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Edizione provvisoria

SENTENZA DELLA CORTE (Ottava Sezione)

30 gennaio 2024 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (IVA) – Direttiva 2006/112/CE – Articolo 203 – Obbligo di pagamento – Persona che indica l’IVA in una fattura – Persona debitrice dell’IVA – False fatture emesse da un dipendente che riportano i dati del datore di lavoro ad insaputa e senza il consenso di quest’ultimo – Diligenza del datore di lavoro»

Nella causa C-442/22,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa, Polonia), con decisione del 26 maggio 2022, pervenuta in cancelleria il 5 luglio 2022, nel procedimento

P sp. z o.o.

contro

Dyrektor lzby Administracji Skarbowej w Lublinie,

con l’intervento di:

Rzecznik Małych i Średnich Przedsiębiorców,

LA CORTE (Ottava Sezione),

composta da N. Piçarra, presidente di sezione, K. Jürimäe (relatrice), presidente della terza sezione, e M. Safjan, giudice,

avvocato generale: J. Kokott

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la P sp. z o.o., da M.B. Przeciechowski, adwokat, e I. Skrok, doradca podatkowy;

–        per il Dyrektor Izby Administracji Skarbowej w Lublinie, da B. Kołodziej e T. Wojciechowski;

–        per il Rzecznik Małych i Średnich Przedsiębiorców, da P. Chrupek, radca prawny;

–        per la Commissione europea, da J. Jokubauskaitė e M. Rynkowski, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 21 settembre 2023,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 203 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva IVA»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la P sp. z o.o. (in prosieguo: la «società P») e il Dyrektor Izby Administracji Skarbowej w Lublinie (direttore della sezione dell’amministrazione tributaria di Lublino, Polonia; in prosieguo: l’«amministrazione tributaria») riguardo a debiti d’imposta sul valore aggiunto (IVA) corrispondenti a fatture false emesse da P.K., una dipendente della società P.

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

3        L’articolo 9 della direttiva IVA così dispone:

«1.      Si considera «soggetto passivo» chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività.

Si considera «attività economica» ogni attività di produzione, di commercializzazione o di prestazione di servizi, comprese le attività estrattive, agricole, nonché quelle di professione libera o assimilate. Si considera, in particolare, attività economica lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità.

2.      Oltre alle persone di cui al paragrafo 1, si considera soggetto passivo ogni persona che effettui a titolo occasionale la cessione di un mezzo di trasporto nuovo spedito o trasportato a destinazione dell’acquirente dal venditore, dall’acquirente o per loro conto, fuori dal territorio di uno Stato membro ma nel territorio della Comunità [europea]».

4        Ai sensi dell’articolo 167 di tale direttiva:

«Il diritto a detrazione sorge quando l’imposta detraibile diventa esigibile».

5        L’articolo 203 di detta direttiva così prevede:

«L’IVA è dovuta da chiunque indichi tale imposta in una fattura».

6        L’articolo 205 della stessa direttiva è così formulato:

«Nelle situazioni di cui agli articoli da 193 a 200 e agli articoli 202, 203 e 204, gli Stati membri possono stabilire che una persona diversa dal debitore dell’imposta sia responsabile in solido per l’assolvimento dell’IVA».

 Diritto polacco

7        L’articolo 108, paragrafo 1, dell’ustawa o podatku od towarów i usług (legge relativa all’imposta sul valore aggiunto), dell’11 marzo 2004 (Dz. U. del 2011, n. 177, posizione 1054), nella sua versione applicabile alla controversia principale (in prosieguo: la «legge sull’IVA»), che traspone l’articolo 203 della direttiva IVA, prevede quanto segue:

«Una persona giuridica, un ente privo di personalità giuridica o una persona fisica, qualora emettano una fattura in cui dichiarino l’importo dell’imposta, sono obbligati a pagarla».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

8        Nel corso del periodo che va dal 2001 al 2014, la società P, soggetta all’IVA, esercitava segnatamente un’attività di vendita al dettaglio di carburanti in una stazione di servizio gestita, dal mese di novembre 2005, da P.K., dipendente di tale società.

9        In seguito ad un controllo fiscale, si è constatato che, tra il mese di gennaio 2010 e il mese d’aprile 2014, detta società aveva emesso 1 679 fatture che indicavano un importo dell’IVA non corrispondente a reali vendite di beni, per un valore totale di 1 497 847 zloty polacchi di IVA (circa EUR 319 254), ad enti che hanno detratto l’IVA indicata in tali fatture. Dette fatture non sono state registrate nella contabilità della società P e l’IVA corrispondente non è stata versata all’Erario, né riportata nelle dichiarazioni fiscali di tale società.

10      Le fatture controverse erano fittiziamente collegate a vendite effettive realizzate dalla stazione di servizio gestita da P.K. e registrate dai registratori di cassa della società P. Infatti, tali fatture erano accompagnate da scontrini autentici, corrispondenti a operazioni effettivamente realizzate con enti diversi da quelli indicati nelle fatture suddette, e sono state emesse e vendute da P.K., senza il consenso e all’insaputa della direzione di tale società, per ottenere in modo fraudolento il rimborso dell’IVA da parte degli enti destinatari delle stesse fatture.

11      Tali scontrini venivano recuperati da taluni dipendenti della stazione di servizio, che li consegnavano a P.K. dietro compenso pecuniario. Le fatture controverse venivano registrate sul computer della stazione di servizio in un formato diverso da quello delle fatture regolari, emesse dalla società P, e non potevano essere consultate senza che tale computer venisse sbloccato. P.K. utilizzava i dati della società P indicandola come emittente delle fatture controverse e riportando su queste ultime il numero d’identificazione fiscale (in prosieguo: il «NIF») di tale società.

12      Il 24 maggio 2014, P.K. è stata licenziata per illecito.

13      Il Naczelnik Urzędu Skarbowego (direttore dell’Ufficio tributario, Polonia) ha emanato, in seguito al controllo fiscale, una decisione di accertamento dell’importo dell’IVA dovuta dalla società P in base alle fatture controverse emesse tra il mese di gennaio 2010 e il mese d’aprile 2014.

14      Con decisione del 31 ottobre 2017, l’amministrazione tributaria ha confermato tale decisione. Essa ha ritenuto che la società P non avesse agito con la dovuta diligenza al fine di evitare l’emissione delle fatture controverse. Infatti, nessun documento specificava le responsabilità precise di P.K., che poteva, considerate le sue funzioni, emettere fatture corrispondenti agli introiti della stazione di servizio, al di fuori del sistema informatico di contabilità di tale società, anche senza l’avallo della sua direzione. Poiché il presidente del consiglio d’amministrazione di detta società sapeva che venivano emesse fatture relative a scontrini rilasciati dalla stazione di servizio, senza controllo contabile, avrebbe potuto e dovuto prevedere che tali modalità di funzionamento avrebbero facilitato l’emissione di fatture a fini fraudolenti. È proprio a causa della mancanza di vigilanza e di adeguata organizzazione che il presidente del consiglio di amministrazione della società P avrebbe scoperto le condotte censurate solo in occasione del controllo effettuato dall’amministrazione tributaria. Ne conseguirebbe che P.K. non potrebbe essere considerata quale terzo rispetto alla società P.

15      Inoltre, il rischio di perdita di bilancio per l’amministrazione tributaria non sarebbe escluso cosicché sarebbe senz’altro applicabile l’articolo 108, paragrafo 1, della legge sull’IVA.

16      Con decisione del 23 febbraio 2018, il Wojewódzki Sąd Administracyjny w Lublinie (Tribunale amministrativo del voivodato di Lublino, Polonia) ha respinto il ricorso presentato dalla società P avverso la decisione dell’amministrazione tributaria. Detta società ha allora proposto ricorso per cassazione dinanzi al Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa, Polonia), giudice del rinvio nella presente causa.

17      Secondo questo giudice, due orientamenti giurisprudenziali nazionali si contrappongono in merito all’interpretazione dell’articolo 108, paragrafo 1, della legge sull’IVA, che traspone l’articolo 203 della direttiva IVA.

18      Secondo una prima interpretazione, non occorrerebbe, ai fini dell’applicazione di tale disposizione, tenere conto del fatto che è stata una dipendente ad aver emesso le fatture controverse utilizzando il nome e il NIF del suo datore di lavoro. Sarebbe infatti sufficiente constatare che tale dipendente era abilitata a emettere fatture e che, pertanto, la società sua datrice di lavoro deve assumersi i rischi connessi alla selezione dei suoi dipendenti. Esonerare il datore di lavoro in caso di emissione di fatture da parte del dipendente equivarrebbe a trasferire allo Stato membro tale responsabilità, il che non sarebbe accettabile. Un’interpretazione siffatta comporterebbe tuttavia la necessità di stabilire se tale responsabilità sia una responsabilità oggettiva o per colpa. In quest’ultima ipotesi, la società i cui dati sono indicati nella fattura controversa sarebbe soggetta all’obbligo di pagamento dell’IVA soltanto nel caso in cui essa avesse commesso un illecito colposo o avesse agito con negligenza, oppure fosse venuta meno all’obbligo di vigilanza ad essa incombente.

19      In base ad una seconda interpretazione, un ente i cui dati siano stati illegalmente usurpati da un altro ente non sarebbe considerato quale emittente di una fattura controversa e non sarebbe pertanto debitore dell’IVA indicata in tale fattura, a norma dell’articolo 108, paragrafo 1, della legge sull’IVA.Tale disposizione enuncerebbe con chiarezza che l’ente che «emette la fattura», e non quello i cui dati sono stati usurpati, è debitore dell’IVA. Il giudice del rinvio aggiunge che un’interpretazione siffatta potrebbe risultare anche dalla formulazione dell’articolo 203 della direttiva IVA.

20      In tal contesto, il Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 203 della [direttiva IVA] debba essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui un dipendente di un soggetto passivo dell’IVA emetta una fattura falsa, con applicazione dell’IVA, sulla quale vengono indicati i dati del datore di lavoro come dati del soggetto passivo, all’insaputa e senza il suo consenso, come “soggetto che dichiara l’IVA in fattura”, obbligato a pagare l’IVA debba ritenersi:

–        il soggetto passivo dell’IVA i cui dati sono stati illecitamente utilizzati in fattura o

–        il dipendente che illecitamente ha dichiarato l’IVA in fattura, utilizzando i dati del soggetto avente la qualifica di soggetto passivo dell’IVA.

2)      Se, al fine di stabilire chi debba essere considerato, ai sensi dell’articolo 203 della citata direttiva IVA, il soggetto che dichiara l’IVA in una fattura e che è obbligato a versarla nelle circostanze di cui alla [prima] questione, sia rilevante il fatto che al soggetto passivo dell’IVA, che assume il dipendente che ha dichiarato illegalmente, nella fattura IVA, i dati del soggetto passivo che lo assume, possa imputarsi la mancanza della dovuta diligenza nel controllare il dipendente».

 Sulle questioni pregiudiziali

21      Con le sue due questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 203 della direttiva IVA debba essere interpretato nel senso che, qualora un dipendente di un soggetto passivo dell’IVA abbia emesso una fattura falsa in cui è indicata l’IVA, utilizzando l’identità del suo datore di lavoro come soggetto passivo, all’insaputa di quest’ultimo e senza il suo consenso, tale dipendente debba essere considerato quale persona che indica l’IVA ai sensi di tale articolo.

22      L’articolo 203 della direttiva IVA dispone che chiunque indichi l’IVA in una fattura è debitore dell’imposta ivi menzionata.

23      Per quanto riguarda, in primo luogo, l’ambito di applicazione di detto articolo 203, la Corte ha precisato che l’IVA indicata in una fattura è dovuta dall’emittente di tale fattura, anche in assenza di una qualsiasi operazione imponibile reale [v., in tal senso, sentenze del 31 gennaio 2013, Stroy trans, C-642/11, EU:C:2013:54, punto 38, e dell’8 dicembre 2022, Finanzamt Österreich (IVA erroneamente fatturata a consumatori finali), C-378/21, EU:C:2022:968, punto 19].

24      Infatti, risulta da costante giurisprudenza che tale articolo 203 mira a eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale che potrebbe derivare dal diritto a detrazione previsto dalla direttiva IVA [sentenze del 31 gennaio 2013, Stroy trans, C-642/11, EU:C:2013:54, punto 32, e dell’8 dicembre 2022, Finanzamt Österreich (IVA erroneamente fatturata a consumatori finali), C-378/21, EU:C:2022:968, punto 20]. Esso è pertanto destinato ad applicarsi nel caso in cui l’IVA sia stata erroneamente fatturata e vi sia un rischio di perdita di gettito fiscale a causa del fatto che il destinatario della fattura in questione potrebbe avvalersi del proprio diritto alla detrazione di siffatta IVA [v., in tal senso, sentenza dell’8 dicembre 2022, Finanzamt Österreich (IVA erroneamente fatturata a consumatori finali), C-378/21, EU:C:2022:968, punto 21].

25      Pertanto, l’emittente di una fattura in cui è indicato l’importo dell’IVA è debitore di tale importo indipendentemente da qualsiasi illecito, qualora sussista un rischio di perdita di gettito fiscale. Se, per contro, tale rischio è escluso, l’articolo 203 della direttiva IVA non si applica [v., in tal senso, sentenza dell’8 dicembre 2022, Finanzamt Österreich (IVA erroneamente fatturata a consumatori finali), C-378/21, EU:C:2022:968, punto 24].

26      Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che le fatture controverse sono state emesse a fini fraudolenti. Infatti, sono stati fatturati fittiziamente determinati importi IVA per consentire ai destinatari di dette fatture di ottenere in modo fraudolento il diritto a detrazione dell’IVA suddetta. Il giudice del rinvio indica che il rischio di perdita di gettito fiscale non è escluso in quanto il diritto a detrazione di cui i destinatari di tali fatture potrebbero avvalersi non sarebbe compensato dal versamento dell’importo corrispondente da parte dell’emittente delle fatture medesime. Una situazione siffatta rientra pertanto senz’altro, in linea di principio, nell’ambito d’applicazione dell’articolo 203 della direttiva IVA fintanto che tale rischio esiste.

27      Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’identificazione del destinatario dell’obbligo di cui all’articolo 203, va osservato che l’impiego dell’espressione «chiunque» indica che il destinatario suddetto non è necessariamente un soggetto passivo ai sensi dell’articolo 9 della direttiva IVA. Una persona fisica non soggetto passivo può pertanto essere assoggettata, in linea di principio, all’obbligo previsto all’articolo 203 di tale direttiva qualora indichi l’IVA in una fattura.

28      Tuttavia, la formulazione di tale articolo 203 non consente di stabilire a chi si riferisce l’espressione «chiunque indichi tale imposta» ai sensi di detto articolo 203, qualora l’emittente apparente della fattura, soggetto passivo dell’IVA, si sia fatto usurpare i propri dati di identificazione come soggetto d’imposta e tale fattura sia una falsa fattura emessa con finalità di frode all’IVA da un dipendente di detto soggetto passivo. Infatti, l’espressione «chiunque», a causa del suo carattere generale e indifferenziato, potrebbe far riferimento tanto al soggetto passivo quanto al dipendente.

29      A questo titolo, occorre sottolineare che, secondo una giurisprudenza costante, la lotta contro la frode e gli eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva IVA e gli interessati non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 29 aprile 2004, Gemeente Leusden e Holin Groep, C-487/01 e C-7/02, EU:C:2004:263, punto 76, nonché del 2 luglio 2020, Terracult, C-835/18, EU:C:2020:520, punto 38).

30      Orbene, sarebbe in contrasto con tale obiettivo interpretare l’articolo 203 della direttiva IVA nel senso che l’emittente apparente di una fattura fraudolenta in cui è indicata l’IVA, che si sia fatto di usurpare l’identità di soggetto passivo dell’IVA, sia considerato essere «chiunque indichi tale imposta», ai sensi di detto articolo 203, qualora detto emittente apparente sia in buona fede e l’amministrazione tributaria conosca l’identità della persona che ha realmente emesso detta falsa fattura. In una situazione siffatta, è quindi proprio quest’ultima persona che dev’essere considerata «chiunque indichi tale imposta» ai sensi di detto articolo 203.

31      Nel caso di specie, una dipendente ha utilizzato i dati del proprio datore di lavoro, all’insaputa e senza consenso di quest’ultimo, per emettere false fatture in cui è indicata l’IVA e quest’ultimo è presentato quale soggetto passivo, allo scopo di venderle illegalmente affinché gli acquirenti possano indebitamente beneficiare di un diritto a detrazione dell’IVA indebita.

32      Nella sua decisione di rinvio, il giudice del rinvio precisa tuttavia che il datore di lavoro non avrebbe dato prova di aver agito con tutta la dovuta diligenza per evitare l’emissione di fatture fraudolente. Infatti, tale dipendente era incaricata della fatturazione e avrebbe avuto in particolare il potere di emettere fatture IVA al di fuori del sistema informatico di fatturazione, senza che fosse necessario ottenere l’ulteriore consenso del datore di lavoro. L’amministrazione tributaria avrebbe pertanto ritenuto che detto datore di lavoro fosse venuto meno all’obbligo di vigilanza e che la sua negligenza gli avrebbe impedito di scoprire e di prevenire le pratiche fraudolente della sua dipendente. Detta amministrazione ha quindi ritenuto che tale datore di lavoro dovesse essere considerato quale persona che indica l’IVA, ai sensi dell’articolo 203 della direttiva IVA, e che egli fosse pertanto debitore dell’IVA indicata nelle fatture controverse, in applicazione della disposizione nazionale che traspone detto articolo 203.

33      A tal riguardo, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, per quanto sviluppata in circostanze certamente diverse da quelle di cui al procedimento principale, non è contrario al diritto dell’Unione esigere che un operatore adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione che effettua non lo conduca a partecipare ad una evasione dell’IVA (sentenze del 27 settembre 2007, Teleos e a., C-409/04, EU:C:2007:548, punto 65, nonché del 21 giugno 2012, Mahagében e Dávid, C-80/11 e C-142/11, EU:C:2012:373, punto 54).

34      In tale prospettiva, la Corte ha già dichiarato che, qualora sussistano indizi che consentono di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasione, un operatore accorto può, secondo le circostanze del caso di specie, vedersi obbligato ad assumere informazioni su un altro operatore, presso il quale prevede di acquistare beni o servizi, al fine di sincerarsi della sua affidabilità (sentenza del 21 giugno 2012, Mahagében e Dávid, C-80/11 e C-142/11, EU:C:2012:373, punto 60).

35      Orbene, tenuto conto dell’obiettivo menzionato al punto 29 della presente sentenza, un analogo dovere di diligenza deve gravare, nell’ambito dell’articolo 203 della direttiva IVA, sul datore di lavoro nei confronti del suo dipendente, in particolare quando tale dipendente è incaricato di emettere fatture in cui è indicata l’IVA a nome e per conto del datore di lavoro. Pertanto, tale datore di lavoro, soggetto all’IVA, non può essere considerato in buona fede se non ha dato prova di aver agito con la diligenza ragionevolmente dovuta per controllare le condotte del suo dipendente e, ciò facendo, evitare che quest’ultimo possa utilizzare i suoi dati di identificazione in quanto soggetto passivo dell’IVA per emettere false fatture a fini fraudolenti. In una situazione siffatta, le condotte fraudolente del suo dipendente possono essergli imputate in modo tale che esso deve essere considerato quale persona che indica l’IVA nelle fatture controverse, ai sensi di detto articolo 203.

36      Pertanto, in tali circostanze, spetta all’amministrazione tributaria o al giudice adito procedere ad una valutazione globale dell’insieme degli elementi pertinenti per stabilire se il soggetto passivo, cui un dipendente ha usurpato i dati di identificazione dell’IVA allo scopo di emettere false fatture a fini fraudolenti, abbia dato prova di aver agito con la diligenza ragionevolmente dovuta per controllare le condotte di tale dipendente. Se così non è, tale soggetto passivo è debitore dell’IVA indicata nelle fatture suddette, in forza dell’articolo 203 della direttiva IVA.

37      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che l’articolo 203 della direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che, qualora il dipendente di un soggetto all’IVA abbia emesso una fattura falsa in cui è indicata l’IVA utilizzando l’identità del suo datore di lavoro quale soggetto passivo, ad insaputa di quest’ultimo e senza il suo consenso, tale dipendente deve essere considerato quale persona che indica l’IVA, ai sensi di tale articolo 203, salvo nel caso in cui detto soggetto passivo non abbia dato prova di aver agito con la diligenza ragionevolmente dovuta per controllare le condotte di tale dipendente.

 Sulle spese

38      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Ottava Sezione) dichiara:

L’articolo 203 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto,

dev’essere interpretato nel senso che:

qualora il dipendente di un soggetto all’imposta sul valore aggiunto (IVA) abbia emesso una fattura falsa in cui è indicata l’IVA utilizzando l’identità del suo datore di lavoro quale soggetto passivo, ad insaputa di quest’ultimo e senza il suo consenso, tale dipendente deve essere considerato quale persona che indica l’IVA, ai sensi di tale articolo 203, salvo nel caso in cui detto soggetto passivo non abbia dato prova di aver agito con la diligenza ragionevolmente dovuta per controllare le condotte di tale dipendente.

Firme


*      Lingua processuale: il polacco.