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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GERARD HOGAN

presentate il 28 novembre 2019 (1)

Causa C-565/18

Société Générale S.A.

contro

Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale Lombardia Ufficio Contenzioso

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia (Italia)]

«Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione dei capitali – Imposta sulle transazioni finanziarie – Azioni o altri strumenti finanziari emessi da società residenti in Italia»






1.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale, pur riguardando principalmente l’interpretazione dell’articolo 63 TFUE, solleva la questione fondamentale se le quattro libertà fondamentali associate al mercato interno (beni, persone, servizi e capitali) limitino il diritto di uno Stato membro di applicare un’imposta su determinate operazioni facendo riferimento a criteri diversi da quelli standard, come la territorialità. Il problema sorge nei seguenti termini.

2.        La domanda è stata presentata nell’ambito di un procedimento tra la Société Générale S.A. e l’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale Lombardia (Italia), riguardo a una domanda di rimborso dell’importo di un’imposta sulle operazioni finanziarie versata dalla Société Générale al momento della conclusione di strumenti finanziari derivati.

3.        Più precisamente, la questione principale sollevata dalla presente causa riguarda la verifica da effettuare per stabilire se tali libertà fondamentali ostino o meno all’adozione di un’imposta dovuta su qualsiasi operazione relativa a strumenti finanziari derivati che abbiano come sottostanti uno o più strumenti finanziari disciplinati dal diritto italiano, indipendentemente dal luogo in cui l’operazione è stata conclusa e dallo Stato di residenza delle parti contraenti.

I.      Diritto nazionale

4.        L’articolo 1 della legge del 24 dicembre 2012, n. 228 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013) (GURI n. 302, del 29 dicembre 2012, Supplemento Ordinario n. 212, pag. 1; in prosieguo: la «legge n. 228/2012»), ai commi 491, 492, 494 e 495, prevede quanto segue:

«491.      Il trasferimento della proprietà di azioni e di altri strumenti finanziari partecipativi di cui al sesto comma dell’articolo 2346 del codice civile, emessi da società residenti nel territorio dello Stato, nonché di titoli rappresentativi dei predetti strumenti indipendentemente dalla residenza del soggetto emittente, è soggetto ad un’imposta sulle transazioni finanziarie con l’aliquota dello 0,2 per cento sul valore della transazione. È soggetto all’imposta di cui al precedente periodo anche il trasferimento di proprietà di azioni che avvenga per effetto della conversione di obbligazioni. (...) Per valore della transazione si intende il valore del saldo netto delle transazioni regolate giornalmente relative al medesimo strumento finanziario e concluse nella stessa giornata operativa da un medesimo soggetto, ovvero il corrispettivo versato. L’imposta è dovuta indipendentemente dal luogo di conclusione della transazione e dallo Stato di residenza delle parti contraenti. L’aliquota dell’imposta è ridotta alla metà per i trasferimenti che avvengono in mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione. Sono escluse dall’imposta le operazioni di emissione e di annullamento dei titoli azionari e dei predetti strumenti finanziari, nonché le operazioni di conversione in azioni di nuova emissione e le operazioni di acquisizione temporanea di titoli indicate nell’articolo 2, punto 10, del regolamento (CE) n. 1287/2006 della Commissione del 10 agosto 2006. Sono altresì esclusi dall’imposta i trasferimenti di proprietà di azioni negoziate in mercati regolamentari o sistemi multilaterali di negoziazione emesse da società la cui capitalizzazione media nel mese di novembre dell’anno precedente a quello in cui avviene il trasferimento di proprietà sia inferiore a 500 milioni di euro.

492.      Le operazioni su strumenti finanziari derivati di cui all’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, che abbiano come sottostante prevalentemente uno o più strumenti finanziari di cui al comma 491, o il cui valore dipenda prevalentemente da uno o più degli strumenti finanziari di cui al medesimo comma, e le operazioni sui valori mobiliari di cui all’articolo 1, comma 1-bis, lettere c) e d), del medesimo decreto legislativo, che permettano di acquisire o di vendere prevalentemente uno o più strumenti finanziari di cui al comma 491 o che comportino un regolamento in contanti determinato con riferimento prevalentemente a uno o più strumenti finanziari indicati al precedente comma, inclusi warrants, covered warrants e certificates, sono soggette, al momento della conclusione, ad imposta in misura fissa, determinata con riferimento alla tipologia di strumento e al valore del contratto, secondo la tabella 3 allegata alla presente legge. L’imposta è dovuta indipendentemente dal luogo di conclusione della transazione e dallo Stato di residenza delle parti contraenti. Nel caso in cui le operazioni di cui al primo periodo prevedano come modalità di regolamento anche il trasferimento delle azioni o degli altri strumenti finanziari partecipativi, il trasferimento della proprietà di tali strumenti finanziari che avviene al momento del regolamento è soggetto all’imposta con le modalità e nella misura previste dal comma 491. (…)

(…)

494.      L’imposta di cui al comma 491 è dovuta dal soggetto a favore del quale avviene il trasferimento; quella di cui al comma 492 è dovuta nella misura ivi stabilita da ciascuna delle controparti delle operazioni. L’imposta di cui ai commi 491 e 492 non si applica ai soggetti che si interpongono nelle medesime operazioni. Nel caso di trasferimento della proprietà di azioni e strumenti finanziari di cui al comma 491, nonché per le operazioni su strumenti finanziari di cui al comma 492, l’imposta è versata dalle banche, dalle società fiduciarie e dalle imprese di investimento abilitate all’esercizio professionale nei confronti del pubblico dei servizi e delle attività di investimento (...) nonché dagli altri soggetti che comunque intervengono nell’esecuzione delle predette operazioni, ivi compresi gli intermediari non residenti. Qualora nell’esecuzione dell’operazione intervengano più soggetti tra quelli indicati nel terzo periodo, l’imposta è versata da colui che riceve direttamente dall’acquirente o dalla controparte finale l’ordine di esecuzione. Negli altri casi l’imposta è versata dal contribuente. Gli intermediari e gli altri soggetti non residenti che intervengono nell’operazione possono nominare un rappresentante fiscale (...) che risponde, negli stessi termini e con le stesse responsabilità del soggetto non residente, per gli adempimenti dovuti in relazione alle operazioni di cui ai commi precedenti. (…)

495.      Le operazioni effettuate sul mercato finanziario italiano sono soggette ad un’imposta sulle negoziazioni ad alta frequenza relative agli strumenti finanziari di cui ai commi 491 e 492 (...)».

5.        La tabella 3 di cui all’articolo 1, comma 492, della legge n. 228/2012, figurante in allegato, intitolata «Tabella: imposta sulle transazioni finanziarie per strumenti finanziari (valori in euro per ciascuna controparte)», è così formulata:


Valore nazionale del contratto

(in migliaia di EUR)

Strumento finanziario

0-2,5

2,5-5

5-10

10-50

50-100

100-500

500-1000

Superiore a 1 000

Contratti futures, certificates, covered warrants e contratti di opzione su rendimenti, misure o indici relativi ad azioni


0,01875


0,0375


0,075


0,375


0,75


3,75


7,5


15

Contratti futures, warrants, certificates, covered warrants e contratti di opzione su azioni


0,125


0,25


0,5


2,5


5


25


50


100

Contratti di scambio (swaps) su azioni e relativi rendimenti, indici o misure

Contratti a termine collegati ad azioni e relativi rendimenti, indici o misure

Contratti finanziari differenziali collegati alle azioni e ai relativi rendimenti, indici o misure

Qualsiasi altro titolo che comporta un regolamento in contanti determinato con riferimento alle azioni e ai relativi rendimenti, indici o misure

Le combinazioni di contratti o di titoli Sopraindicati


0,25


0,5


1


5


10


50


100


200


6.        L’articolo 2, comma 1, del decreto 21 febbraio 2013 del Ministero dell’Economia e delle Finanze (GURI n. 50 del 28 febbraio 2013; in prosieguo: il «decreto del 21 febbraio 2013»), adottato in conformità ai commi da 491 a 499 dell’articolo 1 della legge n. 228/2012, così prevede:

«L’imposta di cui al comma 491 si applica al trasferimento della proprietà delle azioni e degli strumenti finanziari partecipativi emessi da società residenti nel territorio dello Stato. A tal fine la residenza è determinata sulla base della sede legale. L’imposta si applica, altresì, al trasferimento della proprietà dei titoli rappresentativi, a prescindere dal luogo di residenza dell’emittente del certificato e dal luogo di conclusione del contratto (…)».

II.    Procedimento principale e questioni pregiudiziali

7.        Il 28 marzo 2014 la filiale italiana della Société Générale, società con sede in Francia, ha presentato all’amministrazione tributaria italiana una dichiarazione relativa all’imposta sulle transazioni finanziarie istituita dalla legge n. 228/2012. Tale dichiarazione, per un valore di EUR 55 207, riguarda le operazioni in strumenti finanziari derivati di cui all’articolo 1, comma 492, di detta legge, effettuate durante l’esercizio fiscale 2013 dalla società capogruppo francese.

8.        Il 1° agosto 2014 la Société Générale ha chiesto all’amministrazione tributaria il rimborso delle somme così versate, sostenendo che tale disposizione nazionale, laddove prevede la tassazione di operazioni finanziarie relative ai contratti derivati qualora il titolo sottostante tale contratto sia stato emesso da un soggetto residente in Italia, indipendentemente dallo Stato di residenza degli operatori finanziari e dell’intermediario, è contraria non solo alla Costituzione italiana, ma anche al diritto dell’Unione, in particolare agli articoli 18, 56 e 63 TFUE.

9.        Il 28 gennaio 2015, in assenza di risposta da parte dell’amministrazione tributaria, la Société Générale ha proposto ricorso – per tali motivi – dinanzi alla Commissione Tributaria provinciale di Milano contro tale tacita decisione di rifiuto del rimborso. Con sentenza del 18 maggio 2016, tale giudice ha respinto il ricorso, considerando che l’imposta sulle transazioni finanziarie non fosse né incostituzionale né contraria al diritto dell’Unione.

10.      La Société Générale ha impugnato tale sentenza dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia (Italia), chiedendo il rimborso dell’imposta versata sulla base dello stesso argomento e, in subordine, il rinvio della causa alla Corte costituzionale (Italia) o alla Corte di giustizia in via pregiudiziale.

11.      Il giudice del rinvio osserva che l’articolo 1, commi da 491 a 500, della legge n. 228/2012 ha introdotto un’imposta sulle transazioni finanziarie per garantire una contribuzione alla spesa pubblica da parte di qualsiasi soggetto che compia operazioni relative a strumenti finanziari collegati al territorio dello Stato italiano. Contrariamente agli argomenti dedotti dalla ricorrente in relazione alla Costituzione italiana, il giudice del rinvio considera che esiste un collegamento territoriale effettivo e oggettivo tra l’imposta di cui all’articolo 1, comma 492, della legge n. 228/2012 e l’ordinamento giuridico italiano, in quanto qualsiasi operatore che operi con contratti derivati beneficerebbe del valore di tali attività sottostanti, che a sua volta dipende dall’ordinamento giuridico italiano.

12.      Tale giudice si chiede tuttavia se l’articolo 1, comma 492, della legge n. 228/2012 sia conforme ai principi di diritto dell’Unione. Infatti, come osservato dalla Société Générale, l’articolo 1, comma 492, della legge n. 228/2012 potrebbe essere contrario agli articoli 18, 56 e 63 TFUE per due ragioni. In primo luogo, l’imposta istituita da tale disposizione tratta i soggetti passivi residenti e non residenti allo stesso modo, il che potrebbe costituire una discriminazione. In secondo luogo, tale imposta renderebbe le attività di intermediazione finanziaria meno attraenti per le società non residenti, sia per l’applicazione stessa dell’imposta da essa prevista, sia per gli oneri amministrativi e dichiarativi derivanti dalla sua attuazione. La conseguenza di detta imposta sarebbe quindi di impedire l’accesso al mercato di tali prodotti dissuadendo sia l’offerta che la domanda.

13.      In tali circostanze, la Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se gli artt. 18, 56 e 63 del TFUE ostano ad una normativa nazionale che applichi sulle transazioni finanziarie, indipendentemente dallo Stato di residenza degli operatori finanziari e dell’intermediario, un tributo che gravi sulle controparti della transazione, che sia pari ad un importo fisso crescente per fasce di valore delle negoziazioni e variabile in relazione alla tipologia dello strumento negoziato e al valore del contratto, e che sia dovuto in funzione del fatto che le operazioni soggette ad imposta abbiano ad oggetto la negoziazione di un derivato basato su un titolo emesso da una società residente nello Stato istituente il tributo stesso».

III. Analisi

14.      Dato che la questione del giudice del rinvio fa riferimento a diverse disposizioni del Trattato, è necessario anzitutto determinare quali di queste disposizioni siano effettivamente pertinenti.

A.      Determinazione delle disposizioni pertinenti del Trattato

15.      In primo luogo, il giudice nazionale ha fatto riferimento, nel contempo, agli articoli 56 e 63 TFUE.

16.      Ai sensi dell’articolo 56 TFUE «le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione». A sua volta, l’articolo 63, paragrafo 1, TFUE stabilisce che «sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi».

17.      Nel procedimento principale la ricorrente contesta la validità dell’imposta prevista all’articolo 1, comma 492, della legge n. 228/2012 sugli strumenti finanziari derivati che hanno come attività sottostanti uno strumento finanziario disciplinato dal diritto italiano.

18.      A tal proposito, occorre osservare che gli strumenti finanziari derivati sono contratti in cui le parti concordano i flussi di cassa futuri in funzione del valore di un’attività sottostante.

19.      In pratica, i derivati possono essere quindi utilizzati per gestire i rischi economici o finanziari associati a variazioni sfavorevoli del prezzo dell’attività sottostante (funzione di copertura) o a fini di investimento, speculando su una variazione del prezzo di tale attività sottostante (funzione speculativa) o, in caso di disallineamento tra il valore di un’attività sottostante e il suo derivato, acquistando la posizione opposta (funzione di arbitraggio) (2).

20.      Alla luce dei diversi possibili usi dei derivati, la normativa nazionale che disciplina o assoggetta a imposizione gli strumenti finanziari derivati può potenzialmente rientrare sia nell’ambito di applicazione dell’articolo 56 che dell’articolo 63 TFUE.

21.      Infatti, nei limiti in cui i derivati possono essere utilizzati per coprire rischi, essi possono, da un lato, essere considerati come servizi. Dall’altro lato, la nomenclatura allegata alla direttiva 88/361/CEE del Consiglio, del 24 giugno 1988, per l’attuazione dell’articolo 67 del Trattato (GU 1988, L 178, pag. 5), che, secondo la giurisprudenza della Corte, può essere utilizzata come guida in materie del genere, ha definito la nozione di «movimenti di capitali» come comprendente «l’accesso dell’operatore a tutte le tecniche finanziarie disponibili sul mercato [quali] operazioni a termine, operazioni di opzione o con warrant, operazioni di scambio contro altre attività, ecc.» (3). Poiché le opzioni, i warrant e gli swap sono tutti contratti in cui le parti concordano flussi di cassa futuri che dipendono dal valore di un’attività sottostante e quindi dai loro derivati, sembra che, valutati con riferimento agli orientamenti forniti dalla direttiva 88/361, gli strumenti finanziari derivati debbano essere considerati come rientranti anche nella libera circolazione dei capitali (4).

22.      Si ricorda tuttavia che, quando un provvedimento nazionale si riferisce contemporaneamente alla libera prestazione dei servizi e alla libera circolazione dei capitali, tale provvedimento dovrebbe essere esaminato con riferimento ad una sola delle due libertà qualora risulti che, nelle circostanze del caso di specie, una di esse è del tutto secondaria rispetto all’altra e può esserle ricollegata (5).

23.      Nel procedimento principale le ragioni per cui la Société Générale ha emesso, venduto o acquistato (6) i derivati di cui trattasi - e in particolare se tali operazioni fossero o meno finalizzate alla copertura di un rischio - non risultano dagli atti forniti alla Corte dal giudice del rinvio.

24.      Tuttavia, gli strumenti finanziari derivati rappresentano sempre un investimento per coloro che li detengono e costituiscono un servizio di copertura solo in determinate circostanze specifiche. Ne consegue, pertanto, che in tale contesto i principi che disciplinano la libera circolazione dei servizi devono essere considerati secondari rispetto a quelli che disciplinano la libera circolazione dei capitali quando è in gioco una misura che disciplina o assoggetta a imposizione i derivati di strumenti finanziari (7).

25.      Tuttavia, affinché una qualsiasi delle libertà fondamentali associate al mercato interno sia applicabile, devono essere soddisfatte due condizioni: da un lato, la situazione di cui trattasi nel procedimento principale non deve essere puramente interna allo Stato membro di cui trattasi (8); dall’altro, il settore oggetto della misura nazionale di cui è stata contestata la compatibilità con il diritto dell’Unione non deve essere stato ancora pienamente armonizzato (9).

26.      Per quanto riguarda il requisito secondo cui gli elementi della situazione di cui trattasi nel procedimento principale non devono collocarsi tutti all’interno di un solo Stato membro, mi sembra chiaro che esso è pienamente soddisfatto. Infatti, la controversia oggetto del procedimento principale è caratterizzata da fattori transfrontalieri: la ricorrente è una società stabilita in un altro Stato membro e l’imposta controversa è dovuta non solo per le operazioni sui derivati in questione effettuate in Italia, ma anche nel resto del mondo.

27.      Per quanto concerne il settore oggetto dell’imposta di cui trattasi nel procedimento principale, al fine di determinare se tale settore sia pienamente armonizzato a livello dell’Unione occorre esaminare la natura della misura di cui trattasi nel procedimento principale.

28.      A tal riguardo, poiché l’imposta prevista dall’articolo 1, comma 492, della legge n. 228/2012 è riscossa indipendentemente dalla capacità contributiva dei soggetti passivi ed è dovuta in conseguenza dell’esecuzione di una determinata operazione, tale imposta deve essere considerata un’imposta indiretta ai sensi del diritto dell’Unione. Di conseguenza, vengono in mente due direttive di armonizzazione.

29.      La prima è la direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1) (10). Tuttavia, secondo una giurisprudenza costante, l’armonizzazione determinata da tale direttiva non osta a che uno Stato membro mantenga o introduca imposte indirette se queste non presentano una delle caratteristiche essenziali dell’IVA (11).

30.      Tra le caratteristiche essenziali dell’IVA, il suo elemento strutturale principale, da cui essa prende la denominazione, e che pertanto, a mio avviso, è fondamentale affinché un’imposta ricada nell’ambito dell’armonizzazione ai sensi della direttiva 2006/112, è che l’imposta viene riscossa attraverso un processo graduale. Ogni impresa nella catena di approvvigionamento partecipa al processo di controllo e di riscossione dell’imposta, versando la quota proporzionale dell’imposta corrispondente al suo margine di profitto (12). Poiché l’imposta prevista all’articolo 1, comma 492, della legge n. 228/2012 non viene riscossa attraverso un processo graduale, ne consegue che tale imposta non rientra nella direttiva 2006/112.

31.      La seconda misura legislativa dell’Unione è la direttiva 2008/7/CE del Consiglio, del 12 febbraio 2008, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali (GU 2008, L 46, pag. 11), il cui articolo 5 vieta agli Stati membri di assoggettare a qualsiasi forma di imposta indiretta «la creazione, l’emissione, l’ammissione in borsa, la messa in circolazione o la negoziazione di azioni, di quote sociali o titoli della stessa natura, nonché di certificati di tali titoli, quale che sia il loro emittente». Poiché, tuttavia, l’articolo 1, comma 492, della legge n. 228/2012 non si applica a nessuna di tali operazioni (13), l’imposta prevista da tale articolo non rientra in tale divieto.

32.      Risulterebbe, pertanto, che il settore oggetto dell’imposta di cui trattasi nel procedimento principale non è stato armonizzato. Di conseguenza, tale imposta può essere analizzata con riferimento all’articolo 63 TFUE.

33.      Poiché almeno una delle libertà fondamentali è applicabile, non è neppure necessario esaminare tale imposta alla luce dell’articolo 18 TFUE. Infatti, l’articolo 18 TFUE, che sancisce il principio generale del divieto di ogni discriminazione fondata sulla nazionalità, è destinato a trovare applicazione soltanto nelle situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione riguardo alle quali il Trattato stesso non stabilisca di per sé regole specifiche di non discriminazione (14). Poiché il principio di non discriminazione è stato attuato, nel settore della libera circolazione dei capitali, dall’articolo 63 TFUE, la questione sollevata dal giudice del rinvio deve essere esaminata solo alla luce dell’articolo 63 TFUE.

B.      Sui criteri da verificare

34.      In via preliminare, occorre ricordare che l’applicazione delle libertà fondamentali nel settore dell’imposizione fiscale presenta alcune caratteristiche specifiche. Infatti, in settori diversi dalla tassazione, la giurisprudenza della Corte dimostra che, per provare l’esistenza di una restrizione, è sufficiente che una misura possa vietare, ostacolare o rendere meno attraente l’esercizio di una libertà fondamentale (15). Di conseguenza, una restrizione può assumere la forma di una misura indistinta (16).

35.      Per contro, tuttavia, nel contesto dell’imposizione fiscale, il concetto di «restrizione» è applicato in modo più limitato. Ciò è dovuto alla natura stessa dell’imposizione fiscale, in quanto il semplice fatto che un’attività o un’operazione sia soggetta a un’imposta rende necessariamente tale attività meno attraente se esaminata nell’ottica dell’esercizio di una qualsiasi delle quattro libertà associate al mercato interno. Di conseguenza, per non limitare indebitamente la capacità impositiva degli Stati membri (17), solo misure impositive discriminatorie costituiscono restrizioni ai fini dell’applicazione di tali libertà (18). Data questa ragion d’essere del regime di legge specifico delle misure impositive, è a mio avviso irrilevante il fatto che l’imposta di cui trattasi sia diretta o indiretta.

36.      Pertanto, per individuare una restrizione alla libertà fondamentale di circolazione è necessario applicare lo stesso criterio applicato al principio della parità di trattamento: ossia che la misura nazionale in questione non deve trattare in modo diverso due situazioni che, in considerazione del contenuto (19) di tale misura o dell’obiettivo perseguito (20) – purché tale obiettivo non sia di per sé discriminatorio –, o dei principi generali che disciplinano il settore interessato (21), siano analoghe, con la conseguenza di pregiudicare le operazioni transfrontaliere (22). Per converso, anche misure che trattano in modo diverso fattispecie in realtà identiche, con la conseguenza di pregiudicare le operazioni transfrontaliere, costituiscono restrizioni in tal senso (23).

37.      Sebbene non tutte le sentenze della Corte facciano riferimento al termine «discriminazione», tale approccio può essere considerato, tuttavia, come giurisprudenza costante, almeno a partire dalla sentenza del 17 luglio 2014, Nordea Bank Danmark (C-48/13, EU:C:2014:2087). In tale causa, in effetti, la Corte, riunita in Grande Sezione, ha ribadito la necessità di prendere in considerazione la comparabilità delle situazioni per poter qualificare una misura come restrizione (24).

38.      Infine, anche quando ha carattere discriminatorio, una misura fiscale non è considerata contraria al principio della libera circolazione dei capitali se è giustificata da ragioni imperative di interesse generale e se è rispettato il principio di proporzionalità. In tale contesto, il principio di proporzionalità richiede che la misura sia idonea a garantire il conseguimento dell’obiettivo legittimamente perseguito e non ecceda quanto necessario a tal fine (25).

39.      Nella causa in esame le parti hanno sollevato la questione dell’esistenza di un collegamento territoriale effettivo e oggettivo tra l’imposta di cui all’articolo 1, comma 492, della legge n. 228/2012 e l’ordinamento giuridico italiano. Sebbene la questione sia stata sollevata principalmente nel contesto della compatibilità dell’imposta con la Costituzione italiana, nei limiti in cui tale questione può assumere una certa rilevanza nel corso del presente procedimento, propongo di esaminare se, nel contesto giuridico dell’Unione europea, vada preso in considerazione il diritto internazionale.

40.      A tal proposito, ritengo che il rispetto dei principi di diritto internazionale non sia, di per sé, direttamente rilevante per determinare se una misura rientri nell’ambito dei poteri fiscali – e, quindi, quale criterio debba essere applicato – o se essa debba essere considerata una restrizione alla libera circolazione dei capitali nell’accezione dell’articolo 63 TFUE.

41.      È vero, naturalmente, che in virtù dell’articolo 113 TFUE, gli Stati membri hanno competenze condivise con l’Unione in materia di imposte indirette. Tuttavia, dato che le imposte sugli strumenti finanziari derivati, come quella oggetto del procedimento principale, non sono state armonizzate (26), esse restano di competenza esclusiva degli Stati membri. Ne consegue, pertanto, che la Corte non ha alcuna competenza a decidere se gli Stati membri rispettino o meno il diritto internazionale pubblico quando adottano misure fiscali. Naturalmente, come risulta chiaramente dalla giurisprudenza della Corte, l’Unione europea deve rispettare essa stessa gli obblighi di diritto internazionale quando decide di esercitare le sue competenze (27). Tuttavia, ciò non significa che il diritto dell’Unione richiede altresì che gli Stati membri debbano esercitare i propri poteri sovrani esclusivi in conformità ai principi di diritto internazionale. Né da ciò consegue necessariamente che l’esistenza di una restrizione ai sensi dell’articolo 63 TFUE può essere dedotta semplicemente dal fatto che uno Stato membro ha ecceduto la propria competenza di diritto internazionale.

42.      Si potrebbe inoltre osservare che l’obiettivo delle libertà fondamentali sancite dai Trattati è quello inteso a garantire che il funzionamento del mercato unico non sia influenzato dal modo in cui gli Stati membri esercitano le loro competenze. Di conseguenza, perché tali libertà precludano l’adozione di misure nazionali, occorre che tali misure possano incidere sul funzionamento del mercato unico. Il fatto che uno Stato membro abbia esercitato i propri poteri legislativi in modo contrario agli obblighi di diritto internazionale non implica che le misure adottate possano incidere sul funzionamento del mercato unico. Ne consegue, pertanto, che la circostanza che uno Stato membro abbia assunto una competenza in modo contrario ai precetti di diritto internazionale non appare di per sé direttamente rilevante per valutare se la misura nazionale possa essere considerata in contrasto con i requisiti di cui all’articolo 63 TFUE (28).

43.      A mio parere, se il diritto internazionale svolge proprio un ruolo, si tratta semplicemente di una giustificazione per una determinata misura fiscale nazionale. Poiché l’Unione deve a sua volta rispettare il diritto internazionale nell’esercizio delle sue competenze, gli Stati membri possono basarsi sui loro obblighi internazionali – pur rispettando l’articolo 344 TFUE – per giustificare l’adozione di una restrizione ai sensi dell’articolo 63 TFUE (29). Tuttavia, quando essi agiscono al di fuori dell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, la questione se gli Stati membri siano tenuti a rispettare il diritto internazionale, e quindi se lo rispettino o meno, non rientra nella competenza della Corte.

44.      Se così non fosse, ciò potrebbe significare che gli Stati in cui vige un sistema dualista o quelli associati ad un sistema dualista dovrebbero rinunciarvi e considerare il diritto internazionale direttamente applicabile nel proprio ordinamento giuridico, anche in settori che rimangono esclusivamente nell’ambito della loro sovranità, a causa dell’applicazione delle libertà fondamentali.

45.      Si può osservare, en passant, che, in ogni caso, la Corte non ha mai effettuato in precedenza una simile valutazione. Così, ad esempio, nella sentenza del 26 maggio 2016, NN (L) International (C-48/15, EU:C:2016:356), relativa alla tassazione delle quote di organismi di investimento collettivo (OIC) collocate ogni anno in Belgio, indipendentemente dal luogo di residenza degli organismi che emettono tali quote o dal loro luogo di negoziazione, la Corte ha esaminato la compatibilità di tale imposta con le libertà fondamentali senza soffermarsi a esaminare se tale Stato membro interessato fosse competente a tal fine ai sensi del diritto internazionale.

46.      Pertanto, anche se l’imposta di cui trattasi può eventualmente sollevare questioni circa la competenza dell’Italia, ai sensi del diritto internazionale, a riscuotere l’imposta in questione – dal momento che l’imposta si applica indipendentemente dal luogo in cui la materia è stata oggetto di transazione – ritengo che, di fatto, non sia necessario affrontare tali tematiche per rispondere alla questione sollevata dalla Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia.

C.      Sull’esistenza di una restrizione alla libera circolazione dei capitali ai sensi dell’articolo 63 TFUE

47.      Secondo la Société Générale, l’articolo 1, comma 492, della legge n. 228/2012 comporta una duplice restrizione. L’imposta prevista da tale disposizione, infatti, potrebbe disincentivare gli investitori stranieri dall’investire in strumenti finanziari derivati che abbiano come sottostanti strumenti disciplinati dal diritto italiano, in quanto, in primo luogo, tali strumenti sono assoggettati ad imposizione. In secondo luogo, l’applicazione di tale imposta crea alcuni nuovi obblighi di dichiarazione, oltre a quelli già previsti nello Stato di residenza delle parti.

48.      A tal proposito, va osservato che, per sostenere la tesi secondo cui l’articolo 1, comma 492, della legge n. 228/2012 crea tale duplice restrizione, la Société Générale fa valere essenzialmente le sue osservazioni su sentenze della Corte in cause non di natura tributaria. Tuttavia, come ho già sottolineato in precedenza, la giurisprudenza della Corte ha adottato una definizione più restrittiva il concetto di «restrizione» nel settore fiscale rispetto ad altri settori. Per costituire una restrizione nel settore fiscale, non è di per sé sufficiente che la misura in questione scoraggi i non residenti dall’investire in strumenti finanziari nazionali: la misura controversa deve invece stabilire una discriminazione diretta o indiretta specificamente a scapito delle operazioni transfrontaliere.

49.      Poiché, nel procedimento principale, l’imposta in questione è dovuta indipendentemente dalla residenza delle parti della transazione o di eventuali intermediari, tale imposta non crea alcuna discriminazione del genere vietata dall’articolo 63 TFUE.

50.      In primo luogo, dal punto di vista degli investitori, tale imposta non costituisce una discriminazione in quanto si applica indipendentemente dalla loro nazionalità o dal loro luogo di residenza (30).

51.      In secondo luogo, è sicuramente vero che, per quanto riguarda i derivati, tale imposta stabilisce una differenza di trattamento tra quelli che hanno quali attività sottostanti uno strumento finanziario disciplinato dal diritto italiano ed emesso da società italiane, da un lato, e, dall’altro, quelli emessi da società registrate in un altro Stato.

52.      Si può comunque ricordare che l’articolo 1, comma 492, della legge n. 228/2012 mira a tassare i derivati che hanno come sottostanti strumenti finanziari disciplinati dal diritto italiano, il che di per sé non costituisce una forma di discriminazione diretta. Alla luce di questi obiettivi, i derivati le cui attività sottostanti sono disciplinate dal diritto italiano devono essere considerati non equiparabili ai derivati le cui attività sottostanti non sono disciplinate da tale diritto. Tale differenza di trattamento non rientra quindi nella nozione di «discriminazione» ai sensi del diritto dell’Unione. Pertanto, secondo la giurisprudenza della Corte, tale misura non costituisce una restrizione ai sensi dell’articolo 63 TFUE.

53.      Per quanto riguarda gli obblighi di dichiarazione creati da tale imposta oltre a quelli già esistenti nello Stato membro di residenza, tali obblighi sembrano limitati a quanto necessario per garantire l’applicazione tempestiva ed efficace di tale imposta. In particolare, non si riscontra alcuna indicazione nel senso che i soggetti non residenti siano assoggettati ad obblighi diversi da quelli gravanti sui cittadini italiani, o pure sui residenti italiani. Un tale accumulo di obblighi deve essere pertanto considerato semplicemente come la conseguenza dell’esercizio parallelo, da parte di due Stati membri, della loro vigilanza fiscale (31).

54.      Quindi, nei limiti in cui tali obblighi dichiarativi, discendenti dall’imposta istituita nell’articolo 1, comma 492, della legge n. 228/2012, costituiscono solo un elemento incidentale delle modalità di vigilanza di tale imposta, essi non possono essere di per sé contrari al diritto dell’Unione se (come ho già concluso) non lo è l’imposta sottostante (32).

55.      A mio avviso, ne consegue, pertanto, che l’imposta di cui all’articolo 1, comma 492, della legge n. 228/2012 non è contraria ai requisiti della libera circolazione dei capitali di cui all’articolo 63 TFUE.

IV.    Conclusione

56.      Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dalla Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia (Italia) come segue:

L’articolo 63 TFUE deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale che applichi sulle transazioni finanziarie, indipendentemente dallo Stato di residenza degli operatori finanziari e dell’intermediario, un tributo che gravi sulle controparti della transazione, che sia pari ad un importo fisso crescente per fasce di valore delle negoziazioni e variabile in relazione alla tipologia dello strumento negoziato e al valore del contratto, e che sia dovuto in funzione del fatto che le operazioni soggette ad imposta abbiano ad oggetto la negoziazione di un derivato basato su un titolo emesso da una società residente nello Stato istituente il tributo stesso.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Sembra che l’ambito di applicazione dell’imposta di cui trattasi nel procedimento principale non si limiti ai derivati che potrebbero dar luogo a un trasferimento di proprietà delle attività sottostanti. Infatti, la tabella 3, di cui all’articolo 1, comma 492, della legge n. 228/2012, menziona, tra l’altro, i derivati basati su indici la cui originalità risiede proprio nell’assenza di un effettivo trasferimento delle attività sottostanti.


3      Sebbene la direttiva 88/361 sia stata abrogata e non possa, in quanto strumento di diritto derivato, determinare la corretta interpretazione del diritto primario, secondo la giurisprudenza della Corte detto allegato ha valore indicativo. V., ad esempio, sentenza del 26 aprile 2012, van Putten (cause riunite da C-578/10 a C-580/10, EU:C:2012:246, punto 28).


4      Tuttavia, il fatto che gli strumenti finanziari derivati rientrino nell’ambito della libera circolazione dei capitali non esclude la possibilità che essi possano rientrare anche nell’ambito della libera circolazione dei servizi. V., ad esempio, sentenza del 9 luglio 1997, Parodi  (C-222/95, EU:C:1997:345, punto 17).


5      V. sentenza del 26 maggio 2016, NN (L) International (C-48/15, EU:C:2016:356, punto 39 e giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, la Corte applica talvolta cumulativamente diverse libertà. V., ad esempio, sentenza dell’11 giugno 2009, X e Passenheim-van Schoot (cause riunite C-155/08 e C-157/08, EU:C:2009:368, punto 40).


6      Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 494, della legge n. 228/2012 l’imposta è dovuta nella misura stabilita da ciascuna delle controparti delle operazioni.


7      Come spiegherò in seguito, poiché l’imposta di cui sopra non crea alcuna discriminazione, stabilire se rientri o meno nell’ambito di una specifica libertà fondamentale non ha particolari conseguenze. Infatti, l’individuazione della libertà fondamentale applicabile ha conseguenze soprattutto per quanto riguarda le eventuali giustificazioni che possono essere fornite riguardo alla legislazione nazionale in questione.


8      Sentenza del 15 novembre 2016, Ullens de Schooten (C-268/15, EU:C:2016:874, punto 47).


9      V., ad esempio, sentenza del 16 ottobre 2014, Commissione/Germania (C-100/13, non pubblicata, EU:C:2014:2293, punto 62).


10      V. considerando da 2 a 7 e articolo 401.


11      V., ad esempio, sentenze del 20 marzo 2014, Caixa d’Estalvis i Pensions de Barcelona (C-139/12, EU:C:2014:174, punto 28), e del 3 ottobre 2006, Banca popolare di Cremona  (C-475/03, EU:C:2006:629, punti 27 e 28).


12      V. OCSE, «International VAT/GST Guidelines», OECD Publishing, Parigi, 2017, https://doi.org/10.1787/9789264271401-en. V. anche sentenza del 3 ottobre 2006, Banca popolare di Cremona (C-475/03, EU:C:2006:629, punti 28 e 30).


13      Le azioni o altri titoli dello stesso tipo o certificati sono soggetti all’imposta prevista non dall’articolo 1, comma 492, ma dall’articolo 1, comma 491, della legge n. 228/2012, che esclude espressamente dal suo ambito di applicazione l’emissione di tale tipo di strumento finanziario.


14      Sentenza del 31 marzo 2011, Schröder (C-450/09, EU:C:2011:198, punto 28).


15      V., ad esempio, sentenze del 31 marzo 1993, Kraus (C-19/92, EU:C:1993:125, punto 32), del 25 gennaio 2007, Festersen (C-370/05, EU:C:2007:59, punto 24); del 22 gennaio 2015, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, (C-463/13, EU:C:2015:25, punto 45) e del 22 giugno 2017, Bechtel (C-20/16, EU:C:2017:488, punto 37).


16      V., in questo senso, sentenza del 21 dicembre 2016, AGET Iraklis (C-201/15, EU:C:2016:972, punto 49).


17      V., in questo senso, sentenze del 6 dicembre 2007, Columbus Container Services (C-298/05, EU:C:2007:754, punto 53), e del 26 maggio 2016, NN (L) International  (C-48/15, EU:C:2016:356, punto 47). Occorre sottolineare, con riferimento alla libera circolazione dei capitali, che l’articolo 65 TFUE stabilisce espressamente che: «[l]e disposizioni dell’articolo 63 non pregiudicano il diritto degli Stati membri (...) di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale». Infatti, tale deroga è, a sua volta, limitata dal paragrafo 3 del medesimo articolo, laddove prevede che «[l]e misure e le procedure di cui ai paragrafi 1 e 2 non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti di cui all’articolo 63».


18      V., ad esempio, sentenza del 14 febbraio 1995, Schumacker (C-279/93, EU:C:1995:31, punto 24).


19      V., ad esempio, sentenza del 17 dicembre 2015, Timac Agro Deutschland (C-388/14, EU:C:2015:829, punto 28).


20      V., ad esempio, sentenza del 1° dicembre 2011, Commissione/Ungheria (C-253/09, EU:C:2011:795, punto 61).


21      V. in tal senso, sentenza del 9 febbraio 2017, X (C-283/15, EU:C:2017:102, punto 37).


22      V. in tal senso, sentenza del 14 aprile 2016, Sparkasse Allgäu (C-522/14, EU:C:2016:253, punto 29).


23      Occorre sottolineare che in materia fiscale la grande maggioranza degli ostacoli riscontrati nella giurisprudenza sono indiretti, in quanto legati alla residenza piuttosto che alla nazionalità.


24      Punto 23.


25      Sentenza del 21 maggio 2019, Commissione/Ungheria (Usufrutto su terreni agricoli) (C-235/17, EU:C:2019:432, punto 59) Nel caso di discriminazione diretta, una misura potrebbe essere giustificata solo per uno dei motivi previsti dal Trattato. V, ad esempio, sentenza del 22 ottobre 2014, Blanco e Fabretti (C-344/13 e C-367/13, EU:C:2014:2311, punto 38).


26      V. paragrafo 32 di queste conclusioni.


27      V., in tal senso, sentenza del 20 novembre 2018, Commissione/Consiglio  (AMP antartiche) (cause riunite C-626/15 e C-659/16, EU:C:2018:925, punto 127).


28      Per quanto riguarda la possibilità di inferire una restrizione ai diritti fondamentali da una mancanza di competenza dello Stato membro, nell’accezione del diritto internazionale, occorre anche sottolineare che, come già detto, in materia fiscale, affinché una misura costituisca una restrizione, tale misura deve trattare situazioni analoghe in modo diverso. Nell’ottica di tale criterio, la portata della competenza dello Stato membro sembra irrilevante. Per quanto sia vero che, per valutare se due situazioni sono analoghe, occorre tener conto dei principi generali che disciplinano il settore in questione, ciò accade semplicemente per esaminare se il trattamento di queste due situazioni sia coerente con l’intera legislazione nazionale.


29      V. ordinanza del 5 settembre 2019, Caisse pour l’avenir des enfants (C-801/18, EU:C:2019:684, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).


30      In modo analogo, contrariamente a quanto sostiene la Société Générale, non si può dedurre alcuna discriminazione dal fatto che tale imposta tratta in modo identico residenti e non residenti, poiché, alla luce dell’obiettivo perseguito da tale imposta, si deve considerare che queste diverse categorie di persone versino nella stessa situazione.


31      V., in tal senso, sentenza del 14 aprile 2016, Sparkasse Allgäu (C-522/14, EU:C:2016:253, punto 25).


32      Il giudice del rinvio ha fatto solo riferimento agli obblighi di individuazione dell’operazione considerata, di tenuta di un registro e di presentazione di una dichiarazione, che appaiono tutti inerenti all’imposta stessa.