentenze del 6 novembre 2003, Gambelli e a. (C-243/01, EU:C:2003:597, punto 63), del 21 settembre 1999, Läärä e a. (C-124/97, EU:C:1999:435, punti 14 e 15), e del 24 marzo 1994, Schindler (C-275/92, EU:C:1994:119, punto 61),– tutte sul settore dei giochi d’azzardo; nonché del 5 marzo 1996, Brasserie du pêcheur e Factortame (cause riunite C-46/93 e C-48/93, EU:C:1996:79, punti 48 e segg.) sulla normativa in materia di diritto alimentare.